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2 febbraio

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2011 09:43
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02/02/2011 09:31

Sant' Adalbaldo Martire

2 febbraio

+ 650

Le notizie sulla sua vita sono ricavate da una Vita Rictrudis, scrit ta da Ubaldo di St. Amand. Signore di Ostrevant, forse duca di Douai, dignitario della corte di Da goberto I e di Clodoveo II, nipote per parte di madre di s. Gertrude, fondatrice del monastero di Hamage, presso Marchiennes, durante una spedizione militare in Guascogna Adalbaldo sposò s. Rictrude, figlia di Ernoldo, signore di Tolosa, malgrado la violenta opposizione dei genitori di lei. Da questo matrimonio ebbe quattro figli, venerati anch'essi nella Chiesa : s. Mauronte, la b. Clotsinda, s. Euse bia e la b. Adalsinda. Venne assassinato nei pressi di Périgueux durante una successiva spedizione in Aquitania (650), forse ad opera di sicari del suocero, offeso dal fatto che la figlia avesse sposato un nemico della sua gente.
Fu sepolto nel monastero di Elnon (St. Amand-lcs-Eaux). Sulla sua tomba avvennero alcuni mi racoli ed il popolo incominciò a venerarlo come santo, attribuendogli anche il titolo di martire, poiché la sua morte era avvenuta in una regione ancora in gran parte pagana. Parte delle sue reli quie furono trasportate a Douai ed il suo culto si diffuse in Belgio ed anche in altre regioni. La sua festa è celebrata il 2 febb., forse anniversario del suo dies natalis o della traslazione delle reli quie, mentre nelle diocesi della Fiandra venne spo stata al 4 febb., per non farla coincidere con la festa della Purificazione della Vergine. Il suo nome, però, non è attualmente ricordato nei calendari liturgici di Cambrai e di Lille.


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Sant' Adeloga di Kitzingen Badessa

2 febbraio

m. 745 circa

Sant’Adeloga, principessa franca, entrò tra le benedettine di Nus. Fondò il convento benedettino di Kitzingen, in Franconia, del quale divenne badessa.

Emblema: Bastone pastorale, Modellino di chiesa


Secondo una biografia piuttosto leggendaria, composta nel sec. XII, era figlia di Carlo Martello; bella e virtuosa fu da molti chiesta in sposa, ma Adeloga rifiutò ogni pretendente avendo consacrato a Dio la sua verginità. Accusata di fornicazione con il cappellano reale, furono ambedue scacciati dalla reggia e, recatisi in un bosco, fondarono un doppio monastero, secondo la regola di s. Benedetto, di cui A. fu la prima badessa. In seguito alla vita santa ed ai miracoli operati da Adeloga il padre credette alla virtù della figlia e dotò il monastero di molti beni. Adeloga morì il 2 febb. e fu sepolta presso l'altare della Vergine nella chiesa del monastero. Le sue reliquie furono profanate nel 1525 in una rivolta di contadini e, dopo la ricostruzione del monastero fatta nel 1695-9, essendo stato affidato il luogo alle Orsoline, si perdette anche la memoria del sepolcro.
Che Adeloga sia stata la fondatrice del monastero di Kitzingen è molto dubbio, poiché secondo un documento era viva ancora nel 766, mentre il monastero sarebbe stato fondato un po' prima, durante l'opera missionaria di s. Bonifacio, e prima badessa ne sarebbe stata s. Tecla. La festa di Adeloga si celebra il 2 febbraio.



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Beato Andrea Carlo Ferrari

2 febbraio

Prato Piano, Parma, agosto 1850 - Milano, 2 febbraio 1921

Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco

Martirologio Romano: A Milano, beato Andrea Carlo Ferrari, vescovo, che valorizzò la tradizione religiosa del suo popolo e aprì nuove vie per far conoscere nel mondo Cristo e la carità della Chiesa.


Nato a Lalatta, frazione del comune di Prato Piano (Parma) nell'agosto 1850, Andrea Ferrari percorse la normale "carriera" ecclesiastica del tempo. Accolto presso il seminario di Parma, nel '73 venne ordinato sacerdote; l'anno dopo venne nominato parroco, successivamente vicerettore al seminario di Parma e professore di fisica e matematica; in seguito divenne rettore dello stesso istituto. Nel 1890 venne eletto vescovo di Guastalla, e fu trasferito poi a Como; successivamente Leone XIII lo nominò cardinale destinandolo, nel 1894, alla diocesi di Milano dove Andrea Ferrari rimase fino alla morte (1921).
Fu un pastore molto attivo; ma talvolta la sua opera e i suoi scritti suscitarono contrasti e richiami. Nel 1911 dovette affrontare prima una visita canonica e poi anche la sospensione della parola perché, in alcuni ambienti più conservatori, era ritenuto vicino alle idee moderniste. Tale posizione in seguito venne chiarita: il santo vescovo era infatti attento alla parola del papa e rispettoso della Chiesa. Ebbe a scrivere: "Nessun altro magistero al mondo può essere paragonato a quello del Romano Pontefice, a cui fu promessa la speciale assistenza dello Spirito Santo, che è Spirito di Verità. Si dice: Ma il papa è un uomo! Ma una cosa io veggo e sento, ed è la mano di Dio che a mostrare la sua potenza elegge le cose ignobili e spregevoli e che dalle pietre istesse può suscitare figliuoli di Abramo".
Svolse, nella sua diocesi, una intensissima vita pastorale visitando tutti gli ambienti, gruppi e associazioni, classi e strati sociali.
La sua era una presenza instancabile, con la parola, con le lettere pastorali, con le direttive. "Portiamo agli Esercizi con noi tutto il nostro buon volere, grande generosità di cuore, ferma risoluzione di mantenere assoluto e rigoroso silenzio senza del quale gli Esercizi sarebbero un perditempo e un controsenso. Però nessuno creda che per mantenere raccoglimento e silenzio occorra recarsi qua o là a fare gli Esercizi da solo. Anzi, il più delle volte (come lo mostra l'esperienza) è allora che più facilmente manca il valido sussidio alla parola viva assai più efficace di quella che leggiamo sui libri".
Sapeva cogliere e valorizzare nei suoi sacerdoti gli aspetti umani, ma era anche inflessibile, perché dava un giusto valore alla disciplina. Inoltre teneva molto alla loro preparazione culturale.
Di lui si conservano moltissimi documenti scritti; si calcola che abbia tenuto circa 20 mila discorsi. Dotato di forte intelligenza, affrontava i problemi con immediatezza ma con calma e con serenità.
Un posto di rilievo nella sua spiritualità lo ebbero l'Eucaristia e la Vergine Maria.
Fu tra i primi vescovi che si interessarono ai problemi sociali nella scia della enciclica Rerum Novarum di Leone XIII; istituì, nel seminario, una cattedra di economia sociale affidandola al professor Giuseppe Toniolo, reputato uno dei più preparati studiosi. Narra un suo biografo: "Proprio per venire incontro ai nuovi problemi creati dall'industria, aveva istituito i "Cappellani del lavoro". Venuto dal popolo, seppe alzare ripetutamente e fieramente la voce di pastore vigile contro i latifondisti e i padroni delle officine a difesa dei diritti dei lavoratori e del rispetto dovuto alla persona umana. I padroni (diceva con accenti che, dopo molti secoli, echeggiavano ancora le parole di sant'Ambrogio) non abbiano gli operai in conto di schiavi, ma li riguardino come fratelli, rispettando pur in loro l'immagine del Salvatore Divino. Retribuiscano l'operaio con giusta mercede".
Non si limitava soltanto a esprimere idee, ma, nella sua diocesi, per affrontare i momenti difficili in cui l'ltalia cercava un suo assestamento economico, diede il suo patrocinio e aiutò la fondazione di leghe operaie, agricole, industriali, società di mutuo soccorso, casse rurali. Ebbe molto a cuore anche la stampa: avviò la fondazione di un giornale, "L'Unione", che in seguito divenne un diffuso quotidiano con il nome "L'Italia".
Durante la campagna antimodernista, avviata con dura intransigenza dai periodici "La Riscossa" di Vicenza e "La Liguria" di Genova, subì una forte contestazione: anche in queste difficili circostanze difese chiaramente, nella sua diocesi, la posizione del suo clero e dei fedeli.
In quel periodo, dato che Pio X era "blindato" da una segreteria che non permetteva contatti e tanto meno dialogo, si chiuse in silenzio e in preghiera. "Tra lui e il papa san Pio X era venuta a formarsi una cortina fumogena di malintesi, di dubbi, di sospetti, che altri, all'insaputa dei due santi, in nome di una miope intransigenza e con disinvoltura poco scrupolosa, avevano reso più densa e più cupa. Così avvenne che il santo cardinale ebbe molto da soffrire non solo per la Chiesa, ma dalla Chiesa e precisamente dal papa san Pio X. Al papa pareva non solo che l'arcivescovo di Milano fosse troppo tiepido nella lotta contro il modernismo e troppo remissivo verso i modernisti, ma che talvolta rasentasse la slealtà. Il peggio si è che i sentimenti del papa trapelavano e di bocca in bocca giungevano a Milano, e taluni del clero e del laicato, per dimostrarsi amanti del papa, ritiravano il cuore e la stima dal loro arcivescovo".
In seguito il nuovo papa, Benedetto XV, ebbe parole di attenzione e di forte ammirazione per questo cardinale che nella realtà del lavoro quotidiano sapeva esprimersi con il carisma di una fede indiscussa e di una grande spiritualità.
Andrea Ferrari volle lavorare fino allo stremo delle forze: la malattia cominciò con i sintomi di una raucedine.
Morì il 2 febbraio del 1921. Uno degli ultimi atti ufficiali, già sul letto di morte, fu l'approvazione degli statuti dell'Università Cattolica di Milano. Questo vescovo e cardinale è annoverato tra i grandi santi del nostro secolo: spiriti di Dio che conobbero la sofferenza, le difficoltà ma che, abbracciati a Cristo, contribuirono a esprimere concretamente la ricerca della perfezione umana e cristiana.
E' stato beatificato il 10 maggio 1987. Il martirologio romano lo celebra il 2 febbraio, mentre la Chiesa Ambrosiana il 1° febbraio.



