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SORRIDERE A DIO - Madre Teresa di Calcutta

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    auroraageno
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    00 13/07/2011 11:38




    Madre Teresa di Calcutta



    SORRIDERE A DIO



    Esperienze – preghiere –
    spunti di riflessione



    Edizioni Paoline




    Titolo originale dell’opera:
    A Gift for God

    Collins, St Jame’s Place, 1975
    © Mother Teresa, Missionaries of Charity, 1975

    Versione dall’inglese di
    Carlo Danna

    sesta edizione 1979




    Presentazione


    NON VI SONO BASSIFONDI IN PARADISO



    Questa selezione di detti, preghiere, meditazioni, lettere e discorsi di Madre Teresa servirà – tale è l’augurio – a trasmettere qualcosa del loro stile e della loro fragranza e, nello stesso tempo, fornirà agli ammiratori e seguaci di lei un gradevole manualetto di devozione. Normalmente ella è parca di parole – così come è parca di tutto, eccezion fatta per l’amore e per il culto di Dio -, però, quando ne fa uso a voce o per iscritto, le sgorgano invariabilmente dal cuore e suonano inconfondibilmente sue. Per quanto ne sappiamo, ella non prepara mai in anticipo quel che si propone di dire, salvo naturalmente a recarsi in cappella, dove è solita preparare ogni cosa. Una volta a Londra, mentre attendeva l’autobus, si vide offrire un mazzo di violette da una fioraia, che si ricordava di averla vista in un programma televisivo. Mi parlò del fatto e aggiunse: “Dobbiamo dare i fiori a Lui”. Così l’accompagnai nella cappella, dove li depose sull’altare. E quello fu per me uno dei tanti episodi squisiti e indimenticabili, che ti rincuorano in questo mondo tribolato.
    La forza delle sue parole è straordinaria, come si è potuto costatare ripetutamente di fronte a ogni tipo di pubblico, da quello più sofisticato a quello dei suoi più poveri tra i poveri. Ella non si preoccupava di adattare il contenuto o il linguaggio al manifesto quoziente intellettuale dei suoi uditori; il messaggio è sempre lo stesso, eppur sempre fresco e sorprendente. La verità, proposta nella sua versione luminosa, non è mai ripetitiva o banale, come lo è invece spesso la sua povera immagine moralizzatrice e pedante. c’è ancora chi ricorda come in Canadà, durante un programma televisivo in cui appariva accanto a Jacques Monod e a Jean Vanier, se ne stava seduta con il capo apparentemente chino in preghiera, mentre il famoso biologo molecolare francese, vincitore di un premio Nobel, illustrava con calore come tutto il destino futuro della razza umana sia inesorabilmente racchiuso nei nostri geni. Invitata dall’intervistatore a esprimere a sua volta il proprio punto di vista, ella alzò semplicemente il capo e osservò: “Io credo nell’amore e nella compassione”, quindi riprese le proprie devozioni. Il suo intervento, che veniva a convalidare l’efficace testimonianza cristiana data da Jean Vanier, risultò in qualche modo decisivo, e il professor Monod ebbe poi a dire che, con qualche altro trattamento del genere, la sua solida posizione atea sarebbe stata scossa.
    In un’altra occasione Madre Teresa comparve in uno di quegli spettacoli mattutini, che aiutano gli americani a sgranocchiare la loro colazione di fiocchi d’avena e a deglutire il loro caffé. Era la prima volta che si trovava in uno studio televisivo newyorkese e non era quindi preparata alle continue interruzioni della pubblicità commerciale. Inoltre i colori che apparivano sul monitor, con il suo interlocutore che sembrava aver capelli grigi, un naso color malva e baffi rosa cascanti, la colsero di sorpresa. Per di più quella mattina la pubblicità commerciale non faceva altro che proporre varie qualità di pane avvolto in confezioni d’ogni genere e altri articoli alimentari, e raccomandarli agli spettatori come alimenti che non ingrassavano e non erano eccessivamente nutrienti. Non ci volle molto per capire che si trattava della combinazione più ironica che si potesse pensare, dal momento che la preoccupazione costante di Madre Teresa è ovviamente quella di trovare il necessario per nutrire gli affamati e mettere un po’ di carne su degli scheletri umani. La cosa non le sfuggì e fu sentita osservare con una voce tranquilla ma perfettamente udibile: “Vedo che negli studi della televisione c’è bisogno di Cristo”. Era un evento senza precedenti; una parola di verità era stata pronunciata in una delle fucine di sogni, dove si fabbrica con successo il grande mito del ventesimo secolo: la felicità a portata di mano. Un improvviso silenzio scese sullo studio e fu come se le luci dovessero spegnersi e il direttore del programma parve ammutolire. In realtà in quel momento la pubblicità commerciale era ancora in onda, Madre Teresa non era in trasmissione e lo smarrimento provocato dal suo intervento fu presto superato. Ad ogni modo esso meritò certamente di venir menzionato nel Libro della Vita, anche se non nel New York Time.
    E’ nelle sue lettere che il riso e l’ilarità – i quali non Madre Teresa non mancano mai – vengono più chiaramente alla luce, in quelle lettere così meravigliosamente belle e divertenti, ch’ella scrive nel cuore della norre, in treno o in aereo, sempre di propria mano e usando la carta più economica possibile. Sono sicuro che una delle ragioni per cui ella ama tanto i poveri è questa: i poveri ridono di più dei ricchi, che inclinano a un’eccessiva solennità. Come i maniaci del potere di qualsiasi stampo, che non solo si astengono personalmente dal ridere ma ritengono ciò abominevole, considerandola una passione odiosa e contraria ai loro intenti, essi somigliano in questo allo shakespeariano Re Giovanni. Non così Madre Teresa, la quale trova l’ilarità molto confacente a lei. Un volto sorridente, ripete spesso, è una parte integrante dell’amore cristiano, e le sue Missionarie della Carità vengono invitate a far risuonate le loro case di risa gioiose, così come san Francesco e i suoi frati nelle loro peregrinazioni riempivano delle loro facezie le strade del mondo medioevale. In ogni santo c’è un clown e viceversa. In fondo che cosa sono i santi se non dei clowns trascendentali che, quando, le porte del cielo si aprono, percepiscono risa celestiali frammiste alla musica del paradiso? Nel cuore dell’universo essi scoprono un mistero, che è anche uno scherzo.
    Così, in una lettera scritta da Calcutta, Madre Teresa ricorda come nei primi giorni della sua attività fosse stata colpita da un febbrone. “In quel delirio – ella scrive – mi ritrovai davanti a san Pietro, ma lui non voleva lasciarmi entrare e diceva: “Non ci sono bassifondi in paradiso”. Io gli risposi arrabbiata: “E va bene, riempirò il cielo con gente dei bassifondi e allora sarai costretto a lasciarmi entrare”. Povero san Pietro! Da allora le Sorelle e i Fratelli non gli dànno pace e lui deve stare sempre all’erta, perché la nostra gente si è riservata da molto tempo un posto in paradiso con le sue sofferenze. Alla fine essi hanno semplicemente da staccare il biglietto per andare a trovarlo. Tutte quelle migliaia di persone che sono morte con noi, hanno avuto la gioia di ricevere un biglietto per presentarsi a san Pietro”.
    Un’altra volta ella scrive a proposito dell’apertura di una casa delle Missionarie della Carità a Lucknow: “Vi farà piacere di sentire che quest’anno ha fatto veramente molto caldo e che la nostra casa di Lucknow è stata così fondata davvero sull’Amore Ardente. E’ cosa buona bruciare con il calore di Dio al di fuori, dal momento che non ardiamo con il calore di Dio nei nostri cuori… A Lucknow ci hanno assegnato come dimora un vecchio cimitero inglese, per cui, se le Sorelle durante la notte cominceranno a cantare canti inglesi, saprete da dove essi provengono”. Madre Teresa portò casualmente un gruppo di Sorelle a visitare la mia casa, e mentre esse erano là, si misero a cantare alcuni canti inglesi con molta dolcezza, ma vi assicuro che quei canti non provenivano dal vecchio cimitero di Lucknow. Credo di sapere da dove venivano e ho fiducia che le pagine seguenti contengano qualche eco di quel medesimo canto e di quella medesima ilarità che lo accompagnava.

