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Qualccosa sul celebrare

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2010 00:25
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18/07/2010 00:25

QUALCOSA SUL CELEBRARE - NELLA LITURGIA DA PARTECIPANTI

Dopo quasi un cinquantennio dal Concilio Vaticano II si avverte la necessità diprecisare o di ricalibrare il senso della partecipazione attiva alla liturgia, principiobase sancito dal motuproprio “Tra le sollecitudini” di S. Pio X (1903) e ripreso conrisalto maggiore dalla costituzione liturgica “Sacrosanctum Concilium” sessant’annidopo (1963).

Il motuproprio presenta come «sorgente prima e indispensabile dell’autentico spirito cristiano la partecipazione attiva ai santi misteri e alla preghierapubblica e solenne della chiesa».

La costituzione liturgica sollecita con chiarainsistenza questa partecipazione: «I fedeli prendano parte [all’azione liturgica]consapevolmente, attivamente e fruttuosamente» (n. 11); «a tale piena e attivapartecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel riformare enell’incrementare la sacra liturgia» (n. 14).

• In piena e attiva partecipazione La partecipazione «piena e attiva» - cui dedicare «una specialissima cura» - esigeinnanzitutto un entrare e un rimanere “presenti” «consapevolmente» e«fruttuosamente» nelle celebrazioni liturgiche. Sarebbe fuori luogo dire chel’avverbio «attivamente» passa in secondo ordine; ma di sicuro i primi due (ed in particolare l’avverbio «consapevolmente») punta ad una partecipazione non attuata soltanto da gesti esteriori, con i quali soltanto nel partecipare all’Eucaristia, agli altrisacramenti, alla Liturgia delle Ore, si finirebbe per cadere nel ritualismo, in un'attivismo sterile, pur nella correttezza e nello ‘splendore’ di una ritualità raffinata.
“Essere presenti” rimanda anzitutto a quella presenza interiore che, per quantopossibile deve impegnare sì il corpo nell’agire, ma con la precedenza data alla mente nel pensare e al cuore nell’aprirsi al Mistero santo da accogliere, anche talvolta nella ‘in-azione’ fisica degli atti esteriori (parola, canto, movimento, udito stesso).

Qualche decennio fa, all’inizio della riforma liturgica, abbiamo assistito ad una specie di ‘iconoclastia’ liturgica, quando alcuni, per esempio, andavano dicendo: «Non più le Scholae cantorum, poiché impediscono al popolo la partecipazione attiva»; oppure:«Basta con gli organisti, perché bisogna partecipare con il canto dell’assemblea e non con il suono degli strumenti»; e non mancarono di quelli che vollero «ridurre all’essenziale» l’azione liturgica, sopprimendo ‘segni’ dall’indubbio valore espressivo (e partecipativo), se mantenuti e usati con la dovuta e sobria funzionalitàrituale, come l’incenso, le immagini ed anzitutto i paramenti liturgici.
Non pare che la fase iconoclastica sia del tutto tramontata; in più andò di mezzo il «sacro silenzio»,‘segno’ indispensabile alla partecipazione “attiva” interiore, di mente e di cuore. Vienda pensare anche a quelle persone, anziane o non, fedelmente presenti alla Messa, chenulla o pochissimo sentono delle parole pronunciate dal celebrante e dai lettori (complici, magari, i microfoni o il loro cattivo uso e funzionamento): chi mette indubbio la loro “piena e attiva” partecipazione, se la loro presenza è offerta a Dio e aifratelli nell’umiltà della mente e del cuore, nel dono di una preghiera tanto semplicequanto efficace?
Mi ha colpito l’immagine (sia pure legata ad un contesto più ampio)usata da un grande teologo: «Un germe vivo fruttifica anche nel suolo più ingrato,mentre, senza semenza, anche il migliore terreno sarà sempre sterile» (H. De Lubac).

E’ vero che Dio sa redimere anche le nostre ‘sterilità litugiche’, ma noi dovremmoporlo il meno possibile nella necessità di correre ai ripari! Presenti, dunque, alla liturgia «consapevolmente, attivamente e fruttuosamente». Una buona verifica, nella comunità cristiana, sarà quanto meno utile.