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02/02/2011 09:33

San Bernardo da Corbara Sacerdote mercedario

2 febbraio

XII secolo

Proveniente dalla nobile famiglia dei conti di Montemarte, San Bernardo era nato a Corbara nei pressi di Orvieto. Fu uno dei primi compagni di S.Pietro Nolasco dal quale aveva ricevuto l’abito il 10 agosto 1218, il giorno stesso della fondazione dell’Ordine Mercedario, entrò come cavaliere laico e in seguito ricevette gli ordini sacri, ed era, a quel tempo l’unico sacerdote dell’Ordine. Uomo dotto e pio, fu maestro dei novizi che guidò con santità per la sua vita esemplare.
Successivamente inviato a compiere una redenzione ad Algeri venne incarcerato dai mori e per due anni dovette sopportare una dura schiavitù. Indossò l’abito a S. Maria de Cervellon e con essa fu cofondatore del primo ramo femminile della Mercede. Morì santamente a Barcellona e nella chiesa mercedaria di questa città il suo corpo riposa incorrotto.
L’Ordine lo festeggia il 2 febbraio.




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02/02/2011 09:34

San Burcardo di Würzburg Vescovo

2 febbraio

m. 753

Martirologio Romano: A Würzburg nell’Austrasia, in Germania, san Burcardo, vescovo, che, originario dell’Inghilterra, fu ordinato da san Bonifacio primo vescovo di questa città.


Venuto dalla natia Inghilterra, diventò uno degli apostoli missionari della Germania ancora pagana. Da giovane si fece monaco benedettino e verso il 735, preso dal suo desiderio di essere un missionario, seguì il suo compatriota s. Bonifacio Winfrido in Germania; dimorò a lungo nel monastero di Fritzlar fondato dallo stesso Bonifacio, in seguito lo lasciò per recarsi missionario in Turingia per convertire gli abitanti ancora pagani.
Verso l’ottobre del 742 s. Bonifacio istituì la diocesi di Würzburg per la Turingia Meridionale e per la Franconia Orientale, consacrando Burcardo come primo vescovo, la nomina come regola dell’epoca, fu approvata da Carlomanno, figlio di Carlo Martello, che dotò la diocesi di numerosi benefici.
Burcardo fu presente, il 21 aprile del 743 al primo concilio germanico e poi nel 747 al concilio generale dei Franchi, convocato da s. Bonifacio, ebbe anche l’incarico di portare gli atti dello stesso concilio al papa Zaccaria.
Ancora nel 750-751 ritornò a Roma, inviato da Pipino il Breve, come legato per trattare la questione dinastica franca; l’8 luglio 752 consacrò il monastero di S. Andrea a Würzburg e nella stessa città morì santamente nel 753.
Il 14 ottobre di un anno non ben determinato, le sue spoglie furono traslate nella chiesa di S. Andrea ad opera del vescovo Ugo (984-990); si sa che nel 1552 esisteva solo la testa del santo vescovo, conservata in un artistico reliquiario d’argento, che scomparve insieme alla reliquia, durante la guerra dei Trent’anni.
La festa di s. Burcardo si celebra il 14 ottobre giorno della traslazione delle reliquie, sia a Würzburg che a Bamberga, Fulda e a Berceto (Parma) dove però è stato confuso probabilmente con s. Burcardo II abate di San Gallo, morto in Italia nel 1002, le cui reliquie sarebbero quelle conservate nel Comune di Berceto.
Il Martyrologium Romanum pone la data di culto al 2 febbraio.


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Santa Caterina de' Ricci Vergine

2 febbraio

Firenze, 25 aprile 1523 - Prato, 2 febbraio 1590

Nacque il 25 aprile 1523. Rimasta orfana di madre a cinque anni, fu accolta nel monastero benedettino di San Pietro in Monticelli. Fin dall'infanzia si sentiva spinta verso la meditazione della Passione. Ben presto decise di entrare nel monastero domenicano di San Vincenzo di Prato. La decisione trovò l'opposizione del padre che diede il consenso solo quando la giovane si ammalò gravemente. Guarita miracolosamente entrò a San Vincenzo nel 1535. Nel 1536 emise i voti ma in lei si alternavano fasi di malattie straordinarie e straordinarie guarigioni. Caterina, prima vista con sospetto, seppe guadagnarsi il rispetto delle consorelle. Nella sua vita di preghiera diverse furono le estasi mistiche che la portavano nel cuore della Passione di Cristo. La prima fu nel 1542: per dodici anni Caterina visse queste esperienze che le lasciavano anche segni sul corpo. Intorno a lei si formò un gruppo di discepoli, tra i quali anche alcuni santi, che ricorreranno a lei per preghiere, consigli, beneficenza. Morì nel 1590. (Avvenire)

Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: A Prato in Toscana, santa Caterina de’ Ricci, vergine del Terz’Ordine regolare di San Domenico, che si dedicò a un’opera di rinnovamento religioso e si impegnò nell’assidua contemplazione dei misteri della passione di Gesù Cristo, meritando anche di farne una speciale esperienza mistica.

Ascolta da RadioVaticana:
  

