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"AVVENTURE" - Riflessioni quotidiane di Roberto Mussapi

Ultimo Aggiornamento: 01/10/2012 11:06
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18/08/2012 08:37


FRAGILI E IRONICI


«Ho capito, per quanto mi riguarda, che la mia ironia non era una conseguenza del mio amor vitae, bensì della mia paura o attrazione o comunque inevitabilità della morte, un modo per prepararla». Alberto Bevilacqua, uno dei nostri grandi scrittori, definisce la natura profonda dell'autentica ironia. Che soprattutto di questi tempi, grazie a una caduta di stile della comicità, nei libri, in televisione, al cinema, può essere fraintesa, e addirittura malintesa, quando la si confonda con il sarcasmo. Radicalmente opposto, basato su rancore e sprezzo, non conoscente sorriso. L'ironia è un atteggiamento che Bevilacqua descrive anatomicamente: nasce dalla coscienza della morte, dalla sua ineluttabilità e inevitabilità. Questo sgomento porta l'uomo fragile a un atteggiamento pessimista e
rinunciatario, muove l'uomo valoroso a esaltare la bellezza fugace della vita, l'uomo riflessivo a comprenderne la relatività. La vita terrena ha un limite, e quindi è opportuno tenerne conto, non assolutizzare eventi, fatti, persone, ma saperli guardare con un occhio relativista, consapevole della loro natura effimera. Ciò che Bevilacqua però elegantemente omette (e sottende), è che l'ironia, proprio in quanto tale, è anche manifestazione di amore per la vita, accolta nella sua ineffabile fragilità.



Roberto Mussapi


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20/08/2012 06:01

IL PRESENTE CONTA


«Il passato è passato» disse il chimico. «Muore come le bestie brute. Chi viene a parlarmi delle tracce lasciate nella mia vita? Solo un pazzo o un bugiardo!».
Charles Dickens è uno di quei supremi scrittori che nella loro opera rappresentano il mondo come un polifonico teatro. Come nel grande teatro, qui mette in scena un atteggiamento ricorrente: il rifiuto dell'appartenenza alla storia e al tempo. Ogni essere umano nasce individuale, unico, questo è certo. Ma il passato, le condizioni storiche, sociali, culturali, influiscono sulla sua formazione, rendendolo per molti aspetti affine ad altri suoi contemporanei e diverso da uomini vissuti in altre epoche o in paesi lontani. Ciò condiziona, ma non cancella per nulla l'essenza individuale di ogni persona. Il debole però teme questa realtà, preoccupato di dimostrare la propria eccezionalità. Teme il passato, il peso di una storia che non sente totalmente individuale, teme anche il proprio passato, che in quanto tale ha una dimensione di oggettività che lo fa sentire prigioniero. Perché il debole ha paura del presente: rifiuta il passato, altrui e proprio, proietta fantasticherie nel futuro, essendo incapace di affrontare il presente, l'unica dimensione che conta: contiene il passato, oggettivato, e il futuro, mai procrastinabile
.



Roberto Mussapi


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21/08/2012 12:16


LA LETTURA DEL MONDO



«Dicono che a causa di quel grande incendio il colore della pelle degli Etiopi divenne scuro, e che la Libia divenne un deserto in quell'occasione, per l'evaporazione definitiva e irrimediabile di tutti gli umori». Nelle Metamorfosi il poeta Ovidio interpreta la natura come frutto di storie. In questo caso l'aridità del deserto e il colore della pelle degli etiopi sarebbero conseguenze della tragedia di Fetonte, figlio del sole, che, scalpitante e incosciente per la giovane età, volle guidare il carro del padre, e non essendone capace precipitò in mare bruciando la terra. Molti credono che l'interpretazione fiabesca, mitologica della realtà del mondo sia una prerogativa delle civiltà definite primitive. Invece questa lettura del mondo è all'origine anche della nostra civiltà occidentale. I miti greci, da una parte, e
nel ben più pragmatico Occidente della Roma di Augusto, il poeta Ovidio descriveva il volto del mondo con lo stesso atteggiamento dei narratori aborigeni della Nuova Guinea o dell'Africa nera. L'interpretazione scientifica degli stessi fenomeni non contrasta minimamente con quella mitica, ma
anzi la conferma. Anche nell'esperienza quotidiana devono convivere due atteggiamenti, uno razionale e dettagliato, uno magico e immaginifico. Solo così la realtà non ci sfugge, sfarinandosi tra le nostre dita.



