"Sconosciuto e' qualcuno
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"MA COME TU RESISTI, O VITA?" * - riflessioni quotidiane a cura di Mariapia Veladiano

Ultimo Aggiornamento: 30/06/2012 09:44
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21/05/2012 11:06





Desiderare


È tutto.
Ci muove, adolescente furia d'esistere, ci porta da molte parti, tutta la vita ora in un punto, ora in un altro, appena più in là o in fondo in fondo all'orizzonte forse intravisto, o immaginato, ma sentito potente dentro di noi. A volte immobili, costretti dal tumulto che ci mescola corpo e spirito, spaventati dal furore, desiderio di tutto, voler visitare gli antipodi e doverci fermare davanti al bisogno del primo che incontriamo, e poi del secondo, perché tutto sia perfetto, desiderio di paradiso, e nessuna offesa sia taciuta, e ogni possibile nostra parola di consolazione sia detta, e anche i pozzi scavati, e le scarpe messe ai piedi di chi è senza, perché anche lui possa alzarsi e seguire il suo desiderio, a volte solo quello di poter esistere, solo quello per lui, e allora ancora un desiderio ci porta, di aggiustare il mondo, e portare fiori e scrivere storie che raccontino il bene che abbiamo, le ingiustizie da avversare, il coraggio da insegnare.
E certo, è un unico avvolgente esser uomini e donne, desiderare un amore, un figlio, anche orfani di chi non abbiamo saputo aiutare, esser padri e madri gli uni gli altri, desiderare la vita, la vita, la vita.
«Si dovrebbe voler essere un balsamo per molte ferite». (Etty Hillesum)




Mariapia Veladiano

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22/05/2012 07:56



Arrendersi



Non si può.
Per noi, forse, vorremmo, quando la stanchezza è tanta e non si vede la sua fine. La nostra vita può sembrarci troppo provata, o abbastanza data. Vien concesso a qualcuno di vivere intensamente, con un coraggio che non si sa di avere, nelle mille chiamate di chi ha solo noi in cui sperare. È una grazia che può consumare.
Viene il giorno in cui si ha l'impressione di essere traccia, lasciata per pochi, in terra o nel ricordo, per poco anche quello. E si resiste finché il cuore ci basta e la malinconia non scava in noi maschere che interrogano e ci sentiamo soli.
Però può essere che tocchi attraversare notti lunghissime, e temere ogni sorta di caduta, vassalli e mai cavalieri, e non sapere il proprio valore, bersagli di chi passa e sa dove andare mentre noi no. E nessuno sembra aver bisogno di noi.
Qui è più forte la tentazione. E ci sembra di aver ragione.
Non so se le notti son per tanti così nere, né se la resa si mostri a tutti con la promessa paga e noncurante di una pace quale che sia.
Ma non si può, perché per tutti questa è l'unica assoluta nostra preziosa vita, e quel che è giusto c'è ancora chi lo aspetta, e non ha visto il principio del suo essere eterno.
Si può esser stremati e cercar compagnia. O solitudine. Ma arrendersi no.




Mariapia Veladiano

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23/05/2012 09:38



Raccontare



C'è stato un tuo antenato, un bis bis bis antenato, si è sposato ormai già vecchio, quasi non ci credeva che ancora potesse capitare, qualcuno dice che gliel'abbiano procurata la tua bis bis bis antenata, di certo quel giorno, raccontano, cantava. Ma i figli sono arrivati, una covata come allora succedeva. Tre andati presto in cielo, come foglie portate, due in guerra, uno rimasto sottoterra, straniera.
Troppo dolore si può pensare. Ma il filo ancora c'era, e anche la cosa nuova, la cosa vecchia e i fiori per l'altare.
E molti nomi fu necessario assegnare, i più ricordavano gli angeli custodi già partiti, per non dimenticare. E si coltivavano le viti accoppiate ai pioppi, perché nulla andasse perduto della festa che ci aspettava.
Poi venne ancora la tempesta e qualcuno scappò, qualcuno rimase, i più furono presi, o silenziosi, ma nuovi patti furono stretti. Chi portò il pane, chi lavorò calzetti per la neve, chi mangiò messaggi, come il santo profeta col rotolo divino. E anche l'ira fu santa, verso chi aveva in odio la vita, e questi e gli altri trovarono salvezza.
Qui sei nato tu, un nome nuovo ti chiama e tutto è riconsegnato, mai perduto, e le storie che puoi raccontare possono alzare argini all'offesa e di nuovo ancora permettere di cantare.