Nacque il 25 aprile 1523 da Pierfrancesco de' Ricci e Caterina Panzano e ricevette il nome di Sandrina. Rimasta orfana di madre a cinque anni, fu accolta nel monastero benedettino di S. Pietro in Monticelli, la cui badessa era una sua zia. Fin dall'infanzia si sentiva spinta da impulsi interiori alla meditazione della Passione, in cui si incentrerà tutta la sua futura vita spirituale. Desiderando abbracciare la vita religiosa, con l'aiuto della matrigna, visitò diversi monasteri, ma dopo aver visto come in molti Ordini lo spirito religioso fosse affievolito, fece cadere la sua scelta sul monastero domenicano di S. Vincenzo di Prato, fondato da un ventennio. A causa dell'opposizione del padre, Caterina fu sul punto di morire; ma guarita prodigiosamente, non appena ebbe il suo consenso, entrò, il 18 maggio 1535, appena dodicenne, nel monastero di S. Vincenzo, aiutata dallo zio, p. Timoteo Ricci, e prese il nome di Caterina. Nell'ambiente del monastero fu dapprima circondata dal disagio e dalla diffidenza delle consorelle, che non comprendevano i suoi atteggiamenti estatici e le sue grazie straordinarie; ritenuta affetta da squilibrio psichico, fu quasi per essere dimessa alla vigilia della professione religiosa (24 giugno 1536), che ella, peraltro, strappò con lacrime e preghiere.
In Caterina si alternavano fasi di malattie straordinarie e straordinarie guarigioni, come quella operatasi improvvisamente nella notte tra il 22 e il 23 maggio 1540, anniversario della morte del Savonarola. Con eroica sopportazione e con docile umiltà la giovane suora seppe cattivarsi a poco a poco l'ammirazione e il rispetto delle consorelle. I tormenti fisici e morali furono la preparazione a prove ben più straordinarie, che noi conosciamo, in parte, attraverso i Ratti, rivelazioni fatte da Caterina alla maestra di noviziato, suor Maddalena Strozzi, per imposizione dello zio, p. Timoteo.
Il primo giovedì di febbraio del 1542, Caterina ebbe la prima estasi della Passione, fenomeno mistico che si ripeté settimanalmente per dodici anni: dal mezzogiorno dei giovedì alle ore 16 del venerdì, riviveva momento per momento le diverse fasi del Calvario nella più intima comunione spirituale con la Vergine, e per l'intero corso della settimana portava impressi nella carne i segni di un'atroce sofferenza. La notizia del fenomeno fu ben presto conosciuta anche al di fuori del monastero e procurò l'intervento delle autorità, tra cui il generale delI'Ordine, Alberto Las Casas. Poiché anche nelI'ambiente della Curia si parlava dello straordinario caso di Caterina, Paolo III inviò un cardinale per un esame, il cui esito fu positivo. Il 9 aprile 1542 fu concesso a Caterina l'anello del mistico sposalizio. Il 14 dello stesso mese ebbe le stimmate, che rimasero visibili sul suo corpo, non corrotto dal tempo; nel Natale successivo le fu promessa una corona di spine, le cui punture la trafissero fino alla morte. In prosieguo di tempo ebbe altre visioni che la facevano meditare sullo stato delle anime, su quello della sua comunità e sulle condizioni della Chiesa, dilaniata dalla rivolta protestante, e in cui sentiva potente l'invito del Signore ad offrirsi in sacrificio per l'unità del'la sua Sposa.
Resa immagine del Crocifisso e arricchita di doni spirituali, Caterina iniziò allora una silenziosa e feconda azione apostolica di cui rimane il ricchissimo epistolario. Si formò intorno a lei un gruppo di discepoli, conquistati talvolta miracolosamente, che ricorreranno a lei per preghiere, consigli, beneficenza; intrecciò relazioni epistolari con s. Filippo Neri, s. Carlo Borromeo, s. Maria Maddalena de' Pazzi, il ven. Alessandro Luzzago, con la famiglia granducale dei Medici, con la madre di Cosimo I, con Giovanna d'Austria, con Bianca Cappello e coi Capponi, gli Acciaioli, i Rucellai, i Salviati, i Buonaccorsi. Ma svolse l'azione più feconda nel monastero, dove fu molte volte sottopriora e priora per ben sette bienni durante i quali la comunità fiorì materialmente e numericamente, contando persino centosessanta religiose, e si perfezionò spiritualmente, divenendo un modello di regolare osservanza. La meditazione della Passione, che era il fulcro della spiritualità di Caterina, fu espressa per la comunità con il Cantico della Passione, composto di versetti scritturali e passato nelle pratiche abituali dell'Ordine nei venerdì di Quaresima. Morì il 2 febbraio 1590; fu beatificata nel 1732 e canonizzata nel 1746.
L'Ordine Domenicano la ricorda il 4 febbraio.



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02/02/2011 09:35

San Flosculo (Floscolo) di Orleans Vescovo

2 febbraio

Martirologio Romano: A Orléans nella Gallia lugdunense, oggi in Francia, san Flóscolo, vescovo.


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02/02/2011 09:36

Venerabile Francesco Maria Paolo Libermann Religioso

2 febbraio

Saverne, Alsazia, 12 aprile 1804 - Parigi, 2 febbraio 1852


Nacque a Saverne, in Alsazia il 12 aprile 1804, da genitori ebrei, noti per la carità verso i poveri, e alla circoncisione ricevette il nome di Giacobbe. Giovinetto fu inviato dal padre Lazzaro, rabbino della provincia, all'alta scuola di Metz per compiervi la sua educazione rabbinica e vi si fece notare per acuto ingegno e straordinaria memoria.
La conversione al cattolicesimo del fratello maggiore prima; e di due altri poi, scosse il suo spirito, mentre la lettura dell'Emilio del Rousseau gli apri più vasti orizzonti. Il 25 dicembre 1826 abbracciòla fede cattolica e fu battezzato col nome di Francesco. L'anno dopo entrò nel seminario di S. Sulpizio, vincendo la forte resistenza paterna e passò poi al seminario d'Issy, ove rimase sette anni. Inviato a Rennes, fu maestro dei novizi della Congregazione degli Eudisti, ma animato da ardente spirito missionario, si recò a Roma con altri due soci, con i quali pensò ad una fondazione religiosa. In un pellegrinaggio a piedi a Loreto, guarì da una grave forma di epilessia che lo tormentava da tempo. Ordinato sacerdote ad Amiens ii 18 settembre 1841, poté attuare il suo desiderio missionario fondando la Congregazione del Cuore di Maria per le missioni in Africa, alla quale poi si unI quella del Santo Spirito, fondata a Parigi nel 1703 da p. Desplaces, la cui esistenza era allora fortemente minata. Diresse il nuovo Istituto con somma prudenza ed energia, inviando missionari in Africa e nei possedimenti francesi. Morì a Parigi il 2 febbraio 1852 a soli quarantotto anni di età.
Il 10 agosto 1910 s. Pio X approvò l'eroicità delle sue virtù.

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Santa Giovanna de Lestonnac

2 febbraio

Bordeaux, 27 dicembre 1556 - 2 febbraio 1640

Nasce a Bordeaux il 27 dicembre 1556. La bambina viene battezzata da un sacerdote cattolico con il nome della madre, Giovanna, che è calvinista e affida la sua educazione a precettori calvinisti. Nel 1573 sposa Gastone de Montferrand, da cui ha sette figli. Vedova dal 1597, dopo 24 anni di matrimonio, entra nel 1603 a Tolosa presso le «Feuillantines», le «Fogliantine», senza potervi rimanere per motivi di salute. Nel 1605, a Bordeaux si presta come volontaria durante un'epidemia di peste. Nello stesso anno, consigliata dal de Bordes, gesuita, progetta di fondare l'Ordine di Nostra Signora per l'educazione delle fanciulle. L'istituto viene approvato a Bordeaux dal cardinale de Sourdis il 25 marzo 1606 e poi a Roma, il 7 aprile 1607 da Paolo V. Così il 1 maggio 1608 Giovanna e le sue prime compagne rivestono l'abito religioso e cominciano a praticare la loro Regola che si ispira a quella di sant'Ignazio. Pronuncerà i suoi voti solenni l'8 dicembre 1610. Muore il 2 febbraio 1640 quando l'Ordine conta già trenta case. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Bordeaux in Francia, santa Giovanna de Lestonnac, che, fanciulla, respinse gli inviti e i tentativi della madre ad allontanarsi dalla Chiesa cattolica e dopo la morte del coniuge provvide sapientemente all’educazione dei suoi cinque figli, fondando poi la Compagnia delle Figlie di Nostra Signora, sul modello della Compagnia di Gesù, per promuovere la formazione cristiana della gioventù femminile.


Suo padre è cattolico e sua madre èdiventata calvinista, al tempo dellesanguinose guerre di religione in Francia.Sostenitore del partito cattolico èanche un suo zio materno, Michel deMontaigne, uno dei più illustri pensatoridi Francia. I contrasti sulla fede, chestanno agitando tutto il Paese, sono assaivivaci anche in casa Lestonnac,rendendo difficilela convivenza e contrastatele decisioni. La bambinaviene battezzata daun sacerdote cattolicocon il nome della madre,Giovanna: ed è lei che affidala sua educazione a precettoricalvinisti.
Più tardi, nell’adolescenza,Giovanna si avvicinainvece ai Gesuiti, un Ordinereligioso nuovo, arrivatoda poco a Bordeaux (sono nati a Pariginel 1534 e vengono approvati a Romanel 1540). Pare a un certo punto chevoglia farsi monaca. Poi obbedisce al padre,che le dà per marito il nobile Gastonedi Montferrand.
È un’unione molto solida, anche secombinata. Nascono sette figli (tre morirannonei primi anni), ma poi Gastonemuore nel 1597, dopo 24 anni di matrimonio.Giovanna si occupa dei quattrofigli per il tempo necessario a sistemarli,e poi ritorna sulla sua vecchia idea difarsi monaca, ma non tanto contemplativa.Monaca di lotta e di preghiera,piuttosto. Sicché diventa “Fogliantina”.Questo è il nome di religiose nuove, appartenential ramo femminile dei Cistercensiriformati, nati nell’abbaziadi Feuillant, inGuascogna, per reagire alladecadenza dello storicoOrdine, dovuta all’infiacchimentodei costumi e alconflitto religioso.
Creato nel 1575, l’Ordineha poi dato vita nel1588 al ramo femminile,detto appunto delle “Fogliantine”,che fanno riviverel’austerità dei primitempi. Ed è questo che attiraGiovanna verso il loro noviziato inTolosa. Ma non ce la fa: ha già 47 anni,il suo fisico è scosso dalla dura disciplina;dopo sei mesi crolla e deve tornarea casa. In Bordeaux, nel 1605, la troviamovolontaria durante un’epidemia dipeste, lavorando tra i malati con altredonne e ragazze. E qui scopre finalmentela sua strada: non l’isolamento delmonastero, ma il lavoro in città, tra le ragazzepiù bisognose di aiuto e di istruzione.Per questi scopi, sul modello deiGesuiti, fonda la “Compagnia di NostraSignora”, incoraggiata dall’arcivescovobordolese François d’Escoubleau delSourdis, e ne diventa la volitiva superiora.Anche troppo volitiva, per alcune;tant’è che nel 1622 le tolgono la caricae lei se ne va da Bordeaux.
Ma sei anni dopo la richiamano allaguida della comunità. Intanto, da molteparti si invitano le “Fogliantine” a fondarescuole. Alla sua morte, l’Ordine hagià trenta case in Francia. Pio XII la proclameràsanta nel 1949.



