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L'INFERNO E' UNA VERITA' ?

Ultimo Aggiornamento: 07/10/2010 03:27
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06/10/2010 01:08

L’inferno è una verità?

L’inferno è una di quelle verità che oggi vengono sottese o date per scontate, che sono "chiacchierate" ma non prese sul serio, lasciate ancora in quel tratto della teologia dove c’è esposto il cartello "lavori in corso".

Non ci sfiora neppure la mente né proviamo timore di essere scacciati dal regno di Dio per essere gettati dagli Angeli nell’inferno, anzi abbiamo la convinzione che sia l’invenzione di un retaggio ormai sorpassato.

Così la realtà tragica della condanna eterna descritta nei Vangeli si è trasformata sino a divenire una favola per adulti.


L’inferno esiste? Ecco le prove della ragione


Giustizia deriva dal latino iustitia che a sua volta deriva da iustus "giusto" e questo da ius, diritto, ragione. L’ideale di giustizia, in ciascuno di noi, si fonda sul concetto di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto.
Pur con tutti i limiti di una giustizia che inevitabilmente si discosta dal nostro concetto ideale,
la giustizia impone la condanna per coloro che violano la legge, ossia prevede il castigo per coloro che hanno commesso un reato.

D’altra parte in quasi tutti i campi dell’attività umana tanto per citare la scuola, i voti sono relativi alla preparazione dello studente, alti per gli studenti bravi e brutti per gli studenti non volenterosi.


Se dunque noi che siamo imperfetti prevediamo la possibilità del premio o del castigo, tanto più Colui che dovrebbe applicare la giustizia perfetta per l’uomo dovrà dare secondo equità.

Come è possibile immaginare una Giustizia divina protesa a premiare gli assassini, gli immorali, i sacrileghi, gli empi e gli iniqui?

Per tutti coloro che hanno calpestato ogni sentimento, ogni pietà e si sono nutriti dell’ingiustizia pur di soddisfare ogni loro brama,
in nome di che cosa dovrebbero meritare il gaudio e la gioia eterna?

Forse di un pentimento che non si è nemmeno affacciato nelle loro coscienze.

Forse in nome di una Misericordia divina che è stata intesa come pretesto ad ogni illecito.

Questa è la giustizia divina pensata addirittura inferiore a quella umana?

In realtà la Misericordia di Dio non può scontrarsi con la Sua perfetta Giustizia e tanto meno distruggerla
.

La Misericordia per poter concedere il perdono pretende il pentimento.


Le prove della rivelazione

Dio ha voluto svelare all’uomo cose a lui misteriose.

Nel Vangelo Gesù ha più volte ammonito con parole che non ammettono alcun fraintendimento, che arriverà nel tempo stabilito il giorno del Giudizio ed a ognuno sarà dato secondo giustizia; il premio per i buoni e il castigo per i malvagi.

Che non sia facile percorrere la via del bene è lo stesso Gesù a svelarcelo.

"Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanta stretta è la porta e angustia la via che conduce alla vita, e sono pochi quelli che la trovano!" (Mt 7,13-14).

In quel tempo gli Ebrei credevano di aver diritto al Paradiso soltanto perché erano discendenti di Abramo,
Gesù in un modo molto efficace li ammonisce:
"Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 8,11). Gesù instancabilmente ci esorta ad impegnarci in quanto "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21).

Questo impegno deve portare inevitabilmente molti frutti altrimenti
"Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco" (Mt 3,10).

Sovente Gesù ribadisce il concetto della solerzia verso le cose di Dio:
"Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano" (Gv 15,6).

Il fuoco come castigo ricorre anche per gli operatori di scandali:
"Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è bene per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geèna, nel fuoco inestinguibile" (Mr 10,43).

La Geenna, o la Valle dell’Hinnom, era un luogo vicino a Gerusalemme dove si bruciavano le immondizie, ma anche il luogo dove al tempo del dominio cananeo venivano eseguiti sacrifici di bambini tramite roghi e che valeva come luogo di giudizio divino.