• Come membri di una «gente santa»Parliamo con un po’ di ‘orgoglio’ liturgico - o semplicemente cristiano - di ciò chenasce dalla nostra fede, dal nostro Battesimo, dal nostro sacerdozio “comune” primache “ministeriale”. Rileggiamo quanto troviamo nell’«Ordinamento generale delMessale»: «I fedeli nella celebrazione della Messa formano la gente santa, il popoloche Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, per offrire lavittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote ma anche insieme con lui,e per imparare a offrire se stessi. Procurino quindi di manifestare tutto ciò con unprofondo senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessacelebrazione. (…) Formino un solo corpo, sia nell’ascoltare la parola di Dio, sia nelprendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore. Questa unità appare molto bene dai gesti e dagli atteggiamenti del corpo, che i fedeli compiono tutti insieme» (nn. 95-96). Sentite e risentite forse più volte queste dense parole, rischiamo di lasciarle sulla carta (o in on-line), mentre abbiamo bisogno di rileggerle, risottolinearle, riattuarle per una pratica e prima di tutto per una concezione migliore della ‘partecipazione attiva’. Si badi, per esempio, al «rendere grazie a Dio»,all’«offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote…», al «manifestare (…) un profondo senso religioso»; da cui il sentirsi e il formare «unsolo corpo» nell’ascoltare, nel pregare e nel cantare, ma «specialmente nella comuneofferta del sacrificio…»: dove non è chi non veda la preminenza di un partecipareinteriore, favorito - sicuramente ma non soltanto da una partecipazione esterna con igesti del corpo.L’‘essere presenti’ «con un profondo senso religioso» è il primo e ineludibilemodo di partecipare attivamente alla liturgia. Poi, il più e nel miglior modo possibile,«ciascuno, ministro o fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia solo e tutto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza» (“SacrosanctumConcilium”, 28).
Ne deriva ancora che partecipare ‘attivamente’ non significa fare tutto, senza distinzione e distribuzione di ruoli (cosa che richiede un non piccolo impegno di regia liturgica). Un fatto abbastanza diffuso è il far recitare, o ilpermettere ai fedeli che recitino insieme al celebrante, parti della preghieraeucaristica o altri testi propri del celebrante. Ciò non deve avvenire (stante quantodetto e letto poco sopra), sia per il “noi” con il quale il sacerdote celebranterappresenta e coinvolge l’intera assemblea, sia per un conseguente impoverimentodelle risposte-acclamazioni e dei dialoghi con i fedeli, che costituiscono la prime e lepiù importanti espressioni vocali (e canore!) di partecipazione alla liturgia. Non èsuperfluo, da ultimo, il ricordare che è partecipazione attiva e “fruttuosa” anche il pur semplice guardare la processione con il lezionario o l’evangeliario all’inizio dellaMessa o prima della proclamazione del vangelo, oppure l’osservare una piccola nubed’incenso che si eleva sopra l’altare o il cero pasquale acceso accanto all’ambone; elo stare tutti in silenzio dopo la comunione è partecipare attivamente quanto il cantarea voce spiegata un inno di ringraziamento! • Con alcuni gesti ritualiÈ opportuno, a questo punto, spendere alcune parole sul valore e sulle modalitàdel gesto rituale.

Leggiamo innanzi tutto nell’«Ordinamento generale del Messale»:«L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segnodell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la santa liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano»(n. 42). Il primo requisito che dona senso e importanza ai gesti rituali nella liturgia -in “atteggiamenti comuni”, segni di unità - è sicuramente la loro ‘armoniosità’: i gestidevono essere compiuti con calma, senza tensione e senza precipitazione, in unabuona postura di tutto il corpo.

Rivisitiamo brevemente i principali.
1 - Stare in piediÈ l’atteggiamernto più importante e normale durante le celebrazioni liturgiche ingenere e durante la Messa in specie. Significa dire che, col Battesimo, si è già risorti.Per questo nella Chiesa antica era perfino vietato di porsi in ginocchio la domenica,giorno della risurrezione; ne dà testimonianza S. Agostino: «Noi preghiamo in piediperché è un segno di risurrezione». L’alzarsi, poi, al canto del vangelo, può volerdire: “Eccoci, Signore Gesù risorto, siamo pronti ad ascoltarti e a seguirti”.

2 - Stare sedutiÈ posizione di riposo, per favorire un ascolto più attento della Parola di Dio, coneventuale omelia, e una migliore preghiera personale. Poiché «è Lui che parla quandonella chiesa si leggono le sante Scritture» (“Sacrosanctum Concilium”, 7), non sitralasci di raccomandare l’‘ascolto’ con gli occhi rivolti a chi proclama la Parola,evitando la ‘lettura’ con gli occhi fissi sul foglio o sul messale personale (eccezionefatta, ovviamente, per chi ha problemi di udito o nelle chiese con difetti di diffusionesonora; oppure - come capita purtroppo - per la cattiva proclamazione dei lettori!).