Roberto Mussapi


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22/08/2012 10:22



LA PERCEZIONE DELL'ALTROVE



«Io devo andare, perché sono simile a un'alga / divelta dagli scogli nelle schiume oceaniche, a salpare / ovunque la sbattano i flutti, o vinca il respiro della tempesta».
In questi versi il grande poeta romantico George Gordon Byron, che elesse l'Italia e Venezia a sua dimora, e andò a morire combattendo per la libertà della Grecia, esprime al massimo grado lo spirito vitale
che anima l'uomo avventuroso. L'eccitazione è preceduta e propiziata dalla presenza dell'acqua, scalpitante come un destriero. L'uomo costruisce le prime civiltà quando inizia a coltivare i campi, e quindi edificare, passando dallo stato nomade alla condizione stanziaria. Necessaria alla nascita dei templi, dei tribunali, delle leggi, dei monumenti. Ma l'essere umano non può divenire sedentario, identificarsi completamente con il proprio luogo di nascita, non provare curiosità verso l'altrove. È sufficiente alzare lo sguardo al cielo, al volo degli uccelli, per comprendere come il nostro luogo di nascita e residenza, la nostra casa, non sono la nostra unica sede. E analogamente il mare o la corrente di un
fiume indicano che sono tante le strade della vita, tanti i percorsi possibili. Non il nomadismo, l'insofferenza che induce a fuggire, ma la percezione dell'altrove, che sola ci consente di incontrare l'«altro».




Roberto Mussapi


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23/08/2012 09:27


DA NOI, MA NON DA NOI



«Sono il mittente e il destinatario / di quanto non è mio, io che all'approdo / ti aiuto al salto. Ma tu, parti o arrivi?». In questi versi lapidari e enigmatici di Piero Bigongiari, uno dei non pochi poeti importanti del ricco Novecento italiano, la condizione umana è fissata, messa a nudo in un momento cruciale dell'essere. In effetti ognuno di noi, mentre agisce con gli altri, mentre parla, comunica, è simultaneamente mittente e destinatario. Ognuno di noi manda, qualcosa, ognuno riceve. Ma non in modo meccanico, nei termini in cui
si regolano gli scambi, io ti invio una email e tu mi
rispondi. No, ognuno di noi è mittente e destinatario di qualcosa che non conosce, di qualcosa che non è nostro, che è più di noi. Nel nostro porci in relazione con gli altri e analogamente con noi stessi, noi inviamo e riceviamo messaggi non prodotti da noi, ma che ci riguardano, e che non potremo mai possedere definitivamente. Non è nemmeno indispensabile alzare gli occhi al cielo, osservare i voli degli uccelli che indicano la mediazione tra due mondi, per sospettare, intuire la presenza di qualcosa che ci trascende. Basta ascoltare noi stessi, in quella strana condizione di solitudine che non è isolamento, di solitudine piena che è nutrita di alterità, che dispone all'incontro con gli altri poiché rivela già in partenza una strana, inspiegabile ma percepita pienezza.



Roberto Mussapi


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24/08/2012 06:53



UN BENEFICO DANNO




«Ora ci siamo incontrati, guardati, siamo salvi, / ritorna in pace all'oceano, mio amore, / anch'io son parte dell'oceano, amore, non siamo scissi, / osserva il grande globo, la coesione di tutto, quanto è perfetta!». Il vertiginoso poeta americano Walt Whitman sta salutando una creatura amata. Abbiamo già incontrato Whitman in queste avventure. È cantore dell'amore cosmico, universale, dell'energia che unifica il mondo. È una delle prove lampanti di come la poesia non sia un optional ma una necessità fisica dell'essere umano. A patto che il poeta non si preoccupi solo della poesia, ma prevalentemente della vita. L'essere amato da cui il nostro Walt si sta accomiatando è una piccola goccia marina: dalla massa dell'oceano ondeggiante venne verso di lui, teneramente, dicendogli che stava per morire, estinguersi, lei piccola goccia, voleva incontrarlo, vedere e toccare, per comunicargli l'energia che ci unifica e affratella
nel creato. Se l'uomo occidentale si risveglia e ricorda che è stato anche questo, Walt Whitman, che l'uomo piangente d'amore per una goccia di mare non è l'indiano Tagore o un mistico tibetano, ma un cantore americano della democrazia, un occidentale, se insomma recuperiamo la nostra anima, sarà un
grave, e benefico danno, per le industrie produttrici di psicofarmaci.