    M.





    (continua)


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    auroraageno
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    00 13/07/2011 11:39



    L’AMORE COMINCIA
    NELLA CASA PATERNA



    Credo che il mondo oggi sia sconvolto e soffra tanto, perché nei focolari domestici e nella vita familiare c’è veramente poco amore. Non abbiamo tempo per i figli, non abbiamo tempo gli uni per gli altri, non abbiamo tempo per rallegrarci a vicenda. Penso che se potessimo semplicemente riportare indietro nelle nostre esistenze la vita che Gesù, Maria e Giuseppe hanno vissuto a Nazaret, se potessimo fare delle nostre case un’altra Nazaret, la pace e la gioia regnerebbero nel mondo.
    L’amore comincia nella casa Paterna; l’amore vive nelle case: la sua mancanza è il motivo per cui oggi nel mondo c’è tanta sofferenza e tanta infelicità. Se prestassimo ascolto a Gesù, egli ci farebbe sentire quel che ha detto una volta: “ Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”. Egli ci ha amati soffrendo e morendo sulla croce per noi, e così, se dobbiamo amarci a vicenda, se dobbiamo riportare quell’amore nella vita, dobbiamo cominciare a farlo in seno alle nostre famiglie.


    Dobbiamo fare delle nostre case dei centri di compassione e perdonare senza fine.
    Oggi sembra che tutti siano in preda a una terribile frenesia e si affannino per raggiungere mète sempre più alte e raggranellare ricchezze sempre maggiori e altre cose, cosicché i figli hanno ben poco tempo da dedicare ai genitori, i genitori hanno ben poco tempo da dedicare l’uno all’altro, con la conseguenza che nelle case comincia la dissoluzione della pace del mondo.


    Le persone che si amano a vicenda in maniera reale, vera e piena, sono le più felici del mondo e noi lo costatiamo in mezzo alla nostra gente così povera. Amano i figli e amano la loro casa. Possono anche possedere assai poco, forse non hanno nulla, eppure sono felici.
    L’amore vivo fa male. Gesù, per dimostrare il suo amore per noi, è morto in croce. La madre, per dare alla luce il figlio, deve soffrire; se vi amate per davvero gli uni gli altri, non potete farlo senza sacrificio.




    (continua)
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    auroraageno
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    00 13/07/2011 11:40


    FEDE




    Rinuncerei alla vita piuttosto che rinunciare alla mia fede.


    La fede è un dono di Dio. Senza di essa non ci sarebbe vita. E la nostra opera, se vuol essere fruttuosa, tutta per Dio e bella, deve essere costruita sulla fede, sulla fede in Cristo: “Avevo fame, ero nudo, ero infermo, senza casa e voi mi avete servito”. Tutta la nostra attività è basata su queste sue parole.


    La fede scarseggia, perché c’è troppo egoismo e troppa sete di guadagno solo per sé. La fede, per essere vera, ha bisogno di essere un amore che dona. L’amore e la fede vanno di pari passo e si completano a vicenda.


    Cari amici, credo di capirvi meglio adesso. Temo di non saper rispondere alla vostra profonda sofferenza. Non so perché, però voi siete per me come un Nicodemo, e son sicura che la risposta è la medesima: “Se non diventate come un fanciullo…”. Sono sicura che capirete bene tutto, solo se diventerete come fanciulli nelle mani di Dio. Il vostro desiderio di Dio è tanto profondo, eppure lui continua a mantenersi lontano da voi. Egli fa certamente violenza a se stesso nell’agire così, perché vi ama al punto da aver mandato Gesù a morire per voi e per me. Cristo desidera essere il vostro Cibo. Circondati come siete dalla pienezza del Cibo di vita, morite di fame. L’amore personale che Cristo ha per voi è infinito, mentre la piccola difficoltà che voi provate nei riguardi della Chiesa è limitata. Superate il finito con l’infinito. Cristo vi ha creato perché vi voleva. So che cosa provate: un desiderio tormentoso, unito a un senso di vuoto e di oscurità; eppure è lui che vi ama. Non so se avete mai letto le righe seguenti; a me esse danno un senso di pienezza e di vuoto nello stesso tempo:

    Mio Dio, mio Dio, che cosa è un cuore,
    che tu lo spii e lo corteggi a quel modo,
    profondendo su di esso tutto il tuo cuore
    come se non avessi altro da fare..?



    Quel che oggi sta avvenendo sulla superficie della Chiesa passerà. Per Cristo la Chiesa è sempre la stessa, oggi, ieri e domani. Gli Apostoli hanno provato i medesimi sentimenti di paura e di sfiducia, di insufficienza e di infedeltà, eppure Cristo non li ha rimproverati e si è limitato a dir loro: “Figli di poca fede, perché avete avuto timore?”. Vorrei che potessimo amare come ha amato lui, ora.






    (continua)

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    auroraageno
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    00 13/07/2011 11:41



    SOFFERENZA




    La sofferenza va oggi aumentando nel mondo. La gente ha fame di qualcosa di più bello, di qualcosa di più grande di quel che i circostanti possano dare. Oggi nel mondo c’è una grande fame di Dio. C’è tanta sofferenza dappertutto, ma c’è una grande fame di Dio e di amore reciproco.


    C’è fame del pane ordinario, e c’è fame di amore, di cortesia e di riflessione; e c’è la grande povertà, che fa soffrire tanto la gente.
    La sofferenza presa in se stessa è niente: ma la sofferenza condivisa con la passione di Cristo è un dono meraviglioso. Il dono più bello che uno possa ricevere è di poter prendere parte alla passione di Cristo. Sì, un dono e un segno del suo amore; perché questo è il modo con cui il Padre ha dimostrato di amare il mondo: mandando il Figlio a morire per noi.


    Così in Cristo è stato dimostrato che il dono più grande è l’amore: perché la sofferenza è stata il segreto con cui egli ha pagato per il peccato.


    Senza di lui non potremmo far nulla. Ed è all’altare che noi incontriamo i nostri poveri sofferenti. Ed è in lui che vediamo come la sofferenza può diventare un mezzo per amare di più ed essere più generosi.


