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"MA COME TU RESISTI, O VITA?" * - riflessioni quotidiane a cura di Mariapia Veladiano

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    auroraageno
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    00 13/06/2012 09:37


    Angeli



    L'esser di moda li ha turbati. Tirati ora di qua e ora di là, quasi spiumati come margherite a cui si chiede mi ama o mi amerà.
    Tutto il chiasso che si fa quaggiù, chissà se li ha distratti un po' da chi li ha voluti, lassù. Voce di cura, che non si lascia certo confondere, ma se si vuol credere che ci si somigli, è meglio evitare il troppo interrogare.
    Vanno e vengono come le nuvole chiare, senza mappa in cielo come in terra. Il loro è un far la ronda, con in fondo al cuore un piccolo, sospeso, fulgore. Affetto che brucia e non può restar segreto, come gli amori, come i nostri amori.
    A bene ascoltare, li si sente vegliare, e a volte anche correre in grande affanno. E se non arrivano in tempo, anche un po' singhiozzare. Chissà. Troppo stanchi per volare. Forse qualcuno è in ritardo perché aveva bisogno di dormire.
    C'è chi non ci crede, anche fra quelli che li appendono ai muri e li collezionano in ceramica.
    Ma senza di loro niente Annunciazione, né salvezza in Egitto per la famiglia divina, e chi avrebbe mangiato sotto l'albero con Abramo?
    Siamo certo liberi di dubitare, ma come si legge nel libro di Tobia, sarà bello poi scoprire, fosse solo alla fine della vita, che uno degli arcangeli ci ha accompagnati, e che anche noi per gli altri un po' arcangeli siamo stati.




    Mariapia Veladiano

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    auroraageno
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    00 14/06/2012 08:31


    Pazzi



    C'è stato un tempo in cui i pazzi eran tutti indemoniati. Un bel massimalismo che ci semplificava, un piccolo esorcismo e qualche volta funzionava.
    Adesso graziealcielo abbiamo studiato e fra una riga e l'altra del giornale che ci porta il nostro male, troviamo tante definizioni, che sono anche assoluzioni: c'è chi ha violentato, ma era stressato, chi ha deriso, fatto il bullo e anche ucciso, ma era un narciso, ed è una malattia, e lo sappiamo già dal mito, che può anche portarci via.
    Poi c'è chi ha le allucinazioni, oppure le visioni, i disturbi dell'umore e le millemila fobie, e oggi, con tutto che siamo, stipati di informazioni, si moltiplicano le ipocondrie.
    Finché un giorno, ad occhi bene aperti, ci si scopre un poco umani nello specchio di chi vediamo, e allora un sussulto da notizia ci fa pensare che certamente le infermità ci possono rubare, ma che il male è male e si deve credere che la terra in cui si nasce la si può infine bonificare: il disprezzo del diverso, che si può volendo chiamare fratello, il nostro solitario arrampicare, e il voler brillare, e l'aver paura. Di chiamare peccato quello che ci divide e ci divora. Peccato contro l'uomo e contro Dio che vi dimora.





    Mariapia Veladiano




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    auroraageno
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    00 15/06/2012 09:15


    Crepe



    La terra a volte si apre istantanea. Se capita è un dramma. Esce il fuoco, sprofonda il mondo e porta con sé anime sorprese, impreparate all'improvviso eterno andare.
    I crepacci danno meno allarmi, son lì da tanto, si possono addirittura guardare, ma bisogna che qualcuno ce li abbia insegnati. Poi si può camminare. Insieme o da soli, sapere ci fa scampare.
    Se le crepe son dei muri, lì c'è una storia da raccontare, e il danno si può riparare, con i ricordi o con le parole, e spesso ci vogliono anche le mani.
    E a stringerle, forti e a volte spaccate, si sente tutto intero quello che hanno vissuto, e vien voglia di lisciarle, come le pieghe di un letto insieme disfatto.
    Poi sappiamo di metafore, e le crepe nei rapporti buttano più sangue di una ferita d'accetta. E si crede che sia finita, mai più per noi le ore allegre delle attese.
    Allora che si fa?
    Poi guardiamo un giorno chiaro e vediamo con l'anima, sì, ancora sorpresa, che nelle crepe crescono l'alisso delicato, l'arabide immacolata, l'artemisia d'oro, la rossa valeriana. E l'ombelico di venere, mille felci abbarbicate, e anche i capperi, e chissà come, spesso, le loro crepe son di mura di castelli. Altre storie da ascoltare. Lunghe, tenaci e vive. A volerle raccontare.