Roberto Mussapi


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26/08/2012 10:34



IL SENSO DELL'INFINITO



«Nella modernità la fiducia illimitata nella tecnica si è andata imponendo come una sorta di pensiero onnipotente che ha portato al disincanto del mondo, cioè al processo attraverso cui la storia si libera delle forze, delle seduzioni e delle casualità della magia e della religione. Eppure, mentre lo prendiamo d'assalto, l'infinito riappare (…)». Limpidissima e necessaria riflessione di Marco Dell'Oro su una questione centrale del nostro tempo. Leggendola mi pare di veder riaffiorare l'infinito nella sua potenza, farsi strada nelle pieghe del quotidiano, facendo finta di niente, certo della sua evidenza, letteralmente infinita, con buona pace di chi finge di non accorgersene. Un capolavoro come Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders tanti, tanti anni fa, quando esisteva ancora il Muro, e la Cortina di ferro, ci faceva vedere il percorso degli angeli, tra cielo e terra. Non sto scrivendo un pezzo per cinefili o intellettuali, sto parlando del mondo metafisico che entra nelle sale cinematografiche piene di gente pagante, come ai tempi di De Sica e Rossellini. Fatti probanti: la pianificazione del mondo operata per distruggere il senso dell'infinito rivela la sua suprema stupidità di fondo. Essendo, l'infinito, il rovello e il dramma anche del non credente onesto, spesso più vivo e anelante del credente conformista.



Roberto Mussapi



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27/08/2012 08:36



PARTE DEL MISTERO


«L'uomo è un roditore, modifica ogni cosa. Lo sfregio del lavoro umano è visibile sull'opera divina. Per l'uomo, l'impossibile è una frontiera che arretra sempre. Egli replica all'infinito scavalcandolo. L'uomo dà l'assalto all'infinito». In pieno Ottocento Victor Hugo ribadisce un'accusa che i poeti e scrittori più avveduti sin dal rinascimento rivolgono all'uomo occidentale (solo quello conoscono): il tentativo di sostituirsi all'infinito. Dal Dottor Faustus di Marlowe al Faust di Goethe, fino al terribile Hyde di Stevenson, grandi autori sottolineano la propensione
nevrotica dell'uomo a sostituirsi a Dio, nel nome di una scienza che invece è nata per danzargli intorno e interpretarne ogni ricamo. Efficace la definizione che Hugo ci propone dell'impossibile come di una frontiera che arretra sempre: nel frattempo l'uomo dimentica che è mortale, che la morte è certa, e quindi varrebbe la pena di giungere alla sua soglia essendosi divertiti un po' di più: vale a dire avendo accettato un po' di più il mistero, l'ignoto, l'impossibile. Come accade in Leopardi, che non trova nulla di ulteriore, nell'infinito, non intravede una nuova sponda oltre le sue brume, ma vive fanciullescamente e virilmente la percezione di esserne posseduto. Di essere parte del mistero, comunque
.


Roberto Mussapi


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28/08/2012 11:00



LE DUE FACCE



«Una vita riuscita è un
sogno di adolescente realizzato nell'età matura».
Questa massima dello scrittore francese Alfred de Vigny è apparentemente lapidaria. Certo è ideale la realtà di una vita che consenta di realizzare, nell'età matura, i sogni dell'adolescenza. Ma dipende che sogni, di quale adolescente. Non sono tra coloro che enfatizzano smisuratamente quell'età della vita: mentre l'infanzia è fatalmente il tempo dell'innocenza, e la virilità deve coincidere con il senso di responsabilità, l'adolescenza è un'età liminare, al confine tra due mondi. C'è l'adolescente che amiamo, Jim, il ragazzo di
Stevenson che parte alla ricerca di un tesoro su un'isola lontana: e poi, superata la prova, ritorna, condivide la conquista, diventa uomo. Non si trasferisce a vita sull'isola, non riparte a casaccio. C'è il tipo di adolescente che
rifiuta ogni modello di società e di ordine, che è perennemente insoddisfatto e inappagato, e non sa che cosa vuole. Questo adolescente rischia di non
saper sognare un vero sogno, e difficilmente diventerà uomo. Come il lettore avrà inteso non sto parlando di famiglie o categorie di adolescenti, i buoni e i cattivi, ma di due facce dell'adolescenza che hanno convissuto e conflitto in ognuno di noi, e sempre faranno in ogni adolescente futuro. Solo una deve trionfare.



