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Giovanni Paolo II, La divina Provvidenza e la presenza del male e della sofferenza nel mondo, 4 - 11 giugno 1986

Ultimo Aggiornamento: 01/10/2010 15:26
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01/10/2010 15:23

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 4 giugno 1986

 

1. Riprendiamo il testo della prima Lettera di san Pietro, al quale ci siamo richiamati alla fine della catechesi precedente: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi” (1 Pt 3-4).

Poco oltre lo stesso apostolo ha un’affermazione illuminante e consolante insieme: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco . . .” (1 Pt 1, 6-7).

Già dalla lettura di questo testo si arguisce che la verità rivelata circa la “predestinazione” del mondo creato e soprattutto dell’uomo in Cristo (praedestinatio in Christo), costituisce il fondamento principale e indispensabile delle riflessioni che intendiamo proporre sul tema del rapporto tra la Provvidenza divina e la realtà del male e della sofferenza presenti sotto tante forme nella vita umana.

2. Ciò costituisce per molti la principale difficoltà ad accettare la verità sulla divina Provvidenza. In alcuni casi questa difficoltà assume forma radicale, quando addirittura si accusa Dio a causa del male e della sofferenza presenti nel mondo, giungendo fino a rifiutare la verità stessa su Dio e sulla sua esistenza (cioè all’ateismo). In una forma meno radicale, e tuttavia inquietante, questa difficoltà si esprime nei tanti interrogativi critici, che l’uomo pone a Dio. Il dubbio, la domanda o addirittura la contestazione nascono dalla difficoltà di conciliare tra loro la verità della Provvidenza divina, della sollecitudine paterna di Dio per il mondo creato, e la realtà del male e della sofferenza sperimentata in diversi modi dagli uomini.

Possiamo dire che la visione della realtà del male e della sofferenza è presente con tutta la sua pienezza nelle pagine della Sacra Scrittura. Si può affermare che la Bibbia è, oltre tutto, un grande libro sulla sofferenza: questa entra in pieno nell’ambito delle cose che Dio volle dire all’umanità “molte volte . . . per mezzo dei profeti, e ultimamente per mezzo del Figlio” (cf. Eb 1, 1): entra nel contesto dell’autorivelazione di Dio e nel contesto del Vangelo; ossia della buona novella della salvezza. Per questo l’unico metodo adeguato per trovare una risposta all’interrogativo sul male e sulla sofferenza nel mondo è di cercarla nel contesto della rivelazione offerta dalla parola di Dio.

3. Dobbiamo però prima di tutto intenderci sul male e sulla sofferenza. Essa è in se stessa multiforme. Comunemente si distingue il male in senso fisico da quello in senso morale. Il male morale si distingue da quello fisico prima di tutto per il fatto che comporta una colpevolezza, perché dipende dalla libera volontà dell’uomo, ed è sempre un male di natura spirituale. Esso si distingue dal male fisico, perché quest’ultimo non include necessariamente e direttamente la volontà dell’uomo, anche se ciò non significa che esso non possa essere causato dall’uomo o essere effetto della sua colpa. Il male fisico causato dall’uomo, a volte solo per ignoranza o mancanza di cautela, a volte per trascuratezza di precauzioni opportune o addirittura per azioni inopportune e dannose, si presenta in molte forme. Ma si deve aggiungere che esistono nel mondo molti casi di male fisico, che avvengono indipendentemente dall’uomo. Basti ricordare per esempio i disastri o le calamità naturali, come anche tutte le forme di minorazione fisica oppure di malattie somatiche o psichiche, di cui l’uomo non è colpevole,