    Mariapia Veladiano


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    auroraageno
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    00 16/06/2012 09:42


    Stranieri



    Vederci di tanto in tanto con occhi stranieri è una grazia.
    Vedere l'acqua che esce facile dai rubinetti, acqua benedetta e la buttiamo la santa domenica a lavare i nostri pneumatici insieme alle coscienze sciatte che ci comandano.
    E vedere le case che sono nostre, e se la cupidigia non ci divora, sono sicure e non ci schiantano al primo rabbrividire della terra.
    Poter poi camminare nelle città, a fronte alta se vogliamo e con un nome pronto da dichiarare. Lo pronunciamo una sola volta, e viene riconosciuto.
    E i figli. I nostri figli, che facciamo studiare, come deve essere, e hanno zaini e vestiti, e li portiamo in corsa al conservatorio o in piscina, quanta acqua!, e ci preoccupiamo che scelgano, economia, medicina o archeologia, come deve essere, e non sappiamo lo sgomento e insieme l'orrore di stringerli in braccio leggeri leggeri, quasi stritolati dalla pena di chi non può nulla per loro, che almeno dormano e non sentano la fame, perché non si sa dove cercare il pane.
    E poi l'assurdo nostro ridicolo correre strizzati in un tempo che intanto va con il suo bel passo regolare, pronto al ritmo del nostro piacere se solo lo volessimo, e invece dannato al nostro scappare, da tutti, da noi, dalla vita.
    Sì, è una grazia essere stranieri per quel che serve a vederci.




    Mariapia Veladiano

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    auroraageno
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    00 18/06/2012 11:52


    Orme



    Tornare indietro sulle orme di tutti i passi di chi abbiamo incrociato e cercare dove ci siamo abbandonati o persi e non poter ricordare perché. C'era un amore, e i figli erano bambini, questo mi raccontano orme piccole e leggere, che a intervalli spariscono. In braccio i piedini pattinano l'aria e non lasciano segni.
    Poi troviamo orme che si allontanano e lo abbiamo lasciato accadere e qualche volta ce ne siamo andati noi, per curiosità, per libertà, per necessità. Per incapacità.
    O forse è arrivata una bufera, ci ha dispersi e abbiamo pensato che fosse per sempre, e non ci siamo cercati. Bufera di dolori, di rancori, forse coltivati, per nasconderci la pena di non vedere il nostro bene, contrada stretta, con poche orme a far da guida.
    A volte la bufera è stata di altri amori. Una nuova strada, trovata oppure solo immaginata, e come potevamo sapere che presto i passi sarebbero stati un errare di qua e di là, e che paura, non saper tornare.
    Ma è bello nel pensiero di una sera chiara, dopo il giorno inquieto oppure abbagliato, con gli occhi cercare fin molto lontano le orme di quanti ci hanno dato, amato o anche appena sopportato. Ci hanno permesso di essere quel che siamo.
    E così più liberi andare verso tutto quel che ancora noi possiamo.