Roberto Mussapi


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29/08/2012 10:02



L'Anima è potente



«Non credo che l'anima si sciolga completamente dal corpo (…) L'unione col corpo si allenta quel tanto che basta per dare più gioco all'anima, che si raccoglie in se stessa e recupera la sua capacità di elevarsi». È un passaggio dalla riflessione sul sogno di Joseph Addison, pensatore settecentesco citato da Borges nel suo Libro di sogni. E particolarmente interessante il ruolo centrale attribuito all'anima, così forte da non
cedere quando il corpo cade vinto dal sonno. L'uomo si interroga sul sogno dal giorno in cui fu tale e non più ominide. Ma il Novecento ha visto dominare in Occidente una concezione meccanica del sogno, tendente a privarlo della sua natura misteriosa, in ultima analisi inafferrabile, natura che
i veri artisti conoscono dai tempi di Altamira. Qui, in questo pensiero fatto proprio da Borges che lo antologizza e adotta, il sogno è la prova della potenza dell'anima. La prova che il mondo fisico, la cui realtà è inconfutabile, non esaurisce lo spazio e la natura della realtà. Non si tratta, ripeto, di sottovalutare la realtà fisica, con tutto ciò che consegue, ma semplicemente di essere certi che non è l'unica, anche nella vita di tutti i giorni. Sapere che l'anima è potente, che il nostro corpo non è solo, può essere un ottimo antidoto all'abbattimento, la sfiducia, la depressione, malattie del nostro tempo.




Roberto Mussapi

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30/08/2012 10:29



LA MANCANZA DI DIO



«Indizi nascosti della trascendenza»: secondo il teologo francese Claude Geffré il nostro tempo si riconosce perché rivela in filigrana questi indizi. «Una sorta di "prova" di Dio a contrario, non a partire dai segni evidenti della sua presenza ma, piuttosto, dalle vestigia della sua assenza». Sono d'accordo con questa lettura capace di superare il catastrofismo apocalittico che a volte può tentare chi, come me, da sempre sostiene le ragioni del sacro e accusa il Novecento di averne sancito l'eliminazione. I danni della desacralizzazione del mondo sono evidenti. In generale una prospettiva di vita svuotata della presenza del sacro si ritrova priva di speranza sin dall'inizio. Ma credo, con Geffré, se non fraintendo il suo pensiero, che Dio sia ineliminabile anche «nel tempo», che insomma la sua presenza permanga anche quando una civiltà, una cultura se ne vogliono sbarazzare: se stiamo attenti non registriamo tanto l'«assenza», quanto la «mancanza» di Dio. Mancanza significa ricordo e desiderio, quand'anche inconfessati. E inoltre: meglio un senso del sacro e del divino messo alle strette e alle corde, che una religiosità quieta, trionfante e priva di domande e dilemmi. Certo, la visione desacralizzata del mondo, la morte di Dio impoverisce l'uomo. Ma lo mette anche nella condizione di ricordare, reagire, resistere. Tre sinonimi del verbo «esistere».