Per coloro che non credono nell’esistenza dell’inferno attraverso la parola rivelata, ci sarà ancora qualche speranza di ripensamento?

Gesù stesso ci risponde
attraverso la parabola del ricco epulone:
"Allora, Padre ti prego di mandare Lazzaro a casa da mio padre, perché ho cinque fratelli. Li metta in guardia, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se fra i morti qualcuno andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti" (Lc 17,27-30).

Come avverrà il Giudizio è Gesù stesso a rivelarcelo:
"Quando il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, sederà sul trono della sua gloria […] Egli separerà gli uni dagli altri […] venite benedetti del Padre mio, riceverete in eredità il regno […] Poi dirò anche a quelli che saranno alla mia sinistra: via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli […] e se ne andranno: questi al supplizio eterno" (Mt 25,31-46).

Chi saranno i maledetti?
"I maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna" (Ap 22,14).
Ecco, io vengo presto e ho con me il salario per rendere a ciascuno le sue opere.

La prova più forte dell’esistenza dell’inferno è data proprio dalle parole di Gesù.


Dubitare o negare di questa tremenda verità sarebbe come distruggere il Vangelo, dubitare dell’esistenza della luce del sole
.

La "dannazione" non va attribuita ad un progetto di Dio, perché nel suo amore, egli desidera la salvezza degli uomini, in realtà sono le creature che si chiudono al suo amore.

La "dannazione" in sintesi consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo, la sentenza dopo la morte ratifica proprio questo stato
.

La dannazione è una realtà possibile e il pensiero dell’inferno deve rappresentare un necessario monito alla libertà di peccare
.

La logica del peccato è l'Inferno.

Se il peccatore permane nel peccato, se prova rimorso ma questo non si trasforma in pentimento, la Misericordia Divina non può intervenire, perché Dio non può perdonare una volontà che in nessun caso mai si pente, che mai gli chiede perdono, che sempre gli è ribelle.

Sarebbe paradossale pretendere da Dio il dono della vista dopo essersi strappati gli occhi e non voler ricorrere al Suo aiuto.

Paradossalmente la riflessione sull’inferno ci mette comunque di fronte alla nostra responsabilità in modo molto efficace e ci fa recepire che la nostra scelta del bene è veramente il "caso serio" da non poter eludere e tanto meno da snobbare.

Di seguito potrai comprendere meglio su quale fondamento si basa la tremenda verità dell’inferno, le pene e i tormenti dei dannati, attraverso le argomentazioni e le visioni di Santi tra i quali Veronica Giuliani, Teresa D’Avila, Faustina Kowalska, Emmerick, Alfonso, Agostino, per comprendere questo luogo infelice e a prendere sul serio la possibilità reale di poter sprofondare in quel luogo di tormento ed essere infelici per sempre.

Tratto da: "L’Imitazione di Cristo"

In ogni cosa tieni l'occhio fisso al termine finale; tieni l'occhio a come comparirai dinanzi al giudice supremo; al giudice che vede tutto, non si lascia placare con doni, non accetta scuse, e giudica secondo giustizia (cfr. Is 11,4).

Oh! sciagurato e stolto peccatore, come potrai rispondere a Dio, il quale conosce tutto il male che hai fatto; tu che tremi talvolta alla vista del solo volto adirato di un uomo?

Perché non pensi a quel che avverrà di te nel giorno del giudizio, quando nessuno potrà essere scagionato e difeso da altri, e ciascuno costituirà per se stolto e disprezzato per amore di Cristo.

In quel giorno sarà cara ogni tribolazione che sia stata sofferta pazientemente, e «ogni iniquità chiuderà la sua bocca» (Sal 106, 42);
l'uomo pio sarà nella gioia, mentre sarà nel dolore chi è vissuto senza fede.

