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Riflessioni: I CATTOLICI E LA POLITICA

Ultimo Aggiornamento: 06/10/2012 17:01
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06/10/2012 16:09

Permalink: www.zenit.org/article-32527?l=italian

I cattolici e la politica
(Prima parte)

I caratteri di una "spiritualità politica" cristianamente ispirata

di padre Paolo Scarafoni, L.C. Rettore della Università Europea di Roma

ROMA, giovedì, 13 settembre 2012 (ZENIT.org) -
Il consumarsi delle esperienze cattoliche nell’ambito politico ed economico, verificatosi negli ultimi venti anni in Italia, non è la loro bocciatura o il loro fallimento. Esso significa piuttosto un compimento, un naturale esaurimento. Tali esperienze hanno realizzato un grande bene per la nazione, con un respiro universale, di autentica ricerca del bene comune. Restano come modello d’ispirazione per intraprendere nuove esperienze in un mondo che è cambiato.

Da un punto di vista della storia dell’impegno dei cattolici siamo ora all’inizio di una fase simile a quella dell’Opera dei Congressi, che è stata un grande coordinamento tra le realtà cattoliche presenti in Italia, durato trent’anni anni dal 1874 al 1904, al tempo di Leone XIII, il Papa dell’enciclica sociale Rerum Novarum.

L'Opera dei Congressi e dei comitati cattolici coinvolgeva tutte le iniziative cattoliche associative, e nei Congressi si sono creati uno spazio ed un tempo di grande libertà di riflessione, di espressione e di progettazione; ogni categoria sociale faceva i suoi Congressi. C’erano tante iniziative cattoliche nel sociale, nell’agricoltura, nel lavoro, nell’impresa e nel credito; non prevaleva la mentalità della corsa alla carica politica. Gabriele De Rosa ha realizzato uno studio molto accurato di questo periodo (Storia del movimento cattolico, Bari 1962).

Possiamo dire che proprio il dibattito libero tra i cattolici favorito dall’Opera dei Congressi, ha permesso di superare posizioni tendenti all’integralismo e di giungere a maturare una robusta laicità della politica da parte dei cattolici, specialmente con l’esperienza del Partito Popolare del primo dopoguerra (cfr. G. De Rosa, Storia del Partito Popolare Italiano, Bari 1966) e poi con l’altra e diversa esperienza della Democrazia Cristiana del secondo dopoguerra.

Sul quel modello, adesso lo spirito di Todi è la formazione di una nuova classe politica di giovani che deve maturare prima di tutto nel sociale (agricoltura, nuove tecnologie, banche, professioni, sindacato, imprese e mondo del lavoro autonomo, ong, ecc.).

I giovani di oggi partono da una posizione svantaggiata perché in questa fase non hanno riferimenti, non fanno grandi esperienze sociali, e non sono protagonisti di trasformazioni sociali; questo significa che se non si offre loro la possibilità di fare esperienze significative non saranno in grado di pensare ad un grande progetto per il paese, per l’Europa e per il mondo intero.

Oggi, nel declino della Seconda Repubblica, in una situazione di scelte “trasversali” della maggioranza dei cattolici impegnati, va ripreso il cammino di nuove riflessioni tra tutti e di avvio di nuove esperienze nel campo sociale ed economico (le riflessioni di Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate hanno suscitato forte impatto, proprio in questa direzione); e tutto ciò non esclude in principio la formazione di una compagine politica chiaramente identificata come cattolica.

La riflessione parte necessariamente dal bilancio positivo di un grande ciclo, di una grande esperienza del cattolicesimo politico: l’eredità da non perdere della grande cultura della mediazione politica cristiana. È importante riconoscere il livello della “grande politica” che si è riusciti a concepire e attuare (ricostruzione nazionale e non di parte; idea dell’Europa; idea della cassa del mezzogiorno; programmazione democratica). È stata messa in atto una grande operazione dello stato. I cristiani hanno fatto bene.

Vanno poi messi in evidenza i principi ispiratori che sono sempre validi. A monte c’è una solida spiritualità cristocentrica, basata sui misteri della incarnazione, della passione e morte e della risurrezione di Cristo, a garanzia della freschezza del servizio dei cristiani per il mondo. Deve essere ripreso con vigore lo spirito della Gaudium et Spes con la nascita di un nuovo entusiasmo di andare verso il mondo per il suo sviluppo (da non confondere con l’ottimismo oggi fuori luogo proprio del tempo del documento conciliare). Ci deve essere una simpatia verso il mondo, una amorevolezza verso tutti.

