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II


 

IL MONDO DELL' UMANA SOFFERENZA




5. Anche se nella sua dimensione soggettiva, come fatto personale, racchiuso nel concreto e irripetibile interno dell'uomo, la sofferenza sembra quasi ineffabile ed incomunicabile al tempo stesso, forse nient'altro quanto essa esige, nella sua « realtà oggettiva », che sia trattata, meditata, concepita nella forma di un esplicito problema, e che quindi intorno ad essa si pongano interrogativi di fondo e si cerchino le risposte. Come si vede, non si tratta qui solo di dare una descrizione della sofferenza. Vi sono altri criteri, che vanno oltre la sfera della descrizione, e che dobbiamo introdurre, quando vogliamo penetrare il mondo dell'umana sofferenza.

Può darsi che la medicina, come scienza ed insieme come arte del curare, scopra sul vasto terreno delle sofferenze dell'uomo il settore più conosciuto, quello identificato con maggior precisione e, relativamente, più controbilanciato dai metodi del «reagire » (cioè della terapia). Tuttavia, questo è solo un settore. Il terreno della sofferenza umana è molto più vasto, molto più vario e pluridimensionale. L'uomo soffre in modi diversi, non sempre contemplati dalla medicina, neanche nelle sue più avanzate specializzazioni. La sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso ed insieme ancor più profondamente radicato nell'umanità stessa. Una certa idea di questo problema ci viene dalla distinzione tra sofferenza fisica e sofferenza morale. Questa distinzione prende come fondamento la duplice dimensione dell'essere umano, ed indica l'elemento corporale e spirituale come l'immediato o diretto soggetto della sofferenza. Per quanto si possano, fino ad un certo grado, usare come sinonimi le parole « sofferenza » e « dolore », la sofferenza fisica si verifica quando in qualsiasi modo « duole il corpo », mentre la sofferenza morale è « dolore dell'anima ». Si tratta, infatti, del dolore di natura spirituale, e non solo della dimensione « psichica » del dolore che accompagna sia la sofferenza morale, sia quella fisica. La vastità e la multiformità della sofferenza morale non sono certamente minori di quella fisica; al tempo stesso, però, essa sembra quasi meno identificata e meno raggiungibile dalla terapia.


6. La Sacra Scrittura è un grande libro sulla sofferenza. Riportiamo dai Libri dell'Antico Testamento solo alcuni esempi di situazioni, che recano i segni della sofferenza e, prima di tutto, di quella morale: il pericolo di morte(5), la morte dei propri figli(6) e, specialmente, la morte del figlio primogenito ed unico(7), e poi anche: la mancanza di prole(8), la nostalgia per la patria(9), la persecuzione e l'ostilità dell'ambiente(10), lo scherno e la derisione per il sofferente(11), la solitudine e l'abbandono(12); ed ancora: i rimorsi di coscienza(13), la difficoltà di capire perché i cattivi prosperano e i giusti soffrono(14), l'infedeltà e l'ingratitudine da parte degli amici e dei vicini(15); infine: le sventure della propria nazione(16).

L'Antico Testamento, trattando l'uomo come un « insieme » psicofisico, unisce spesso le sofferenze « morali » col dolore di determinate parti dell'organismo: delle ossa(17), dei reni(18), del fegato(19), dei visceri(20), del cuore(21). Non si può, infatti, negare che le sofferenze morali abbiano anche una loro componente « fisica », o somatica, e che spesso si riflettano sullo stato dell'intero organismo.


7. Come si vede dagli esempi riportati, nella Sacra Scrittura troviamo un vasto elenco di situazioni variamente dolorose per l'uomo. Questo elenco diversificato certamente non esaurisce tutto ciò che in tema di sofferenza ha già detto e costantemente ripete il libro della storia dell'uomo (questo è piuttosto un « libro non scritto »), ed ancor più il libro della storia dell'umanità, letto attraverso la storia di ogni uomo.

Si può dire che l'uomo soffre, allorquando sperimenta un qualsiasi male. Nel vocabolario dell'Antico Testamento il rapporto tra sofferenza e male si pone in evidenza come identità. Quel vocabolario, infatti, non possedeva una parola specifica per indicare la « sofferenza »; perciò, definiva come « male » tutto ciò che era sofferenza»(22). Solamente la lingua greca e, insieme con essa, il Nuovo Testamento (e le versioni greche dall'Antico) si servono del verbo «pasko = sono affetto da ..., provo una sensazione, soffro »; e grazie ad esso la sofferenza non è più direttamente identificabile col male (oggettivo), ma esprime una situazione nella quale l'uomo prova il male e, provandolo, diventa soggetto di sofferenza. Questa invero ha, ad un tempo, carattere attivo e passivo (da « patior »). Perfino quando l'uomo si provoca da solo una sofferenza, quando è l'autore di essa, questa sofferenza rimane qualcosa di passivo nella sua essenza metafisica.