Roberto Mussapi

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31/08/2012 07:27



NESSUN CANTO È SOLITARIO


«E non c'è scuola di canto che non sia indagare / i monumenti della nostra gloria: / così io feci vela sul mare e venni / alla sacra città di Bisanzio». Questi quattro versi di una delle massime poesie del Novecento, e di sempre, Navigando verso Bisanzio , di W. B. Yeats, condensano una sapienza abissale: noi non possiamo cantare (quindi fare poesia, musica, ma anche ricordare, celebrare) se non rievocando i monumenti della nostra gloria: ognuno di noi ricorda e celebra i momenti gloriosi della specie umana. Nessun canto è solitario, anche se può accadere, e spesso accade, che resti magari a lungo inascoltato. Esiste una memoria, un canto universale, in cui tutti siamo concordi: quando l'ominide alzò lo sguardo dal suolo, scrutando l'orizzonte, per cercare oltre, e divenne bipede, quando imparammo a accendere e controllare il fuoco, quando piangemmo alla morte di un simile e lo seppellimmo, quando dipingemmo le prime immagini sulle pareti di una grotta. Anche chi non
conosce questi momenti della nostra storia, per mancanza di cultura in materia, inconsciamente li rivive: ed ecco che, ancora inconsciamente, sogna di riviverli eternamente, salpando verso un mondo di oro eterno. Non l'oro del valore materiale, ma quello che rappresenta, tornando a Yeats, "l'artificio dell'eternità".



Roberto Mussapi

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02/09/2012 11:10


Coraggio quotidiano


«La storia universale altro non è, in sostanza, che la storia dei grandi uomini e degli eroi». Potrebbe sembrare anacronistica, oggi, questa affermazione di Thomas Carlyle, potente pensatore scozzese dell'Ottocento. Non è così. Gli ultimi quarant'anni del Novecento, hanno visto, più che il ridimensionamento, la derisione della figura dell'eroe. «Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi» è uno slogan che si afferma nel secolo, uno slogan falsamente democratico e in sostanza insulso. Gli eroi sono grandi uomini, non tromboni. Lo stesso secolo che li nega, si regge sulle gesta degli eroi: gli inglesi che resistono a Londra sotto i bombardamenti, i Partigiani, il carabiniere Salvo d'Acquisto, e poi Gandhi, e Martin Luther King, e gli africani che lottarono contro il colonialismo, e poi Walesa, e poi Gorbaciov, e Teresa di Calcutta, e Karol Wojtyla, e il Dalai Lama, e Falcone e Borsellino e don Puglisi e Calipari…Come sopravviveremmo, senza di loro, senza l'esempio? In ognuno di noi sonnecchia un eroe, mescolato con un pigro, un prudente, potenzialmente un vile. Gli eroi destano in ognuno di noi il loro simile, ci svegliano, ci accendono. Non a divenire a nostra volta eroi, —sarebbe un sogno nobile e fanciullesco— ma a vivere coraggiosamente la nostra esperienza quotidiana.


Roberto Mussapi


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03/09/2012 11:03


Nulla di insensato



«Le figure e la loro storia, o parvenza di essa, appartengono all'irrevocabile segreto del passato, ma tutte ho sentito emblematiche di qualcosa di noi, del nostro tempo».
Nella sua introduzione a Dall'ombra, la grande scrittrice Lalla Romano ci consegna questa straordinaria sentenza sul senso e il significato del passato. Chi conosce la sua opera sa che in quel contesto tale nodo di pensiero è cruciale, ma le affermazioni importanti degli scrittori sono universali solo se valgono al di fuori del contesto: e qui ci si svela come le figure della nostra memoria, intendo le immagini delle persone amate, o conosciute, o incontrate, hanno valore e vita grazie al segreto del passato. Il tempo passato custodisce i segreti di quelle vite entrate in contatto con la nostra vita. Ma vivono, hanno senso, solo se e in quanto sono emblematiche di qualcosa di noi, riguardano non accidentalmente e casualmente il nostro presente. Una figura (un'ombra, un mobile, un paesaggio, ma soprattutto una persona) non muore mai perché custodita, protetta, santificata dal passato, che è un regno misterioso e segreto. Che ci proietta quella figura, quel volto, quell'espressione, quel gesto, ora, all'improvviso, nel nostro presente. Nulla del nostro tempo e della nostra vita va perduto, nulla è vuoto e privo di senso.