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San Giovanni Teofane Venard Sacerdote e martire

2 febbraio

Saint-Loup-sur-Thouet, Francia, 21 febbraio 1829 – Hanoi, Vietnam, 2 febbraio 1861

Martirologio Romano: Ad Hanoi nel Tonchino, ora Viet Nam, san Giovanni Teófane Vénard, sacerdote della Società per le Missioni Estere di Parigi e martire, che, dopo sei anni di ministero clandestino segnato da fatiche e sofferenze, rinchiuso in una gabbia e condannato a morte sotto l’imperatore Tự Đức, andò serenamente incontro al martirio.


Jean-Théophane Vénard nacque il 21 febbraio 1829 a Sannt-Loup-sur-Thouet, nel territorio della diocesi francese di Poitiers, in seno ad una famiglia profondamente cristiana e patriarcale. Sotto la guida in particolar modo del padre, crebbe dolce e mite di cuore, ma risoluto di carattere. Mentre era al pascolo era solito cimentarsi nella lettura degli “Annali della Propagazione della Fede”. Un giorno rimase ammirato apprendendo delle atroci sofferenze patite dal suo connazionale Giancarlo Cornay in odio alla fede in terra vietnamita e giunse ad una decisione eroica: “Anche io voglio andare nel Tonchino; anche io voglio essere martire”. Nel 1841 il giovanisimo Teofane, dopo aver appreso le basi di latino dal parroco, intraprese gli studi nel collegio di Doué-la-Fontaine. Iniziò dunque un lungo rapporto epistolare con la famiglia, lettere sempre piene di sensibilità, d’immaginazione e buon senso. Negli ultimi due anni di studi, a causa delle incomprensioni sorte con alcuni professori, lo studente cadde in una profonda crisi da cui si riprese soltanto grazie alle raccomandazioni che riceveva dal padre e dalla sorella. Nella sua profonda umiltà, era solito osservare: “Per essere prete, occorre essere un santo. Per dirigere gli altri, occorre innanzi tutto saper dirigere se stessi... Come potrei sopportare un genere di vita simile, io che sono così poco avanzato nel cammino della virtù?”.
Teofane moltiplicò a tal fine le preghiere, recitò con più devozione il rosario, che alla morte della mamma nel 1843 si era proposto di dire tutti i giorni, uscendo così vincitore dalla sua battaglia. All’età di diciott’anni iniziò gli studi filosofici presso il seminario di Montmorillon, per poi proseguire con gli studi teologici nel seminario maggiore di Poitiers. Qui tutto lo lasciò incantato: la cella, il quotidiano raccoglimento, le feste liturgiche, gli studi in cui riusciva brillantemente. Con molta convinzione commentò infatti per iscritto: “Il seminario è il paradiso in terra”. Ciò nonostante, egli sentiva in cuor suo la chiamata da Dio ad un apostolato più vasto, come infatti traspare dalle lettere che indirizzate alla sorella. Quando fu ammesso all’ordine del suddiaconato confidò al padre: “Dio che è pieno di bontà e di misericordia, vuole possedermi interamente, corpo e anima. unirsi a me con legami indissolubili. Sì, in questo momento mi chiede il cuore; e io, confuso per tanto amore e bontà, che altro posso dire se non che glielo voglio dare?”
Al vescovo Monsignor Luigi Pie non mancò di manifestare il desiderio di aderire alle Missioni Estere di Parigi e fu accontentato. Il 7 febbraio 1851 avvertì per lettera il padre, ma affinché la notizia non lo sconvolgesse, gli consigliò: “Mettiti in ginocchio, prendi il crocifisso sospeso al camino dell'ufficio, quello che, penso, ha ricevuto l’ultimo sospiro di mia madre, e dì: Mio Dio! io pure lo voglio; che la tua volontà sia fatta! Amen.!”. Nel 1852, alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, confidò ai familiari: “Nella festa della Santissima Trinità sarò prete! Mio Dio! Non ho la forza di avere un pensiero; non so se devo cantare o gemere... Sono un frutto giovane e ancora verde, eppure bisognerebbe che fossi maturo in un mese... Spero nel Signore che mi alleverà e m'illuminerà, e mi darà forza dolcezza. umiltà, prudenza, scienza e carità”.
Pochi mesi dopo Padre Vénard partì per l’Estremo Oriente al posto di un altro missionario ammalato. A Singapore, ove soggiornò alcuni giorni, incontrò quattro giovani annamiti che si recavano al seminario di Pinang rischiando la vita e ne restò entusiasmato, ignorando che egli stesso sarebbe stato destinato ad evangelizzare la loro terra. Infatti ad Hong Kong, dopo quindici mesi di attesa, un biglietto da parte del suo superiore gli annunciò: “A lei, signor Vénard, è affidata la gemma del Tonchino”.
Raggiunse così il Vietnam nel 1854 e scrisse ai suoi cari: “Mi sono allora offerto a Dio, sottomettendomi a tutto quello che sarebbe piaciuto alla sua bontà di disporre a mio riguardo; invocai Maria, mia regina e mia madre, mi misi sotto la protezione del mio buon angelo e degli angeli protettori del Tonchino”. Prese residenza a Vinh Tri, grande centro della missione e residenza del vescovo del Tonchino Occidentale, che il santo accompagnò dopo alcuni mesi nelle visite pastorali, avendo appreso molto rapidamente la lingua indigena.
Sin dal 1851 il re Tu-Duc, istigato dai mandarini, aveva emanato un editto per ordinare che i sacerdoti europei fossero gettati nel fiume, i sacerdoti vietnamiti venissero squartati in due ed i loro beni andassero al delatore con un premio di trecento talenti d’argento. L’applicazione dell’editto da parte del governatore subì una certa mitigazione, giacché un prete prigioniero gli aveva ottenuto la guarigione del figlio. Nel 1855 il proprio il Vénard poté attestare: “Non abbiamo avuto nessun martire, le nostre case sono sfuggite alla distruzione. Chi ne ha sofferto di più sono le nostre borse. È stato necessario chiudere la bocca ai mandarini con delle verghe d’argento”. Nel 1856, quando un secondo editto regio ordinò che tutti i cristiani fossero proscritti, il governatore inviò un catechista al sacerdote Le Bao Thinh, suo amico, onde avvertirlo che i mandarini avrebbero perquisito il seminario di Vinh Tri. Il messo, però, giunse a destinazione quando i soldati avevano ormai circondato il centro missionario. Le Bao Thinh si presentò da solo all’ufficiale, in qualità di direttore, permettendo così al vescovo, a Padre Vénard e ad altri sacerdoti e studenti di nascondersi nelle caverne circostanti. Le Bao Thinh venne però decapitato, i notabili esiliati ed il villaggio interamente distrutto.
Teofane iniziò a peregrinare per i monti, esposto a fatiche e pericoli di ogni sorta, finché trovò accoglienza nel seminario di Hoang-Nguyen, ove meno si era manifestata sino ad allora la crudeltà del governatore di Hanoi. In città continuare ad esercitare egregiamente il suo ministero, sino a quando non cadde gravemente malato. Non appena tornò in salute, un allarme gli intimò di lasciare Hoang-Nguyen e nascondersi per un mese. Verso Pasqua, ritornata la calma, poté uscire dal rifugio e tornare al suo lavoro. Durante il tragitto fu sorpreso da una pioggia fredda e penetrante, che gli provocò una tosse violenta e febbre. Il malato venne trasportato a Vinh-Tri e curato nel migliore dei modi, ma tutto parve inutile, tanto che egli stesso scrisse: “Mi spengo a poco a poco come una candela, sto attaccato alla vita soltanto per un capello, sono dichiarato spacciato dai medici. Viva la gioia a qualunque costo!”. All’inizio del 1857 non gli rimaneva alcuna speranza di guarigione e sembrava ormai prossima la fine, quando inaspettatamente una dolorosa cura si rivelò efficace.