    Senza la sofferenza la nostra attività sarebbe un’attività sociale, un’attività molto buona e giovevole, ma non sarebbe l’opera di Gesù Cristo e parte della redenzione. Gesù ha voluto soccorrerci condividendo la nostra vita, la nostra solitudine, la nostra agonia, la nostra morte e ci ha redento solo unendosi strettamente a noi.
    Noi siamo chiamati ad agire allo stesso modo; dobbiamo redimere tutta la desolazione dei poveri: non soltanto la loro povertà materiale, bensì anche la loro miseria spirituale. E dobbiamo condividerla, perché solo unendoci strettamente a loro possiamo redimerli, portando Dio nella loro vita e portando loro a Dio.


    La sofferenza, quando è accettata insieme e portata insieme, diventa gioia.
    Tra i nostri collaboratori abbiamo degli ammalati e degli handicappati, che molto spesso non possono svolgere alcuna attività. Così essi adottano una Sorella o un Fratello e offrono tutte le loro sofferenze e tutte le loro preghiere per quel Fratello o quella Sorella, che a loro volta coinvolgono pienamente il collaboratore ammalato in tutto ciò che essi fanno. I due diventano come una sola persona e si chiamano l’un l’altro il loro secondo se stesso. Io ho una seconda me stessa di tal genere in Belgio, e quando sono stata ultimamente là, lei mi ha detto: “Son sicura che avrai molto da fare, molto da camminare, lavorare e parlare. Lo so dal dolore che provo alla spina dorsale e dalla operazione molto dolorosa che ho dovuto subire poco tempo fa”. Si trattava della diciassettesima operazione, e tutte le volte che ho qualcosa di speciale da compiere, è lei che mi sta dietro e mi dà la forza e il coraggio necessari a fare quel che devo fare per compiere la volontà di Dio. E’ questa la ragione che mi rende capace di fare quel che sto facendo: la mia seconda me stessa compie per me la parte indubbiamente più difficile dell’opera.


    Mie care sorelle e miei cari fratelli sofferenti, siate certi che ognuno di noi fa leva sul vostro amore davanti al trono di Dio, e là ogni giorno noi vi offriamo, o meglio ci offriamo a vicenda a Cristo per le anime. Quanto grate dobbiamo essere noi Missionarie della Carità: voi perché soffrite e noi perché lavoriamo. Completiamo a vicenda quel che manca nella nostra relazione con Cristo. La vostra vita di sacrificio è il calice, o piuttosto i nostri voti sono il calice e la vostra sofferenza e la nostra attività sono il vino, il cuore immacolato. Stiamo insieme in piedi sostenendo il medesimo calice e siamo così in grado di placare la sua ardente sete di anime.


    Trovo il lavoro molto più facile e riesco a sorridere più sinceramente quando penso a ognuno dei miei fratelli e delle mie sorelle sofferenti. Gesù ha bisogno di voi per continuare a versare nella lampada della nostra vita l’olio del vostro amore e del vostro sacrificio. Voi state veramente rivivendo la passione di Cristo. Contusi, sezionati, pieni di dolori e di ferite come siete, accettate Gesù così come egli viene nella vostra vita.


    Se qualche volta la nostra povera gente è morta di fame, ciò non è avvenuto perché Dio non si è preso cura di loro, ma perché voi ed io non abbiamo dato, perché non siamo stati uno strumento d’amore nelle sue mani per far giungere loro il pane e il vestito necessario, perché non abbiamo riconosciuto Cristo quand’egli è venuto, ancora una volta, miseramente travestito nei panni dell’uomo affamato, dell’uomo solo, del bambino senza casa e alla ricerca di un tetto.
    Dio ha identificato se stesso con l’affamato, l’infermo, l’ignudo, il senza tetto; fame non solo di pane, ma anche di amore, di cure, di considerazione da parte di qualcuno; nudità non solo di abiti, ma anche di quella compassione che veramente pochi sentono per l’individuo anonimo; mancanza di tetto non solo per il fatto di non possedere un riparo di pietra, bensì per non aver nessuno da poter chiamare proprio caro.




    (continua)
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    auroraageno
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    00 15/07/2011 11:56



    IMITAZIONE DI CRISTO




    Figlie Carissime, amiamo Gesù con tutto il cuore e con tutta l’anima. Siate sempre sorridenti. Sorridete a Gesù nelle vostre pene, perché per essere una vera Missionaria della Carità bisogna essere una vittima gioiosa. Quanto sono felice di avervi! Voi mi appartenete tanto quanto mi appartengono le Suore di qui. Spesso, quando il lavoro è molto duro, penso ad ognuna di voi e dico a Dio: “Guarda alle mie figlie sofferenti e per il loro amore benedici quest’opera. La risposta è immediata. Perciò, come vedete, voi siete la nostra tesoreria, la centrale elettrica delle Missionarie della Carità.


    Non potendo vedere Cristo con gli occhi, non possiamo esprimergli il nostro amore; possiamo però vedere sempre il prossimo e fare per lui quel che faremmo per Cristo, se lo vedessimo.


    Oggi quel medesimo Cristo vive nelle persone emarginate, disoccupate, trascurate, affamate, ignude e senza tetto. Sembrano persone inutili allo stato e alla società; nessuno ha tempo per loro. Sei tu e sono io nella nostra qualità di cristiani - degni dell’amore di Cristo se il nostro amore è vero – che dobbiamo trovarli ed aiutarli; essi sono là perché noi li troviamo.


    C’è sempre il pericolo che lavoriamo per amore del lavoro. E’ qui che il rispetto, l’amore e la devozione entrano in gioco: dobbiamo agire per Dio, per Cristo e questa è la ragione per cui cerchiamo di agire nel modo più bello possibile.


    I cristiani sono come la luce per gli altri… per la gente del mondo. Se siamo cristiani, allora dobbiamo essere simili a Cristo.


    Se imparerete l’arte di essere riflessivi, diventerete sempre più simili a Cristo, perché il suo cuore era mite ed egli pensava sempre agli altri. La meditazione è l’inizio di una grande santità. La nostra vocazione, per essere bella, deve pensare continuamente agli altri. Gesù è venuto per fare del bene. La Madonna a Cana si è preoccupata solo dei bisogni degli altri e li ha manifestati a Gesù.


    Un cristiano è un tabernacolo del Dio vivente. Egli mi ha creato, mi ha scelto, è venuto ad abitare in me, perché mi ha voluto. Ed ora che sai quanto Dio ti ama, è semplicemente naturale che tu spenda il resto della vita per irraggiare tale amore.


    Essere veri cristiani significa accettare veramente Cristo e diventare un altro Cristo gli uni per gli altri. Significa amare come siamo amati e come Cristo ci ha amati dalla croce. Dobbiamo amarci a vicenda e donare agli altri.
    Quando Cristo ha detto: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare”, non pensava solo alla fame di pane e di cibo materiale, ma pensava anche alla fame di amore. Anche Gesù ha sperimentato questa solitudine. E’ venuto tra i suoi e i suoi non lo hanno ricevuto e la cosa lo ha fatto soffrire allora e continua a farlo soffrire. Si tratta sempre della stessa fame, della stessa solitudine, del fatto di non essere accettati da alcuno, di non essere amati e benvoluti da nessuno. Ogni essere umano che si trova in quella situazione assomiglia a Cristo nella sua solitudine: e quella è la situazione più dura, la vera fame.



