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CHIESA e MASSONERIA

Ultimo Aggiornamento: 11/01/2009 03:32
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Sesso: Femminile
11/01/2009 03:07

c. Relativismo morale, privato e pubblico


Né è ancora tutto — insiste Papa Leone XIII — perché, "persi questi che sono come i princìpi dell’ordine naturale, importantissimi per la conoscenza e per la pratica, appare facilmente quali saranno i costumi privati e quelli pubblici.

"Non parliamo delle virtù soprannaturali [...].

"Parliamo dei doveri che derivano dalla morale naturale. Dio, creatore e provvido reggitore del mondo; la legge eterna che prescrive il rispetto e proibisce la violazione dell’ordine naturale; il fine ultimo dell’uomo, posto di gran lunga al di sopra delle cose umane e collocato molto al di là di questa transitoria sede mondana: queste sono le fonti, questi i princìpi di tutta la giustizia e di tutta la moralità. Se essi vengono soppressi [...], subito la precisa conoscenza del giusto e dell’ingiusto non avrà più dove appoggiarsi né come sostenersi" (29).

Quindi, il Sommo Pontefice svolge con ampiezza il tema de "la pubblica e totale indifferenza nei confronti della religione e il non curarsi di Dio, come se non esistesse affatto, nella costituzione e nella amministrazione dello Stato, [...] atteggiamento temerario ignoto agli stessi gentili, nel cui animo e nel cui cuore era così profondamente impressa non solo la credenza negli dei, ma anche la necessità di un culto pubblico, che consideravano più facile trovare una città senza territorio che senza Dio. E in realtà la società umana, per la quale siamo stati creati per natura, fu istituita da Dio, autore della natura: e da Dio, come principio e fonte, procede tutta la perenne abbondanza dei beni innumerevoli dei quali essa abbonda. Come dunque in quanto singoli siamo dalla voce stessa della natura ammoniti a onorare piamente e santamente Dio per il fatto che da Dio abbiamo ricevuto la vita e i beni che a essa si accompagnano, così per la stessa ragione devono fare i popoli e gli Stati. È dunque evidente che quanti vogliono uno Stato svincolato da ogni dovere religioso, agiscono non solo ingiustamente, ma anche con ignoranza e in modo insensato" (30).

Con ogni evidenza, l’itinerario percorso nel documento di Papa Leone XIII non è "logico", nel qual caso si sarebbe passati dal relativismo filosofico e dallo scetticismo al relativismo morale, quindi a quello religioso, cioè dai preambula fidei alla fides, ma lo si può definire come "sociologico", dunque inteso a descrivere le ricadute filosofiche e morali di un contesto, concettuale ed esistenziale, caratterizzato dal fondamentale indifferentismo religioso. Comunque, all’intronizzazione del relativismo religioso, filosofico e morale, alla sua egemonia, "[...] non possono seguirne altro che una rivoluzione e una sovversione universale" (31), il cui senso "[...] altro non è che sospingere il genere umano verso la più abbietta e ignominiosa degradazione" (32), cioè "[...] distruggere dalle fondamenta tutto l’ordine religioso e sociale nato dalle istituzioni cristiane e creare un nuovo ordine a suo arbitrio" (33).

Con ogni evidenza — ancora —, la visione del mondo descritta si può sinteticamente indicare, sia quanto al soprannaturale che quanto al naturale, come il trionfo del relativismo, il cui apice non sta tanto nella sua affermazione — dal momento che il relativismo affermato potrebbe parere contraddittoriamente l’ultimo "dogma" —, ma nella sua pratica, e all’interno del quale l’ateismo è una specie, talora virulenta, ma che ha il proprio limite propagandistico, cioè pedagogico, nella sua perentorietà, nella sua "dogmaticità", dal momento che proibisce la ricerca della verità piuttosto che insinuare la vanità di tale ricerca, in quanto ricerca dell’inesistente.

Circa la sua fenomenologia e dal punto di vista naturale, l’itinerario leoniano "dall’indifferentismo religioso agli universali abiezione e degrado nella prospettiva di un "nuovo ordine"" suggerisce il richiamo al filosofo della Provvidenza, a Giambattista Vico, e alla "barbarie della riflessione": infatti, il pensatore della Contro-Riforma o Riforma cattolica afferma che, "[...] perdendosi la religione ne’ popoli, nulla resta loro per vivere in società, né scudo per difendersi, né mezzo per consigliarsi, né pianta dov’essi reggano, né forma per la qual essi sien affatto nel mondo", dal momento che, in una città indifferente a Dio — quindi, finalmente, "senza Dio" — si corrompono "[...] ancor le filosofie (le quali cadendo nello scetticismo, si diedero gli stolti dotti a calonniare la verità), e nascendo quindi una falsa eloquenza, apparecchiata egualmente a sostener nelle cause entrambe le parti opposte"; quindi, "[...] non potendovi appena due convenire, seguendo ognun de’ due il proprio piacere o capriccio, vadano a fare selve delle città, e delle selve covili d’uomini; e, ’n cotal guisa, dentro lunghi secoli di barbarie vadano ad irruginire le malnate sottigliezze degl’ingegni maliziosi, che li avevano rese fiere più immani con la barbarie della riflessione che non era stata la prima barbarie del senso" (34): dunque, l’indifferentismo religioso alimenta la sofistica e produce una condizione sociale d’incomunicabilità, fonte di abiezione e di degrado, qualunque sia l’utopia che surroga la metafisica.

Circa l’esito e dal punto di vista soprannaturale, lo stesso itinerario leoniano rimanda al teologo della Provvidenza, a sant’Agostino, che, a proposito di Babilonia, scrive: "Nella città adoratrice dei demoni, [...] sebbene si dicessero alcune verità, si dicevano pure, con tutta libertà, cose false, onde, non senza ragione, tale città si meritò il nome simbolico di Babilonia. Babilonia, infatti, significa "confusione" [...]. Al demonio, suo re, non importa che bisticcino tra loro, per errori diversi, coloro che egli possiede ugualmente a causa delle loro varie e molte empietà" (35).

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