Mariapia Veladiano



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24/05/2012 08:00





Esserci



Noi ci siamo. Non è scontato. Né qui né altrove. Un istante e poi il coro di chi resta potrà recitare salmi di meraviglia: era giovane, certo anziana ma stava bene, ha due figli, non si sa mai quando capita. Come se morire fosse una sorpresa, eccezione alla regola di un restare perenne.
C'è del vero in questo pensare un po' sprecone la nostra vita, che tanto il tempo ce l'abbiamo. C'è il desiderio che questo continui, promessa raccolta da chi ci ha regalati, nel nascere, e accuditi, e amati fino a morire e poi risorgere, lo crediamo anche chi non crede, perché è così la vita, vuol essere per sempre, e lo sfogliamo, il desiderio, nelle parole date e avute: un'altra mattina e un'altra ancora noi aspettiamo.
Per questo l'oscurità quando arriva ci sorprende, e con le mani gelate ci tocca dire parole e se chi è partito lo abbiamo amato, ci sembra di vederlo ancora nel suo camminare un po' piegato, la schiena che si gira proprio appena l'abbiamo visto, da lontano, e in mille vite lo cerchiamo, ma non è lui, eppure ci sentiamo
accompagnati, inesauribile presenza a volte proprio come era vivo, prima di andare.
E con la gioia nuova di saper la vita un po' già risorta, si ha la forza di dire a chi oggi incontriamo: noi ci siamo, per te e per noi, ci siamo
.



Mariapia Veladiano


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25/05/2012 07:23



Ricordare



Non è bene ricordare tutto, è una malattia. Ma ricordare nulla è un peccato, e nella classifica dei peccati, è il primo, e il più grave, dimenticare. Che c'è stato chi ci ha fatto volare da bambini, e ci ha ripreso sicuro, voltando la paura in allegria, che non abbiamo meritato tutto, ma lo stesso abbiamo avuto, e insieme agli affetti anche tutti i dispetti portiamo con noi, ferite benedette che mi dicono non sei Dio, il mondo siamo tanti.
C'è poi da ricordare chi è vissuto troppo poco per avere una storia da lasciare, e chi non ha avuto testimoni, perché gli altri erano tutti spettatori ben accomodati da qualche parte.
Per questi chi sa scrivere deve scrivere, storie più lunghe del loro essere stato, con parole vere perché sono nostre, di chi sa che possiamo dire e fare perché c'è chi ce l'ha permesso a caro prezzo, e per questo ha lasciato la vita e davvero dimenticare è peccato mortale. E non abbiamo bisogno dei tanti giorni comandati per ricordare.
È un'arte divina il ricordare, che contiene la grazia del dimenticare, perché se si ricordano le colpe, chi si può salvare? Ed è divina perché chi non c'è più è qui ancora, e possiamo sentirci dentro il suo risorgere.
Ma a noi attenti, «La bocca del passato non parla se l'orecchio del presente non ascolta». (Karl Barth)




Mariapia Veladiano

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26/05/2012 11:40



Lavorare



Ci vuole il corpo. Occhi, mani, piedi, ovvio. Poi intelligenza, equilibrio, volontà, buona volontà, e anche questo è ovvio. Poi la dignità. E qui tocca fermarsi, perché il lavoro rende liberi è stata bestemmia immonda e pronunciarla è indecente.
Adesso il lavoro è purchessia. Per poco, per caso, per raccomandazione, comunque arrivi, ad ogni prezzo, ad ogni tempo. La vita è altrove.
E giù e giù e giù per la malebolge dei diritti e della dignità, nelle mani di ruffiani e seduttori, adulatori e lusingatori, simoniaci, indovini, astrologhi e streghe, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri di frode, scismatici e seminatori di scandali, e falsari di metalli, di monete, di persone di parole. Tutto già stato e già scritto. Ma non sempre, non in ogni luogo, non per sempre si deve vivere piegati di rimorsi per quel che permettiamo.
Non c'è libertà che non sia anche quella materiale dal bisogno e il lavoro lo vogliamo però adesso che il lavoro che cerchiamo non c'è, possiamo rovesciare il mondo e diventare esigenti sul lavoro che inventiamo. Più leggero sulla terra, più insieme e meno contro, più libero, più nostro. Un ricominciare che i giovani amano fare, un viver di poco, di quel tutto che ci basta. Essere liberi, donne e uomini
.