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04/09/2012 10:09


Il miracolo dell'altro



«A coloro che soffrono, bisogna parlare di se stessi, a coloro che hanno la mente lucida, bisogna parlare del mondo che stanno per abbandonare». Tutta l'opera di Jorge Luis Borges, è tessuta su incanto e sapienza. Chi soffre non è in grado di guardare il mondo con sufficiente tranquillità. La sofferenza chiude l'uomo in se stesso, il dolore genera un isolamento entro i confini della propria persona. Se parli a chi vive il dolore devi parlargli di te stesso, che gli sei accanto, affinché senta, a livello elementare, immediato, quasi fisico, la presenza di un altro, l'unica consolazione possibile in quei momenti. La prima conseguenza del dolore, in tutte le sue manifestazioni e accezioni, dalla sfera fisica a quella psichica — peraltro interconnesse — è la perdita di fiducia nella realtà. La percezione di uno che parla di sé è il miracolo dell'“altro”, della compagnia. Ma l'altro non basta a chi sta bene, vive serenamente e con lucidità: all'uomo sereno e lucido devi parlare del mondo. Che sta per lasciare, poiché la vita mortale ha un termine. L'uomo che non soffre deve conoscere il mondo in cui vivrà rapidamente come un fiore, per goderlo e ammirarlo. Così la sua mente si riempirà di conoscenze e stupori, compensando, nella fraternità della specie umana, la lotta di chi si aggrappa alla compagnia di un altro.


Roberto Mussapi

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05/09/2012 07:07



Qualcuno, oltre, ascolta



«Perché dove splende il sole/ e dove batte la pioggia/ un bimbo non può mai patire la fame/ né la miseria atterrire la mente». Versi finali di una lirica di William Blake, poeta visionario inglese. La poesia si intitola Giorno dell'ascensione, e in questo giorno di santa unione tra il cielo e la terra, il poeta orienta lo sguardo rasoterra. Le grida tremule dei bambini non sono canti, paiono belati di agnelli sacrificali, sacrificati, scrive Blake, dalla freddezza e dall'usura. Per quei bambini il sole non splende mai, i campi per loro sono tetri e spogli, il loro cammino è cosparso di spine, e dura eternamente l'inverno. In un giorno santo, non è una violenza dissacrante vedere uno spettacolo di agonia e morte? Non è troppo crudele il contrasto tra la gioia dell'ascensione e lo strazio dei bambini che muoiono di fame? Ciò che un poeta vede nel XVII secolo, nell'Inghilterra industriale padrona del mondo, si moltiplica, anziché diminuire, nel corso del tempo. Un scrittore africano, vivente, Chinua Achebe, riprenderà il verso «dove batte la pioggia» come titolo di un suo romanzo, per indicare l'Africa di oggi. Esiste un modo poetico di scandalizzarsi che va oltre, che sta chiedendo, non docilmente, rabbiosamente, ma certo che Qualcuno, oltre, ascolta.


Roberto Mussapi


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06/09/2012 10:36



L'amore maturo



«È quando sta nascendo, del resto, che l'amore ha un fascino inesplicabile». Parole di Don Giovanni, nella versione di Molière. Tutt'altro che disinteressate: il più famoso seduttore di tutti i tempi sta giustificando la propria smania di incessanti conquiste femminili. Ma Don Giovanni è un mito, non una maschera della Commedia dell'Arte. Un tipo tragico, simbolo di un'inquietudine perenne. La frase riportata ha un senso profondo, che va ben oltre le avventure del famoso seduttore. Sempre l'amore ha un fascino inesplicabile, misterioso, quando si manifesta, nella sua fase nascente. Ciò non riguarda solo il sentimento tra due persone, ma l'amore nella sua accezione più vasta: un'amicizia, l'incontro con una città o un luogo o una nuova realtà: la persona da poco conosciuta, la visione di Roma, o Venezia, o Brooklyn o Istanbul che non conoscevi direttamente, il concerto degli U2 grazie a un invito, per caso e per la prima volta. Questa fase nascente di un amore, di ogni amore, è traboccante di fascino perché piena di mistero, di non conoscenza. L'amore sarà maturo, sarà pianta, quando l'altro, il suo oggetto, perso il fascino dell'ignoto, ma conosciuto, col tempo, nei suoi pregi e nei suoi limiti, resterà però per sempre, senza ragione, misteriosamente ignoto, sconosciuto, inarrivabile.


