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UNA GEOGRAFIA DELLA COMPASSIONE




In realtà non c’è molta differenza fra un paese e l’altro, perché sono sempre persone quelle che incontri dappertutto. Le persone possono avere un aspetto diverso, vestire diversamente, avere una diversa istruzione o posizione, ma sono sempre persone, sempre persone da amare, sempre persone affamate di amore.


Mi sento indiana fin nel più profondo dell’anima.
Il sari permette alle Sorelle di sentirsi povere tra i poveri, di identificarsi con gli infermi, con i bambini, con i vecchi e con i diseredati. Le Missionarie della Carità, con il loro modo di vestire, condividono lo stile di vita della gente più povera di questo mondo. L’India ha naturalmente bisogno di tecnici, di esperti, di economisti, di medici, di infermiere per il suo sviluppo. Ha bisogno di piani e di un’azione globale coordinata. Ma quanto dovremmo aspettare prima che quei piani producano i loro effetti? Non lo sappiamo. Nel frattempo la gente deve vivere, ha bisogno di qualcosa da mangiare, di cure e di indumenti. Il nostro campo d’azione è l’India attuale. Finché continuerà questo stato di bisogno, continuerà anche la nostra opera.


Abbiamo raccolto un giovane nelle strade di Calcutta. Aveva ricevuto una ottima istruzione e conseguito vari titoli. Era caduto in cattive mani e gli avevano rubato il passaporto. Dopo un po’ di tempo gli domandai perché aveva abbandonato la famiglia. Mi disse che suo padre non lo poteva vedere. “Non mi ha mai guardato negli occhi fin da ragazzo. Era geloso di me e così io me ne sono andato”. Dopo molte preghiere le Sorelle lo aiutarono a tornare a casa, a perdonare il padre, e ciò è riuscito utile a tutti e due. Questo è un caso di povertà veramente grande.


Alcune settimane fa venni a sapere che una famiglia – una famiglia indù – non mangiava da alcuni giorni, così presi un po’ di riso e andai a trovarla. Non avevo ancora fatto in tempo a rendermi conto di dove ero, che la madre di quella famiglia aveva già diviso il riso in due parti e ne aveva portato una metà alla famiglia accanto, che era mussulmana. Allora le domandai: “Quanto ne avrete a testa? Siete in dieci a dividere quel poco di riso!...”. Ma ella mi rispose: “Neppure loro hanno da mangiare”. Questa è vera grandezza.


In Calcutta le nostre Sorelle e i nostri Fratelli lavorano per i più poveri fra i poveri, che non sono benvoluti, non sono amati, sono malati e muoiono, per i lebbrosi e i bambini piccoli; però posso dirvi che in questi ventitrè anni non ho mai sentito un povero lamentarsi, imprecare o sentirsi miserabile. Ricordo che una volta raccolsi dalla strada un infelice ch’era quasi divorato dagli insetti, e lui disse: “Sono vissuto come un animale per le strade, ma morirò come un angelo, amato e curato”. E morì come un angelo… una morte molto bella.



(continua)