Non poco odio continuavano però ancora a nutrire i pagani nei confronti dei missionari. L’ambasciatore francese nel 1857 tentò di intervenire in difesa dei cattolici, ma purtroppo non fece altro che accrescere l’avversione del sovrano contro di loro e la persecuzione riprese subito nella provincia di Nam-Dinh. Il Vénard si trovava ancora a Vinh-Tri insieme con il suo vescovo ed un confratello, quando i soldati accerchiarono improvvisamente il villaggio. Grazie all’aiuto di un prete indigeno, gli europei poterono sfuggire ai persecutori rifugiandosi ove possibile. Mentre il vescovo fuggì sulle montagne, Padre Teofane fece ritorno a Hoang-Nguyen, ove gli furono affidate quattro parrocchie per un totale di dodicimila anime. Egli sognava di guadagnare a Cristo i duecentocinquantamila pagani del suo distretto, ma fu tristemente costretto a constatare: “Le conversioni sono rare e molte di quelle che si fanno non perseverano. Oh, quanto è triste guardarsi intorno e non scorgere che villaggi pagani!”. Nel frattempo due nuovi editti nel 1858 causarono l’arresto di molti cristiani. Anche la comunità di Hoang-Nguyen fu assalita e distrutta. Avvisato in tempo, il missionario riuscì a fuggire, ma nuovi pericoli erano sempre all’ordine del giorno. Da quel momento non gli restò che scappare di rifugio in rifugio, circondato quasi ovunque da pagani ostili e da cristiani terrorizzati, trovandosi in balìa di spioni e di traditori. Un piccolo appartamento gli fu messo a disposizione dalle religiose Amanti della Croce di But-Dong. Di giorno si dedicava alla preghiera ed alla lettura, alla corrispondenza, alla traduzione di opere bibliche, mentre la sera confessava ed istruiva i fedeli. A più riprese il mandarino locale, spinto dai pagani del villaggio, fece perquisire a But-Dong e ridusse il convento delle suore a un mucchio di macerie.
Il Vénard trovò allora ospitalità presso l’indulgente sindaco pagano di Tan. Riprese però ben presto a visitare le varie comunità del distretto, esortando gli apostati a ritornare alla fede. L’ultima sua tappa, dopo cinque mesi di attività, fu Kim-Bang. Il sindaco di un villaggio vicino, saputo della sua presenza, lo fece arrestare il 30 novembre 1860 e, trasportatolo in barca a casa sua, lo rinchiuse in una gabbia di bambù per inviarlo alla sottoprefettura di Phu-Ly. Il Vénard comunicò la sua cattura ai familiari: “Il buon Dio nella sua misericordia ha permesso che cadessi nelle mani dei cattivi... Domani, 4 dicembre, sarò condotto alla prefettura (Hanoi). Ignoro quello che mi sarà riservato, ma non temo nulla; la grazia dell’Altissimo è con me. Maria Immacolata non mancherà di proteggere il suo misero servo... Eccomi dunque entrato nell'arena dei confessori della fede... Quando conoscerete i miei combattimenti, confido che apprenderete egualmente le mie vittorie... Se ottengo la grazia del martirio, allora soprattutto mi ricorderò di voi”. Ci ha lasciato inoltre questa descrizione del suo ingresso nella capitale vietnamita: “Voi mi vedete che sto tranquillamente seduto nella mia gabbia di legno, portata da otto soldati, in mezzo a una folla sterminata che fa ressa sul mio passaggio. Sento dire attorno a me: Com’è bello questo europeo! Egli è sereno e lieto come uno che va ad una festa! Non denota paura! Costui non ha commesso alcun peccato. E venuto in Annam per fare del bene, tuttavia sarà messo a morte”. Gli stessi giudici durante l’interrogatorio non nascosero la loro simpatia per l’accusato, tanto si mostrava distinto nel tratto, dolce e cortese nelle risposte. Nonostante ciò, in ottemperanza alla legge, il 17 dicembre 1860 venne condannato alla pena capitale in quanto rifiutatosi di calpestare la croce. Dichiarò allora il futuro martire: “Grandi mandarini, non temo la morte. Sono venuto qui a predicare la vera religione. Nono sono colpevole di nessun crimine, ma se l’Annam mi uccide, verserò il sangue con gioia per l’Annam”.
Trascorsero ben otto settimane prima che giungesse la ratifica della sentenza da parte del sovrano ed il Vénard approfittò di questo tempo per catechizzare quanti lo andavano a visitare. I soldati che lo avevano in custodia si dimostrarono indulgenti nei suoi confronti, come il prigioniero stesso ebbe a testimoniare: “Non ho ricevuto un solo colpo di bacchetta. Sono andato incontro a pochi disprezzi, a molte simpatie: nessuno qui vorrebbe farmi morire. Non soffro nulla a confronto dei miei fratelli. Non avrò che da curvare umilmente la testa sotto la scure, e subito mi troverò alla presenza del Signore, e prenderò posto sotto la bandiera degli uccisi per il nome di Gesù, e intonerò l'eterno osanna”. Sovente congedava con garbo i visitatori per inginocchiarsi nella gabbia a pregare. Verso sera talora gli era permesso di uscire fuori per confessarsi dai preti detenuti nel carcere o passeggiare recitando il rosario e cantando inni di ringraziamento, tra l’immaginabile stupore dei soldati. Quando la vigilanza divenne più severa, il vescovo coadiutore incaricò il sacerdote Thinh di andarlo a confessare ed una donna fidata di portargli l’Eucaristia.
La mattina del 2 febbraio 1861 giunse l’ora del martirio: si avviò verso il luogo dell’esecuzione attorniato da un centinaio di soldati e rivestito di un abito di cotone bianco ed un altro di seta nera, che si era fatti preparare apposicamente per l’occasione. Alla porta della città, vide distesa per terra una croce ed interruppe quindi il canto del Magnificat. Fu costretto con la forza a calpestarla e con lo sguardo cercò allora il prete Thinh affinchè gli impartisse l’assoluzione, ma questi era stato impossibilitato a presenziare. Giunto a destinazione, il Vénard sedette su una stuoia di tela preparata da alcune pie donne ed un soldato spezzò le pesanti catene che portava al collo ed ai piedi. Alzatosi, cercò ancora invano il prete Thinh, tracciò un segno di croce sulla folla e poi s’inginocchiò dinanzi al piolo di bambù. Rifiutò l’offerta del carnefice di una ricompensa in cambio di una decapitazione più indolore, si lasciò spogliare delle vesti e legare al piolo con le mani legate dietro la schiena. Il boia non parve molto esperto nel suo mestiere e gli furono necessari ben cinque colpi di spada per mozzare la testa al povero missionario.
A questo tragico epilogo seguì immediatamente una spontanea venerazione da parte del popolo: appena infatti i soldati lasciarono il campo libero, la folla si precipitò sul corpo del martire per raccoglierne il sangue. Nel 1865 le sue spoglie mortali furono traslate in Francia nel seminario della Società per le Missioni Estere di Parigi. Giunse infine un definitivo parere della Chiesa sulla vicenda: l’11 aprile 1909 papa San Pio X beatificò Giovanni Teofane Vénard ed infine il pontefice Giovanni Paolo II lo canonizzò il 16 giugno 1988 con altri 116 martiri in terra vietnamita.



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San Lorenzo di Canterbury Vescovo

2 febbraio

m. Canterbury, Inghilterra, 2 febbraio 619

San Lorenzo succedette a Sant’Agostino nel governo della Chiesa di Canterbury e convertì alla fede cristiana il re Edbaldo del Kent.

Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Piaghe

Martirologio Romano: A Canterbury in Inghilterra, san Lorenzo, vescovo, che dopo sant’Agostino governò questa Chiesa e l’accrebbe notevolmente convertendo alla fede il re Edbaldo.