3 - Stare in ginocchioL’inginocchiarsi e lo stare in questa posizione presso i primi cristiani era il tipicoatteggiamento penitenziale ed insieme implorativo; si ricordi l’invito del diacono«Flectamus genua!»: pieghiamo le ginocchia. Ma è pure il gesto che esprimeadorazione; l’«Ordinamento generale del Messale» chiede ai fedeli che siinginocchino «alla consacrazione, a meno che lo impediscano lo stato di salute, laristrettezza del luogo, o il gran numero dei fedeli, o altri ragionevoli motivi» (n. 43);tale atteggiamento perduri fino alla ostensione del calice, prima dell’acclamazione anamnetica: «Mistero della fede...». Al riguardo, è bene suggerire una pratica comune, benché non sia ‘proibito’, per chi volesse, di continuare a rimanere in ginocchio fino alla solenne dossologia «Per Cristo, con Cristo…». Certamente, l’inginocchiarsi e l’alzarsi insieme sono segno di ordine e possono favorire una comunione di spirito che si manifesta e si alimenta anche attraverso i gesti del corpo.

4 - Fare il segno della croceQuesto gesto non va inteso soltanto come un piccolo atto religioso consuetudinario,all’inizio e alla fine o nel corso di un’azione liturgica oppure di una preghierapersonale (né tanto meno come un frettolosa azione scaramantica). Esso deverimandare al Battesimo, quando per la prima volta fu tracciato il segno della croce sulcorpo. ‘Farsi il segno della croce’ è richiamo al sacramento che ha “segnato”profondamente tutta la vita ‘nel’ Signore, aprendola a tutti gli incontri con lui nellesuccessive celebrazioni liturgiche. Superfluo, allora, è il raccomandare la calma nelcompiere questo gesto. Ciò deve avvenire anche quando si tracciano i tre piccolisegni di croce sulla fronte, sulle labbra e sul petto all’inizio dell’annuncio delvangelo, quasi dicendo: «La Parola del Signore entri nella mia mente, stia sulle mialabbra e trasformi il mio cuore perché io la comprenda, la proclami e la viva».

5 - Fare la genuflessioneSe il tabernacolo con la riserva eucaristica è nel presbiterio, la genuflessione ècompiuta dal sacerdote celebrante all’inizio e al termine della celebrazione liturgica;celebrando l’Eucaristia genuflette dopo l‘elevazione’ (o ostensione) del pane e delvino consacrati e prima della comunione. I fedeli è bene che genuflettino (secondo laloro possibilità) entrando e uscendo di chiesa; durante la Messa nella solennitàdell’Annunciazione e del Natale la genuflessione – il porsi in ginocchio – siraccomanda, mentre si recita il Credo, alle parole «E per opera dello Spirito santo si èincarnato…». Spesso la genuflessione è sostituita da un inchino profondo; gesto chesi vorrebbe constatare più frequentemente anche quando non viene celebratal’Eucaristica, ogni volta che si passa davanti al tabernacolo e all’altare maggiore.

6 - Fare l’inchino È questo, dunque, un gesto che non deve scomparire né dalle celebrazioni liturgichené dai luoghi sacri; nella sua discrezione e nella sua semplicità dice la partecipazionedell’uomo - in anima e corpo - alla preghiera, al suo porsi dinanzi e in dialogo conDio: lo si può fare al segno di croce iniziando la Messa e alla benedizione finale, alleparole del Credo: «E per opera dello Spirito santo…»; lo si potrebbe compieredurante la recita della formula di perdono alla fine dell’atto penitenziale. L’«Ordinamento generale del Messale» dice inoltre: «Quelli che non si inginocchianoalla consacrazione, facciano un profondo inchino mentre il sacerdote genuflette dopola consacrazione» (n. 43).

7 - Battersi il pettoUn gesto desueto? E se venisse ricuperato sia da parte dei sacerdoti celebranti che daparte dei fedeli durante la celebrazione dell’Eucaristia - all’atto penitenziale e al«Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa…» - ed anche nelle liturgie diriconciliazione? Sarebbe un pubblico richiamo per se stessi e un’opportunatestimonianza, nel dire umiltà e carità insieme.