Gli interventi del magistero di Paolo VI, Giovanni Paolo II, fino a quelli di Benedetto XVI segnano gli sviluppi mondiali e gli impegni concreti auspicabili da parte della Chiesa e dei cristiani; essi sono punti fermi e molto chiari a cui ispirarsi per collaborare allo sviluppo del mondo. La città terrena è oggi completamente inserita in una realtà secolarizzata nella quale sono presenti i cristiani. E’ indispensabile il rispetto delle minoranze, religiose e culturali, riconoscendo che non è sufficiente che una legge sia votata a maggioranza perché essa sia una buona legge.

E’ necessario porre anche il problema della distinzione tra l’agire in quanto cristiani a livello di evangelizzazione e l’agire da cristiani a livello di partecipazione civile nell’ambito delle differenti istituzioni pubbliche.
Questo non significa affatto un dualismo tra spirituale e temporale, ma un’articolazione interna nella presenza pubblica del singolo cristiano che sul piano politico impegna solo se stesso e la sua responsabilità individuale o di gruppo organizzato.

Da questa visione nasce la laicità nell’impegno politico ispirato cristianamente che trova sul piano culturale-naturale terreni di unità con tutte le persone di buona volontà credenti e non credenti senza alcun privilegio.
Queste considerazioni non significano affatto uno spirito rinunciatario e passivo, al contrario significano il vero punto di partenza per proposte chiare, iniziative incisive, senza per altro pretendere posizioni comode e di privilegio
.

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06/10/2012 16:59

Permalink: www.zenit.org/article-32679?l=italian

I cattolici e la politica

(Seconda parte)


I caratteri di una "spiritualità politica" cristianamente ispirata

di padre Paolo Scarafoni, L.C. Rettore della Università Europea di Roma



ROMA, giovedì, 20 settembre 2012 (ZENIT.org).-

La ripresa dei principi ispiratori è necessaria più che mai ora perché questo spirito è stato mortificato nei decenni appena trascorsi.
Ronald Reagan e Margaret Thacher hanno segnato un cambio epocale che è coinciso con la caduta del comunismo. Hanno introdotto nella democrazia principi e procedure liberali; la sinistra europea (compresa quella italiana) è andata dietro alle loro proposte.
Possiamo dire che in quegli anni è stata adottata la scelta del liberalismo, anzi tutto educativo (nel modo di educare i bambini e i giovani). Questa scelta educativa ha inciso molto nella gioventù. La Chiesa è rimasta sola a difendere i poveri.
Oggi la nostra democrazia intrisa di procedure liberali rischia di morire per un processo fisiologicamente oligarchico e per mancanza di ideali forti. In questa situazione è indispensabile formulare un invito pressante a continuare a puntare sulla democrazia. Siamo di fronte ad una crisi prima di tutto della democrazia. Bisogna tornare a puntare sulla democrazia e a riorganizzarla.

I cristiani anche in Italia dagli anni 80-90 in poi non si sono organizzati bene, non hanno saputo rispondere bene alla vittoria del liberalismo nel mondo. Hanno lasciato penetrare la mentalità egoistica nell’organizzazione sociale e politica e nella vita quotidiana delle famiglie; hanno perso la battaglia nel campo educativo.

Anche la sinistra europea ha ceduto al liberalismo e si è limitata a difendere i privilegi di alcuni gruppi, ma non ha difeso i poveri nel mondo, pensando anch’essa che lo sviluppo sarebbe venuto soltanto dal capitalismo liberale. Di fatto la sinistra ormai ha perso il contatto vero con il popolo. Si è buttata sulle battaglie minoritarie, per lo più contro natura, e per lo più frutto di gruppi di pressione e di élites culturali nei confronti delle quali si è messa in atteggiamento di soggezione e dipendenza culturale (fecondazione artificiale, questioni di genere e matrimoni omosessuali, ecc.).
Queste questioni in Italia sono state messe alla prova popolare per la prima volta con il referendum sulla legge 40 e la sinistra è stata battuta, dimostrando di essere ormai lontano dal sentire popolare, perché il popolo non va contro natura in genere.
Bisogna ringraziare molto il Cardinale Camillo Ruini che ha colto l’opportunità di far collaborare i cristiani con tutti coloro che difendono le posizioni a favore della natura umana.

Tuttavia la Chiesa cattolica in Italia, ma anche in altre parti, nella confusione generale non ha perso tempo del tutto. In questi ultimi venti anni, con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, il Cardinale Camillo Ruini e il cardinale Angelo Bagnasco, ha elaborato un approfondimento sui temi della vita, della famiglia, e della dottrina sociale, per poter affrontare meglio le nuove sfide.