Lorenzo, monaco del monastero di Sant’Andrea al Clelio in Roma, giunse in Inghilterra al seguito di Sant’Agostino di Canterbury per accompagnarlo nella sua nuova missione in una terra ancora pagana. La spedizione era stata fortemente voluta dal papa San Gregorio Magno, informato dalla cristiana regina del Kent della necessità di pastori per convertire gli angli. I missionari, dupo un lungo e pericoloso viaggio, sbarcarono nel 597 sull’isola di Thanet, nel regno del Kent. Tutto ciò che si conosce della vita di Lorenzo lo si deve ai primi due libri della “Storia ecclesiastica” scritta da San Beda il Venerabile. Nel 601, in seguito al battesimo del re Sant’Etelberto, egli fu inviato a Roma per annunciare al pontefice il successo della missione e ricevere ulteriori istruzioni su come procedere. Tornò dunque in Inghilterra con alcuni consigli su come organizzare la nuova chiesa di Canterbury, anche se varie problematiche impedirono momentaneamente l’estensione oltre i confini del regno.
Alla morte di Agostino, nel 604 circa, gli successe proprio Lorenzo, che egli stesso aveva designato quale successore. Il nuovo vescovo consacrò “la chiesa dedicata ai Santi apostoli Pietro e Paolo perché vi potessero essere seppelliti i corpi di Agostino, di tutti i vescovi di Canterbury e dei re della Cantia”. Lorenzo tentò inoltre di proseguire la politica di consolidamento perseguita già da Agostino tra gli anglosassoni del sud est dell’Inghilterra, ma non riuscì al pari del suo predecessore ad intensificare la collaborazione con i vescovi irlandesi e britanni della parte occidentale del paese, ancora legati alle tradizioni insulari. Ai pastori irlandesi indirizzo una lettera che in Inghilterra avrebbe trovato eco duraturo nei secoli successivi: “Prima di comprendere la situazione effettiva, tenevamo in grande stima la pratica religiosa dei britanni e degli irlandesi […]. Conosciuti poi i britanni, abbiamo ritenuto che gli irlandesi sarebbero stati migliori. Ma adesso abbiamo capito […] che gli irlandesi non superano i britanni nell’osservanza ecclesiastica”. Nello stesso tono egli scrisse anche ai vescovi britanni, ma, come sottolineò Beda, non raggiunse assolutamente alcun profitto con tale atteggiamento e dovette quindi fronteggiare il peggiorare della situazione perfino nello stesso Kent.
Quest’ultimo fenomeno culminò nel 616 con l’ascesa al trono di Edbaldo, figlio di Etelberto, che rifiutò di abbracciare la fede cristiana accolta da suo padre. Due monaci seguaci di San Lorenzo, San Mellito (24 aprile) e San Giusto (10 novembre), preferirono a tal punto far ritorno in Gallia, onde evitare di rimanere coinvolti in eventuali sanguinose persecuzioni contro i cristiani. Loranto, dopo aver a lungo meditato in proposito, alla fine preferì restare sulla sua cattedra ed affrontare il nuovo re. Secondo un antica tradizione locale, riportata anche dal racconto di Beda, Lorenzo avrebbe cambiato idea circa la sua partenza in seguito ad un’apparizione molto concreta di San Pietro, che gli permise di mostrare ad Edbaldo i segni lasciati dalle frustrate ricevute per la sua codardia: “Il servo di Cristo Lorenzo, fattosi giorno, andò subito dal re e, aperta la veste, gli fece vedere da quante ferite fosse stato lacerato”. Edbaldo rimase fortemente impressionato da questa straordinaria dimostrazione di potere sovrannaturale e decise di convertirsi al cristianesimo. Concessa la ripresa dello sviluppo della Chiesa nel Kent, anche Mellito e Giusto tornarono ben presto a ricoprire le loro cariche.
San Lorenzo morì il 2 febbraio 619 e ricevette sepoltura a fianco di Sant’Agostino nell’abbazia di Canterbury. La tomba fu aperta nel 1091 dall’abate Guido, per traslare le reliquie in un luogo più eminente, e ne fuoriuscì un intenso profumo che invase l’intero monastero. Un’altra ispezione del suo sepolcro avvenne ancora nel 1915. L’antichità dal culto tributato al santo vescovo è attestata dal Messale irlandese di Stowe, che fissava la data della sua festa al 3 febbraio, commemorazione che è rimasta invariata sino a quando l’ultima edizione del Martyrologium Romanum l’ha trasferita al 2 febbraio, effettivo anniversario della nascita al Cielo. L’iconografia relativa a San Lorenzo è solita raffigurarlo nell’atto di mostrare a re Edbaldo le sue piaghe.



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Beata Maria Caterina Kasper Fondatrice

2 febbraio

Dernbach, Germania, 26 maggio 1820 - 2 febbraio 1898

Martirologio Romano: A Dernbach nella Renania in Germania, beata Maria Caterina Kasper, vergine, che fondò l’Istituto delle Povere Ancelle di Gesù Cristo per servire il Signore nei poveri.


