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Papa Francesco, Udienza ai partecipanti al Congresso Mondiale promosso dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi) "educa

Ultimo Aggiornamento: 21/11/2015 18:43
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21/11/2015 18:43




Papa Francesco, Udienza ai partecipanti al Congresso Mondiale promosso dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi) "educazione di emergenza"

Successivamente il Pontefice ha espresso solidarietà agli educatori cattolici, rilevando che sono tra le categorie professionali più malpagate. In proposito ha anche constatato la rottura del patto educativo tra famiglia e scuola e tra famiglia e Stato. Quindi ha denunciato come l’educazione sia diventata troppo selettiva, con la conseguenza che non tutti i bambini vi hanno accesso. Anche perché, ha fatto notare, l’elitismo invece di avvicinare i popoli li allontana, separa i ricchi dai poveri, divide le culture. Urge allora un nuovo patto sociale, accompagnato dalla necessità di cercare strade nuove, come fece a suo tempo don Bosco con la sua «educazione di emergenza», la quale ha come caratteristica l’essere informale e inclusiva. Al contrario di quella attuale, che è formale e impoverita in quanto fondata sul tecnicismo intellettualista.


Tra gli esempi positivi attuali, Francesco ha citato il metodo di Scholas occurrentes, che rompendo schemi tradizionali educa anche attraverso lo sport e l’arte, agendo sul linguaggio della testa, quello del cuore e quello delle mani. Mentre, di contro, le scuole normalmente puntano a creare super uomini — quelli che hanno i soldi per pagare le migliori — essendo mosse solo dal criterio dell’interesse, dal fantasma dei soldi che rovina l’umanità.
Un’altra conseguenza è la rigidità, laddove occorrerebbero invece il dialogo, la fratellanza, l’universalità. Anche per questo motivo, ha aggiunto, il vero educatore deve essere un “maestro di rischio”, come sa esserlo ogni genitore quando insegna al figlio a camminare.


Infine, con un riferimento ai fatti recenti di cronaca, il Pontefice ha affermato che la tentazione nel momento di conflitto sono i muri; ma il fallimento più grande è proprio quello di educare dentro i muri. Al contrario, ha ripetuto, bisogna andare in periferia, perché da lì le realtà si capiscono meglio che dal centro. Dunque andare nelle periferie, non significa solo fare beneficenza e dar da mangiare, ma anche portare per mano, accompagnare. E ha concluso mettendo in luce che in tale prospettiva soprattutto l’Europa va rieducata ai valori dell’inclusione.

L'Osservatore Romano, 21 novembre 2015.



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