Mariapia Veladiano


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28/05/2012 01:09





Vedere (1)



Certo che li abbiamo visti, con la coda dell'occhio e il fastidio nel cuore. Per come si muovevano non c'era modo di evitarli: da un canale all'altro, da un giornale all'altro, anche nei settimanali ci si inciampava, hai un bel voltar pagina veloce, spesso ne occupavano due e li abbiamo pure sentiti, in macchina alla radio, anche le frequenze occupavano.
Certo che sono poveri, ma in fondo se la son voluta. Hanno tutto, a saper vivere: oro, petrolio, diamanti e uranio. Ma fanno la guerra invece degli affari e anche in questo non sono poi così bravi. Non vince mai nessuno e poi arrivano da noi, perché siamo qui, terra di mezzo comoda come una passerella. Ma Lourdes è da un'altra parte, e anche Santiago, glielo dite una buona volta. Vogliono udienza. Ma grazieadio che ci sono le stagioni e non arrivano tutti e un po' ci restano, e in fondo, non si vuol dire perché sembra male, ma invece è meglio anche per loro, almeno hanno smesso di soffrire, in fondo tutti si deve morire.
E poi, che vita avrebbero avuto qua, non c'è posto per tutti, non sanno la lingua, ci rubano il lavoro, e le figlie, disturbano il passeggio nei centri storici, così belli.
Se la costruiscano, la loro storia.
Certo che li abbiamo visti, con la coda dell'occhio e la vergogna nel cuore
.



Mariapia Veladiano


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29/05/2012 08:01



Vedere (2)



Dal basso. Tre metri sotto la nostra dignità. Difficile vedere.
Ma proviamo.
Intanto è sottinteso che se si volesse davvero veder tutto alla fine non si vedrebbe niente. Sotto sotto bisogna scegliere, altrimenti non si vive, tutte queste disgrazie e poi a scavare bene ce n'è per tutti. Si nasce che si sta bene, non è poi colpa nostra e i ricchi e i poveri ci saranno sempre. Sotto sotto comunque ci si adatta a tutto e le ricerche ci dicono che i più poveri sono anche più felici, si accontentano di poco. Chi ha di più, ha più preoccupazioni e non può star quieto. A scavare bene si capisce che è una condanna aver qualcosa.
In fondo c'è tanta confusione nella vita. Piace al diavolo dicono, ma si sa che in fondo non ci crede nessuno.
È che ogni tanto si deve un po' affiorare per prender fiato e si scopre con sgomento che il mare può continuare a essere blu, vivo, anche se sotto non ci sono più madrepore e coralli ma solo rovine di battelli inumati. E sulle colline oltre la spiaggia i fiori continuano a fiorire senza sforzo alcuno.
E vien voglia di andare a riva finalmente e camminare scrollando la gogna di non voler vedere, di non saper commuoversi.

Perché la vita non finisce. Struggente e necessaria. A cosa altro si può obbedire se non a tutte le vite del mondo?




Mariapia Veladiano


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30/05/2012 07:01



Vedere (3)



