00 22/04/2010 20:02
A cura di Don Mario Cascone
INDISSOLUBILITA’ DEL MATRIMONIO
E CURA PASTORALE DEI DIVORZIATI


Uno degli impegni più importanti che Gesù chiede agli sposi è quello di vivere il loro amore in modo fedele e indissolubile. A chiare lettere egli riafferma il progetto originario del Padre: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi” (Mt 19,4-6).
Di questo insegnamento la Chiesa è chiamata a farsi interprete fedele, pur andando incontro a prevedibili incomprensioni e perfino a forme vistose di rifiuto, dal momento che l’attuazione pratica di questa norma, specie nei nostri giorni, comporta non poche difficoltà. Cresce infatti nel nostro tempo il numero di coloro che interpretano il rapporto di coppia nei termini di una mera convivenza di fatto, ossia come una sorta di matrimonio di prova; aumentano anche sensibilmente i casi di separazione e di divorzio; diminuisce invece il numero globale dei matrimoni. E non di rado, in questo contesto, la Chiesa è accusata di non adeguarsi ai tempi e di non essere “materna” nei confronti di quei figli suoi che, per un motivo o per un altro, si trovano a vivere una situazione irregolare o difficile.
Ci proponiamo pertanto di capire qual è l’insegnamento della Chiesa sui separati, divorziati, conviventi e su quanti vivono, in generale, una situazione difficile in campo matrimoniale. Cercheremo di farlo seguendo la saggia indicazione di S. Paolo, che ci invita ad annunciare “la verità nella carità” (cfr. Efes 4,15): una verità senza “sconti”, ossia comunicata nelle sue esigenze più radicali, ma anche una verità che si nutre costantemente di carità, perché intende sempre e comunque promuovere la dignità delle persone.


1 – Amarsi in Cristo

Gli sposi cristiani si amano non solamente come Cristo ci ha amato, ma già misteriosamente nell’amore stesso di Cristo. I due sposi, che già appartengono a Cristo in forza del Battesimo, vengono “consegnati” da Gesù stesso uno nelle braccia dell’altro. Si può dire che lo sposo è dono di Gesù per la sua sposa, e viceversa. Di più: lo sposo è presenza di Cristo per sua moglie, come la sposa è presenza di Cristo per il marito!
Cristo, dunque, è presente 24 ore su 24 nel sacramento del matrimonio, mediante la potenza di amore dello Spirito Santo. Ciò risulta vero anche quando fra i due sposi c’è conflittualità, quando si litiga, quando l’amore non riesce più a modularsi secondo il linguaggio della pazienza, del perdono, della mitezza. D’altronde non è detto che i conflitti siano sempre negativi, perché essi possono diventare anche un’occasione di grazia, ossia possono risolversi in una crescita, in una maturazione. Tutto sta nel saper gestire sapientemente i conflitti. Il che comporta, sul piano pratico, la capacità di:
- non scaldarsi troppo: se così fosse, conviene rinviare a qualche ora di distanza il chiarimento;
- capire qual è la ragione vera del conflitto: a volte può essere una ragione superficiale e banale, altre volte può trattarsi di un motivo più sostanziale...
- chiedersi se l’origine del conflitto è all’interno della coppia o se invece si tratta di agenti esterni che si sono infiltrati, seminando zizzania;
- agire sempre con la massima carità, riscoprendo le ragioni profonde dello stare insieme, le motivazioni di fondo che hanno spinto i due a sposarsi e che sono di certo infinitamente superiori alle piccole conflittualità che possono sorgere nell’ambito della vita di ogni giorno;
- rendersi conto che l’amore non è semplicemente un sentimento, ma è soprattutto un convincimento: si ama con il cuore, ma anche con la testa; forse ognuno dei due coniugi se riflette, se riesce a prendere le distanze dall’emotività e a ragionare, si rende conto che si è sposato con quella persona precisa, e non con una persona qualunque, perché si è convinto che quella, e solo quella, era la persona con cui Dio lo invitava a condividere tutta la propria vita e a realizzare il meraviglioso progetto dell’amore.

Amarsi in Cristo significa convincersi che non ci si è incontrati “per caso”, che l’amore non è scattato nel cuore per una coincidenza fortuita. All’origine dell’incontro e dell’innamoramento c’è lo “zampino” di Dio! E questo spiega la natura trascendente dell’amore, al punto che esso supera le stesse capacità espressive dei due interessati, i quali, pur sforzandosi, spesso non riescono a dire compiutamente le ragioni del loro amarsi e possono solo balbettare qualche spiegazione, che risulterà sempre insufficiente. L’amore che li ha “raggiunti”, nello stesso tempo li “supera” e li “consegna” l’uno all’altra come dono del Signore, dal quale ogni amore autentico ha origine!