Inoltre nel suo insieme e dovunque nel mondo la Chiesa cattolica è rimasta l’unica voce in difesa dei poveri e dei più deboli, e di questo ha preso chiara coscienza. I cristiani immersi nella maggioranza pagana non sono chiamati a realizzare progetti di potere, in modo prioritario; devono soprattutto esprimere “il primato dello spirituale” e forti identità culturali che mettano al centro la persona umana, difesa, rispettata e promossa sin dal concepimento.
Devono ripartire dalle iniziative sociali, del lavoro, dell’impresa, e della cultura. Non debbono permettere che la crisi delle democrazie occidentali degenerate in oligarchie diventi la crisi definitiva degli ideali democratici. In questi ideali è presente il vero sviluppo umano integrale, che non è l’edonismo, che ora invece viene proposto come forma dello sviluppo (cfr. Caritas in veritate 76: “Una società del benessere, materialmente sviluppata, ma opprimente per l’anima, non è di per sé orientata all’autentico sviluppo. … Non ci sono sviluppo plenario e bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza di anima e di corpo”).

Ci troviamo in un misto di maturazione e stagnazione. Siamo arrivati all’obsolescenza di un modello di sviluppo basato sul petrolio. Andiamo verso uno stile di vita meno consumistico. E’ tutto il ciclo della globalizzazione – cioè quella prima ed iniziale fase di internazionalizzazione dei commerci, dei prodotti, dei processi tecnologici e finanziari che aspiravano ad una crescita mondiale – ad aver ceduto.

C’è una strana situazione: il processo di crisi che da vari anni si verifica sotto i nostri occhi è caratterizzato da una doppia tendenza, apparentemente schizofrenica. Da una parte cogliamo, specialmente in tutti i paesi dell’Occidente, un processo di “maturità dello sviluppo”. Vale a dire che un intero ciclo dello sviluppo delle forze produttive ha raggiunto un livello di automazione nelle tecnologie dei processi e dei prodotti. Dall’altra assistiamo alla crescita della “stagnazione economica”.
Nel meccanismo della globalizzazione non è solo la dinamica delle reti ad imporsi, ma contemporaneamente avviene  l’estenuarsi di una crescita produttiva che trova nell’astrattezza dello scambio solo di denaro attraverso denaro una sua ferrea logica di eliminazione della forza lavoro sia manuale che intellettuale. Non c’è il rilancio. Bisogna pensare un nuovo modello sociale.
La gente non deve disperare se non ha tre pellicce e tre televisioni. Questo ciclo è finito.

Comprendere il significato profondo di questa crisi internazionale significa comprendere una radicale questione di emergenza antropologica che richiede nuove riflessioni e nuovi impegni pratici e un nuovo impegno educativo. Crisi profonda, che non è prima di tutto finanziaria, ma crisi dell’antropologia che è dietro al capitalismo che è in crisi. Questo modello antropologico ha portato alle sperimentazioni disumane. Si postula la possibilità che ci siano vite umane che non hanno dignità di esserci.

La considerazione della persona umana esclusivamente come soggetto individuale è entrata in crisi. Ha portato al pensiero debole, alla giustificazione dell’egoismo morale, dell’utilitarismo economico e dell’indifferentismo sociale.
Ci sono state molte conseguenze gravi nel campo della biogenetica. In questo contesto però ci sono state due novità provenienti dalla Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II e l’allora cardinal Joseph Ratzinger, verso la fine degli anni ottanta del passato secolo, elaborarono un nuovo concetto di persona, che rispondesse adeguatamente all’enorme crescita delle forze scientifiche biogenetiche collegate agli interventi di manipolazione artificiale fortemente lesivi della dignità del genere donna e uomo; e delle forti ingiustizie sociali che segnavano una crescita di differenza fra ricchi e poveri, forti e deboli.

A partire da quelle riflessioni, che possiamo dire “dei due Pontefici” si è andato precisando un Progetto Culturale specialmente nel nostro Paese, che ha offerto una visione della relazionalità umana straordinariamente utile per l’impegno culturale e politico dei cristiani; una concezione relazionale della persona che ha aperto nuove strade.
È doveroso ripetere un ringraziamento particolare al Cardinale Camillo Ruini, vicario di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana durante buona parte del pontificato di Giovanni Paolo II e all’inizio del pontificato di Benedetto XVI.

La nozione di persona così elaborata è una nozione analogica e relazionale, che viene maturando in gradi diversi e su piani essenzialmente differenti. Così si sostiene nella Enciclica Evangelium Vitae nn. 1 e 18-20.

[Modificato da Anam_cara 06/10/2012 17:01]
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