Vedere dall'alto è un bel sollievo.
Intanto, niente odori. E si può gonfiare il torace finalmente. Bello largo. Poi non ci toccano. Tutta questa promiscuità. Sette miliardi siamo, qualcuno si riproduce in modo irresponsabile. E anche le orecchie hanno tregua: tutti a lamentarsi, e parlare. E infine dall'alto abbiamo le giuste proporzioni.
Son piccoli piccoli. Forse non sono nemmeno come noi. Diversi, per razza, lingua, vestiti, cucina, vocazione. C'è chi vince e c'è chi perde, la legge della vita.
Le migrazioni ci sono sempre state, le invasioni barbariche noi le abbiamo studiate. E alla fine, chissà cosa c'è di vero in tutto questo drammatizzare.
Poi capita che la tempesta ci fa precipitare. E può essere grazia.
Perché, respinti fino all'orlo dell'ira, non avranno tregua al rancore, né noi alla colpa, se non ci troveremo un giorno accomodati di fronte a guardarci negli occhi a raccontare il nostro aver troppo volato fino ad essere ciechi.
Non sempre si arriva fin dentro la terra promessa della nostra comune umanità. Anche la Scrittura racconta eroi che non ce la fanno. Ma non rassegnarci al deserto dei sentimenti, non rimpiangere il nostro tronfio non capire, e poter dire a chi incontriamo: «Questa è la nostra terra. Felice che almeno tu la possa abitare».



Mariapia Veladiano

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31/05/2012 10:06





Vedere (4)


Come un contemplare.
«Vedere la grande capacità e rotondità del mondo in cui vive tanta gente così diversa» (S. Ignazio di Loyola).
E ci raggiunge la vita di tutti, lasciandoci storditi di tradimenti subiti, stremati di traversate con il sale sulle mani, con le gambe come sassi, in fila ad aspettare, e sabbia e cemento respirare, in corsa a scappare da nemici che son d'altri ma mi spingono da tutte le parti, e potrei morire per il troppo sentire, come ieri sono morti in venti, solo quelli che qualcuno ha contato, ma son molti più, e lo so come si sa la vita tutta intera, se solo la si ascolta e non si scappa, per non trovarsi commossi per eccesso di mondo, che arriva forte e chiaro come un grido nella sera e turbati da una tenerezza che non sa la vergogna, felici di sentire come si sente con il corpo nell'amore che ogni vita è la mia vita e non c'è felicità possibile se il mondo intorno a me si apre e sprofonda e così, non per un attimo che passa, non per solo sentimento e nemmeno per comandamento, ma perché ovunque noi siamo anche tutti quelli che incrociamo oppure sono da qualche parte e siamo fatti un po' più divini, nel portare.
Un vedere ci trasfigura e non si sa come, l'allegria diventa nostra, e un po' anche di tutto il mondo.




Mariapia Veladiano

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01/06/2012 08:55





Ciechi



A diventare ciechi si impara duramente. È un apprendistato minuto e quotidiano. Tutt'occhi sono i bambini. Ditini sfoderati che vedono lontanissimo, perennemente stupiti, curiosi, arrabbiati anche, di volere andare e toccare quel che è nuovo e vivo. Capricci che dicono la verità sul bisogno umano di non chiudere gli occhi.
Eppure si impara a camminare fra ali di ignoto, ignorato. Amnesie rituali e irrituali frutto di un addestramento tenace che comincia presto presto.
È il genitore che attraversa la strada all'opposto del lato in cui lontano, da molto lontano anche lui, vede il povero.
E forse non sa di essere stato scritto nel Vangelo.
È il telegiornale che della miseria fa panino, fra uno scandalo e un gossip. Babele delle immagini in cui si frullano bene e male e tutto diventa implacabile e normale.
È anche il nostro bene, curato e ben difeso, con annesso garage sempre più grande, terrazza per le feste, recinti bene alzati.
E anche questo è stato scritto: Gli idoli degli uomini sono argento e oro, opera delle mani loro. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono. Sia come loro chi li fabbrica.
Finché l'operazione diventa perfetta e si finisce con il non vedere nemmeno la nostra aspra, egoista e solitaria infelicità
.