    (continua)
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    auroraageno
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    00 17/07/2011 16:09








    PORTATRICI DELL’AMORE DI CRISTO




    Cerchiamo di vivere lo spirito delle Missionarie della Carità fin dall’inizio, spirito fatto di totale abbandono a Dio, di amorevole fiducia reciproca, e di gioia in ogni situazione. Se accettiamo veramente questo spirito, allora saremo sicuramente delle autentiche cooperatrici di Cristo, le portatrici del suo amore. Questo spirito deve irraggiare dal vostro cuore sulla vostra famiglia, sul vostro vicinato, sulla vostra città, sul vostro paese, sul mondo. Cerchiamo di aumentare sempre più il capitale dell’amore, della cortesia, della comprensione e della pace. Il denaro verrà, se cerchiamo anzitutto il regno di Dio: allora ci sarà dato il resto.


    Preferirei commettere degli errori con gentilezza e compassione piuttosto che operare miracoli con scortesia e durezza.


    Sappiamo che, se vogliamo veramente amare, dobbiamo imparare a perdonare.


    Non saremmo capaci di capire e di aiutare effettivamente coloro che mancano di tutto, se non vivessimo come loro. Ogni manifestazione di amore, per quanto piccola, in favore dei poveri e degli indesiderati è importante agli occhi di Gesù.
    Non aspettate i leaders; fatelo da sole, da persona a persona.


    Ogni Sorella deve diventare una cooperatrice di Cristo nei bassifondi e perciò ognuna di loro deve comprendere quel che Dio e le Missionarie della Carità si attendono da lei. Lasciate che Cristo irraggi e viva la sua vita in lei e attraverso di lei nei bassifondi. Fate in modo che i poveri, vedendola, siano attratti a Cristo e lo invitino a entrare nelle loro case e nella loro vita. Lasciate che gli infermi e i sofferenti trovino in lei un vero angelo confortatore e consolatore. Lasciate che i piccoli per le strade le si facciano attorno, perché lei richiama alla loro mente lui, l’amico dei piccoli.


    La nostra vita di povertà è necessaria quanto la nostra stessa attività. Solo in paradiso vedremo quanto dobbiamo ai poveri per averci aiutate ad amare meglio Dio tramite loro.


    Le nostre vite sono intessute con Gesù nell’eucaristia, e la fede e l’amore che promanano dall’eucaristia ci rendono capaci di scorgerlo sotto le vesti misere dei poveri, per cui vi è un solo amore di Gesù, non essendovi che una sola persona nei poveri, quella di Gesù. Facciamo voto di castità per amare Cristo con amore indiviso; facciamo voto di povertà, che ci libera da ogni possesso materiale al fine di essere capaci di amarlo con amore indiviso; con quella libertà possiamo amarlo con amore indiviso e in forza di questo voto, fatto di amore indiviso, ci abbandoniamo totalmente a lui nella persona che lo rappresenta. Così anche il nostro voto di obbedienza è un altro modo per dare e per essere amate. Infine il quarto voto che facciamo è quello di servire generosamente e senza compenso i più poveri fra i poveri. Con questo voto ci obblighiamo ad essere come loro, a dipendere unicamente dalla divina provvidenza, a non avere niente, pur possedendo tutto dal momento che possediamo Cristo.


    Non inorgogliamoci, né siamo vanitose nella nostra attività. Quell’opera è opera di Dio, i poveri sono poveri di Dio. Mettetevi completamente sotto la influenza di Gesù, in modo ch’egli possa pensare i suoi pensieri nella vostra mente e compiere il suo lavoro attraverso le vostre mani, perché con lui che sorregge sarete onnipotenti.


    State attente a lasciare che la grazia di Dio lavori nelle vostre anime, accettando tutto quel che egli vi dona e donandogli tutto quel ch’egli prende da voi. La vera santità consiste nel fare la volontà di Dio con un sorriso.


    Dio è la stessa purezza; niente d’impuro può comparire davanti a lui; però non credo che Dio possa odiare, perché egli è amore e ci ama a dispetto della nostra miseria e della nostra peccaminosità. Egli è il Padre pieno di amore, per cui non abbiamo che da rivolgerci a lui. Dio non può odiare; ama perché è amore; però l’impurità costituisce un ostacolo, che impedisce di vederlo. Non si tratta solo del peccato di impurità, bensì di qualsiasi attaccamento, di qualsiasi cosa che ci tiene lontano da lui e ci rende meno simili a Cristo; tutto ciò che sa di odio, di mancanza di carità, è anche una impurità. Se siamo ripiene di peccato, Dio non può riempirci, perché neppure lui può riempire quel che è già pieno. Per questo abbiamo bisogno del perdono, per svuotarci, e allora Dio ci riempirà di se stesso.


    Le collaboratrici devono amare agendo. Le nostre opere di amore non sono altro che opere di pace. Compiamole con un amore e con una efficienza più grande: ognuno e ognuna nel suo lavoro, nella vita quotidiana, in casa, nel vicinato.


    Continuate a dare Gesù alla vostra gente non con le parole, ma con l’esempio, amando Gesù, irradiando la sua santità e diffondendo la sua fragranza di amore ovunque andate. La gioia di Gesù sia la vostra forza. Siate felici e in pace. Accettate tutto quello che vi dà, e date con un largo sorriso tutto quello che vi toglie. Appartenete a lui. Ditegli: “Sono tua, e se mi tagliassi a pezzi, ogni frammento sarebbe ancora tutto tuo”. Lasciate che Gesù sia la vittima e il sacerdote in voi.



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    auroraageno
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    00 21/07/2011 06:58




    Noi tocchiamo effettivamente il corpo di Cristo nei poveri. E’ il Cristo affamato che nutriamo in essi, il Cristo nudo che rivestiamo di indumenti, il Cristo senza tetto che ospitiamo.
    Non esiste solo la fame di pane, o il bisogno dell’ignudo di essere rivestito o del senza tetto di avere una casa fatta di mattoni. Anche i ricchi hanno fame di amore, di attenzioni, di benevolenza, di qualcuno da poter chiamare proprio caro.


    Gesù Cristo ha detto che agli occhi del suo Padre noi siamo molto più importanti dell’erba, degli uccelli e dei fiori della terra; perciò, se egli si prende già cura di queste cose, quanto più si prenderà cura della sua vita in noi. Egli non può ingannarci, perché la vita è il dono più grande fatto da Dio agli esseri umani. Dal momento che l’uomo è creato a immagine di Dio, appartiene a lui e noi non abbiamo alcun diritto di distruggerlo.


    Siamo ben coscienti che quanto stiamo facendo è una goccia d’acqua nell’oceano. Ma credo che, se quella goccia non fosse nell’oceano, questo sarebbe più piccolo e ne sentirebbe la mancanza. Non sono d’accordo con i metodi grandiosi di fare le cose, quel che a noi importa è l’individuo. Per poter amare una persona, dobbiamo entrare in stretto contatto con lei. Se aspettiamo finché ne potremo contattare molte, finiremo per perderci nei numeri, né saremo mai in grado di mostrare quell’amore e quel rispetto per la persona. Io credo nel contatto da persona a persona; per me ogni persona è Cristo, e siccome c’è un solo Gesù, quella persona in quel dato momento è l’unica persona al mondo.