a) Fede e sacramento del matrimonio

Solo in questa luce si può capire cosa vuol dire sposarsi nel Signore. Probabilmente la prima causa di molte separazioni sta nel fatto che tanta gente non comprende il valore del sacramento del matrimonio. Viene da chiedersi se molti matrimoni fatti in Chiesa sono davvero celebrati nella fede…Il rapporto tra fede e sacramento del matrimonio è problematico e complesso, perché da un lato la celebrazione del matrimonio, come quella di tutti gli altri sacramenti, esige la fede; dall’altro lato la esprime e la consolida.
Il problema pastorale, ma anche dogmatico e morale, è quello di verificare quale fede si richieda nei contraenti per dire che il loro matrimonio è valido. Una tale domanda oggi è resa ancora più urgente dal fatto che molti battezzati si dichiarano non credenti; altri invece non prendono posizione, ma di fatto vivono nell’indifferenza e talora chiedono il matrimonio religioso solo per tradizione o per una mera convenienza sociale.
Il pastore spesso si trova in seria difficoltà, perché comprende che la richiesta di matrimonio di certi battezzati non scaturisce da un vera scelta di fede; eppure egli non ha, tante volte, la facoltà di rifiutare la celebrazione, soprattutto se si tiene conto del fatto che, secondo la dottrina tradizionale, ripetutatemente confermata dal Magistero, il matrimonio tra due battezzati o è sacramento o semplicemente non è nemmeno un matrimonio. I ministri del sacramento del matrimonio sono gli stessi sposi, i quali si amministrano validamente questo sacramento se intendono fare ciò che fa la Chiesa. “Ora, anche i battezzati che hanno perduto la fede, richiedendo il rito ecclesiastico, intendono fare ciò che fa la Chiesa”. Questo perché “la fede non è concausa (assieme al sacramento) della grazia, ma soltanto disposizione per ricevere fruttuosamente il sacramento… Per volontà divina il contratto o patto matrimoniale tra i battezzati è ipso facto sacramento. Di conseguenza la sua validità non dipende dal riconoscimento o no dei battezzati che lo celebrano. Una volta che essi intendono contrarre un vero matrimonio, questo sarà sacramento per disposizione che oltrepassa la loro volontà o conoscenza”.
Una tale concezione, che si è sviluppata soprattutto nell’ambito del diritto canonico, senza un rilevante apporto delle altre discipline teologiche, “suona oggi particolarmente inattuale e perfino legalistica ed ipocrita”. Lo stesso card. Ratzinger, nell’introduzione ad un documento della Congregazione per la dottrina della fede sui divorziati risposati, afferma: “Ulteriori studi approfonditi esige la questione se cristiani non credenti – battezzati che non hanno mai creduto o non credono più – veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto sacramentale… All’essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di non fede abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi”.
Certamente il problema non è di facile soluzione, perché va comunque ribadito che il battesimo possiede un carattere ontologico di incorporazione a Cristo e alla Chiesa; e questo non è principalmente il frutto di un’adesione personale, ma di un evento di grazia, che rimane efficace anche senza una consapevole adesione del soggetto interessato. È chiaro però anche che il convincimento di fede e la consapevole accettazione della grazia sacramentale rendono non solo più fruttuosa la celebrazione del sacramento, ma anche più valida, soprattutto perché evitano quella sorta di cosificazione e di automatismo della grazia, che tante volte può scantonare nella sua banalizzazione. In questa linea va raccolta l’indicazione del Direttorio di pastorale familiare della C.E.I., secondo cui la Chiesa, pur sapendo che nessuno all’infuori di Dio può misurare la fede di un battezzato, “non può esimersi dal dare un giudizio sulle condizioni di fede di quanti sono chiamati a celebrare con frutto i gesti sacramentali”. Questo comporta il fatto che il pastore e l’intera comunità cristiana utilizzino la richiesta di matrimonio sacramentale da parte dei battezzati non credenti come un’occasione preziosa per intavolare con loro un dialogo, anche lungo e faticoso, che possa portarli ad una progressiva maturazione della fede.
Va tenuto presente che “la tipologia del battezzato non credente è molto varia e comprende situazioni molto diverse: si va dall’indifferenza pratica, all’ignoranza pacifica e indisturbata fino al rifiuto consapevole e radicale e non è esclusa l’inquietudine e la ricerca ansiosa”. Rinunciando ad un proselitismo facile e puramente verbalistico, questo dialogo pastorale dovrà soprattutto stimolare il senso di una ricerca, che approdi almeno a germi iniziali di fede e metta in discussione determinati atteggiamenti di vita contrari agli insegnamenti del Signore. Evitando di cadere sia nel lassismo che nel rigorismo, il pastore dovrà seguire con grande senso di responsabilità il cammino di questi nubendi. Il Direttorio della C.E.I. dice comunque che “quando tutti i tentativi per ottenere un segno di fede, sia pure germinale, risultassero vani e i nubendi mostrassero di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando celebra il matrimonio dei battezzati, la doverosa decisione di non ammettere al sacramento – che in una società secolarizzata come la nostra può essere anche una dolorosa ma stimolante scelta pastorale – costituisce sempre un gesto di rispetto di chi si dichiara non credente, un gesto di attesa e di speranza, un rinnovato e più grave appello a tutta la comunità cristiana perché continui ad essere vicina a questi suoi fratelli, impegnandosi maggiormente nella testimonianza di fede dei valori sacramentali del matrimonio e della famiglia”.