Mariapia Veladiano


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02/06/2012 09:40





Bugie



Ormai son cose di bambini. O di antiquari, a voler essere appena un po' colti.
Accomodare la verità al proprio scopo è saper vivere, essere diplomatici, a volte delicati, politici, accorti, avveduti, addirittura buoni e misericordiosi, a risparmiarci il vero. E così si dice e sdice, vertigine infernale in cui le parole son solo male. È un subdolo convincersi che in fondo non è niente, dire ieri e oggi negare. In fondo, chi ci crede?
E si va sicuri del proprio contraffare, recita in cui la parte ci è assegnata, spettatori, lì a guardare e a pensare che in fondo il meglio che potremo sperare è domani recitare, sullo stesso palcoscenico, in ossequio al nostro prevalente, quale non conta davvero niente, purché il pubblico ci sia.
E intanto vivere scontenti, aspettar domeniche in cui lavare auto da immacolare, incespicando in giorni disattesi, a credersi in fondo non poi così male, perché intorno è tutto un replicare, e la confusione ci fa dormire.
Qualcuno ogni tanto che lo annuncia, con parole solenni e ben calcolate, che qui muore la fiducia, e poi il nostro diritto di valere, la bellezza di credersi, e anche la speranza che ci sia sponda al nostro cercare, la pace di affidarsi.
Ma ormai bene addestrati, dopo un po' di ascoltare ci diciamo che in fondo, appunto, anche questo è solo un parlare.




Mariapia Veladiano

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04/06/2012 11:40





Ombre



Capita di dover vivere con un'ombra che ci precede nel nostro andare, sempre. È la ferita che non si lascia dimenticare. Spesso la conosciamo, con il suo corredo di gesti subiti, parole precise, odori che non si disperdono più.
A volte invece può venire da lontano e noi nemmeno lo sappiamo. È un segreto di famiglia, protetto col silenzio, perché non faccia male ai bambini, che arrivano alle spalle in un frullare di passi senza quasi muovere l'aria e subito si deve tacere.
Ma c'è sempre il giorno in cui ci sfiora quasi senza peso la parola sfuggita, e spariglia l'ordine dei nostri anni. E improvvisamente sappiamo di esistere da prima di essere nati, perché un abbandono antico di due generazioni ci dà quel soprassalto nella notte, e ci muove i piedini verso il letto grande, a contare se tutti e due son lì, a rimediare oggi al partire di allora. Oppure, una povertà che non sappiamo rappresentare ci attraversa e vogliamo penne, colori, quaderni e libri che qualcuno lontano ha solo sognato. E vestiti anche.
Oppure finalmente scopriamo, per esteso e per minuto, da dove arriva la malinconia che ci è compagna, e la guardiamo con una dolcezza nuova, perché non è tutta nostra, e ci sembra più leggera.
Rinascere non ci è dato, ma esser parte di una storia ci dà un posto in cui trovar riposo
.



Mariapia Veladiano


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05/06/2012 08:24





Porte



Negli incubi succede che sono tante, tutte chiuse, e la salvezza sta nell'aprire quella giusta, se c'è.
Uguale alle altre, inesplorata allo stesso modo. E così si cerca un segno. Vogliamo un segno, come nella vita: se mi telefona, se supero il concorso, se trovo il posto al parcheggio, se l'analisi è negativa. Poi non basta. I segni non bastano mai, nel sonno e nella vita.
Negli incubi spesso si corre, inseguiti da noi stessi che dormiamo o da chissà quale apparizione, e a volte una di quelle porte si spalanca al nostro fianco, il sollievo di qualcuno che ha deciso finalmente per noi, o ci affidiamo al caso e ne apriamo una, spalancata in corsa, e non abbiamo il tempo di sapere quel che facciamo. Nel sonno e nella vita.
E si cade, un precipitare atteso da sempre. La paura ci è vicina nella vita e nel sonno, e non c'è scampo. Si cade, si cade, agitando braccia e gambe, muoversi inutile, gridare senza suono, e chi mai ha messo le porte? Trabocchetti al nostro desiderio. Di andare, e non sapere dove, eppure volere, dovere, perché fermi si muore.
E poi forse solo cadendo fino in fondo e nel cadere ad occhi finalmente aperti ci si scopre a casa nel letto, sulla chaise longue in giardino, in spiaggia a vedere il vicino e a dire: «È bello il giorno oggi, e sembra anche nuovo»
.