    Mariapia Veladiano


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    auroraageno
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    00 19/06/2012 11:11


    Mani



    Manipolare è spesso un grande male. Solo se a farlo sono le mani, è cosa buona e giusta. Ha a che vedere con «l'immagine e somiglianza»: perché il Signore, secondo autorevoli alcuni, ha manipolato polvere per farci «poco meno di un dio».
    Anche imporre è un agire sospetto, ma se si impongono le mani, è più che benedizione.
    Prendere per mano va bene sia nel gesto che per metafora. Dice che non siamo soli e non c'è niente di più divino.
    Pure la Trinità si fa compagnia.
    Poi le mani tengono archetti e dirigono orchestre, battono bonghi fra ginocchia strette e ancora le dita pizzicano corde, sfiorano tasti, leggere o decise, a Vienna nella Sala d'Oro a salutare l'anno nuovo che ancora abbiamo, o sotto un albero del pane, a percuotere tamtam in qualche dove nel sud Pacifico.
    Guai alle mani che si levano per calare invece che per accarezzare, c'è un disegno in loro, date per mangiare, accudire, custodire, amare, giocare, salvare, tenere chi sta per arrivare oppure sta per partire.
    I piedi vanno, la bocca sorride, il corpo ama, tutto in noi ha un suo esser vero da realizzare e un suo stupore da scoprire.
    Perché poi le mani si battono anche, per allegria, perché si è bambini, per far volare i gabbiani e seguirli nel cielo. Alto loro andare insieme
    .




    Mariapia Veladiano


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    auroraageno
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    00 20/06/2012 08:46
    VITE




    Vite



    Le vite son così. Piene belle e anche finite. Così finite che qualcuno nemmeno si accorge di cominciarla, la sua.
    Un combattere ogni minuto. A testa bassa, senza chiedere e chiedersi, né guardare intorno, né sognare un giardino da visitare, in un giorno di festa.
    Ci son vite che non hanno le feste.
    E allora c'è chi dice che è un imbroglio. Non vale. Non vuole. Non vede non sente non parla. Non ride. Non fa volare i bambini. Non ci accompagna. Non li accompagna. Non ama. Non ama.
    Certo, quasi mai son quelli giusti a chiamare la vita un male. Sono quelli che hanno case e bocche piene e anche giardini. A non saper vedere il loro bene.
    E a dirlo in tanti e sempre, alla fine ci si crede, che la vita è una malattia fatale.
    Poi arrivano da ogni parte, dall'acqua e dal deserto, a mescolarci, portano vite che vogliono esserci, nella nudità del loro bisogno, assolute come le nostre, ma loro lo sanno, e ci fanno la grazia di afferrarci sull'orrido del nostro precipitare, e ci fanno anche un po' vergognare.
    E con il loro piccolo dare quel che appena appena hanno potuto avere, solo a saperlo accettare, noi, ci restituiscono il pane quotidiano del nostro abitare, e anche il vino della festa e tante ceste di inattesi avanzi potremo raccogliere e ancora donare.




    Mariapia Veladiano


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    auroraageno
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    00 21/06/2012 11:55

    Tracce


    Le cerchiamo. Ad esempio nelle combinazioni con cui ci incontriamo. Le chiamiamo coincidenze. Succede che ci tocca provocarle se proprio non ci arrivano schiette, ma alla fine un poco tutti ci crediamo.
    E se a qualcuno non sembra una cosa seria possiamo ricordare il caso che ci ha fatto trovare e forse all'inizio sfidare, lo scompiglio di un riparo arrivato senza avviso, una strada su cui la nostra vita si è finalmente distesa. Dopo tanto combattere e andare, abbiamo trovato un ricino sotto cui riparare.
    Il filo forse lo mettiamo noi, si può chiamarla immaginazione, desiderio che fa stormo dei ricordi e vediamo angeli dove altri solo il nero della notte.
    Ma può essere grazia, una fede data, ogni giorno ritrovata e qualche sera di nuovo perduta, poi allentata, nelle assenze di un nostro sparire, tracce che non sappiamo vedere e neppure lasciare, per qualche eccesso di dolore che ci mescola e offende.
    E pensiamo di essere soli.
    Poi di nuovo le ritroviamo, tracce di un bimbo che si è consegnato, prima non c'erano perché era portato, poi avanti a noi ha camminato leggero, gattoni, poi in piedi, e poi dodici lo hanno accompagnato, una folla in un punto, una folla, quante tracce hanno lasciato. Poi no. Alla fine Lui sì era solo. Ma sentiamo, siamo sicuri che è Lui che ci ha accompagnato.