In quel giorno il corpo tribolato godrà piú che se fosse stato nutrito di delizie;
risplenderà la veste grossolana e quella fine sarà oscurata; una miserabile dimora sarà piú ammirata di un palazzo dorato.

In quel giorno una pazienza che non sia venuta mai meno, gioverà piú che tutta la potenza della terra;
la schietta obbedienza sarà glorificata piú che tutta l'astuzia del mondo.

In quel giorno la pura e retta coscienza darà piú gioia che la erudita dottrina; il disprezzo delle ricchezze varrà di piú che i tesori di tutti gli uomini.

In quel giorno avrai maggior gioia da una fervente preghiera che da un pranzo prelibato; trarrai piú gioia dal silenzio che avrai mantenuto, che da un lungo parlare.

In quel giorno le opere buone varranno di piú che le molte parole; una vita rigorosa e una dura penitenza
ti saranno piú care di ogni piacere di questa terra.

Impara a patire un poco adesso, affinché allora tu possa essere liberato da patimenti
maggiori. Prova te stesso prima, quaggiú, per sapere di che cosa sarai capace allora.

Se adesso sai cosi poco patire, come potrai sopportare i tormenti eterni?
Se adesso un piccolo patimento ti rende così incapace di sopportazione, come ti renderà la geenna?

Ecco, in verità, non le puoi avere tutte e due, queste gioie: godere in questa vita e poi regnare con Cristo.

Che ti gioverebbe, se, fino ad oggi, tu fossi sempre vissuto tra gli onori e i piaceri,
e ora ti accadesse di morire improvvisamente?

Tutto, dunque, è vanità, fuorché amare Iddio e servire a Lui solo.

E perciò, colui che ama Dio con tutto il suo cuore non ha paura né della morte, né della condanna, né del giudizio, né dell'inferno.

Un amore perfetto porta con tutta sicurezza a Dio; chi invece continua ad amare il peccato ha paura e — ciò non fa meraviglia — della morte e del giudizio.

Se poi non hai ancora amore bastante per star lontano dal male, è bene che almeno la paura dell'inferno ti trattenga;

in effetti,

chi non tiene nel giusto conto il timore di Dio non riuscirà a mantenersi a lungo nella via del bene, ma cadrà ben presto nei lacci del diavolo.



Michelangelo particolare del Giudizio universale

http://digilander.libero.it/monast/inferno/index.htm


Nota: Il testo si compone di diversi argomenti:

Dannati
Tormenti 
Pene Eterne 
Insidie infernali  
Giudizio Universale
Mezzi
Verità 
Misericordia 

E altri scritti dei Santi

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07/10/2010 03:18


Le pene dei dannati 



Gesù chiama gli abissi eterni: "Luogo di tormento" (Lc 16, 28).

San Tommaso d'Acquino definisce la pena del danno come la "Privazione del Sommo Bene", cioè di Dio.

Quando un'anima entra nell'eternità, avendo lasciato nel mondo tutto ciò che aveva ed amava e conoscendo Dio così com'è nella sua infinita bellezza e perfezione, si sente fortemente attratta ad unirsi a Lui, più che il ferro verso una potente calamità.

Riconosce allora che l'unico oggetto del vero amore è il Sommo Bene, Dio, l'Onnipotente.

Ma se un’anima disgraziatamente lascia questa terra in uno stato di inimicizia verso Dio, si sentirà respinta dal Creatore:
"Via, lontano da me, maledetta! nel fuoco eterno! preparato per il diavolo e per i suoi angeli!" (Mt 25, 41 ).

Aver conosciuto il Supremo Amore... sentire il bisogno impellente di amarlo e di essere riamati da Lui... e sentirsene respinti... per tutta l'eternità, questo è il primo e più atroce tormento per tutti i dannati.


La pena dell’amore Impedito

Chi non conosce la potenza dell'amore umano e gli eccessi a cui può giungere quando sorge qualche ostacolo?

Che cos'è l'amore umano in confronto all'Amore divino...?