    Impegnamoci sempre più affinché ogni Sorella, ogni Fratello e ogni collaboratore cresca nella somiglianza di Cristo e affinché possa vivere la propria vita di compassione e di bontà nel mondo attuale. Il vostro amore per Cristo deve essere grande. Mantenete sempre accesa la sua luce nel vostro cuore, perché lui solo è la via che dobbiamo percorrere, lui la vita che dobbiamo vivere, lui l’amore che dobbiamo amare.


    Corriamo sempre il pericolo di diventare semplicemente delle assistenti sociali o di lavorare per amore del lavoro; e corriamo questo pericolo quando dimentichiamo chi è colui per il quale lavoriamo. Le nostre attività sono solo un’espressione del nostro amore per Cristo. I nostri cuori hanno bisogno di essere ripieni di amore per lui, e dal momento che dobbiamo esprimere quell’amore nell’azione, i più poveri tra i poveri sono naturalmente il mezzo per esprimere il nostro amore per Dio… Un signore indù diceva che tanto essi quanto noi stiamo compiendo un’opera di assistenza sociale e che la differenza tra loro e noi sta nel fatto che essi lo fanno per qualcosa, mentre noi lo facciamo per Qualcuno.
    Questa bella esperienza che noi facciamo servendo, dobbiamo comunicarla a coloro che non l’hanno fatta. Si tratta di una delle grandi ricompense del nostro lavoro.


    Se vi sono persone che si sentono chiamate da Dio a cambiare le strutture della società, ciò costituisce una faccenda tra loro e Dio. Dobbiamo servirlo, qualunque sia la via per cui ci chiama a farlo. Io sono chiamata ad aiutare gli individui, ad amare ogni persona povera, non a occuparmi di istituzioni. Non sono in grado di giudicare.


    Non ho bisogno di pubblicità. No, no, non ne ho bisogno. Le opere di Dio vanno fatte nel modo suo caratteristico; e lui possiede le sue vie e i suoi mezzi per far conoscere il nostro lavoro. Guardate quel che è successo nel mondo e come le Sorelle sono state accettate in luoghi, dove nessuno aveva mai saputo niente di loro. Esse sono state accettate dove molti altri trovano difficile vivere o rimanere. Io penso che Dio stesso provi in tal modo che questa è una sua opera.


    Siate gentili e misericordiose. Nessuno venga a voi senza andarsene via migliore e più contento. Siate l’espressione vivente della gentilezza di Dio; gentilezza sul vostro viso, gentilezza nei vostri occhi, gentilezza nel vostro sorriso, gentilezza nel vostro caldo modo di salutare. Nei bassifondi noi siamo la luce della gentilezza di Dio per i poveri. Regalate sempre un sorriso gioioso ai bambini, ai poveri, a tutti coloro che soffrono e sono soli. Date loro non solo le vostre cure, ma anche il vostro cuore.
    Le nostre labbra devono sempre avere un sorriso per ogni bambino che aiutiamo, per ognuno cui offriamo la nostra compagnia o una medicina. Sbaglieremmo veramente a offrire solo le nostre cure: dobbiamo offrire il nostro cuore a tutti. Le istituzioni governative svolgono molte attività nel campo dell’assistenza. Noi dobbiamo offrire qualcos’altro: l’amore di Cristo.


    Dovremmo parlare di meno; un luogo dove si predica non è ancora un luogo di incontro. Che dobbiamo fare allora? Prendete la scopa e pulite la casa di qualcuno. Ciò dice abbastanza.
    Tutte noi siamo solo strumenti di lui, che fanno la loro piccola parte e passano oltre.




    (continua)
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    auroraageno
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    00 25/07/2011 09:38



    LA MADONNA




    Maria è la madre di Dio, la madre di Gesù e la nostra madre, la madre della Chiesa.


    Ella è la madre di tutto il mondo, perché, quando l’angelo le portò la novella, la buona novella che sarebbe divenuta la madre di Cristo, accettò di diventare la serva del Signore e accettò così di diventare anche la madre nostra, la madre di tutta l’umanità.Maria madre è la speranza dell’umanità.


    Ella ci ha dato Gesù. Divenendo gioiosamente la madre di Lui, è diventata la mediatrice della salvezza dell’umanità.


    E’ divenuta nostra madre anche ai piedi della croce, perché Gesù, morendo, disse che affidava sua madre a San Giovanni e San Giovanni a sua madre. In quel momento noi diventammo figli di lei.


    Il lato più bello della Madonna è questo: quando Gesù entrò nella sua vita, ella si alzò subito e in tutta fretta andò a trovare Santa Elisabetta, per dare Gesù a lei e al suo figlio. E nel vangelo leggiamo che il bambino di Elisabetta “sobbalzò di gioia” a quel primo contatto con Cristo.


    Io penso se, se Gesù è stato capace di prestar ascolto a Maria, anche noi dovremmo essere capaci di prestarle ascolto. Sotto la croce la troviamo mentre condivide la passione di Cristo. Ella viene continuamente nella nostra vita, nella vita del mondo, a portare gioia e pace e a riportarci a Dio.


    Io non sono che un piccolo strumento nelle mani di Dio. Nostro Signore e la Madonna diedero ogni gloria a Dio Padre: sul loro esempio, in maniera molto molto piccola, intendo dare anch’io ogni gloria a Dio Padre.


    Chiediamo a nostra Signora che renda i nostri cuori “miti e umili” come quello di suo Figlio. E’ così facile essere superbi, duri ed egoisti: è così facile! Ma siamo stati creati per cose più grandi. Quanto possiamo imparare dalla Madonna! Ella è stata tanto umile, perché era tutta dedita a Dio. Era piena di grazia. Dite alla Madonna di dire a Gesù: “Non hanno vino; hanno bisogno del vino dell’umiltà e della mitezza, della cortesia e della dolcezza”. Ed ella ci dirà certamente: “Fate tutto quello che egli vi dirà”.



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    auroraageno
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    00 29/07/2011 09:38



    I RICCHI




    Non accontentiamoci di dare del denaro; il denaro non basta, perché uno può procurarselo. I poveri hanno bisogno delle nostre mani per servirli, hanno bisogno dei nostri cuori per amarli. La religione di Cristo è amore, l’irraggiamento dell’amore.


    Ci deve pur essere qualche ragione che spiega perché certe persone possano vivere agiatamente. Devono aver lavorato per quello scopo. Io mi arrabbio solo quando vedo degli sprechi, quando vedo della gente che butta via cose che noi potremmo usare.


    Il guaio è che i ricchi, la gente agiata, molto spesso non conoscono veramente chi siano i poveri; e per questo possiamo perdonar loro, perché la conoscenza li porterebbe solo ad amare e l’amore a servire. Se essi non si sentono toccati dai poveri, è perché non li conoscono.


    Io cerco di dare alla gente povera per amore quello che i ricchi possono procurarsi con il denaro. No, non toccherei un lebbroso per mille sterline, mentre lo curo spontaneamente per amor di Dio!