Una povera contadina tedesca fondatrice di una grande famiglia religiosa, questo la Provvidenza volle attraverso l’esistenza terrena della Beata Caterina Kasper. “Io non lo potevo e non lo volevo, è Dio che l’ha voluto”, diceva. Aveva conosciuto personalmente gli affanni e le pene dei poveri e per questo volle caparbiamente dedicare la propria vita ad alleviare le sofferenze del prossimo.
Caterina nacque il 26 maggio 1820 a Dernbach, un villaggio dell’Assia (Germania), in una numerosa famiglia contadina: erano in otto tra fratelli e sorelle. Poté frequentare poco la scuola, amò però molto la lettura, soprattutto della Bibbia e dell’Imitazione di Cristo. Sentì presto la vocazione religiosa. Scrisse: "Io ero appena una bimbetta quando, senza neanche capirne il significato, sentii che il Signore aveva acceso nel mio cuore un grande desiderio dei voti religiosi tanto che, quando sentivo parlare di conventi o di voti, mi prendeva una inesplicabile emozione e come una smania di conoscere meglio tale modo di vita".
Forte ed estroversa, Caterina passo l’adolescenza lavorando nei campi. Tra i lavori umili che dovette fare ci fu persino quello di spaccare pietre per la costruzione di strade. Proprio durante questo impiego ebbe una chiara visione dello stuolo di suore che avrebbero costituito la sua famiglia religiosa. Tra i suoi pensieri annotò: "Quando mi recavo sola al lavoro sentivo in me la presenza di Dio. Sentivo la voce dello Spirito Santo che mi parlava, e percepivo la presenza del mio Angelo Custode. Tutto questo mi rendeva felice e cantavo di gioia, lavoravo con più lena e facevo per due". Era instancabile nel falciare il fieno, nel battere il grano o nel raccogliere la legna nel bosco. Dal cuore generoso, nonostante le grandi ristrettezze familiari, aveva sempre qualche cosa da donare ai più poveri di lei. Il suo buon umore era contagioso. Si recava spesso al santuario mariano di Heilborn, portando con sé alcuni bambini. Il sacerdote del suo paese le permise di accostarsi spesso alla comunione, cosa a quei tempi eccezionale.
Nel 1842 morirono il fratello e il padre, al grande dolore seguì un aggravamento dei problemi economici: dovettero vendere la casa e la famiglia si disgregò. Caterina e la mamma andarono in affitto in una casa dove, per mantenersi, svolgevano lavori di tessitura. La giovane sentiva ormai chiara la chiamata a consacrarsi al Signore ma, fin da principio, non volle entrare in una congregazione preesistente. Dopo la morte della madre, più che mai decisa, senza nessun mezzo materiale ma aiutata dai suoi parrocchiani, convinse il vescovo di Limburgo ad aprire una “piccola casa”, in cui radunare alcune novizie: nel 1845, con le prime compagne, istituì l'Associazione di Carità. Il sindaco le aiutò come pure un amico costruttore e il giorno dell’Assunta del 1848 poté aprire la Casa in cui furono subito accolti i poveri del paese. Confluirono nuove vocazioni e, con l’aiuto dell’autorità ecclesiastica, predispose le prime regole. Pensando a Maria, l’ancella del Signore, Caterina volle che le suore si chiamassero “povere ancelle di Gesù Cristo”. Esattamente tre anni dopo, sempre il giorno dell’Assunta, fecero la vestizione. Le consacrate erano numerose e la cerimonia fu fatta all’aperto, Caterina prese il nome di Madre Maria. Affermò: "Ora mi sento capace di tutto; non indietreggerò dinanzi a niente".
La congregazione si diffuse rapidamente. Madre Maria accettava le suore senza dote e senza cultura, indispensabile era che fossero umili e avessero una ferma volontà. Diceva: "La più grande disgrazia per noi sarebbe quella di avere nella nostra Casa una suora senza vocazione". Capace di penetrare i cuori delle aspiranti, mantenne, fino agli ultimi anni di vita, il compito di esaminare le postulanti, dedicando alla loro formazione tutto il tempo che poteva. Diceva loro: "Tutto si deve fare per Dio, con Dio e in modo che Dio agisca attraverso noi. Dovunque siamo, siamo presso Dio". Insisteva sull’importanza di coniugare la vita interiore e l'apostolato e, lungi dal ricoprire il ruolo della superiora autoritaria, continuò, come una robusta contadina, a falciare il fieno, a sbucciare le patate, a portare il mangime agli animali, a lavare la biancheria. Non disdegnava, se necessario, di fare la questua. Le Povere Ancelle amavano la fondatrice anche perché in ogni occupazione era una di loro. Madre Maria Caterina visitava di continuo le case, sempre più numerose, per conoscere di persona problemi e difficoltà. Arrivava inaspettata, per non ricevere onori, spostandosi a piedi o nelle classi economiche dei treni. Grazie ad una eccezionale memoria conosceva personalmente tutte le sue suore, sapendo quindi dare buoni consigli a tutte. Dal suo sguardo si vedeva che “il buon Dio era sempre con lei".
Ogni casa era composta generalmente da quattro suore, due infermiere, una per l’asilo e una per gli anziani. Lo sviluppo della congregazione fu prodigioso, Madre Maria Caterina per ben cinque volte consecutive fu eletta superiora generale. Nel 1854 si aprì la prima scuola, la cui necessità era ormai estrema ma, nonostante tanto bene compiuto, i tempi a venire sarebbero stati difficili a causa delle correnti politiche anticattoliche (la kulturkampf di Bismark). Nel 1859 la congregazione varcò i confini tedeschi per giungere in Olanda. La beata, senza avere mai il denaro sufficiente, affrontava spese considerevoli per costruire nuove case. Un giorno, un esponente del governo le disse: "Beate voi! Non avete denaro e fate la carità". Pio IX concesse alle Povere Ancelle di Gesù Cristo il Decreto di Lode il 9 marzo 1860. Nel 1868 raggiunsero gli Stati Uniti: venne loro affidato un orfanotrofio a Chicago, poi l’ospedale di S. Giuseppe, il centro da cui la congregazione si sviluppo in terra americana. Le suore vennero richieste a Londra, per aiutare gli immigrati tedeschi, e anche qui furono aperti asili e scuole. La Santa Sede approvò le costituzioni nel 1890: nelle mani della Beata avevano professato circa quattrocento suore. Oggi la congregazione è presente anche in India, Brasile e Messico.
Caterina Kasper, colpita da infarto il 27 gennaio 1898, morì il 2 febbraio, all’alba della festa della Presentazione di Gesù al Tempio, assistita dalle sue figlie. Il corpo, nel 1950, venne traslato nella cappella di casa madre. Una delle suore presenti, Suor Othilde, quasi cieca e da anni sulla sedia a rotelle, si sentì chiamare dalla Madre Fondatrice. Alzatasi in piedi, era perfettamente guarita.
Papa Paolo VI beatificò Caterina il 16 aprile 1978, definendola donna “tutta fede e fortezza d’animo”. Senza alcun mezzo e senza cultura era riuscita a dar vita a una grande opera di promozione sociale, confermando la profonda verità di San Paolo: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti”.



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Beata Maria Domenica Mantovani (Giuseppina dell'Immacolata) Fondatrice

2 febbraio

Castelletto di Brenzone, Verona, 12 novembre 1862 - 2 febbraio 1934

Martirologio Romano: A Verona, beata Maria Domenica Mantovani, vergine, che fu prima superiora dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, da lei fondato insieme al beato sacerdote Giuseppe Nascimbeni per servire in umiltà di vita per amore di Cristo i poveri, gli orfani e i malati.


Domenica Mantovani nacque il 12 novembre 1862 a Castelletto di Brenzone nella provincia di Verona, che vide per tutto l’800 il fiorire di tante figure eccelse di fondatori e fondatrici di Ordini Religiosi e Opere Pie.
La sua era una famiglia laboriosa, di costumi semplici, profondamente onesta, ricca di fede; influenzata dall’esempio dei genitori e del nonno che viveva con loro e seguendo le ispirazioni dello Spirito Santo, da ragazza cominciò a sentire una tenera devozione alla Madonna, dedicandosi oltre alle faccende domestiche o lavorando nei campi, alla preghiera e alla meditazione, partecipando alle funzioni in chiesa.
Il 2 novembre 1877 giunse a Castelletto di Brenzone il beato Giuseppe Nascimbeni come cooperatore e maestro a fianco dell’anziano parroco e che diventerà poi parroco egli stesso del paese, il 21 gennaio 1885.
Domenica Mantovani si affidò alla guida spirituale del santo sacerdote, il quale intuì il suo temperamento generoso, la forte volontà di progredire sulla via della perfezione, guidandola verso le più alte conquiste dello spirito.
Così a 24 anni nel giorno dell’Immacolata Concezione (8 dicembre 1886) alla presenza del parroco, emise il voto di perpetua verginità, dedicandosi completamente a Dio e impegnandosi a coadiuvare il parroco in tutte le sue iniziative pastorali.
Il beato Nascimbeni, su consiglio del vescovo coadiutore Bacilieri, si decise a fondare una nuova Famiglia religiosa, trovando in Domenica la prima persona pronta a farne parte, anzi a diventare cofondatrice; insieme ad altre tre ragazze, disposte a questa nuova impresa apostolica.
Le quattro aspiranti fecero un breve noviziato presso le Terziarie Francescane di Verona e il 4 novembre 1892, emisero la professione, iniziando a Castelletto il nuovo Istituto che il parroco Nascimbeni denominò “Piccole Suore della Sacra Famiglia”, indicando con questo l’orientamento apostolico e la spiritualità della nuova Congregazione.
Domenica Mantovani cambiò il nome in Maria Giuseppina dell’Immacolata e fu scelta come prima superiora della casa, carica che rivestì fino alla morte. Fu devotissima al fondatore, fedele interprete ed esecutrice dei suoi pensieri e desideri; donna prudente e saggia, poco istruita, ebbe la sapienza degli umili e delle anime sante, attinta ad una fede viva ed operosa, alimentata da continua preghiera.
Proseguì da vera cofondatrice, la conduzione dell’Opera, anche dopo la morte del beato Giuseppe Nascimbeni, avvenuta nel 1922; durante la sua vita religiosa e di superiora, si ampliarono gli edifici della casa madre, furono aperte altre case per dare aiuto ai poveri, agli orfani ed ammalati, verso i quali si dimostrò madre tenerissima e premurosa.
Tante giovani attratte dal suo carisma e dal suo ideale apostolico, accorsero per consacrarsi al Signore; nel 1931 la Congregazione delle “Piccole Suore della Sacra Famiglia” contava già oltre un migliaio di membri.
Ebbe la consolazione di vedere approvato definitivamente il suo Istituto (3 giugno 1932) e l’inaugurazione del nuovo grande noviziato a Castelletto di Brenzone il 20 marzo 1933.
A 72 anni, venne colpita da febbri influenzali e il 2 febbraio 1934 morì serenamente nella casa madre dell’Istituto e sepolta nel cimitero di Castelletto; il 12 novembre 1987 le sue spoglie incorrotte furono traslate nel mausoleo, già tomba del beato fondatore, all’interno della casa-madre.
Dal 6 giugno 1986, data di avvio della causa di beatificazione, i processi relativi sono continuati nella fase diocesana a Verona e poi dal 1992 a Roma.
E’ stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II a Roma il 27 aprile 2003.
Le case della Congregazione sono diventate oltre 150, sparse in Italia e all’Estero e le suore proseguono con fede e sacrificio, l’ideale dei fondatori, seguendo la massima di Madre Maria Giuseppina dell’Immacolata: “Onoriamo la Sacra Famiglia con la preghiera, ma in modo speciale con l’imitazione delle virtù di cui ci diede l’esempio”.