4. La sofferenza nasce nell’uomo dall’esperienza di queste molteplici forme di male. In qualche modo essa può trovarsi anche negli animali, in quanto sono esseri dotati di sensi e della relativa sensibilità, ma nell’uomo la sofferenza raggiunge la dimensione propria delle facoltà spirituali che egli possiede. Si può dire che nell’uomo la sofferenza è interiorizzata, coscientizzata, sperimentata in tutta la dimensione del suo essere e delle sue capacità di azione e di reazione, di ricettività e di rigetto; è un’esperienza terribile, dinanzi alla quale, specialmente quando è senza colpa, l’uomo pone quei difficili, tormentosi, a volte drammatici interrogativi, che costituiscono ora una denuncia, ora una sfida, ora un grido di rifiuto di Dio e della sua Provvidenza. Sono interrogativi e problemi che si possono riassumere così: come conciliare il male e la sofferenza con quella sollecitudine paterna, piena d’amore, che Gesù Cristo attribuisce a Dio nel Vangelo? Come conciliarli con la trascendente sapienza e onnipotenza del Creatore? E in forma anche più dialettica: possiamo noi, di fronte a tutta l’esperienza del male che è nel mondo, specialmente di fronte alla sofferenza degli innocenti, dire che Dio non vuole il male? E se lo vuole, come possiamo credere che “Dio è amore”? Tanto più che questo amore non può non essere onnipotente?

5. Di fronte a questi interrogativi anche noi, come Giobbe, sentiamo quanto sia difficile dare una risposta. La ricerchiamo non in noi, ma con umiltà e fiducia nella parola di Dio. Già nell’Antico Testamento troviamo l’affermazione vibrante e significativa: “contro la Sapienza la malvagità non può prevalere. Essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap 7, 30-8, 1). Di fronte alla multiforme esperienza del male e della sofferenza nel mondo già l’Antico Testamento rende testimonianza al primato della Sapienza e della bontà di Dio, alla sua divina Provvidenza. Questo atteggiamento si delinea e sviluppa nel Libro di Giobbe, che è dedicato completamente alla tematica del male e del dolore visti come prova a volte tremenda per il giusto, ma superata dalla certezza, faticosamente conquistata, che Dio è buono. In questo testo cogliamo la consapevolezza del limite e della caducità delle cose create, per cui alcune forme di “male” fisico (dovute a mancanza o a limitazione del bene) appartengono alla struttura stessa degli esseri creati, che per propria natura sono contingenti e passeggeri, dunque corruttibili.

6. Sappiamo inoltre che gli esseri materiali sono in stretto rapporto di interdipendenza come esprime l’antico adagio: “la morte dell’uno è la vita dell’altro” (“corruptio unius est generatio alterius”). Così dunque, in una certa misura anche la morte serve alla vita. Questa legge riguarda anche l’uomo in quanto è un essere animale e insieme spirituale, mortale e immortale. A questo proposito tuttavia le parole di san Paolo dischiudono orizzonti ben più ampi: “se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4, 16). E ancora: “Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria” (2 Cor 4, 17).

6. L’assicurazione della Sacra Scrittura: “contro la sapienza la malvagità non può prevalere” (Sap 7, 30), rafforza la nostra convinzione che, nel piano provvidenziale del Creatore riguardo al mondo, il male è in definitiva subordinato al bene. Inoltre nel contesto della verità integrale sulla divina Provvidenza, si è aiutati a comprendere meglio le due affermazioni: “Dio non vuole il male come tale” e “Dio permette il male”. A proposito della prima è opportuno richiamare le parole del Libro della Sapienza: “. . . Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza” (Sap 1, 13-14). Quanto alla permissione del male nell’ordine fisico, ad esempio di fronte al fatto che gli esseri materiali (tra essi anche il corpo umano) sono corruttibili e subiscono la morte, bisogna dire che esso appartiene alla stessa struttura dell’essere di queste creature. D’altra parte sarebbe difficilmente pensabile, allo stato odierno del mondo materiale, l’illimitato sussistere di ogni essere corporeo individuale. Possiamo dunque capire che, se “Dio non ha creato la morte”, come afferma il Libro della Sapienza, tuttavia egli la permette, in vista del bene globale del cosmo materiale.

7. Ma se si tratta del male morale, cioè del peccato e della colpa nelle loro diverse forme e conseguenze anche nell’ordine fisico, questo male Dio decisamente e assolutamente non lo vuole. Il male morale è radicalmente contrario alla volontà di Dio. Se nella storia dell’uomo e del mondo questo male è presente e a volte addirittura opprimente, se in un certo senso ha una propria storia, esso viene solo permesso dalla divina Provvidenza per il fatto che Dio vuole che nel mondo creato vi sia libertà. L’esistenza della libertà creata (e dunque l’esistenza dell’uomo, l’esistenza anche di spiriti puri come sono gli angeli, dei quali parleremo più avanti), è indispensabile per quella pienezza della creazione, che risponde all’eterno piano di Dio (come abbiamo già detto in una delle precedenti catechesi). A motivo di quella pienezza di bene che Dio vuole realizzare nella creazione, l’esistenza degli esseri liberi è per lui un valore più importante e fondamentale del fatto che quegli esseri abusino della propria libertà contro il Creatore, e che perciò la libertà possa portare al male morale.

