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Papa Francesco, conferenza stampa sull'aereo di ritorno dal Paraguay: " Ho dato loro la dottrina sociale della Chiesa."

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2015 23:13
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13/07/2015 23:13




 




Le prime tre conversazioni sono in lingua spagnola.
Le altre in lingua italiana.
Sotto la traduzione in italiano.


La conferenza stampa sull'aereo di ritorno dal Paraguay: «Sostenendo i movimenti popolari la Chiesa non fa un'opzione per l'anarchia». «Si trovi una via per risolvere il problema della Grecia. E anche una strada di sorveglianza per non ricadere in altri Paesi nello stesso problema». Il Crocifisso sulla falce e martello: «Capisco quest'opera, che si qualifica come arte di protesta. Non mi sono sentito offeso». «La mia energia? Il mate mi aiuta, ma non ho assaggiato la coca». «Dovrei parlare di più anche alla classe media»

Sui poveri «sono io che seguo la Chiesa, perché semplicemente predico la sua dottrina sociale». «Mi auguro che trovino una strada per risolvere il problema greco e anche una strada di sorveglianza perché altri Paesi non cadano nello stesso problema». Sul Crocifisso con falce e martello: «Capisco quest'opera ideata da padre Espinal, che si qualifica come arte di protesta. Non mi sono sentito offeso». Sui movimenti popolari: «Sostenendoli la Chiesa non fa un'opzione per l'anarchia». Sui bisognosi: «Parlo di loro perché sono nel cuore del Vangelo. Ma dovrei parlare di più anche alla classe media». Sulla sua resistenza alla fatica: «La mia energia? Il mate mi aiuta, ma non ho assaggiato la coca». Nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal Paraguay a Roma Papa Francesco ha conversato per un'ora con i giornalisti rispondendo a molte domande. E più volte è emersa anche la dimensione della preghiera. Prima di decidere su che cosa fare delle decorazioni donategli dal presidente boliviano Evo Morales, «ci ho pregato su». Non appena ricevuto i segnali positivi che esprimevano volontà di dialogo tra Stati Uniti e Cuba, «io ho soltanto pregato su questo».

Grazie per aver elevato il santuario di Caacupé a basilica pontificia. Ma perché il Paraguay non ha un cardinale?

«Non avere un cardinale non è un peccato, la maggioranza dei paesi del mondo non ha un cardinale. Le nazionalità non ricordo quante siano, ma sono una minoranza. È vero, il Paraguay non ha avuto cardinali fino a ora e non saprei dirle la ragione. A volte si bilancia, si valutano i dossier e il carisma della persona, del cardinale, che è quello di assistere il Papa nel governo della Chiesa. Il cardinale è incardinato alla Chiesa di Roma e deve avere una visione universale. Questo non vuol dire che non ci siano vescovi che non ce l'abbiano in Paraguay. È che siccome non si possono eleggere più di 120... Bolivia ne ha avuti due, Uruguay due... Alcuni paesi centroamericani non l'hanno avuto. Ma non c'è alcun peccato: dipende dalle circostanze, dalle persone, ma non significa un minor valore. Ci sono vescovi che hanno fatto la storia del Paraguay e non sono stati cardinali. Merita il Paraguay di avere un cardinale? Guardando alla Chiesa del Paraguay, direi che ne meriterebbe non uno solo ma due: è una Chiesa viva, gioiosa, che lotta, con una storia gloriosa».

Considera giusto l'anelito dei boliviani di avere uno sbocco al mare? Lei accetterebbe di fare una mediazione tra Cile e Bolivia?

«La mediazione è cosa delicata e sarebbe un ultimo passo. L'Argentina l'ha vissuta con il Cile ed è stata una situazione limite, ben fatta perché la Santa Sede ha ricevuto l'incarico per interessamento di Giovanni Paolo II, con la buona volontà dei due Paesi coinvolti. Però è l'ultima istanza. Ci sono altre figure diplomatiche che aiutano. In questo momento io devo essere molto rispettoso, perché la Bolivia ha fatto ricorso a un tribunale internazionale. Se io faccio un commento ora, io sono il capo di uno Stato, sembrerebbe che mi immischi nella sovranità di un altro Stato. Io rispetto la decisione che ha preso il popolo boliviano che ha fato questo ricorso. Mi hanno detto che al tempo del presidente Lagos si era vicini a una soluzione, me lo ha raccontato il cardinale Errazuriz. Nella cattedrale di La Paz ho toccato questo tema in modo molto delicato tenendo in conto la situazione del ricorso al tribunale internazionale. I fratelli devono dialogare, i popoli latinoamericani devono dialogare, dialogare per creare la Patria Grande, il dialogo è necessario. Lì mi sono fermato e ho detto: penso al mare. E ho continuato: ci vuole dialogo e dialogo. Ho rispettato la situazione come è al momento attuale. Bisogna aspettare il tribunale internazionale. Sempre c'è una base di giustizia quando ci sono cambiamenti nei confini territoriali dopo una guerra. Non è ingiusto esprimere questo desiderio. Ricordo che nell'anno 1961, quando ero al primo anno di filosofia, ci mostrarono un documentario sulla Bolivia e credo che si chiamasse "Le dieci stelle": presentava ognuno dei nove dipartimenti del Paese e come decimo si vedeva il mare, senza alcun commento. Dunque, prima il dialogo, la sana trattativa».