b) La preparazione al matrimonio

La constatazione dolorosa della perdita della fede in molti battezzati deve spingere tutta la comunità ecclesiale ad affrontare con adeguato impegno la preparazione dei fidanzati al matrimonio. Molte crisi coniugali, infatti, nascono prima ancora che il matrimonio venga celebrato, perché il fidanzamento non costituisce, in tanti casi, un vero periodo di grazia, nel quale attrezzarsi, sul piano umano e cristiano, per vivere adeguatamente i doveri del matrimonio sacramentale. Il fidanzamento sembra aver perduto oggi quelle caratteristiche di seria preparazione alle nozze, che ne facevano, in un passato non troppo lontano, un istituto socialmente rilevante e pedagogicamente efficace. Lo stesso termine “fidanzamento” sembra essere scomparso dal linguaggio corrente, per essere sostituito con espressioni come “stare assieme” o “mettersi insieme”. Un tale linguaggio denuncia la provvisorietà di un rapporto di coppia, vissuto quasi sempre in modo privatistico, edonistico ed individualistico e senza grandi assunzioni di responsabilità. Si capisce facilmente che su questa base molto fragile è quasi impossibile costruire un matrimonio solido, specialmente perché i due non hanno avuto di mira un vero progetto da realizzare, ma molte volte si sono limitati ad andare avanti alla giornata, godendo i benefici di un rapporto non impegnativo, ma trovandosi poi impreparati e quasi “spiazzati” di fronte alle delicate responsabilità del matrimonio.
Questi problemi interpellano la comunità cristiana, imponendole la predisposizione di un cammino rigoroso di preparazione al sacramento del matrimonio, che non può aver luogo solo nell’imminenza della celebrazione delle nozze, ma deve cominciare molto prima, già nell’età adolescenziale. Il Direttorio di pastorale familiare della CEI parla di preparazione remota, prossima e immediata, accennando anche all’opportunità di avviare veri itinerari di fede per tutti i battezzati, e in particolare per quelli che, per varie ragioni, sono lontani da una pratica religiosa. Si tratta di fornire fin dall’adolescenza gli elementi essenziali per una crescita nell’amore, le conoscenze adeguate dei dinamismi dell’affettività, ma soprattutto la possibilità di un’esperienza viva di Dio, che abiliti i due nubendi a vedere il loro amore come una emanazione dell’eterno amore del Signore. Elementi antropologici e teologici vanno sapientemente integrati in un itinerario che può durare anche diversi anni e vede coinvolta l’intera comunità cristiana, che con sapienza “materna” accompagna i giovani alle nozze cristiane.
Naturalmente non si possono nascondere le difficoltà pastorali che un simile progetto comporta, specialmente se si tiene conto del fatto che molte comunità ecclesiali appaiono incapaci, per tanti motivi, di accompagnare i nubendi in un cammino di questo genere. Questa però è l’unica strada percorribile, se non si vuole intendere il sacramento del matrimonio in maniera puramente formale e non si desidera continuare ad assistere al fallimento di molti matrimoni.
È ovvio che anche con questa accortezza pastorale non è escluso che si arrivi ugualmente a difficoltà nell’ambito dell’unione coniugale. La fatica a vivere l’impegno della fedeltà e dell’indissolubilità può riguardare anche quelli che da tempo percorrono un cammino di fede. Il clima culturale generale, segnato da un crescente secolarismo, non favorisce oggi questo delicato impegno, anzi qualche volta apertamente lo disapprova o perfino lo deride. La Chiesa ovviamente non può piegare il suo annuncio di verità alle debolezze contingenti degli uomini né può esimersi dal comunicare quanto il suo Signore le ha trasmesso. Essa è Maestra di verità, che esercita il suo compito di Madre solo nella misura in cui si sforza di vivere come Sposa fedele di Cristo. Ascoltando dal suo Signore e Maestro la verità sull’amore coniugale, la Chiesa lo ripropone fedelmente ai fedeli, ma nello stesso tempo si presenta ad essi come Madre premurosa ed accogliente, capace di comprenderne le difficoltà e di sorreggerli nel loro cammino.
2 – L’insegnamento di Cristo

Cerchiamo allora di capire qual è l’insegnamento del Signore su questo punto, ponendoci in ascolto di quanto ci riferiscono i Vangeli.
I farisei chiedono a Gesù se sia lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie (Mc.10,2 ss). La loro domanda non riguarda tanto la liceità di ripudiare la moglie, perché questo già avveniva ed era considerato come un diritto acquisito dai mariti. I farisei vogliono piuttosto verificare se Gesù accetta che l’uomo possa ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo o solo in determinati casi. C’erano al riguardo due scuole di pensiero: una dichiarava lecito il ripudio per qualunque motivo; l’altra solo in certi casi. Naturalmente il ripudio era consentito solo agli uomini nei confronti delle mogli, mai viceversa.
Gesù risponde a questa domanda con un’altra domanda: “Che cosa vi ha insegnato Mosé?” (Mc 10, 3). I farisei replicano: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla” (Mc 10, 4). In effetti la legge mosaica permetteva ai mariti di scrivere il libello di ripudio per rimandare le proprie mogli. Ma a questo punto Gesù chiarisce: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10, 5-9).
Gesù dunque fa comprendere che esiste una netta differenza fra quanto Mosè ha permesso e quello che è il disegno originario di Dio sul matrimonio. Mosè ha fatto questa concessione per la “durezza di cuore” (in greco sklerokardìa) degli ebrei, ossia per la loro difficoltà pratica a vivere le esigenze ardue del progetto di Dio. Ma non era questa l’intenzione originaria del Creatore, il quale “in principio” aveva creato l’uomo nella differenza complementare del maschile e del femminile, chiamando i due sposi a staccarsi dai propri genitori e ad essere “una sola carne”. Qui Gesù cita testualmente le parole di Gen 2, 24, invitando i suoi interlocutori a fare riferimento a quanto le Scritture Sacre riferivano con chiarezza su questo punto. E per non dare adito ad ulteriori fraintendimenti, Gesù conclude: “L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10, 9). Gesù in altri termini spiega che nelle intenzioni originarie di Dio Creatore l’unione tra l’uomo e la donna deve essere stabile, per cui l’uomo non può dividere ciò che Dio ha congiogato, cioè ha messo sotto lo stesso “giogo”. I coniugi infatti sono dei congiogati, posti dal Signore sotto il giogo del loro amore reciproco, che, pur con tutte le comprensibili difficoltà, è chiamato a riprodurre sacramentalmente l’amore indissolubile di Cristo per la sua Chiesa.