Ciò, tuttavia, non vuol dire che la sofferenza in senso psicologico non sia contrassegnata da una specifica « attività ». Questa è, infatti, quella molteplice e soggettivamente differenziata « attività » di dolore, di tristezza, di delusione, di abbattimento o, addirittura, di disperazione, a seconda dell'intensità della sofferenza, della sua profondità e, indirettamente, a seconda di tutta la struttura del soggetto sofferente e della sua specifica sensibilità. Al centro di ciò che costituisce la forma psicologica della sofferenza si trova sempre un'esperienza del male, a causa del quale l'uomo soffre.

Così dunque la realtà della sofferenza provoca l'interrogativo sull'essenza del male: che cosa è il male?

Questo interrogativo sembra, in un certo senso, inseparabile dal tema della sofferenza. La risposta cristiana ad esso è diversa da quella che viene data da alcune tradizioni culturali e religiose, le quali ritengono che l'esistenza sia un male, dal quale bisogna liberarsi. Il cristianesimo proclama l'essenziale bene dell'esistenza e il bene di ciò che esiste, professa la bontà del Creatore e proclama il bene delle creature. L'uomo soffre a causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene. Si potrebbe dire che l'uomo soffre a motivo di un bene al quale egli non partecipa, dal quale viene, in un certo senso, tagliato fuori, o del quale egli stesso si è privato. Soffre in particolare quando « dovrebbe » aver parte—nell'ordine normale delle cose—a questo bene, e non l'ha.

Cosi dunque nel concetto cristiano la realtà della sofferenza si spiega per mezzo del male, che è sempre, in qualche modo, in riferimento ad un bene.


8. La sofferenza umana costituisce in se stessa quasi uno specifico « mondo » che esiste insieme all'uomo, che appare in lui e passa, e a volte non passa, ma in lui si consolida ed approfondisce. Questo mondo della sofferenza, diviso in molti, in numerosissimi soggetti, esiste quasi nella dispersione. Ogni uomo, mediante la sua personale sofferenza, costituisce non solo una piccola parte di quel « mondo », ma al tempo stesso quel « mondo » è in lui come un'entità finita e irripetibile. Di pari passo con ciò va, tuttavia, la dimensione interumana e sociale. Il mondo della sofferenza possiede quasi una sua propria compattezza. Gli uomini sofferenti si rendono simili tra loro mediante l'analogia della situazione, la prova del destino, oppure mediante il bisogno di comprensione e di premura, e forse soprattutto mediante il persistente interrogativo circa il senso di essa. Benché dunque il mondo della sofferenza esista nella dispersione, al tempo stesso contiene in sé una singolare sfida alla comunione e alla solidarietà. Cercheremo anche di seguire un tale appello nella presente riflessione.

Pensando al mondo della sofferenza nel suo significato personale ed insieme collettivo, non si può, infine, non notare il fatto che un tal mondo, in alcuni periodi di tempo ed in alcuni spazi dell'esistenza umana, quasi si addensa in modo particolare. Ciò accade, per esempio, nei casi di calamità naturali, di epidemie, di catastrofi e di cataclismi, di diversi flagelli sociali: si pensi, ad esempio, a quello di un cattivo raccolto e legato ad esso — oppure a diverse altre cause — al flagello della fame.

Si pensi, infine, alla guerra. Parlo di essa in modo speciale. Parlo della ultime due guerre mondiali, delle quali la seconda ha portato con sé una messe molto più grande di morte ed un cumulo più pesante di umane sofferenze. A sua volta, la seconda metà del nostro secolo — quasi in proporzione agli errori ed alle trasgressioni della nostra civiltà contemporanea — porta in sé una minaccia così orribile di guerra nucleare, che non possiamo pensare a questo periodo se non in termini di un accumulo incomparabile di sofferenze, fino alla possibile auto-distruzione dell'umanità. In questo modo quel mondo di sofferenza, che in definitiva ha il suo soggetto in ciascun uomo, sembra trasformarsi nella nostra epoca — forse più che in qualsiasi altro momento — in una particolare « sofferenza del mondo »: del mondo che come non mai è trasformato dal progresso per opera dell'uomo e, in pari tempo, come non mai è in pericolo a causa degli errori e delle colpe dell'uomo.

[Modificato da Anam_cara 03/10/2010 03:40]