Indubbiamente è grande la luce che riceviamo dalla ragione e dalla rivelazione a riguardo del mistero della divina Provvidenza, che pur volendo il male lo tollera in vista di un bene più grande. La luce definitiva, tuttavia, ci può venire soltanto dalla croce vittoriosa di Cristo. Ad essa dedicheremo la nostra attenzione nella catechesi seguente.

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1986/documents/hf_jp-ii_aud_19860604_it.html

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01/10/2010 15:26

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 11 giugno 1986

 

1. Nella precedente catechesi abbiamo affrontato l’interrogativo dell’uomo di ogni tempo circa la Provvidenza divina, di fronte alla realtà del male e della sofferenza. La parola di Dio luminosamente e perentoriamente afferma che “contro la sapienza (di Dio) la malvagità non può prevalere” (cf. Sap 7, 30), e che Dio permette il male nel mondo per fini più alti, ma che non lo vuole. Oggi desideriamo metterci in ascolto di Gesù Cristo, il quale nel contesto del mistero pasquale, offre la risposta piena e completa a tale tormentoso interrogativo.

Riflettiamo anzitutto sul fatto che san Paolo annunzia il Cristo crocifisso come “potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 1, 24), in cui la salvezza viene data ai credenti. Certamente la sua è una potenza mirabile, se si manifesta nella debolezza e nell’abbassamento della passione e della morte di croce. Ed è una sapienza eccelsa, sconosciuta al di fuori della rivelazione divina. Nel piano eterno di Dio, e nella sua provvidenziale azione nella storia dell’uomo, ogni male, e in particolare il male morale - il peccato - viene sottomesso al bene della redenzione e della salvezza proprio mediante la croce e la risurrezione di Cristo. Si può dire che in lui Dio trae il bene dal male. Lo trae in un certo qual senso dal male stesso del peccato, che è stato la causa della sofferenza dell’Agnello Immacolato e della sua terribile morte sulla croce come vittima per i peccati del mondo. La liturgia della Chiesa non esita addirittura a parlare, a questo proposito, di “felix culpa” (cf. Exsultet della Veglia pasquale).

2. Così alla domanda: come conciliare il male e la sofferenza che è nel mondo con la verità della Provvidenza divina, non si può dare una risposta definitiva senza fare riferimento a Cristo. Da un lato, infatti, Cristo - il Verbo Incarnato - conferma mediante la propria vita - nella povertà, nell’umiliazione e nella fatica - specialmente mediante la sua passione e morte, che Dio è con ogni uomo nella sua sofferenza, e che anzi egli stesso prende su di sé la multiforme sofferenza dell’esistenza terrena dell’uomo. Nello stesso tempo Gesù Cristo rivela che questa sofferenza possiede un valore e una potenza redentiva e salvifica; che in essa si prepara quell’“eredità che non si corrompe”, di cui parla san Pietro nella sua prima lettera: l’eredità che è conservata nei cieli per noi” (cf. 1 Pt 1, 4). Così la verità della Provvidenza acquista mediante la “potenza e sapienza” della croce di Cristo il suo definitivo senso escatologico. La risposta definitiva alla domanda sulla presenza del male e della sofferenza nell’esistenza terrena dell’uomo viene offerta dalla rivelazione divina nella prospettiva della “predestinazione in Cristo”, nella prospettiva cioè della vocazione dell’uomo alla vita eterna, alla partecipazione alla vita di Dio stesso. È proprio questa la risposta che Cristo ha portato, confermandola con la sua croce e la sua risurrezione.

3. In questo modo tutto, anche il male e la sofferenza presenti nel mondo creato, e specialmente nella storia dell’uomo, sono sottoposti a quella inscrutabile Sapienza, circa la quale san Paolo esclama con trasporto: “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie . . .” (Rm 11, 33). Essa, infatti, nell’intero contesto salvifico, è quella “sapienza contro la quale la malvagità non può prevalere” (cf. Sap 7, 30). È una Sapienza piena d’amore, poiché “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito . . .” (Gv 3, 16).