a) Le diverse posizioni delle Chiese

Naturalmente questo insegnamento di Gesù ha dato adito, nella storia del cristianesimo, a diverse interpretazioni, che sarebbe qui difficile riassumere. In breve si può dire che le Chiese cristiane Ortodosse affermano che l’intenzione di Cristo è certamente quella di proclamare l’indissolubilità del matrimonio, ma nella pratica pastorale può prevalere, a volte, il principio della tolleranza e della misericordia. In forza di questo principio (detto di “oikonomìa”) i fratelli cristiani d’Oriente ammettono che, in certi casi, si possano celebrare le nozze in Chiesa, anche da parte di coloro che sono divorziati. Nella realtà, però, qualche volta si è arrivati a concedere perfino le terze nozze e ad elaborare una vera e propria “teologia del divorzio”, che si allontana sensibilmente dall’insegnamento di Cristo.
Assai più distante è la posizione delle Chiese Riformate protestanti, dove peraltro non si afferma la sacramentalità del matrimonio. Secondo parecchi teologi protestanti alcuni insegnamenti del Vangelo sono di natura escatologica e si configurano come delle mète ideali da perseguire, più che come norme precise ed obbliganti. Fra questi comandamenti-mèta si situerebbe anche l’insegnamento di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio: esso sarebbe per l’appunto un traguardo ideale, di natura escatologica, da non interpretare come norma obbligante. In particolare i protestanti affermano che è sbagliato tenere in piedi un matrimonio ridotto solo ad un vuoto sepolcro giuridico, ma che non svolge alcuna funzione santificante, né per i coniugi, né per gli altri. Bisogna guardare alla realtà dei fatti e prendere atto che quanto è irreparabilmente finito non può essere sostenuto da semplice appello moralistico, che di fatto risulta sterile. La volontà di Cristo circa l’indissolubilità del matrimonio sarebbe perciò da interpretare come un auspicio ideale, che però non vincola in modo assoluto i contraenti.
L’interpretazione più rigida del brano evangelico che abbiamo esaminato è quella della Chiesa cattolica, la quale ritiene che non ci si possa affidare ad interpretazioni esegetiche incerte per disciplinare una materia così delicata ed importante. D’altronde il tono delle parole di Gesù ed il contesto in cui esse si situano sembrano offrire sufficienti motivi di chiarezza per concludere che l’intenzione certa del Signore è quella di proclamare in tutti i casi l’indissolubilità del matrimonio.
È ovvio che non mancano quanti, anche all’interno della Chiesa cattolica, criticano questo atteggiamento rigorista, invocando una maggiore comprensione pastorale, specie per quei coniugi che sono stati abbandonati e non hanno causato la rottura del vincolo matrimoniale. Si è aperto da anni un vasto dibattito nella teologia morale cattolica, ma anche fra i teologi protestanti e ortodossi, con il risultato che si sta ricercando un avvicinamento fra le posizioni. Questo dibattito non ha modificato la sostanza dell’insegnamento morale della Chiesa cattolica, ma è servito a far maturare nei fedeli un atteggiamento diverso nei confronti dei separati, dei divorziati e dei conviventi: un atteggiamento improntato a maggiore carità ed accoglienza, che parte dal presupposto essenziale che questi fratelli sono e rimangono nella Chiesa, anche se in alcuni casi la loro comunione non può dirsi piena.
b) Gli incisi matteani

Un particolare problema esegetico, che da molti anni è al centro del dibattito teologico, è posto dalle cosiddette eccezioni o clausole mattane. Sia in Mt 5, 32 che in Mt 19,9 si parla infatti di un’eccezione all’indissolubilità: Gesù dichiara che non è lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie “eccetto che in caso di concubinato” (parektòs logou porneìa; me ek porneìa). La parola che la versione ufficiale della Bibbia della C.E.I. traduce con concubinato in greco è porneia, che non significa adulterio, perché per questa parola il greco ha un suo specifico vocabolo: moichìa. Con buona probabilità porneia corrisponde all’aramaico sanut e significa impudicizia, grave licenziosità in campo sessuale. Nel passo in questione si alluderebbe in particolare ad alcuni matrimoni incestuosi ritenuti leciti dai pagani, ma invalidi dagli ebrei: si tratta dei casi di alcuni pagani convertiti a Cristo, che si trovano vincolati da un matrimonio tra parenti (o incestuoso) espressamente proibito nell’Antico Testamento (Lv 18,1) e contro cui anche il Concilio di Gerusalemme aveva messo in guardia i convertiti dal paganesimo (At 15, 20.29). Non si tratterebbe perciò di uno scioglimento del vincolo matrimoniale, ma della presa d’atto di un’unione illegittima: una sorta di dichiarazione di nullità “ante litteram”.
Secondo altre interpretazioni esegetiche la frase in questione avrebbe valore inclusivo: compreso il caso di porneìa; oppure il senso di una proibizione assoluta: nemmeno in caso di porneìa; ovvero dovrebbe essere interpretata come una digressione: non intendo parlare del caso di porneìa, per non parlare del caso di porneìa…Conclude il card. Ratzinger: “A riguardo della retta comprensione delle clausole sulla porneìa esiste una vasta letteratura con molte ipotesi diverse, anche contrastanti. Fra gli esegeti non vi è affatto unanimità su questa questione. Molti ritengono che si tratti qui di unioni matrimoniali invalide e non di eccezioni all’indissolubilità del matrimonio. In ogni caso la Chiesa non può edificare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche incerte. Essa deve attenersi all’insegnamento chiaro di Cristo”.
E l’insegnamento di Cristo sembra chiaro, inequivocabile: egli ritiene che le concessioni fatte da Mosè per la durezza di cuore degli ebrei non rientrino nel progetto originario di Dio, che invece pensa all’unione matrimoniale in termini di indissolubilità. Questa radicale presa di posizione di Gesù spiega in modo più comprensibile la reazione degli stessi apostoli, i quali commentano: “Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi” (Mt 19, 10).
3 – L’insegnamento della Chiesa

L’indissolubilità del matrimonio non è un bene di cui la Chiesa possa disporre a suo piacimento. La Chiesa deve riaffermare con forza quello che Gesù insegna nel Vangelo, ma ovviamente deve farlo come Madre, che si prende sempre cura amorevole di tutti i suoi figli.
In questa luce dobbiamo subito precisare che anche i cristiani che vivono in una posizione irregolare appartengono alla Chiesa. Essi non sono scomunicati, ma, in quanto battezzati, sono Chiesa. Possono perciò partecipare alla vita della comunità cristiana, anche se, in ragione della oggettiva situazione in cui si trovano, in taluni casi questa partecipazione non può essere piena. È il caso qui di precisare, però, che questo vale anche per altri fedeli, anzi si può dire che ogni peccatore, permanendo in un situazione di peccato mortale, non vive una pienezza di partecipazione alla vita della Chiesa.
Per evitare giudizi sommari è bene però distinguere le diverse situazioni, che non sempre sono assimilabili l’una all’altra. Cerchiamo perciò di fare una sintesi di quanto la morale cattolica insegna riguardo alle diverse situazioni che possono verificarsi in questo campo. Esse sono riassumibili, grosso modo, a cinque: separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, sposati solo civilmente, conviventi.