    Mariapia Veladiano



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    auroraageno
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    00 22/06/2012 08:01


    Giorni



    Non sappiamo ciò che ci sarà risparmiato né ciò che ci sarà dato. Solo a momenti sappiamo un poco quel che forse abbiamo. Un piccolo adesso, che così, senza passione, noi a volte dissipiamo. Per fretta, per distrazione o perché non ci crediamo. Un vivere esentati da quel che ci costruisce. E benedice. E intanto andiamo, un minuto adorare il nostro particolare, e spesso non sappiamo la nostra infelicità.
    Proviamo.
    C'è un giorno nuovo, la luce ce lo dice. Il sole può essere nascosto o può fare il ritroso, ma non si è congedato.
    Qualcuno è con noi, vicino, oppure siamo soli, ma di certo qualcuno incontreremo più tardi sulle scale, al lavoro e può darsi, anche sulla via del nostro male.
    Ma noi ci siamo, e ancora niente di questo nostro oggi è stato detto oppure dato. Possiamo ancora incominciare.
    A salutare, e con discrezione interrogare, quel che capita mi somiglia, è vita tua, mia, dell'umana comune nostra famiglia. Tranquilli campanelli di sveglia.
    In pausa invece di pranzare soli le spalle all'angolo che ci contiene, possiamo accompagnare, noi per primi, senza aspettare. Agire il nostro bene.
    Non perdere nulla di quel che ci viene incontro, e arrivare a sera senza avere le nostre vite tralasciato.
    E fare anche noi nuove tutte le cose, come ci è stato insegnato
    .



    Mariapia Veladiano



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    auroraageno
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    00 23/06/2012 08:20




    Grattacieli



    Non è perché siano torri di Babele, arroganti verso Dio. Adesso che il cielo lo abbiamo toccato, e anche un bel po' bucato, sappiamo che al suo trono non si arriva di là.
    È che ci si allontana dalla terra.
    E da lassù gli uomini son formiche, così si dice. Non c'è modo di riconoscere il vicino che passa e affacciarsi a commentare il mondo. In verità non si riconosce proprio nessuno. Tutti ugualmente nessuno, e nemmeno la voce si sente, la loro e la nostra. Certamente un gran rumore c'è, anche simile a un rombo come di vento che si abbatte gagliardo, un fragore talvolta. Ma niente Pentecoste. No.
    Non c'è stare tutti insieme nello stesso luogo, non c'è esser vicini e sorprendersi del proprio capirsi.
    È il nostro un costruire che non sa il bisogno che ha l'uomo di raccontarsi, sentire la terra bagnata di pioggia, l'odore immacolato della neve, correre intorno di bambini, adulti che parlano e intanto non perdono di vista.
    Oggi i grattacieli poggiano su piloni alti di cemento. E sotto stanno le automobili, allineate e silenziose come giochi di soldati.
    Non c'è strada per il cielo che non poggi sulla terra.
    «Costruire significa collaborare con la terra, imprimere il segno
    dell'uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre». Marguerite Yourcenar




    Mariapia Veladiano

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    auroraageno
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    00 25/06/2012 11:49


    Mappe



    A volte sembra sicuro dal nascere quale sarà il nostro andare, per viottoli stretti stretti, già da soli disegnati perché il bisogno o la malattia o il nostro nome o anche la geografia, ci hanno costretti. La buona sorte sembra un fatto di zanzare, pozzi da scavare e qualche volta, o forse spesso, pazzi al potere. Ci sono anche strade immense, fin troppo piane e proprio per noi, ci assicurano, da altri accomodate. E anche loro non son facili da lasciare.
    Capita
    che non ci venga in mente che si possa fare.
    E allora il nostro esistere inesemplare
    ci dipinge
    deferenti a un disegno, chissà come assimilato. Figli di chi quaggiù per ventura siamo, solo questo sembra che possiamo. Poi se il cielo vuole, c'è anche un vivere di grazie, ricevute in mille forme, da chi un pozzo l'ha scavato con noi o forse senza di noi, e insieme pane e libertà sono stati conquistati. E viene il tempo in cui non sembra vero di essere stato prigioniero e non aver voluto credere che una nuova strada c'era anche se davvero non la si vedeva, perché così capitava, e sempre capita se vogliamo, che la strada si disegna mentre andiamo, sotto i passi che facciamo e non c'è proprio se non ci proviamo.
    Un far parte della vita che amiamo. Che amiamo
    .



