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06/12/2008 13:27 | |
Aspetta e spera
Il cristiano che sa attendere spera di sicuro, perché sa che il suo è il Dio della promessa. Una promessa di salvezza che si è realizzata in Gesù di Nazareth. Ma se Dio è già venuto duemila anni fa, che cosa aspettiamo ancora? Che cosa speriamo? Perché l’Avvento, tempo di attesa e di speranza. Se ci pensiamo esiste in questo tempo liturgico una “tensione congenita”. Nell’attendere respiriamo “un tendere” di Dio verso di noi e un nostro “tendere” verso di Lui. C’è da una parte un Padre che ci offre la mano, o meglio che si riveste nel Figlio della debolezza umana, dall’altra ci siamo noi invitati ad accoglierlo. La sua venuta esige una risposta e restituisce senso alla nostra vita, ci mette in movimento, “mantiene viva la nostra attesa”.
Ma cos’è attendere? Molti pensano che sia una perdita di tempo. Per altri l’attesa è un deserto arido che si stende tra il luogo in cui si trovano e quello in cui vogliono andare. Se così è, nell’attesa abita la paura: paura dei propri sentimenti, paura degli altri, paura del futuro. E più paura abbiamo più diventa penoso aspettare. Per questo se non c’è una speranza che abita l’attesa, essa diviene senza senso. È la sua vera natura.
Il Vangelo lo dice: “Zaccaria, tua moglie Elisabetta ti darà un figlio”; “Maria, concepirai un Figlio e lo chiamerai Gesù” (Lc1,13.31). Noi possiamo veramente aspettare solo se ciò che stiamo aspettando è già cominciato per noi. Ci è proposta, pertanto in questi giorni un’attesa attiva nella fede, che vince la paura. Ci è chiesto di credere al presente, a questo momento, al “momento” in cui Dio si rivela coltivando la pazienza, virtù dell’attesa, che vuol dire stare dove siamo e vivere la situazione nella fede che qualcosa di nascosto si manifesterà a noi. Gli impazienti stanno male nel presente, pensano sempre che da altre parti e in altri momenti si svelerà il momento importante, sono inquieti. Il cristiano osa restare dov’è. È difficile accettarlo perché siamo pieni di desideri che vorremmo vedere realizzati. Allenarsi nell’attendere, invece, è il modo che abbiamo di tenere sotto controllo anche il futuro. Sembra che nella nostra società ci siano sempre più persone che hanno sempre meno influenza sulle decisioni che riguardano la loro esistenza. La maggior parte della nostra esistenza comporta l’attesa nel senso che spesso ci sentiamo “agiti” da qualcosa e qualcun altro. Anche l’esperienza di Gesù si è però compiuta non solo nell’azione, ma anche nella sua consegna d’Amore nella passione, anche questa un’attesa. Maria, Zaccaria, Elisabetta, il Battista, poi, non erano pieni di desideri, erano pieni di speranza. La speranza che qualcosa si compirà secondo le promesse, non semplicemente secondo quello che vogliamo. Siamo perciò dentro la speranza, che è sempre senza fine, come l’attesa. Avendo fiducia che accadrà qualcosa di inedito per noi; abbandonando il controllo del nostro futuro nelle mani di Dio che ci plasma ogni istante secondo il suo Amore, come Gesù. Infine, in che modo, allora, attendiamo? Attendiamo insieme, attendiamo con la Parola di Dio in mezzo a noi. Tutta la comunità cristiana vivrà l’Avvento. Maria ed Elisabetta insieme hanno atteso la manifestazione delle meraviglie del Signore. In loro vediamo la comunità cristiana unita, che vive il sostegno reciproco, che celebra e proclama che la promessa si sta avverando. La preghiera e la liturgia di queste settimane esprimerà questi sentimenti. La Parola ci plasmerà. Abbiamo la consapevolezza che qualcuno vuole parlarci. Il problema semmai è se siamo pronti ad ascoltare. Dove siamo? E dove saremo in questo Avvento, non solo fisicamente, ma con il nostro spirito, perché il Natale non ci capiti all’improvviso.
don Adriano Bianchi
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