    (continua)
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    auroraageno
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    00 04/08/2011 20:55



    UNA GEOGRAFIA DELLA COMPASSIONE




    In realtà non c’è molta differenza fra un paese e l’altro, perché sono sempre persone quelle che incontri dappertutto. Le persone possono avere un aspetto diverso, vestire diversamente, avere una diversa istruzione o posizione, ma sono sempre persone, sempre persone da amare, sempre persone affamate di amore.


    Mi sento indiana fin nel più profondo dell’anima.
    Il sari permette alle Sorelle di sentirsi povere tra i poveri, di identificarsi con gli infermi, con i bambini, con i vecchi e con i diseredati. Le Missionarie della Carità, con il loro modo di vestire, condividono lo stile di vita della gente più povera di questo mondo. L’India ha naturalmente bisogno di tecnici, di esperti, di economisti, di medici, di infermiere per il suo sviluppo. Ha bisogno di piani e di un’azione globale coordinata. Ma quanto dovremmo aspettare prima che quei piani producano i loro effetti? Non lo sappiamo. Nel frattempo la gente deve vivere, ha bisogno di qualcosa da mangiare, di cure e di indumenti. Il nostro campo d’azione è l’India attuale. Finché continuerà questo stato di bisogno, continuerà anche la nostra opera.


    Abbiamo raccolto un giovane nelle strade di Calcutta. Aveva ricevuto una ottima istruzione e conseguito vari titoli. Era caduto in cattive mani e gli avevano rubato il passaporto. Dopo un po’ di tempo gli domandai perché aveva abbandonato la famiglia. Mi disse che suo padre non lo poteva vedere. “Non mi ha mai guardato negli occhi fin da ragazzo. Era geloso di me e così io me ne sono andato”. Dopo molte preghiere le Sorelle lo aiutarono a tornare a casa, a perdonare il padre, e ciò è riuscito utile a tutti e due. Questo è un caso di povertà veramente grande.


    Alcune settimane fa venni a sapere che una famiglia – una famiglia indù – non mangiava da alcuni giorni, così presi un po’ di riso e andai a trovarla. Non avevo ancora fatto in tempo a rendermi conto di dove ero, che la madre di quella famiglia aveva già diviso il riso in due parti e ne aveva portato una metà alla famiglia accanto, che era mussulmana. Allora le domandai: “Quanto ne avrete a testa? Siete in dieci a dividere quel poco di riso!...”. Ma ella mi rispose: “Neppure loro hanno da mangiare”. Questa è vera grandezza.


    In Calcutta le nostre Sorelle e i nostri Fratelli lavorano per i più poveri fra i poveri, che non sono benvoluti, non sono amati, sono malati e muoiono, per i lebbrosi e i bambini piccoli; però posso dirvi che in questi ventitrè anni non ho mai sentito un povero lamentarsi, imprecare o sentirsi miserabile. Ricordo che una volta raccolsi dalla strada un infelice ch’era quasi divorato dagli insetti, e lui disse: “Sono vissuto come un animale per le strade, ma morirò come un angelo, amato e curato”. E morì come un angelo… una morte molto bella.



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    auroraageno
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    00 10/08/2011 18:18


    Una ragazza arrivò un giorno in India per unirsi alle Missionarie della Carità. Noi abbiamo una regola secondo cui le nuove venute, il giorno dopo il loro arrivo, devono recarsi alla Casa dei Moribondi. Perciò dissi a quella ragazza: “Hai visto il prete durante la santa messa, hai visto con quale attenzione e amore ha toccato Gesù nell’ostia. Fa’ lo stesso, quando andrai alla Casa dei Moribondi, perché è lo stesso Gesù che troverai là nei corpi consunti dei nostri poveri”. Partirono. Dopo tre ore la nuova venuta tornò e mi disse con un largo sorriso, un sorriso quale mai avevo visto: “Madre, ho toccato il corpo di Cristo per tre ore”. Io le domandai: “Come? Che cosa hai fatto?” Ella rispose: “Quando siamo arrivate, hanno portato un uomo che era caduto in un canale di scarico e che era rimasto là per un po’ di tempo. Era coperto di ferite, di sporcizia e di insetti; io l’ho ripulito e sapevo che, così facendo, stavo toccando il corpo di Cristo”.


    Alcune persone arrivarono a Calcutta e, prima di partire, mi pregarono: “Ci dica qualcosa che ci aiuti a vivere meglio”. E io dissi loro: “Sorridete gli uni agli altri; sorridete a vostra moglie, a vostro marito, ai vostri figli, sorridetevi a vicenda – poco importa chi sia quello a cui sorridete – e questo vi aiuterà a crescere nell’amore reciproco”. Allora uno di quelli mi domandò: “Lei è sposata?” e io gli risposi: “Sì, e qualche volta trovo difficile sorridere a Lui”. Ed è vero: anche Gesù può essere molto esigente, ed è proprio quando egli è così esigente che è molto bello rispondergli con un gran sorriso.


    Mentre visito le nostre case in India, passo delle ore meravigliose con Gesù in treno.


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    La sofferenza nei campi dei rifugiati è grande. Essi sembrano tutti un unico grande Calvario, dove Cristo è ancora una volta crocifisso. C’è bisogno di aiuti, ma se non ci sarà perdono, non ci sarà èace e questo è vero anche per Belfast e il Vietnam.


    A Melbourne abbiamo una casa per alcolizzati privi di famiglia, e un giorno uno di loro fu gravemente ferito da un altro. Io pensai che fosse il caso di chiamare la polizia e la facemmo avvertire. Venne un poliziotto e domandò a quell’uomo: “Chi è stato a conciarvi così?”. Quello cominciò a raccontare ogni sorta di bugie, ma non volle dire la verità e fare il nome di chi lo aveva ferito, tanto che il poliziotto fu costretto ad andarsene senza poter far niente. Noi gli domandammo: “Perché non ha detto alla polizia chi è stato a farle del male?”. Egli mi guardò e disse: “La sua pena non avrebbe diminuito la mia”. Aveva taciuto il nome del suo compagno per non farlo soffrire. Quanto bello e quanto grande è l’amore della nostra gente! L’amore che irradia fra loro è un miracolo continuo.


    Alcuni mesi fa nelle strade di Melbourne abbiamo raccolto un uomo che era stato percosso. Era un alcolizzato cronico, che si trovava da anni in quella situazione, e le Sorelle lo portarono nella loro “Casa della Compassione”. Il modo con cui esse lo trattavano e le premure che avevano per lui gli rivelarono improvvisamente una cosa: “Dio mi ama!”. Lasciò la casa, non toccò più l’alcool, fece ritorno alla sua famiglia, ai suoi figli, al suo lavoro. Poi, quando ricevette il primo salario, ritornò dalle Sorelle, lo consegnò loro e disse: “Voglio che siate per altri l’amore di Dio come lo siete state per me”.