    Mariapia Veladiano



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    auroraageno
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    00 26/06/2012 11:31





    Speranze


    Che oggi van coltivate, non c'è dubbio alcuno.
    Ad aspettare che nascano da sole non c'è storia.
    È un assedio la paura. Le paure. Di perdere. Il lavoro, la casa nostra conquistata, chi lo avrebbe detto mai? E poi la salute, il mondo è malato, e gli affetti, il cuore è variabile. Di trovarsi nudi, senza le cose che ci nascondono. Noi soli, a dirci davvero quello in cui crediamo. Con i poveri non più là da guardare, lontani o vicini, ma loro. Poveri noi invece ora.
    E ci lamentiamo in coro del mondo intero. Colpa loro, colpa di tutti, a pensarci bene, di qualcuno, che non sa parlare, non sa di valere. Giù la testa, loro. Più sotto di loro, noi.
    Si può sperare. Non è un atto di volontà, è un ricordare, portare con sé l'altalena dei giorni passati, con il sole che è sorto dopo le notti più scure e oggi vedere che la lavanda è fiorita insieme alle margherite, anche se ci siamo dimenticati nel chiuso del nostro essere preoccupati, dimenticati di loro e un poco hanno patito.
    La vita intorno ci regala. Ci ricorda, ecco ancora il ricordare, l'alleanza del divino che ci accompagna, promessa. E quasi non occorre fare. Ci si può affidare, e non proprio un miracolo come quelli raccontati, ma un solletico come di risata, un camminare vedendo il mondo. Una speranza, appunto. Il nostro bene. Il nostro essere insieme.




    Mariapia Veladiano

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    auroraageno
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    00 27/06/2012 11:49


    Parole (1)



    Di parole si può morire. Non solo di maleparole che strangolano insieme l'anima e il cuore. E tante sono le parole del giudizio: da qui non vien niente di buono, ma come si fa? neanche le bestie. Al quadrato ignoranti, altrettanto di uomini che di animali.
    Ci sono anche le parole in eccesso. Affogare di altrui dilagare. Di chi non sa la potenza del proprio parlare e non sa il suo svanire in questo fiume che va, senza ombra di solennità. E tutto è uguale a tutto il resto, sconti, morti, calure e sventure.
    Altre parole volteggiano come poiane sui tavolieri, alte e indifferenti, un partir da lontano, insidia che pare indolente e non si sta sull'attenti, poi calano, uncinate, e non c'è trincea all'esser afferrati.
    Poi ci sono le parole al contrario. Specchiate bugie. Limpide imposture in cui si crede per arrivare al giorno dopo, e poi a quello dopo, e poi ancora e ancora.
    Che la libertà è un consegnarsi all'ombra del potente, in cambio di niente, un'occhiuta sicurezza, più crudele di un'imboscata.
    Che la bellezza è la mascherata di un'eterna deforme giovinezza, vita sacrificata a sognare un tempo che non ritorna.
    Che la vita è questo normale affanno di coincidenza stavolta presa, di incrociarsi senza incontrarsi, di vita già finita.
    «Il cuore degli stolti sta sulla loro bocca» (Sir 21, 26)
    .