Che cosa non farebbe un'anima dannata pur di arrivare a possedere Dio...?

Pensando che per tutta l'eternità non potrà amarLo, vorrebbe non essere mai esistita o sprofondare nel nulla, se fosse possibile, ma essendo questo impossibile sprofonda nella disperazione.

Ognuno può farsi una sua pur debole idea della pena di un dannato che si separa da Dio, considerando ciò che prova il cuore umano alla perdita di una persona cara.

Ma queste pene, che sulla terra sono le sofferenze più grandi tra tutte quelle che possono straziare il cuore umano, sono ben poca cosa davanti alla pena disperata dei dannati.

La perdita di Dio, dunque, è il più grande dolore che tormenta i dannati.

- San Giovanni Crisostomo dice: "Se tu dirai mille inferni, non avrai ancora detto nulla che possa uguagliare la perdita di Dio".

- Sant'Agostino insegna: "Se i dannati godessero la vista di Dio non sentirebbero i loro tormenti e lo stesso inferno si cambierebbe in paradiso".

- San Brunone, parlando del giudizio universale, nel suo libro dei "Sermoni" scrive: "Si aggiungano pure tormenti a tormenti e tutto è nulla davanti alla privazione di Dio".

- Sant'Alfonso precisa: "Se udissimo un dannato piangere e gli chiedessimo "Perché piangi tanto?", ci sentiremmo rispondere: "Piango perché ho perduto Dio!".
Almeno il dannato potesse amare il suo Dio e rassegnarsi alla sua volontà! Ma non può farlo. È costretto a odiare il suo Creatore nello stesso tempo che lo riconosce degno di infinito amore".

- Santa Caterina da Genova quando le apparve il demonio lo interrogò: "Tu chi sei?" - "lo sono quel perfido che si è privato dell'amore di Dio!".


La pena del tormento e del rimorso

Parlando dei dannati, Gesù dice: "il loro verme non muore" (Mc 9, 48).

Questo "verme che non muore", spiega San Tommaso, è il rimorso, dal quale il dannato sarà in eterno tormentato.
Mentre il dannato sta nel luogo dei tormenti pensa:
"Mi sono perduto per niente, per godere appena piccole e false gioie nella vita terrena che è svanita in un lampo... Avrei potuto salvarmi con tanta facilità e invece mi sono dannato per niente, per sempre e per colpa mia!".

Nel libro "Apparecchio alla morte" si legge che a Sant'Umberto apparve un defunto che si trovava all'inferno; questi affermò:
"il terribile dolore che continuamente mi rode è il pensiero del poco per cui mi sono dannato e del poco che avrei dovuto fare per andare in paradiso!".


La pena del senso

Si legge nella Bibbia:
"Con quelle stesse cose per cui uno pecca, con esse è poi castigato" (Sap 11, 10).

Quanto più dunque uno avrà offeso Dio con un senso, tanto più sarà tormentato in esso.

La più terribile pena del senso è quella del fuoco, di cui ci ha parlato più volte Gesù.

Dice Sant'Agostino: "A confronto del fuoco dell’inferno il fuoco che conosciamo noi è come se fosse dipinto".

La ragione è che il fuoco terreno Dio l'ha voluto per il bene dell'uomo, quello dell'inferno, invece, l'ha creato per punire le sue colpe.

Il dannato è circondato dal fuoco, anzi, è immerso in esso più che il pesce nell'acqua;
sente il tormento delle fiamme e come il ricco epulone della parabola evangelica urla:
"perché spasimo dal dolore in questa fiamma" (Lc 16, 24).

Parlando a chi vive incoscientemente nel peccato senza porsi il problema della finale resa dei conti,
San Pier Damiani scrive:
"Continua, pazzo, ad accontentare la tua carne; verrà un giorno in cui i tuoi peccati diventeranno come pece nelle tue viscere che farà più tormentosa la fiamma che ti divorerà in eterno!".