    In un quartiere di Melbourne ho visitato un vecchio, che sembrava dimenticato da tutti. Diedi uno sguardo alla sua stanza e la trovai in condizioni spaventose. Volevo pulirla, ma lui mi diceva: “Va bene così”. Non gli risposi e alla fine lui lasciò che io dessi una ripulita.
    C’era là una bella lampada, coperta da una polvere di anni. Gli domandai: “Perché non l’accende?”. “E per chi dovrei accenderla?” rispose. “Da me non viene nessuno e io non ho bisogno di accenderla”. Gli domandai ancora: “L’accenderebbe se una Sorella venisse a trovarla?”. Rispose: “Sì; se sentirò una voce umana, l’accenderò”. Il giorno dopo mi mandò a dire: “Dica alla mia amica che la luce ch’ella ha acceso nella mia vita sta ancora splendendo”.



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    Le Sorelle stanno facendo piccole cose a New York, aiutano i bambini, visitano le persone sole, gli infermi, gli abbandonati. Ora noi sappiamo che il fatto di essere abbandonati è il male più grande di tutti. E’ questa la povertà che qui troviamo attorno a noi. In una delle case visitate dalle Sorelle una donna, che viveva sola, era morta da parecchi giorni allorché finalmente la gente se ne accorse, perché il cadavere aveva cominciato a corrompersi. Non sapevano neppure come si chiamasse. Qualcuno mi ha detto che le Sorelle non hanno avviato alcuna attività grandiosa e che compiono silenziosamente piccole opere; ho risposto che, anche se aiutassero una sola persona, avrebbero già fatto abbastanza; Gesù sarebbe morto per una sola persona, per un unico peccatore.



    ***



    Il ministro della corte imperiale di Addis Abeba mi ha fatto alcune domande inquisitorie:
    - Che cosa volete dal governo?
    - Niente; sono soltanto venuta a offrire le mie Sorelle, affinché possano lavorare fra la gente povera e sofferente.
    - Che cosa faranno le sue Sorelle?
    - Noi serviamo gratuitamente e senza compenso i più poveri tra i poveri.
    - Quale lavoro specifico sanno svolgere?
    - Cerchiamo di portare un po’ di amore e un po’ di tenerezza e di compassione agli emarginati, a coloro che non sono amati.
    - Predicate alla gente, cercando di convertirla?
    - Le nostre opere di amore rivelano ai poveri sofferenti l’amore che Dio ha per loro.



    ***



    In Inghilterra avete uno stato assistenziale, però io sono andata girando di notte, sono entrata nelle vostre case e ho trovato della gente che moriva senza amore. Qui avete un altro tipo di povertà, una povertà di spirito, una povertà fatta di solitudine e di emarginazione. E oggi è questo il male peggiore del mondo, non la tubercolosi o la lebbra. Penso che in Inghilterra la gente abbia bisogno di conoscere di più chi sono i poveri. Qui la gente dovrebbe offrire il proprio cuore per amare i poveri e anche le proprie mani per servirli. Ma non lo potrà fare se non li conosce, mentre la conoscenza guiderà ad amare e l’amore a servire.


    Qui in Inghilterra e in altri luoghi, a Calcutta, Melbourne, New York troviamo delle persone sole, che sono conosciute unicamente in base al numero del loro appartamento. Perché non entriamo là? Sappiamo veramente che là c’è qualcuno, forse nella stanza accanto alla nostra? Forse vi abita un cieco, che sarebbe felice di sentirsi leggere qualche pagina di giornale; forse vi abita un ricco, che non ha nessuno che vada a trovarlo; magari possiede un mucchio di altre cose, quasi vi affoga dentro, ma non possiede quel contatto umano e ha bisogno del vostro contatto. Qualche tempo fa un uomo molto ricco è venuto da noi e mi ha detto: “Per favore, venite a casa mia, lei o qualcun altro. Sono quasi mezzo cieco e mia moglie sta dando i numeri; i nostri figli sono tutti emigrati e moriamo di solitudine. Abbiamo un gran desiderio di sentire il suono di una voce umana”.


    Non accontentiamoci di dare del denaro. Il denaro non basta, perché uno se lo può anche procurare; la gente ha bisogno del vostro cuore, ha bisogno di un po’ d’amore. Perciò irraggiate amore ovunque andate e anzitutto nella vostra propria casa. Amate i vostri figli, vostra moglie o vostro marito, il prossimo che abita accanto a voi.


    Mi chiedete come vedrei il compito delle Missionarie della Carità se fossi una suora o un sacerdote nel Surrey o nel Sussex. Ebbene, il compito della Chiesa in questi luoghi è molto più difficile di quello che noi stiamo affrontando a Calcutta, nello Yemen o altrove, dove la gente ha bisogno di qualche benda per le proprie ferite, di una ciotola di riso e di un abbraccio affettuoso, di qualcuno che dica loro che sono amati e considerati. Nel Surrey e nel Sussex i problemi della vostra gente sono molto più profondi e giacciono nel fondo del loro cuore. Essi devono arrivare a conoscervi e ad aver fiducia in voi, a vedervi come persone che portano la compassione e l’amore di Cristo, prima che i loro problemi emergano e voi possiate aiutarli. Ciò prende molto tempo! Tempo per voi, per essere persone di preghiera, e tempo da donare a ogni individuo della vostra gente.




    (continua)




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    auroraageno
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    00 13/08/2011 19:48



    SCHIAVE VOLONTARIE DELLA VOLONTA’ DI DIO




    “Ama il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il comandamento del grande Iddio, che non può comandare l’impossibile. L’amore è un frutto di stagione in tutti i tempi e alla portata di qualsiasi mano. Ognuno può afferrarlo e farlo proprio senza alcun limite. Ognuno può raggiungerlo attraverso la meditazione, lo spirito di preghiera e di sacrificio e con una intensa vita interiore.


    Non c’è limite nell’amare, perché Dio è amore e l’amore è Dio, per cui ami veramente Dio, quel Dio il cui amore è infinito. Ma il difficile sta nell’amare e nel dare fino a soffrire. E qui sta la ragione del fatto che non è tanto importante quel che fai, quanto piuttosto la quantità di amore che mettiamo nei nostri doni. Per questo le persone, - forse anche molto ricche – incapaci di dare e di ricevere amore, sono le più povere tra i poveri. E io penso che questo sia invece quanto le nostre Sorelle posseggono: la capacità di irraggiare gioia, come vedete in molte religiose che si sono donate senza riserva a Dio.


    La nostra attività è soltanto l’espressione dell’amore che nutriamo per Dio. Dobbiamo riversare il nostro amore su qualcuno, e la gente è il mezzo per esprimere il nostro amore per Dio.
    Abbiamo bisogno di trovare Dio, ma Dio non può essere trovato nel rumore e nell’agitazione. Dio è l’amico del silenzio. Guardate come la natura – gli alberi, i fiori e l’erba – cresce in silenzio; Guardate come le stelle, la luna e il sole si muovono in silenzio. La nostra missione non è forse quella di dare Dio ai poveri che vivono nei bassifondi? Non un Dio morto, ma un Dio vivo e pieno di amore. Quanto più riceviamo nella preghiera silenziosa, tanto più possiamo dare nella nostra vita attiva. Abbiamo bisogno di silenzio per poter entrare in contatto con le anime. La cosa essenziale non è quella che diciamo noi, ma quel che Dio dice a noi e attraverso di noi. Tutte le nostre parole saranno inutili, se non vengono dal di dentro; le parole che non irraggiano la luce di Cristo aumentano solo l’oscurità.