    Mariapia Veladiano

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    auroraageno
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    00 28/06/2012 10:12


    Parole (2)



    Alcune parole sono scritte con inchiostro simpatico e vogliono il fuoco per essere lette. Poi emergono e brillano e tocca a loro infiammare il nostro spirito. Bruciano e bruciano e ascoltare è come esser temprati di fiamme e poter far cenere delle bugie.
    Bisogna dirle queste parole, tutte e senza paura. Di esser reietti, rifiutati, derisi, insultati, non amati. Non amati.
    Come si può?
    Esistenza che si assottiglia, chi sono, chi siamo? Che sicurezza di essere abbiamo? Forse c'è un dire che nostro non è ma è potente quanto il divino parlare, farsi parola non nostra, eco di quella ascoltata, davvero musica di altri mondi. Folate di un vento che ci sveglia e ci fa vorticare, in una fede che stordisce, ma meraviglia, parola che dice e non tace, verità dovute a chi non si vede. Cosa resta di noi se tre mari ci separano e il cielo fa da specchio alla sola nostra immagine?
    Ma a volte la parola è solo uno stradario. Di qua la farmacia, di la c'è casa mia, se vuoi venire mi fai compagnia, un poco parliamo, ancora la parola, un poco ci aiutiamo, un poco ci ricordiamo chi noi siamo.
    Parole piene di grazia, fuoco di grazia, e parole poi come acqua, in cui ritrovare tutti i colori della tempesta passata.





    Mariapia Veladiano


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    auroraageno
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    00 29/06/2012 10:25


    Parole (3)



    Non la dà più nessuno la parola. Nel dire e sdire che ci ha dannato la vita civile e personale, non si trova chi ci creda, alla nostra parola.
    Ne diciamo una quantità, in ogni momento, e ne ascoltiamo. Ma son parole senza toni e sfumature. Voglio, non voglio, bello, brutto, compro, non compro, destra, sinistra, amico, nemico, italiano, straniero, noi, loro.
    Lingua del mercato, del mercanteggiare, finché si può. Bulimia di parole, anoressia di pensiero. Le parole son sempre sopratono, cavalcano assertive la loro presunzione, schiera mercenaria che non sa quasi più chi servire, purché si tratti di apparire.
    E se poi un giorno si vuole solo dire, ci tocca invece giurare, sul nome del padre o sulle testoline dei figli, e chissà se ricordiamo ancora quel che era vero davvero.
    Eppure le parole, a saperle leggere e ascoltare, sanno custodire la verità del loro dire. Ci sono prodotti di bellezza. Istituti di
    bellezza. Concorsi di bellezza. Ma quando si dice «è una bella persona», si intende qualcosa che somiglia ai «piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace», belli perché fanno bella la vita. Portando la pace.
    Benedette parole che non tornano al cielo senza avere irrigato la terra.




    Mariapia Veladiano


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    auroraageno
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    00 30/06/2012 09:44


    Parole (4)



    Di parole si vive.
    Dammi la mano. Attento. Ti aiuto. Vengo. Ti aspetto. Ti leggo una storia. Ecco i colori. In braccio! Ti faccio volare! Attenta. Certo che ce la fai! Ti ascolto. Adesso puoi fare da solo.
    Non aver paura. Ti racconto. Prendi. Conta su di me. Sei bella. Hai fatto uno splendido lavoro. Certo che puoi migliorare! Mi ricordo bene di te. Posso immaginare quel che senti. Mi spiace! Volentieri. Facciamo una festa? Andiamo insieme. Questo libro è per te. Quando l'ho visto ti ho pensata. Ho tutto il tempo che vuoi.
    Non avere paura. Vengo con te. Mi piace come scrivi. Posso aiutarti? Ti abbraccio. Vieni con me. Ti accompagno. Hai una splendida voce. Andiamo a conoscerli insieme. In due ce la facciamo. In molti noi possiamo. Visto come era facile?
    Non avere paura. Ti ho visto. Ti vedo. Sono qui. Troviamo la soluzione.
    Non temere. Beati i poveri. Non piangere! Va' in pace. Non mormorate tra voi. Nessuno ti ha condannata? Pace a voi!
    Io non giudico nessuno. Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande. Non sia turbato il vostro cuore. Vi lascio la pace. Rimanete nel mio amore. La vostra gioia sia piena. Io sono con voi. Io sono con voi. Io sono con voi.
    Della Parola si vive.




    Mariapia Veladiano


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