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P. Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia omelia del Venerdì santo 25 marzo 2016 : " Dal desiderio di vendetta dell’uomo alla rispost

Ultimo Aggiornamento: 25/03/2016 20:50
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25/03/2016 20:50

P. Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia omelia del Venerdì santo 25 marzo 2016 : " Dal desiderio di vendetta dell’uomo alla risposta di Gesù sulla croce. La misericordia salverà il mondo."


 


 

«Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione [...]. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio. Poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: “Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso”. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Corinzi 5, 18.20-21 - 6, 1-2).
L’appello dell’Apostolo a riconciliarsi con Dio non si riferisce alla riconciliazione storica, avvenuta sulla croce; non si riferisce neppure alla riconciliazione sacramentale che avviene nel battesimo e nel sacramento della riconciliazione; si riferisce a una riconciliazione esistenziale e personale da attuare nel presente. L’appello è rivolto ai cristiani di Corinto che sono battezzati e vivono da tempo nella Chiesa; è rivolto, perciò, anche a noi, ora e qui. “Il momento favorevole, il giorno della salvezza” è, per noi, l’anno della misericordia che stiamo vivendo.
Ma che significa, in senso esistenziale e psicologico, riconciliarsi con Dio? Una delle cause, forse la principale, dell’alienazione dell’uomo moderno dalla religione e dalla fede è l’immagine distorta che esso ha di Dio. Qual è l’immagine “predefinita” di Dio nell’inconscio umano collettivo? Basta, per scoprirlo, porsi questa domanda: quali associazione di idee, quali sentimenti e quali reazioni sorgono in te, prima di ogni riflessione, quando, nella preghiera del Padre nostro, arrivi a dire “sia fatta la tua volontà”?
Chi lo dice, è come se chinasse interiormente la testa rassegnato, preparandosi al peggio. Inconsciamente, si collega la volontà di Dio con tutto ciò che è spiacevole, doloroso, a ciò che, in un modo o nell’altro, può essere visto come mutilante la libertà e lo sviluppo individuali. È un po’ come se Dio fosse nemico di ogni festa, gioia, piacere. Un Dio arcigno e inquisitore.
Dio è visto come l’essere supremo, il Signore del tempo e della storia, cioè come un’entità e una legge che si impone all’individuo dall’esterno; nessun particolare della vita umana gli sfugge. L’uomo carnale ha le sue concupiscenze; desidera il piacere, il potere, il denaro, la roba d’altri, la donna d’altri. In questa situazione, Dio gli appare come colui che gli sbarra la strada con i suoi “tu devi”, “tu non devi”. Anziché una volontà d’amore che vuole solo la felicità dell’uomo, la volontà di Dio gli appare come una volontà ostile. All’origine di tutto c’è l’idea di Dio “rivale” dell’uomo che il serpente instillò nel cuore di Adamo ed Eva e che alcuni pensatori moderni si incaricano di tenere in vita, affermando che «dove nasce Dio muore l’uomo» (Sartre).
Certo, non si è mai ignorata, nel cristianesimo, la misericordia di Dio! Ma ad essa si è affidata soltanto l’incombenza di moderare gli irrinunciabili rigori della giustizia. La misericordia era l’eccezione, non la regola. L’anno della misericordia è l’occasione d’oro per riportare alla luce la vera immagine del Dio biblico che non solofamisericordia, ma è misericordia.
Questa affermazione ardita si basa sul fatto che «Dio è amore» (1 Giovanni 4, 8.16). Solo nella Trinità, Dio è amore, senza essere misericordia. Che il Padre ami il Figlio, non è grazia o concessione; è necessità; egli ha bisogno di amare per esistere come Padre. Che il Figlio ami il Padre, non è misericordia o grazia; è necessità, anche se liberissima; egli ha bisogno di essere amato e di amare per essere Figlio. Lo stesso si deve dire dello Spirito Santo che è l’amore fatto persona.
È quando crea il mondo e in esso delle creature libere che l’amore di Dio cessa di essere natura e diventa grazia. Questo amore è una libera concessione, potrebbe non esserci; è hesed, grazia e misericordia. Il peccato dell’uomo non cambia la natura di questo amore, ma provoca in esso un salto di qualità: dalla misericordia come dono si passa alla misericordia come perdono.
Dall’amore di semplice donazione, si passa a un amore di sofferenza, perché, misteriosamente, Dio soffre di fronte al rifiuto del suo amore. «Ho allevato e fatto crescere figli, dice Dio, ma essi si sono ribellati contro di me» (Isaia 1, 2). Chiediamo a tanti padri e a tante madri che ne hanno fatto l’esperienza, se questa non è sofferenza, e tra le più amare della vita.