Mariapia Veladiano


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06/06/2012 10:16



Sottolineature



Capita di tutto al mondo. Si deve ben decidere ogni giorno cosa evidenziare. Non si può fissare ogni stormir di foglia. I ragazzi a scuola lo sanno: imparato da soli o addirittura insegnato. Prendono il testo nella sua uniforme linda omogeneità ed evidenziano in giallo quel che è essenziale, in rosa quel che è accessorio, in rosso le date da mandare a memoria.
Bianco è l'inutile.
Vale a dire lo scorrere del tempo fra un evento e l'altro, il ragionare di cause ed effetti, il filo sottile delle parentele letterarie e familiari, che fan diventare quel che siamo, noi e i grandi che studiamo. E poi la vita materiale, le divagazioni sul mutare dei costumi, e della poetica, le colture, le case, il cibo, il lavoro, il posto delle donne. Tutto bianco, si può saltare. Un poco si salva il gossip, colorato di rosa-accessorio e a volte anche con gusto: le petit Lever du Roi, gli amori infelici dei poeti. Qualcosa su cui sospirare.
Così nella vita nostra.
Ad essere distratti, ci si trova già belli sottolineati. Senza nessuna storia, che ingombra la memoria. Solo effetti, perché le cause non sono da studiare, basta il gesto "che mi viene", la parola del momento.
La bellezza di pagine non sottolineate, libri da poter prestare, e anche regalare
.



Mariapia Veladiano

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07/06/2012 11:38





Scarti


Oggi gli scarti son moltitudine.
Si scarta il cibo ormai passato, ed è un vero peccato innaturale, nuovo, che passa inosservato, come quelli che fan tutti e non si vedono quasi più.
Per i vestiti la coscienza è già più chiara. Scartati, i vestiti vengono solennemente recuperati, certo, da qualche parte altrove, e saperlo o immaginarlo ci fa sentire un po' più buoni. In fondo, non erano nemmeno così sciupati.
Con le ipotesi andiamo tranquilli. Le abbiamo scartate tutte, per non sbagliare, e le certezze, poche e fidate, ci tengono compagnia, un cerchio selezionato che tutti ci cinge e rassicura. Certi che chi viene scartato dalle fabbriche non saremo noi, né dalle pensioni o dalle liquidazioni, e che nella media che ogni giorno consultiamo, noi avremo sempre il pollo intero ben saldo per le zampe. E poi, di sicuro, le zampe le scartiamo.
C'è poi chi di scarti ci vive. Moltitudini intere, ci mostra la tv, cose da non vedere, che allora la paura davvero può arrivare. Ottocentomilioni, ufficiali, li hanno contati. Come li potremo contenere se la furia loro dilaga, le coste nostre sono infinite, gli eserciti ormai esangui e le parole umane quasi scordate?
Pietre scartate saranno le testate d'angolo del nostro futuro. E che la loro umanità sopravanzi la nostra e ci perdoni.






Mariapia Veladiano

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08/06/2012 09:39



Ricordi



Ci sono ricordi troppo grossi, che occupano tutta la testa e trovano presto la strada per arrivare alla gola e sul principio semplicemente non abbiamo più potuto pensare, poi un poco alla volta cominciamo anche a non respirare.
Èl'amore che non c'è più, partito o scappato, del tutto svanito.
Così svanito che forse non è mai esistito e il dubbio è più cattivo del dolore. E dei rimpianti, per non aver detto quel che sentivamo, nel tempo che si lasciava contare con i minuti e i secondi e i giorni sorgevano e tramontavano con durate quasi uguali. Adesso questo passare di stanze trapuntate tutte di ricordi aguzzi che tagliano l'anima restituisce un tempo così indifferente al nostro misurare che ci si chiede di quale marmo sia fabbricato.
Ed è già notte quando si capisce che il giorno è andato e intanto non lo abbiamo vissuto, e non ci sarà mai più il sollievo allegro di gratitudine per i rumori che lo riportano a casa, amore questa volta rubato ancora giovane, indecente sottrarre al nostro accudire, dopo averlo generato. Un altro ricordare che non si può nemmeno sfiorare.
Eppure, anche soli, nei silenzi offerti al divino eterno ascoltare, da un nostro luogo di luce arrivata, viene un esser grati, per quel tanto che si è avuto e con noi rimane
.