a) Separati

Ci sono casi, nella vita di una coppia, in cui la convivenza coniugale risulta praticamente impossibile, se non apertamente dannosa per entrambi i coniugi e per i figli. La comunità cristiana deve fare ogni sforzo per aiutare i coniugi in difficoltà, ma a volte deve prendere atto, dolorosamente, che la separazione fisica rimane l’estremo rimedio ad una situazione divenuta insostenibile. In questo caso la Chiesa, che si fa maternamente vicina agli sposi separati e ai loro figli, chiede ai coniugi di mantenere fedeltà al vincolo matrimoniale contratto, offrendo a tutti la testimonianza di questa fedeltà, anche eroica, che dice quanto sia importante il sacramento celebrato “nel Signore”. Importante è anche l’aiuto, che la comunità cristiana è chiamata ad offrire, perché questi coniugi separati coltivino l’esigenza evangelica del perdono e la disponibilità all’eventuale ripresa della vita coniugale.
Dal punto di vista morale la situazione in cui si trovano i separati non vieta loro di partecipare ai sacramenti e alla vita della Chiesa. A modo suo, infatti, la condizione di vita dei separati è ancora una proclamazione del valore dell’indissolubilità matrimoniale. Naturalmente i separati, per poter fare la comunione, devono essere sinceramente pronti al perdono: ma questo vale per tutti i peccatori!


b) Divorziati non risposati

In alcuni casi dalla separazione si passa al divorzio. È sempre difficile capire di chi sia la responsabilità di una tale scelta, che gli stessi sposi considerano come un doloroso fallimento; ma a volte è possibile stabilire chi è il coniuge che ha abbandonato il tetto coniugale e quello che invece ha, in qualche modo, subìto una tale decisione. È chiaro che queste due situazioni differiscono parecchio fra di loro dal punto di vista morale. Nella vita concreta però non è sempre molto facile stabilire le responsabilità di ognuno, perché il più delle volte entrambi gli sposi si caricano di colpe o di omissioni.
In ogni caso per il coniuge cristiano anche il divorzio equivale soltanto ad una separazione, che non rompe il vincolo coniugale. Anche nei confronti di questi sposi divorziati la comunità cristiana si fa vicina, cercando di aiutarli a vivere la fedeltà al sacramento celebrato e sostenendoli in ogni modo nella difficile vita di solitudine coniugale, specie quando si deve accudire ai figli.
Non esistono problemi circa l’ammissione ai sacramenti, atteso il fatto che molte volte il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio. Naturalmente questo vale soprattutto per il coniuge “innocente”, che ha subìto la scelta del divorzio. Maggiore gravità morale ricade su chi invece ha provocato il divorzio. Costui per accedere ai sacramenti deve sinceramente pentirsi, attendere a tutti i doveri che incombono su di lui, specie in ordine ai figli, e considerarsi davanti a Dio veramente legato dal vincolo matrimoniale. Egli ormai vive da separato perché una ripresa della vita coniugale risulta inopportuna o impossibile.
In linea di massima, comunque, la condizione di divorziato non risposato è equiparabile a quella di separato e non impedisce la vita sacramentale e la partecipazione alla vita della Chiesa.


c) Divorziati risposati

Maggiori problemi crea, sul piano morale, la condizione dei divorziati risposati. Molte sono le motivazioni che possono portare a contrarre una nuova unione dopo il fallimento del primo matrimonio. Alcuni non hanno piena consapevolezza del fatto che la loro nuova unione sia contro la volontà di Dio; altri non si pongono nemmeno il problema, lontani come sono dalla Chiesa e dalla pratica religiosa; altri invece desiderano continuare, a loro modo, la vita cristiana, manifestando il desiderio di una maggiore partecipazione alla vita della comunità cristiana.
Certamente sul piano oggettivo la situazione dei divorziati risposati è in contrasto col Vangelo, che proclama l’indissolubilità del matrimonio. La nuova unione non può sciogliere un matrimonio sacramentale validamente celebrato e si pone contro il comandamento di Gesù.
Anche in questo caso, però, bisogna ponderare bene le diverse situazioni, perché non tutti sono passati ad una nuova unione “a cuor leggero”, anzi in quasi tutti i casi questa scelta è stata dolorosa, sofferta, talvolta fatta per motivi di necessità o per una convinzione interiore di coscienza che il precedente matrimonio non era mai stato valido. Non è male, a questo proposito, sottoporre questo convincimento di coscienza ad un tribunale ecclesiastico, per verificare se davvero c’erano tutte le condizioni per la valida celebrazione del sacramento nuziale. La Chiesa salvaguarda la dignità di questo sacramento, per cui è chiamata responsabilmente ad esaminare se esso sia stato effettivamente celebrato o se invece sia nullo. Beninteso, i tribunali ecclesiastici non concedono il divorzio, ossia lo scioglimento del vincolo, ma esprimono eventualmente, dopo seria indagine, una dichiarazione di nullità. È questa una strada pastoralmente percorribile, richiamata anche dal Direttorio di pastorale familiare della CEI: “Quando si manifestassero indizi non superficiali dell’eventuale esistenza di motivi che la Chiesa considera rilevanti in ordine ad una dichiarazione di nullità matrimoniale, verità e carità esigono che l’azione pastorale si faccia carico di aiutare i fedeli interessati a verificare la validità del loro matrimonio religioso”.
Ovviamente non tutti i casi sono inquadrabili in questa possibilità, perché il più delle volte il matrimonio sacramentale è stato validamente contratto e rimane perciò l’unico matrimonio davanti a Dio. La nuova unione si pone perciò in contrasto con l’indicazione data da Gesù nel Vangelo ed impedisce ai divorziati risposati di accostarsi ai sacramenti della riconciliazione e della comunione eucaristica, come anche di svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana: tali sono, per esempio, l’ufficio di padrino, di catechista, di lettore o di accolito.
La decisione di non ammettere i divorziati risposati ai sacramenti è motivata dalla oggettiva situazione in cui essi vengono a trovarsi: sono infatti in netto contrasto con l’esigenza di conversione presente nel sacramento della Penitenza, che impone il proposito di non commettere più il peccato confessato; sono anche in contraddizione con l’indissolubile patto di amore tra Gesù e la Chiesa, significato ed attuato dall’Eucaristia. Un sincero riconoscimento di questa contraddizione potrà consentire a questi fratelli di essere ammessi ai sacramenti; ma questo riconoscimento dovrà tradursi concretamente in una interruzione della vita coniugale e in una sua trasformazione in vincolo di amicizia, stima e aiuto vicendevole.
I divorziati risposati devono essere aiutati a capire l’atteggiamento della Chiesa nei loro confronti, che non è quello dell’esclusione discriminatoria, ma quello dell’autentica fedeltà al Vangelo. In forza di questa fedeltà alla Verità rivelata, senza la quale non c’è autentica carità, la Chiesa estende il rifiuto dei sacramenti anche a molti altri casi: in pratica a tutti i casi in cui il fedele si trova in stato di peccato mortale e non compie, mediante il sacramento della Penitenza, una sincera riconciliazione con Cristo e con i fratelli. Ci possono essere peraltro altri casi, oltre a quello dei divorziati risposati, di contraddizione pubblica e notoria col Vangelo, che potrebbero imporre ai Pastori della Chiesa un’esclusione dai sacramenti. Tale esclusione è sempre temporanea, fino a tanto che perdura la situazione “oggettiva” di contrasto col Vangelo.
In ogni caso la Chiesa non intende minimamente giudicare l’intimo delle coscienze, dove solo Dio vede e giudica. Essa anzi considera pure i divorziati risposati come suoi figli e li invita a prendere parte attiva alla sua vita, esortandoli ad ascoltare la Parola di Dio, a pregare, a vivere nella carità operosa, ad attendere con amore all’educazione dei figli: sono anche queste le strade attraverso cui si può giungere alla salvezza!