E che ne è della giustizia di Dio? È, essa, dimenticata, o sottovalutata? A questa domanda ha risposto una volta per tutte san Paolo. Egli inizia la sua esposizione, nella Lettera ai Romani, con una notizia: «Ora si è manifestata la giustizia di Dio» (Romani3, 21). Ci domandiamo: quale giustizia? Quella che dà unicuique suum, “a ognuno il suo”, che distribuisce, cioè, premi e castighi secondo i meriti? Ci sarà, certo, un tempo in cui si manifesterà anche questa giustizia di Dio. Dio, infatti, ha scritto poco prima l’apostolo, «renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria, onore, incorruttibilità; ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità e obbediscono all’ingiustizia» (Romani 2, 6-8).
Ma non è di questa giustizia che l’Apostolo parla quando scrive: «Ora si è manifestata la giustizia di Dio». Il primo è un evento futuro, questo un evento in atto, avviene “ora”. Se così non fosse, quella di Paolo sarebbe una affermazione assurda, smentita dai fatti. Dal punto di vista della giustizia retributiva, nulla è cambiato nel mondo con la venuta di Cristo. Si continuano, diceva Bossuet (Sermon sur la Providence, 1662, in Oeuvres de Bossuet, Paris, Pléiade, 1961, p. 1062), a vedere spesso i colpevoli sul trono e gli innocenti sul patibolo; ma perché non si creda che c’è al mondo una qualche giustizia e un qualche ordine fisso, seppure rovesciato, ecco che a volte si vede il contrario, e cioè l’innocente sul trono e il colpevole sul patibolo. Non è, perciò, in questo che consiste la novità recata da Cristo. Ascoltiamo ciò che dice l’apostolo: «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù» (Romani 3, 23-26).
Dio si fa giustizia, facendo misericordia! Ecco la grande rivelazione. L’apostolo dice che Dio è «giusto e giustificante», cioè è giusto con se stesso, quando giustifica l’uomo; egli, infatti, è amore e misericordia; per questo fa giustizia a se stesso — cioè, si dimostra veramente per quello che è — quando fa misericordia.
Non si capisce nulla di tutto ciò, se non si comprende cosa vuol dire, esattamente, l’espressione “giustizia di Dio”. C’è il pericolo che uno senta parlare di giustizia di Dio e, non conoscendone il significato, anziché incoraggiato, ne resti spaventato. Sant’Agostino lo aveva già spiegato chiaramente: «La “giustizia di Dio” — scriveva — è quella per la quale, per sua grazia, noi diventiamo giusti, esattamente come “la salvezza del Signore” (Salmi 3, 9) è quella per la quale Dio salva noi» (Lo Spirito e la lettera, 32, 56). In altre parole, la giustizia di Dio è l’atto mediante il quale Dio rende giusti, a lui graditi, quelli che credono nel Figlio suo. Non è un farsi giustizia, ma un “fare” giusti.
Lutero ha avuto il merito di riportare alla luce questa verità, dopo che per secoli, almeno nella predicazione cristiana, se ne era smarrito il senso. È di questo soprattutto che la cristianità è debitrice alla Riforma, di cui il prossimo anno ricorre il quinto centenario. «Quando scoprii questo, scrisse più tardi il riformatore, mi sentii rinascere e mi pareva che si spalancassero per me le porte del paradiso» (Prefazione alle opere in latino, Weimar, 54, p. 186). Ma non sono stati né Agostino né Lutero a spiegare così il concetto di “giustizia di Dio”; è la Scrittura che lo ha fatto prima di loro: «Quando si sono manifestati la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia» (Tito3, 4-5). «Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per il peccato, ci ha fatto rivivere con Cristo, per grazia siete stati salvati» (Efesini 2, 4).
Dire perciò: «Si è manifestata la giustizia di Dio», è come dire: si è manifestata la bontà di Dio, il suo amore, la sua misericordia. La giustizia di Dio, non solo non contraddice la sua misericordia, ma consiste proprio in essa!
Cosa è avvenuto sulla croce di tanto importante da giustificare questo cambiamento radicale nei destini dell’umanità? Nel suo libro su Gesù di Nazaret, Benedetto xvi ha scritto: «L’ingiustizia, il male come realtà non può semplicemente essere ignorato, lasciato stare. Deve essere smaltito, vinto. Questa è la vera misericordia. E che ora, poiché gli uomini non ne sono in grado, lo faccia Dio stesso — questa è la bontà incondizionata di Dio» (Gesù di Nazaret, ii, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011, p. 151).
Già sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109), che più di tutti ha riflettuto sul rapporto tra giustizia e misericordia, scriveva: «Quale condotta può essere più misericordiosa di quella del Padre che dice al peccatore condannato ai tormenti eterni e privo di ciò che potrebbe salvarlo: “Prendi il mio Unigenito e offrilo per te”?» (Cur Deus homo?, ii, 20).

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