La pena del fuoco comporta anche la sete.

Quale tormento la sete ardente in questo mondo! E quanto più grande sarà lo stesso tormento all'inferno, come testimonia il ricco epulone nella parabola narrata da Gesù!
Una sete inestinguibile.


Il grado della pena

Dio è infinitamente giusto per questo all'inferno da pene maggiori a chi l'ha offeso di più.
Chi è nel fuoco eterno per un solo peccato mortale soffre orribilmente per quest'unica colpa;
chi è dannato per cento, o mille... peccati mortali soffre cento, o mille volte... di più.

Più legna si mette nel forno, più aumenta la fiamma e il calore.
Perciò chi, inabissato nel vizio, calpesta la legge di Dio moltiplicando ogni giorno le sue colpe, se non si rimette in grazia di Dio e muore nel peccato, avrà un inferno più tormentoso di altri.

Per chi soffre è un sollievo pensare: "Un giorno finiranno queste mie sofferenze".

Il dannato, invece, non trova alcun sollievo, anzi, il pensiero che i suoi tormenti non avranno fine è come un macigno che rende più atroce ogni altro dolore.

Non è un'opinione, ma è verità di fede, rivelata direttamente da Dio, che il castigo dei dannati non avrà mai fine.

Ricordo soltanto quanto ho già citato delle parole di Gesù:
"Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25, 41 ).

Sant'Alfonso scrive:

"Quale pazzia sarebbe quella di chi, per godersi una giornata di spasso, accettasse la condanna di star chiuso in una fossa per venti o trent'anni!
Se l'inferno durasse cento anni, o anche solo due o tre anni, pure sarebbe una grande pazzia per un attimo di piacere condannarsi a due o tre anni di fuoco.
Ma qui non si tratta di cento o di mille anni, si tratta dell'eternità, e cioè di patire per sempre gli stessi atroci tormenti che non avranno mai fine."

Dice San Tommaso - "la pena non si misura secondo la durata della colpa, ma secondo la qualità del delitto.
L'omicidio,
anche se si commette in un momento, non viene punito con una pena momentanea."

Dice San Bernardino da Siena:
Con ogni peccato mortale si fa a Dio un'ingiustizia infinita, essendo Egli infinito; e a un’ingiuria infinita spetta una pena infinita.

La pena del tormento del corpo

La risurrezione dei corpi avverrà certamente è Gesù stesso che ci assicura di questa verità.
"Non vi meravigliate di questo, perché viene l’ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la mia voce, e quelli che hanno operato il bene ne usciranno per la risurrezione della vita; quelli, invece, che fecero del male, per la risurrezione della condanna." (Gv 5, 28-29).

Quindi anche il corpo, essendo stato strumento di male durante la vita, prenderà parte ai tormenti eterni.

Dopo la risurrezione tutti i corpi saranno immortali e incorruttibili.

Non tutti però saremo trasformati allo stesso modo.

La trasformazione del corpo dipenderà dallo stato e dalle condizioni in cui si troverà l'anima nell'eternità: saranno gloriosi i corpi dei salvati e orrendi i corpi dei dannati.

Per cui se l'anima si troverà in paradiso, in stato di beatitudine, rifletterà nel suo corpo risorto le caratteristiche proprie dei corpi degli eletti: la spiritualità, l'agilità, lo splendore e l'incorruttibilità.

Se invece l'anima si troverà all'inferno, nello stato di dannazione, imprimerà nel suo corpo caratteristiche del tutto opposte.

L'unica proprietà che il corpo dei dannati avrà in comune col corpo dei beati è l'incorruttibilità: anche i corpi dei dannati non saranno più soggetti alla morte.

Riflettano molto coloro che vivono nell'idolatria del loro corpo e lo appagano in tutte le sue brame scellerate!

I piaceri immorali del corpo saranno ripagati con molti tormenti per tutta l'eternità.



[Modificato da Anam_cara 07/10/2010 03:27]
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