L'Ecuador era scombussolato prima della sua visita, e dopo che lei ha lasciato il Paese, gli oppositori sono tornati a uscir per strada. Sembra che la sua presenza in Ecuador si voglia usare politicamente, specialmente per quella sua frase sul popolo ecuadoriano che si è rimesso in piedi con dignità. Lei crede nel progetto politico del presidente Correa? Crede che le considerazioni che ha fatto aiutino a costruire la democrazia?

«Evidentemente so che c'erano problemi politici, lo so. Non conosco i particolari della politica ecuadoriana. Mi dicono che c'è stata come una parentesi durante la mia visita, non ci sono state proteste, e io ringrazio e lo apprezzo. Ma se le proteste vanno avanti vuol dire che i problemi continuano. Io mi riferivo alla maggior coscienza che il popolo ecuadoriano ha del suo valore. C'è stata una guerra con il Perù da poco tempo, c'è l'esperienza della guerra. E poi una maggior coscienza della varietà di ricchezza etnica dell'Ecuador. Non è un paese che scarta. E dunque mi riferivo a tutto il popolo, e alla ricchezza dell'unità nella varietà, non erano parole che si riferivano a una realtà politica concreta. È stata strumentalizzata da entrambe le parti. Una frase si può strumentalizzare. È molto importante nel vostro lavoro l'ermeneutica di un testo: non si può interpretare con una frase, l'ermeneutica è nel contesto. Ci sono frasi che sono ermeneutica, altre che non lo sono. Bisogna anche vedere la storia di questo momento o se stiamo interpretando un fatto del passato, farlo con l'ermeneutica del passato, per esempio, le crociate. Non voglio fare il maestro, è un aiuto per voi».

Nel discorso ai movimenti popolari lei ha parlato del nuovo colonialismo, dell'idolatria del denaro e dell'imposizione dei mezzi di austerità che stringono la cintura dei poveri. In Europa c'è il caso della sorte della Grecia, che rischia di uscire dalla moneta unica. Che cosa pensa di questo?

«Prima di tutto, il perché di questo intervento mio nel convegno dei movimenti popolari: non era il primo, ma il secondo, perché ne avevamo fatto uno nell'aula vecchia del Sinodo. È una cosa che organizza Giustizia e pace, ma io sono vicino, perché è un fenomeno di tutto il mondo, lo troviamo anche in Oriente, nelle Filippine, in India, in Thailandia. Movimenti che si organizzano tra loro non solo per fare una protesta ma per andare avanti e poter vivere, e sono movimenti che hanno forza. Sono tanti, sono persone che non si sentono rappresentate dai sindacati perché dicono che i sindacati sono una corporazione e non lottano per i diritti dei più poveri. La Chiesa non può essere indifferente, ha un dottrina sociale, e dialoga con loro. Voi avete visto l'entusiasmo: la Chiesa non è lontana, ci aiuta a lottare. La Chiesa non fa un'opzione per la strada dell'anarchica. No, non sono anarchici, questi lavorano, fanno lavori con gli scarti, con le cose che avanzano. Per quanto riguarda la Grecia e il sistema internazionale: io ho una grande allergia all'economia, perché mio papà era ragioniere e quando non finiva il lavoro in fabbrica lo portava a casa e il sabato e la domenica con quei libri lavorava a casa. Non capisco bene com'è la cosa, però certamente sarebbe semplice dire: la colpa è soltanto di questa parte! I governanti greci che hanno portato avanti questa situazione di debito internazionale hanno una responsabilità. Col nuovo governo greco si è cominciata una revisione un po' giusta. Io mi auguro che trovino una strada per risolvere il problema greco e anche una strada di sorveglianza perché altri Paesi non cadano nello steso problema, e che questo ci aiuti ad andare avanti perché quella strada dei debiti non finisce mai. Mi hanno detto, un anno fa più o meno, che c'era un progetto all'Onu per il quale un Paese può dichiararsi in bancarotta, che non è lo stesso del default, ma non so come è andato a finire. Se un'impresa può fare una dichiarazione di bancarotta, perché un paese non può farlo e lo si aiuta? E poi le nuove colonizzazioni, evidentemente tutti vanno sui valori, sulla colonizzazione del consumismo. L'abito del consumismo è stato un progresso di colonizzazione, che ti porta a un'abitudine che non è la tua e ti squilibra la personalità, la salute fisica e mentale, tanto per fare un esempio».

Uno dei messaggi più forti di questo viaggio è stato questo: lei ha detto che questo sistema economico spesso impone profitto a tutti i costi. Questo è percepito dagli statunitensi come una critica al loro modo di vivere: come risponde a questa percezione?

«Quello che ho detto non è nuovo, quella frase non è nuova. Che "questa economia uccide", l'ho detto in Evangelii gaudium e nell'enciclica Laudato si'. Ho sentito che alcune critiche sono state fatte negli Stati Uniti: ogni critica deve essere recepita e studiata e poi bisogna fare un dialogo. Cosa penso? Siccome non ho dialogato con chi fa la critica, non ho il diritto di fare un pensiero così isolato... Adesso ci andrò negli Usa, ma devo cominciare a studiare adesso, fino a oggi avevo studiato i dossier su questi tre paesi bellissimi dell'America Latina. Ora devo
vaticaninsider.lastampa.it/…/francesco-sudam……





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