d) Sposati solo civilmente

Anche tra i cattolici sta aumentando il numero di coloro che scelgono di sposarsi solo civilmente. Una tale decisione può essere motivata da diverse cause: perdita della fede, scarsa comprensione del valore religioso del matrimonio, pressione dell’ambiente culturale, tendenza a vivere il matrimonio solo come una forma provvisoria di esperimento…
È chiaro che questa scelta non è accettabile per un battezzato, per il quale l’unico matrimonio valido rimane quello celebrato nella forma canonica, ossia quello sacramentale. Il Battesimo infatti abilita ed impegna a vivere l’unione coniugale “nel Signore”.
Con questi fratelli la comunità cristiana deve instaurare un dialogo fraterno e rispettoso, sfruttando tutte le occasioni possibili per far comprendere loro il contrasto tra la condizione di battezzati e la scelta fatta. Non si deve però essere frettolosi e superficiali nel “regolarizzare” la loro posizione, riducendola quasi ad una sorta di adempimento “burocratico”. Se i due si convincono di sposarsi in Chiesa, dovranno essere adeguatamente preparati a vivere con autentico spirito di fede una tale celebrazione.
Finchè perdura questa situazione è evidente che i due non possono essere ammessi ai sacramenti, né si possono loro affidare servizi che richiedono una pienezza di testimonianza cristiana.



e) Conviventi

L’ultima situazione irregolare e difficile è quella dei conviventi, ossia di coloro che convivono coniugalmente, senza che la loro unione abbia un riconoscimento pubblico né religioso né civile.
L’attuale cultura, pervasa di individualismo privatistico, tende a legittimare queste unione spontanee e provvisorie, riconoscendole addirittura talora come le più valide e le più sincere, perché si fondano sul presupposto, ritenuto vero, che l’amore tra due persone non può mai durare tutta la vita e che esso riguarda esclusivamente i due interessati. Queste convivenze invece sono in netto contrasto col vero senso dell’amore coniugale, che non è mai chiusura intimistica nel privato, né spontaneismo che troverebbe nella sperimentazione la sua espressione più vera. L’amore fra due persone è il fatto più intimo e più pubblico che possa esistere: esso coinvolge i due in una relazione profonda, pervasa di responsabilità morali e capace di apportare effetti benefici non solo per la coppia, ma anche per l’intera società e per tutta la Chiesa.
Certamente anche in questo caso la comunità cristiana deve cercare di conoscere le motivazioni che hanno indotto i due a compiere una tale scelta e deve dialogare con loro in un clima di rispetto e di carità.
È evidente che i conviventi, fino a quando permangono in questa situazione, non possono ricevere i sacramenti, né esercitare quei ministeri che richiedono la piena comunione con la Chiesa. Se essi dovessero richiedere il battesimo per i loro figli, il sacerdote non dovrebbe perdere quest’occasione per evangelizzarli, mostrando loro la contraddizione esistente tra la richiesta di Battesimo per il proprio figlio e la loro situazione di conviventi. Di conseguenza, prima di amministrare il Battesimo, li può utilmente invitare a regolarizzare la loro posizione o, almeno, ad intraprendere il cammino per arrivare a questa regolarizzazione.
4 – Annunciare la verità nella carità