Mariapia Veladiano

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09/06/2012 11:02





Angoli



Ai bambini piacciono, e c'è il buon motivo. Vivere il mondo dal basso ha i suoi pericoli e a poche spanne dal pavimento il muoversi sicuro di chi intanto è grande e briga, con l'indifferenza di chi crede di ben sapere il proprio potere, suscita un corteo di sentimenti incerti. Tutti confusi nella mente piccina e se la paura di non valere è potente, le spalle al muro permettono almeno il sognare, che ci porta a volteggiare, sopra i grandi che non ci vedono, punto nero in fondo all'occhio loro, alto volare nel nostro cielo per noi.
Però si deve conoscere il giorno del nostro solenne entrare nella vita intera, agile muoversi nel centro degli affetti, chiamati, voluti, cercati quando ci siamo nascosti, e persi, perdonati, abbracciati, addormentati, sfiniti di corse e di paure, visti alla fine e al principio visti, ci siamo, grazie al cielo, a voi, a tutti noi, per tutti ci siamo e ora giustamente austere angoliere hanno preso il nostro posto, con il corredo ben posato di foto autorizzate, che raccontano la nostra vita intera. Fuori, al centro della stanza e altrove.
Questo ci dice l'amico che si china:
«Dall'angolo si può partire, e ogni tanto ci puoi ritornare, ma in mezzo alla vita bisogna andare».




Mariapia Veladiano

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10/06/2012 10:11



Specchi


Forse conoscono le nostre brame, ma di certo sono più esperti di paure.
Sono dappertutto: in camera, e ci sta, in bagno, e ancora va bene, in atrio, in salotto, dentro l'anta dell'armadio, dietro la porta del garage, in ascensore, in auto sul tergisole e quasi ci si scaravolta, negli astucci delle ragazze a scuola, e dei ragazzi per equità, e poi in borsa, in corsa sul tram dell'università, e nel cassetto del lavoro, e poi smilzo e stretto sul retro del rossetto, e della copertina dura di un diario, ancora di scuola, e nello zainetto, dove spenzola al passo, riflettendo a volte il cielo a volte la terra. Tutti lì a guardarsi, un vedersi senza gioia. Pauroso moltiplicarsi di un sé giovane e adulto e sempre più adulto e poi vecchio che non trova pace.
Un guardar solo se stessi. Il mondo intorno scorre, entra ed esce dal nostro vedere riflesso, ora un passante, talvolta un amante, più a lungo un figlio se viene. A tutto dar le spalle, senza parer di volere e come fosse normale.
E quel che appare e scompare alla fine è solo virtuale. È per me infine lo specchio, per la mia vita così curata, evitata, detestata, solo in frammento sentita.
Se gli specchi si rompono si parla di maledizione. Ma è più vero che si tratta di una liberazione. Cadono in terra e così finalmente il cielo lo vediamo.




Mariapia Veladiano

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12/06/2012 08:28



Nomi



Nessun nome nostro è solo nostro.
Alcuni nomi portano naturalmente e con grazia la memoria di un nonno, a volte uno stormo intero di antenati, e insieme l'eredità di un corpo che è stato: gli occhi blu malandrino di un bisavolo, le dita eleganti di un nonno, il ciuffo ostinato di uno zio.
Altri nomi tengono il capo di un filo di storie che non si lasciano dimenticare. Una santa poverella fatta grande dal suo credere e qualcosa di quel mistero sentiamo di portarlo. Oppure un re col suo corteo di guerre, e forse il nostro arco sempre teso è un ricordo del suo combattere. O sono storie di famiglia, un bisavolo impettito nel ritratto della leva, una nonna di cui sappiamo la grafia limpida come la traccia di una cometa e vien voglia di riordinare il mondo.
Altri nomi ancora portano un dolore dentro e a volte lo curano come un regalo che non si aspetta. Un nostro affetto è partito troppo presto, una vita nuova ci fa rinascere al domani e il nome è il tempo che si mescola all'eterno.
Certo veniamo da lontano e non è strano sentirsi un po' abitati, forse anche accompagnati. Ma quando oggi il nostro nome viene chiamato, siamo noi che rispondiamo.
Ogni nostro nome è solo nostro per quel frammento di eternità nel quale ci appartiene
.



Mariapia Veladiano



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