4. Proprio di questa Sapienza, ricca di amore compassionevole verso l’uomo sofferente, si interessano gli scritti apostolici per aiutare i fedeli tribolati a riconoscere il passaggio della Grazia di Dio. Così scrive san Pietro ai cristiani della prima generazione: “Siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie prove”. E aggiunge: “perché il valore della vostra fede molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia, si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo” (1 Pt 1, 6-7). Queste ultime parole fanno riferimento all’Antico Testamento, e in particolare al Libro del Siracide, nel quale leggiamo: “con il fuoco si prova l’oro, e gli uomini ben accetti nel crogiolo del dolore” (Sir 2, 5). Pietro, riprendendo lo stesso tema della prova, continua nella sua lettera: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1 Pt 4, 13).

5. In modo analogo si esprime l’apostolo san Giacomo quando esorta i cristiani ad affrontare le prove con letizia e pazienza: “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi” (Gc 1, 2-4). Infine san Paolo nella lettera ai Romani, paragona le sofferenze umane e cosmiche a una sorta di “doglie del parto” di tutta la creazione, sottolineando i “gemiti” di coloro che possiedono le “primizie” dello Spirito e aspettano la pienezza dell’adozione, cioè “la redenzione del nostro corpo”. Ma aggiunge: “Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio . . .” e più oltre: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?”, fino a concludere: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita . . . né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 22-39). Accanto alla paternità di Dio, manifestata dalla Provvidenza divina, appare anche la pedagogia di Dio: “È per la vostra correzione (“paideia”, cioè educazione) che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto (educato) dal padre? . . . Dio lo fa per il nostro bene, allo scopo di farci partecipi della sua santità” (Eb 12, 7. 10).

6. Vista dunque con gli occhi della fede la sofferenza, anche se può ancora apparire come l’aspetto più oscuro del destino dell’uomo sulla terra, lascia però trasparire il mistero della divina Provvidenza, contenuto nella rivelazione di Cristo, e in particolare nella sua croce e nella sua risurrezione. Senza dubbio può ancora accadere che, ponendosi gli antichi interrogativi sul male e sulla sofferenza in un mondo creato da Dio, l’uomo non trovi una risposta immediata, specialmente se non possiede una fede viva nel mistero pasquale di Gesù Cristo. Gradualmente però e con l’aiuto della fede alimentata dalla preghiera, si scopre il senso vero della sofferenza che ciascuno sperimenta nella propria vita. È una scoperta che dipende dalla parola della divina rivelazione e dalla “parola della croce” (cf. 1 Cor 1, 18) di Cristo, che è “potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 1, 24). Come dice il Concilio Vaticano II: “Per Cristo e in Cristo si illumina l’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo vangelo ci schiaccia” (Gaudium et Spes, 22). Se scopriamo mediante la fede questa potenza e questa “sapienza”, ci troviamo sulle vie salvifiche della divina Provvidenza. Si conferma allora il senso delle parole del salmista: “II Signore è il mio pastore . . . Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Sal 22, 1. 4). La Provvidenza divina si rivela così come il camminare di Dio a fianco dell’uomo.

7. In conclusione: la verità sulla Provvidenza, che è intimamente legata al mistero della creazione, deve essere compresa nel contesto di tutta la rivelazione, di tutto il “Credo”. Si vede così che, in modo organico, nella verità della Provvidenza entrano la rivelazione della “Predestinazione” (“praedestinatio”) dell’uomo e del mondo in Cristo, la rivelazione dell’intera economia della salvezza e la sua realizzazione nella storia. La verità della Provvidenza divina è anche strettissimamente legata alla verità del regno di Dio, e perciò hanno un’importanza fondamentale le parole pronunciate da Cristo nel suo insegnamento sulla Provvidenza: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia . . . e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33; cf. Lc 12, 13). La verità circa la divina Provvidenza, cioè circa il trascendente governo di Dio sul mondo creato, diventa comprensibile alla luce della verità sul regno di Dio, su quel regno che Dio ha eternamente inteso realizzare nel mondo creato in base alla “predestinazione in Cristo”, che è stato “generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15).


http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1986/documents/hf_jp-ii_aud_19860611_it.html

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