La posizione della Chiesa può apparire a molti rigida e priva di carità. Anche il linguaggio con cui la Chiesa, specialmente in passato, ha espresso questa dottrina può sembrare duro. Oggi sicuramente il linguaggio è cambiato, così come va mutando il clima di accoglienza di questi fratelli nell’ambito della comunità cristiana, che più volte viene invitata dal Magistero ad assumere nei confronti di questi fedeli battezzati un atteggiamento di fraterno dialogo e di rispetto. I testi magisteriali insistono sul fatto che questi fratelli e queste sorelle, in quanto battezzati, sono Chiesa, fanno parte della comunità cristiana, possono partecipare alla sua vita. L’impossibilità di ammettere alcuni di loro ai sacramenti non deve essere considerata né come una punizione né tanto meno come una discriminazione. Essa è, per l’appunto, un’impossibilità che trova la sua ragione nella situazione oggettiva in cui vengono a trovarsi i divorziati risposati, i conviventi e gli sposati solo col rito civile.
La comunità cristiana comunque deve far sentire a questi fratelli il proprio amore, che è testimonianza della carità di Cristo, il quale è l’unico che può scrutare i segreti delle coscienze e giudicare l’intimo dei cuori. Un conto è esprimere un giudizio sui fatti esterni, oggettivi e visibili, un altro è pretendere di giudicare le coscienze. Proprio per questo la Chiesa non ha mai espresso, né mai potrà farlo, giudizi di condanna definitiva per nessuno dei suoi figli. Essa invece affida tutti continuamente alla misericordia del Padre, consapevole dei suoi limiti e, nello stesso tempo, della potenza dell’amore di Dio.
Nel trattare con la massima carità questi suoi figli, la Chiesa però non può esimersi dall’annunciare la verità, perché sarebbe un grave errore tacere o compromettere la verità in nome della carità; come sarebbe errato “piegare” la verità alle debolezze delle persone. La verità va annunciata nella sua interezza, anche quando può apparire scomoda, perché essa è la via verso la guarigione, la pace e la libertà interiore. Ricordiamo l’insegnamento di Gesù: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32).
Siamo convinti che la potenza di Dio contrasta l’azione nefasta del maligno, che sicuramente è all’opera in molte situazione di divisione e di distruzione delle famiglie. Egli è il diabolos, il “divisore”: e come tale è colui che semina zizzania, minacciando anche l’unità, l’indissolubilità, la fedeltà del matrimonio. In questo modo egli pretende di minacciare il cuore stesso di Dio, che è comunione di amore indissolubile e fedele con l’umanità redenta. Ogni ferimento all’unità matrimoniale è, in qualche modo, un ferimento del cuore di Dio.
Il maligno è anche “padre della menzogna” (Gv 8,44), che dice le falsità in modo così credibile da farle ritenere vere. Sono molti oggi i mezzi e i sistemi attraverso cui queste bugie giungono al cuore degli uomini, dei giovani soprattutto, ma anche di coloro che sono già sposati, recando confusione e oscurità, che non di rado sfociano in inquietudine e tentazione contro la fedeltà coniugale o l’indissolubilità del patto nuziale.
La Chiesa ha il dovere di annunciare “la verità tutta intera”, perché solo in questo modo il servizio al bene dell’uomo è efficace. Essa non ha, d’altronde, il potere di discostarsi dall’insegnamento del suo Maestro e Signore, che è l’incarnazione stessa della verità (cfr. Gv 14,6). La Chiesa deve seguire l’esempio di Gesù, che fu intransigente contro il male, ma accogliente e misericordioso verso i peccatori. In una distinzione, sempre preziosa, fra errore ed errante, la Chiesa condanna ciò che oggettivamente contraddice la verità insegnata da Cristo, ma apre le sue braccia verso i fratelli che hanno sbagliato. E lo fa anche quando, con grande sofferenza, si vede impossibilitata ad ammetterli ai sacramenti: anche in questo caso non viene meno il suo amore di Madre, che non può ingannare i suoi figli tacendo che si trovano in una situazione di disordine morale. Il suo amore rimane autentico solo se è legato alla verità insegnata da Cristo. “La Chiesa soffre come e più dei propri figli che sono in situazione irregolare: confida che questa sofferenza di tutti, mentre conserva limpido il cammino indicato dal Vangelo, diventi forza spirituale capace di sostenere altri fratelli di fede nei momenti di crisi, perché non cedano alla tentazione di ricorrere al divorzio e di passare al matrimonio civile”.
Testimonianze