8 - Allargare le braccia Pregare il “Padre nostro” con le braccia aperte, da parte di tutti i membri dell’assemblea liturgica, è sicuramente di grande impatto e di notevole‘provocazione’. Ricordo un bimbo che, dopo aver alzati gli occhi verso il papà chepregava con le braccia allargate, aprì subito anche le sue! E a proposito di bambini(ma anche di adulti), l’alzare le mani si addice di più alla preghiera insegnataci daGesù che non il formare una ‘catena di comunione’ stringendosi per mano: lo scambio del segno di pace con il suo intenso significato ha il suo momento proprio; al“Padre nostro” ci si rivolge a Lui per dirgli che ci aiuti poiché ci vuol bene, e nonl’uno all’altro per dirci che ci aiutiamo e ci vogliamo bene.

9 - Scambiarsi il gesto di paceNella sua Esortazione postsinodale “Sacramentum caritatis” sull’Eucaristia, Benedetto XVI ci offre una riflessione e dei suggerimenti assai opportuni:«L’Eucaristia è per sua natura Sacramento della pace». Questo gesto, perciò, èimportante: è «un segno di grande valore», in cui «la Chiesa si fa voce della domandadi pace e di riconciliazione che sale dall’animo di ogni persona di buona volontà,rivolgendola a Colui che “nostra pace” (Ef. 2, 14). (…) Da tutto ciò si comprendel’intensità con cui spesso il rito della pace è sentito nella celebrazione liturgica» (n.49). Ma tale “intensità” va intesa più nella globalità del gesto di tutti che nellaquantità dei gesti di ciascuno; il segno della pace indica l’interiore preghiera al Datore della pace oltre - e prima - che un augurio esteriore; da qui il richiamo allasobrietà e alla limitatezza dello scambio: durante il Sinodo dei Vescovi «è statarilevata l’opportunità di moderare questo gesto, che può assumere espressionieccessive, suscitando qualche confusione nell’assemblea prima della Comunione» ecompromettendo «un clima adatto alla celebrazione». In concreto, occorre «limitarelo scambio della pace a chi sta più vicino» (“Sacramentum caritatis”, 49).

10 - Tendere la mano È uno dei due gesti dei fedeli che si accostano a ricevere l’Eucaristia: la comunione‘in bocca’ o la comunione ‘sulla mano’. Occorre ribadire che ricevere l’ostia in boccao sulla mano ha un’uguale legittimità; non è il caso di suscitare discriminità magari con discutibili imposizioni - quasi che il ricevere dal sacerdote l’Eucaristia in bocca (entrato nell’uso solo dopo il IX secolo) sia più ‘cristiano’ dell’accoglierla sulla mano. Sempre da raccomandare, invece, sono la correttezza nel gesto e la dignità nella persona quando viene tesa la mano; l’ostia non si deve prendere afferrandola trail pollice e l’indice: il “Prendete” di Gesù è invito ad “accogliere” il dono supremocon umiltà fiduciosa; ed insieme è richiamo al porgere dignitoso le mani (pulite elibere da oggetti) che si sovrappongono (alla maniera di un “trono” - dicevano igrandi vescovi del passato). L’avvicinarsi con compostezza, il non ‘scappar via’ conl’Eucaristia e lo scostarsi con rispetto rispondono anche all’esortazione di Papa Benedetto XVI: «Chiedo a tutti (…) di fare il possibile perché il gesto nella sua semplicità corrisponda al suo valore di incontro personale con il Signore Gesù nelSacramento» (“Sacramentum caritatis”, 50).
Nella liturgia tutto il corpo ‘parla’, ma come? E che cosa dice? I suoi gesti sonoperlopiù quelli comuni, quelli della quotidianità in cui il Mistero vuole ‘discendere’,per essere accolto e per sollevare. Ogni atto della vita ordinaria viene ‘trasposto’ edassume un significato simbolico, sacramentale: per indicare e per attuareQualcos’altro. «La liturgia è anzitutto un atto corporale. Quando celebriamo, i nostrigesti, le nostre parole, i nostri atteggiamenti saranno giusti se sapremo guardare senzabramosia, se sapremo prendere senza afferrare, tenere fermo senza possedere,rispettando lo stacco, l’interstizio, la distanza tra la mano e l’oggetto, tra la bocca e laparola, tra l’immobilità e il movimento»
(Centro di Pastorale Liturgica francese). Don Giancarlo Boretti

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