    Il nostro progetto nella santità dipende da Dio e da noi stesse, dalla grazia di Dio e dalla nostra volontà di essere sante. Dobbiamo avere una determinazione veramente viva di raggiungere la santità. “Voglio essere una santa” significa che voglio spogliarmi di tutto ciò che non è Dio, che voglio staccare il mio cuore da tutte le cose create, chevoglio vivere in povertà e distacco, che voglio rinunciare alla mia volontà, alle mie inclinazioni, ai miei capricci e alle mie fantasie, per fare di me stessa una schiava vivente della volontà di Dio.




    (continua)
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    auroraageno
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    00 15/08/2011 21:38




    AMATE LA PREGHIERA




    Signore, facci degni di servire i nostri fratelli in mezzo al mondo, che vivono e muoiono nella povertà e nella fame. Da’ loro oggi attraverso le nostre mani il loro pane quotidiano, e dona loro pace e gioia attraverso il nostro amore e la nostra comprensione.


    Signore, fa’ di me un canale della tua pace,
    fa’ che, dove c’è odio, possa portare amore,
    dove ci sono torti, possa portare lo spirito del perdono,
    dove c’è la discordia, possa portare l’armonia,
    dove c’è l’errore, possa portare la verità,
    dove c’è il dubbio, possa portare la fede,
    dove c’è la disperazione, possa portare la speranza,
    dove c’è buio, possa portare la luce,
    dove c’è tristezza, possa portare la gioia.


    Signore, concedi che io mi sforzi di confortare, più che di essere confortata;
    di capire, più che di essere capita;
    di amare, più che di essere amata;
    perché
    solo dimenticandoci ritroviamo noi stessi,
    solo perdonando, noi siamo perdonati,
    solo morendo, noi risorgiamo per la vita eterna.


    Mio Signore, fa’ che oggi e tutti i giorni io possa vederti nella persona dei tuoi infermi e, mentre curo loro, serva te. Anche se ti nascondi dietro la figura poco attraente del permaloso, dell’esigente, dell’irragionevole, fa’ che possa riconoscerti egualmente e dire: “Gesù, paziente mio, quanto è dolce servirti”.
    Signore, dammi questa fede perspicace, e allora il mio lavoro non sarà mai noioso. Proverò sempre gioia nell’assecondare le voglie e nel soddisfare i desideri di tutti i poveri sofferenti.
    O infermi amati, quanto mi siete doppiamente cari, quando personificate Cristo; e quale privilegio è il mio di potervi assistere!
    Dolcissimo Signore, fa’ che io apprezzi la dignità della mia alta vocazione e le sue molte responsabilità. Non permettere mai che la disonori dando via libera alla freddezza, alla scortesia o all’impazienza.
    O Dio, dal momento che sei Gesù, mio paziente, degnati anche di essere un Gesù pieno di pazienza per me, sopporta le mie mancanze, guarda solo alla mia intenzione, che è quella di amarti e di servirti nella persona di ognuno dei tuoi infermi. Signore, aumenta la mia fede, benedici i miei sforzi e il mio lavoro, ora e sempre.






    Signore, aiutaci a vedere nella tua crocifissione e risurrezione un esempio di come dobbiamo sopportare e morire nell’agonia e nei conflitti della vita quotidiana, in maniera che possiamo vivere più pienamente e più creativamente. Tu hai accettato con pazienza e umiltà i contrattempi della vita umana, nonché le torture della crocifissione e della passione. Aiutaci ad accettare le pene e i conflitti di ogni giorno quali occasioni per maturare come persone e diventare più simili a te. Rendici capaci di sopportare ogni cosa con pazienza e con coraggio, fidando nel tuo aiuto. Facci capire che solo morendo continuamente a noi stessi e ai nostri desideri egoistici diventiamo capaci di vivere più pienamente, perché è solo morendo con te che possiamo con te risorgere.


    ***



    Non è possibile impegnarsi nell’apostolato diretto senza essere anime di preghiera. Dobbiamo essere coscienti della nostra stretta unione con Cristo, così come lui era cosciente della sua stretta unione con il Padre.
    La nostra attività è veramente apostolica solo nella misura in cui gli permettiamo di agire in noi e attraverso di noi con la sua forza, i suoi desideri e il suo amore. Dobbiamo diventare santi non perché vogliamo sentirci santi, ma perché Cristo deve poter vivere pienamente la sua vita in noi. Dobbiamo essere tutto amore, tutta fede, tutta purezza per amore dei poveri che serviamo. E una volta che avremo imparato a cercare Dio e la sua volontà, i nostri contatti con i poveri diventeranno il mezzo per raggiungere una grande santità per noi e per gli altri.


    Amate la preghiera, sentite spesso il bisogno di pregare durante il giorno e trovate il modo di farlo. La preghiera dilata il cuore fino a renderlo capace di contenere il dono che Dio fa di se stesso. Chiedete e cercate, e il vostro cuore diventerà grande a sufficienza per riceverlo e trattenerlo come qualcosa di proprio.


    Diventiamo tutte un tralcio genuino e fruttuoso della vite Gesù, accettandolo nella nostra vita così come a lui piace di venire.

    come la verità – che dobbiamo dire;
    come la vita – che dobbiamo vivere;
    come la luce – che dobbiamo accendere;
    come l’amore – che dobbiamo amare;
    come la via – che dobbiamo percorrere;
    come la gioia – che dobbiamo dare;
    come la pace – che dobbiamo diffondere;
    come il sacrificio – che dobbiamo offrire nelle nostre famiglie e nel nostro vicinato.


    Nella Santa Comunione abbiamo Cristo sotto le apparenze del pane. Nel nostro lavoro lo troviamo sotto le apparenze della carne e del sangue. Ma è sempre lo stesso Cristo.


    La Messa è il cibo spirituale che mi sostiene e senza il quale non potrei vivere un solo giorno o una sola ora della mia vita; nella Messa abbiamo Gesù sotto le apparenze del pane, mentre nei bassifondi vediamo Cristo e lo tocchiamo nei corpi affranti e nei bambini abbandonati.


    La gioia è preghiera – la gioia è forza – la gioia è amore – la gioia è una rete di amore con cui potete catturare le anime.
    Dio ama il datore gioioso.
    Dà di più chi dà con gioia.
    Il modo migliore di mostrare la nostra gratitudine a Dio e alla gente è di accettare ogni cosa con gioia. Un cuore gioioso è il risultato inevitabile di un cuore ardente di amore.
    Non permettete che niente vi riempia di tristezza, fino al punto di farvi dimenticare la gioia di Cristo risorto.
    Aspiriamo tutti ardentemente al cielo, dove c’è Dio, ma possiamo essere in paradiso con lui già ora ed essere felici con lui già in questo stesso momento. Ma essere felici con lui già ora significa:
    amare come lui ama,
    aiutare come lui aiuta,
    dare come lui dà,
    servire come lui serve,
    redimere come lui redime,
    essere con lui ventiquattro ore su ventiquattro,
    toccare lui nei suoi umili travestimenti.



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    Sii lodato sempre, Signore, per questo dono di luce!