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07/09/2012 10:16



Il custode del segreto



«Nulla è misterioso per un uomo di mare se non il mare stesso, l'amante che signoreggia la sua intera esistenza, inscrutabile come il destino. Quanto al resto, dopo le ore di lavoro, un'occasionale passeggiata o un'occasionale baldoria a terra sono più che sufficienti a rivelargli il segreto di tutto un continente, e generalmente egli trova che il segreto non valeva la pena d'essere conosciuto». Joseph Conrad, il grandissimo scrittore inglese nato in Polonia, e poi, causa esilio in gioventù, diventato capitano della marina inglese e maestro della lingua di Shakespeare, individua qui un aspetto centrale della condizione umana. Il mare è metafora dell'ignoto, traversarlo simboleggia la nostra vita sulle onde del destino. L'uomo che per professione attraversa il mare lo conosce, condizione per sopravvivervi. Immaginiamo che meta del suo viaggiare sia una terra lontana e sconosciuta, il che corrisponde a verità, ma parziale: in tre ore passate in una taverna o nel porto o nella via principale di una città o un villaggio fino a quel giorno sconosciuti, il marinaio fa piena conoscenza di quel nuovo paese. Che per lui non ha mistero. Il custode del segreto è il mare: non era la meta, il porto, l'inconsapevole attrazione, ma il mistero del luogo su cui si viaggia, traversandolo, l'acqua, lo specchio, l'ignoto sotto di noi.


Roberto Mussapi

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09/09/2012 07:31



La saggezza e l'istante



«L'età avanzata non è più qualificata della gioventù, a dettare precetti (…) è più quello che ha perduto di quanto ha acquistato. È lecito dubitare che per il solo fatto di vivere l'uomo impari qualcosa che abbia un effettivo valore». Henry D. Thoreau, lo scrittore americano, in anni cruciali per l'Occidente, a metà dell'Ottocento, e non nel secondo decennio del terzo millennio, mette in crisi un luogo comune. Che l'età renda l'uomo saggio. A mio parere è uno dei luoghi comuni più infondati: non ho mai conosciuto un uomo che da vecchio fosse più saggio o intelligente di quanto non fosse a trenta o quarant'anni. Non considero, ovviamente, i casi di cedimenti psicofisici, che non fanno testo, parlo di persone perfettamente sane e lucide. Ho sempre registrato la tendenza a ripetere serialmente e apoditticamente sentenze che un tempo erano capaci di confronto, dialettica. I vecchi saggi esistono nelle fiabe mediocri, o in una certa apologetica di misticismo orientale: ma a ben vedere il vecchio saggio taoista o buddista era sapiente anche da giovane. La saggezza non è nell'accumulo di anni, ma nel modo in cui si vive ogni istante. In quel caso allora il vecchio è più saggio: non perché è vissuto più a lungo, ma perché è vissuto “di più”. La quantità conta, allora, perché esalta il ripetersi della qualità
.


Roberto Mussapi


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10/09/2012 10:46



Avventurosi e semplici


«Ulisse mi aveva eletto, lo comprendo ora. Mi chiamava all'insaziabile ricerca delle terre umane e di quelle inabitate, alla fame di racconti e di poesia». Piero Boitani è uno dei massimi intellettuali europei, autore di opere fondamentali che spaziano tra Dante, Shakpeare e la poesia del Novecento. Ma al cuore della sua opera, e quindi nel cuore del suo cuore, la figura di Ulisse, che si presentò al giovane Piero come modello e guida, da allora per sempre. Si intitola infatti Sulle orme di Ulisse il libro da cui è tratta questa frase semplice e sapienziale. Ulisse non è un personaggio storico, è frutto dell'invenzione di un poeta. Ma esce subito dal libro, entra nella vita del suo lettore. Che ci insegna, come un saggio taoista, che noi dobbiamo ammirare i personaggi in cui vediamo qualcosa di fondamentale per la nostra vita. E l'ammirazione non può esaurirsi in se stessa, ma suscitare un senso, umile, generoso, di emulazione. Ognuno di noi dovrebbe sognare e cercare terre umane, popolate da fratelli sconosciuti e altre inabitate dall'uomo: il cielo, l'abisso del mare, lo spazio interiore: se saremo avventurosi e semplici come il giovane Boitani che partì di slancio alla ricerca del tesoro, quello spazio interiore si rivelerà, all'improvviso, non vuoto. Pieno, traboccante. Di mistero, naturalmente.


Roberto Mussapi


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