Gabriella

Fin al dicembre 1997, la mia famiglia procedeva, io pensavo, abbastanza bene o perlomeno non c’erano seri motivi per considerarla in difficoltà.
Mio marito volle con un cliente della ditta dove lavoravano entrambi fare un viaggio a Cuba da solo.
E’ stato l'inizio della fine. Non ha capito più niente, pensava solo di andare e tornare dal paese dei suoi sogni e di conseguenza dopo tre anni e mezzo di questa tortura prolungata, le nostre strade si sono divise: a giugno 2001 ci siamo separati.
E’ stato un fulmine a ciel sereno il dovermi rendere conto che la vita insieme per lui non contava più niente e nemmeno contava la stupenda bambina di soli sei anni che reclamava suo padre sempre più assente.
Non sono impazzita grazie al Signore, che in un primo tempo mi ha lasciato nella solitudine e nella sofferenza totale. Ma quando veramente cominciavo a disperare, ecco allora la decisione forte di rivolgermi al sacerdote della mia parrocchia, al quale ho aperto il cuore sulla tragedia che stava avvenendo nella mia vita di moglie tradita e umiliata.
È iniziata proprio da quel momento una nuova vita e, pur rimanendo nella disperazione, arrivavano bagliori di luce, parole buone, incitamenti a guardare avanti e in alto, persone giuste che non chiedevano nulla, ma si mettevano silenziose al mio fianco e mi facevano sentire amata ed importante. Nel mio cuore cominciava così a scendere la pace, la voglia di pregare: mi staccavo lentamente dalla mia storia e il peso si alleggeriva.
Insieme agli amici si sdrammatizzava tutto e si arrivava, per assurdo che possa sembrare, quasi a ridere di una situazione che era tragica: non esiste una situazione che con il Signore non si possa affrontare.
Questo lo incominciavo a capire e veramente per me iniziava una vita nuova, perchè al centro di essa incominciavo a mettere Gesù abbandonato, l’unico che non delude: io, da sconfitta, incominciavo a sentirmi vittoriosa, perché Lui mi riempiva della gioia vera, quella che mi faceva andare dagli altri dimenticando la mia pena; proprio io che ero, prima, terrorizzata dalla vergogna, annientata dalla sconfitta umanamente subita. Nessuno mi ha mai umiliata: uscendo dal mio guscio ho sperimentato che più davo, più ricevevo.
La mia situazione familiare non si era risolta, tutt’altro; ma non piangevo più. E mio marito era meravigliato e stupito del mio cambiamento: ora io ero serena, allegra, piena di persone amiche che mi telefonavano e mi cercavano e lui invece era sempre più teso, sempre più immerso nel mondo, nelle sue storie, nelle sue illusioni.
Dire che non è stato difficile sarebbe una bugia, ma la vita non è facile mai. Posso dire che Dio non ha potuto evitarmi questa croce, o forse non ha voluto, per darmi la possibilità di risorgere e farmi scoprire la mia dignità di figlia e di donna. Con la croce, come dice sempre il mio parroco, è infatti arrivata la perla preziosa, l’Amore vero.
Nella mia sofferenza Dio mi ha dato un sacerdote che mi ha seguito, che mi ha insegnato a pregare, ad affidarmi di Dio, a riprendere in mano l’educazione della mia Stella, poi mi ha mandato subito una persona unica che è diventata la mia amica speciale in questo viaggio terreno: con lei ho conosciuto anche il “Rinnovamento nello Spirito”, che da tre anni frequento; insieme ad altri fratelli, l’anno scorso ho ricevuto la preghiera per una nuova Effusione dello Spirito.
E’ da qui che ho riscoperto la Grazia del mio battesimo, che si è rafforzata la mia fede, che mi sono innamorata della comunità e del cammino di santità. In ogni ambito della mia vita cerco di mettere al primo posto il Signore che mi dà pace e gioia. E’ tutta una meraviglia continua: servo la parrocchia nel gruppo liturgico e la comunità del Rinnovamento nel gruppo di preghiera di intercessione.
E’ stupendo pregare nelle case, quando andiamo a visitare gli ammalati; oppure anche quando siamo fra di noi amici, prima di ogni altra cosa fare un momento, anche prolungato, di preghiera; cosicché il fare è conseguente e, a volte, abbiamo sperimentato, molto diverso da ciò che avevamo progettato prima di pregare.
E’ stupendo sperimentare che è Dio che crea la comunione, una comunione che va oltre ogni confine del sensibile, dell’emotivo, ma ci radica nella carità fraterna, nella sensibilità alla voce dello Spirito, che ci aiuta ad ascoltare il grido di chi in quel momento ha bisogno di essere consolato.
E’ stupendo sperimentare che è Dio che consola attraverso la nostra misera disponibilità, ed avvertire un amore tutto nuovo, che può venire solo da Lui, per i fratelli: allora sì che la parola, che non sono più nostre, toccano i cuori.
Tutto questo e tanto altro il Signore mi ha donato, non per i miei meriti, ma per il suo infinito Amore.
Una storia d’amore che io credevo importante, per ora è chiusa, ma il Signore ha scritto dritto nelle righe storte della mia vita: non solo non mi ha abbandonata, ma mi ha fatto conoscere l’Amore vero, quello che non finisce mai.
Ho avuto la Grazia di comprendere che il mio matrimonio, che credevo morto, è più vivo che mai, che la mia famiglia agli occhi di Dio è ancora famiglia, perchè con la sua Grazia, posso vivere la fedeltà.
Questa luce mi ha fatto passare dalla morte alla vita perché, ciò che prima avevo subìto, poi accettato, ora l’ho scelto.
Confido nel Signore e nella protezione della Madonna per non tornare sui miei passi ed essere fedele ad un sacramento nel quale ho creduto e tuttora credo.
Sono grata al Signore di tutto: il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia lodato il nome del Signore.










Giancarlo

La separazione è arrivata dopo circa sette anni di matrimonio vissuti tranquillamente: forse troppo.
In quel momento tutto il mio castello di carta, che io credevo di solidi mattoni, mi è crollato addosso, e mi sono ritrovato solo, senza amici e senza la vicinanza di mio figlio, che amo tantissimo ma che purtroppo, a volte era un peso in più.
Nei primi tempi ho cercato di svagarmi in vari modi, in poche parole cercavo di sopravvivere, ma piano piano lo scontro della solitudine si accumulava sempre più.
In quei momenti cercavo di analizzare le cause del mio fallimento e ho constatato che il motivo principale è stato la mancanza di dialogo con la consorte.
Infatti, quando per vari motivi capitavano dei problemi, o ce li tenevamo dentro di noi o cercavamo di far finta di niente.
Il culmine della mia disperazione arrivò quando ero immobilizzato in casa a causa di una operazione al ginocchio. Ogni giorno i miei pensieri si accumulavano sempre di più, ed è stato in quel momento che il Signore ha mandato un suo angelo (nella persona di una cara cugina) che mi ha fatto conoscere il Rinnovamento nello Spirito.
Il cammino con i fratelli di e con il Signore mi ha fatto riscoprire quelle sensazioni che provavo da ragazzino, quando da chierichetto frequentavo assiduamente la parrocchia: mi ha donato quella pace interiore, che da tempo non possedevo più. Non solo: mi ha infuso nel cuore la voglia di rimanere fedele al sacramento del matrimonio, anche se con alti e bassi.
Adesso, assieme ad una cara amica (Gabriella), anche lei nella mia stessa situazione, stiamo cercando il modo di essere di conforto ad altre persone che si trovano nella nostra stessa condizione e a coppie che ancora non conoscono gli insegnamenti che noi abbiamo ricevuto e la meraviglia che Dio ha fatto su di noi.
Ancora non mi è molto chiaro come dobbiamo fare, ma sono convinto che con la fede e la preghiera questo ostacolo, con il tempo, si supererà.