14. Rispetto a ciò, de Lubac, sulla base della teologia dei Padri in tutta la sua vastità, ha potuto mostrare che la salvezza è stata sempre considerata come una realtà comunitaria. La stessa Lettera agli Ebrei parla di una « città » (cfr 11,10.16; 12,22; 13,14) e quindi di una salvezza comunitaria. Coerentemente, il peccato viene compreso dai Padri come distruzione dell'unità del genere umano, come frazionamento e divisione. Babele, il luogo della confusione delle lingue e della separazione, si rivela come espressione di ciò che in radice è il peccato. E così la « redenzione » appare proprio come il ristabilimento dell'unità, in cui ci ritroviamo di nuovo insieme in un'unione che si delinea nella comunità mondiale dei credenti. Non è necessario che ci occupiamo qui di tutti i testi, in cui appare il carattere comunitario della speranza. Rimaniamo con la Lettera a Proba in cui Agostino tenta di illustrare un po' questa sconosciuta conosciuta realtà di cui siamo alla ricerca. Lo spunto da cui parte è semplicemente l'espressione « vita beata [felice] ». Poi cita il Salmo 144 [143],15: « Beato il popolo il cui Dio è il Signore ». E continua: « Per poter appartenere a questo popolo e giungere [...] alla vita perenne con Dio, “il fine del precetto è l'amore che viene da un cuore puro, da una coscienza buona e da una fede sincera” (1 Tim 1,5) » [11]. Questa vita vera, verso la quale sempre cerchiamo di protenderci, è legata all'essere nell'unione esistenziale con un « popolo » e può realizzarsi per ogni singolo solo all'interno di questo « noi ». Essa presuppone, appunto, l'esodo dalla prigionia del proprio « io », perché solo nell'apertura di questo soggetto universale si apre anche lo sguardo sulla fonte della gioia, sull'amore stesso – su Dio.