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Santi Martiri di Ebstorf

2 febbraio

+ 2 febbraio 880

Nel monastero di Ebstorf, cittadina della Sassonia inferiore, nell’antica diocesi di Verden, si sviluppò, durante il Medioevo, un centro di pellegrinaggi in onore di questi martiri. Il fatto storico che è all’origine del culto non è noto: si sa soltanto che di esso furono protagonisti i vescovi di Minden, Teodorico (Dietrich), e di Hildesheim, Marquardo, il duca di Sassonia Brunone e altri, nominati in Acta Sanctorum caduti il 2 febbraio 880 nella guerra contro i Normanni e sepolti ad Ebstorf.


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Beato Nicola (Saggio) da Longobardi

2 febbraio

Longobardi, 6 gennaio 1619 - 2 febbraio 1709

Nacque a Longobardi (Cs) il 6 gennaio 1619, e fu battezzato con il nome di Giovanbattista. Figlio di contadini, non potè coltivare gli studi, nonostante il talente, lavorando fin da giovane nei campi. Aduso a pratiche come il digiuno e assiduo frequentatore dell'Eucaristia da sempre, frequentava spesso la chiesa dei Minimi di Longobardi e vi passava intere giornate in preghiera. A vent'anni, nonostante l'opposizione dei genitori, chiese l'abito di san Francesco e fu assegnato al Convento di Paola, assumendo il nome di Nicola. Terminato l'anno di noviziato, passò a Longobardi e poi, ancora, a San Marco Argentano, a Montalto, Cosenza, Spezzano e Paterno. La fama delle sue virtù, ben presto arrivò fino a Roma, dove venne chiamato alla parrocchia del Collegio di San Francesco di Paola ai Monti. Nel 1696 Nicola tornò a Longobardi, dove per suo tramite vennero compiuti diversi prodigi. Negli ultimi anni della sua vita fu richiamato a Roma. Predisse la sua morte che avvenne il 2 febbraio 1709. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Roma, beato Nicola Saggio da Longobardi, religioso dell’Ordine dei Minimi, che svolse umilmente e santamente l’ufficio di portinaio.


Il Beato Nicola nacque a Longobardi il 6 gennaio 1619 da Fulvio Saggio eAurelia Pizzini, appartenenti ad un'antichissima famiglia. Fu il primo ditre figli. Si racconta che, nel momento stesso in cui nacque, una fiammamisteriosa fu vista risplendere sul tetto della sua casa, quasi a volersimboleggiare la vita piena di luce di Nicola. Nel giorno del battesimo glifu imposto il nome di Giovanbattista, che, poi, egli mutò in Nicola.
Pur avendo una grande inclinazione per lo studio, non fu mandato a scuola,non avendo i suoi genitori la possibilità economica di mantenervelo. Aiutò,dunque, il padre nel lavoro dei campi. Già da giovanissimo digiunava diversevolte alla settimana e non mancava mai di ascoltare la messa. Una volta,avendogli il padre impedito di lasciare in sospeso il lavoro per andare inchiesa, finse di non sentirsi bene e andò al paese ad ascoltare la messa.Tornato, riuscì a mietere il grano in grande abbondanza e con una velocitàprodigiosa. Frequentava spesso la Chiesa dei Religiosi Minimi di Longobardie vi passava intere giornate in preghiera.
A venti anni, Nicola decise di entrare in monastero. I suoi genitori però loostacolavano con fermezza. Di fronte alla furia della madre per la scelta,ormai definitiva del figlio, Nicola divenne cieco e riacquistò la vista soloquando i genitori si pentirono e lo lasciarono libero di seguire le proprieaspirazioni. Nicola chiese l'abito di S. Francesco e fu assegnato alConvento di Paola. Terminato l'anno di noviziato, passò a Longobardi e poi,ancora, a S. Marco Argentano, a Montalto, Cosenza, Spezzano e Paterno. Lafama delle sue virtù, ben presto arrivò fino a Roma. Mancando proprio aRoma, nel Collegio di S. Francesco di Paola ai Monti, un religioso, il BeatoNicola fu chiamato presso la parrocchia del Collegio. In questo periodo sirecò al Santuario di Loreto. Tornò talmente arricchito da far dire ai suoiconfratelli: "Fra Nicola è andato buono a Loreto ed è ritornato a Roma santo".
Divenuto una figura troppo popolare, il Beato Nicola fu fatto tornare inCalabria dai suoi superiori. Era l'anno 1693. In quel periodo la Calabriaera in allarme a causa delle continue scosse di terremoto. I marchesi dellaValle lo invitarono nel loro feudo di Fiumefreddo, dove vivevano con paura.Da allora le scosse cessarono. Nel 1696 Nicola fu trasferito a Longobardi.Qui compì una serie molto lunga di prodigi. Trovatosi alla marina, chiese adalcuni pescatori del pesce. Avendoglielo questi negato, egli chiamò i pesciche guizzavano dal mare e si lasciavano prendere con le mani.
Negli ultimi anni della sua vita, Nicola fu richiamato a Roma. Qui altrieventi eccezionali dimostrarono che il Beato Nicola aveva il dono dell'ubiquità. Predisse la data della sua morte che arrivò alla mezzanotte del 2febbraio 1709.



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Beato Pietro da Ruffia Sacerdote e martire

2 Febbraio

Ruffia, Cuneo, 1320 circa - Susa, Torino, 2 febbraio 1365

Lasciata Ruffia (Cn) dove era nato da una famiglia della nobiltà piemontese, entrò nell'Ordine, praticando eroicamente la povertà, il rinnegamento di sé e applicandosi intensamente allo studio. Fu inquisitore della fede a Torino e non risparmiò fatica per salvaguardare dall'eresia le popolazioni del Piemonte e della Liguria. Mentre era ospite a Susa dei Frati Minori, fu pugnalato dai valdesi il 2 febbraio, giorno della Presentazione del Signore.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Susa in Piemonte, beato Pietro Cambiani da Ruffia, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, che in odio alla Chiesa fu trucidato nel chiostro dai suoi avversari.


Un inquisitore barbaramente ucciso, se è un martire per la Chiesa cattolica, è considerato invece, dai più, la vittima di un fenomeno religioso, politico e sociale, circoscritto a un determinato periodo storico, di cui era evidentemente protagonista. Nati alla fine del XII secolo e, nel corso dei secoli, assai diversi nel loro funzionamento, a seconda degli stati in cui operavano, i tribunali inquisitori dovevano difendere la fede dalle eresie ma sovente erano strumentalizzati dai vari sovrani per il controllo del territorio. D’altra parte anche i protestanti attuarono un sistema di difesa del proprio credo religioso. I fatti sanguinosi che genericamente e superficialmente identificano l’inquisizione in realtà sono stati meno numerosi di ciò che si crede e comunque si devono valutare nel complesso contesto in cui avvennero. Secoli sono passati, oggi sono altre le eresie da arginare, resta però l’esempio di alcuni uomini che si sono immolati, senza compromessi, a difesa dei fondamenti cattolici. I Domenicani, da sempre a capo dell’Inquisizione, spesso etichettati come intransigenti, pagarono in alcuni casi un tributo di sangue. Il Beato Pietro Cambiani è il protomartire degli inquisitori piemontesi: al suo successore, Beato Antonio Pavoni, toccò la stessa sorte, la domenica in Albis del 1374 a Bricherasio, come pure al Beato Bartolomeo da Cervere nel 1466.
Pietro, di nobile famiglia, nacque a Ruffia (Cuneo), intorno all’anno 1320. A sedici anni abbandonò gli agi familiari per entrare tra i Domenicani di Savigliano dove studiò brillantemente la Sacra Scrittura, la Teologia e il Diritto. Eccellenti doti umane e dottrinarie gli valsero la fama di grande oratore. Ricercato per i preziosi consigli, il suo nome giunse a Roma, tanto che il Papa lo elesse, nel 1351, inquisitore generale per il Piemonte e la Liguria. Torino, che già assumeva le caratteristiche di una capitale, era la sede del tribunale e Pietro vi si stabilì. Nelle immediate vicinanze dell’antica chiesa di S. Domenico, aveva la sua dimora con annesse alcune stanze adibite a carcere speciale.
Il problema più grave per le gerarchie ecclesiastiche era rappresentato dai Valdesi. L’ispiratore era un mercante francese, Pietro Valdo, che nel 1173 aveva rinunciato ai suoi beni per praticare e predicare la povertà. Successivamente il movimento laicale, dividendosi in più correnti, conobbe un rapido sviluppo, raggiungendo anche alcune valli piemontesi. Nati pacificamente, i loro toni degenerarono in attacchi frontali all’autorità ecclesiastica, confutando il potere dei sacerdoti, l’utilità degli edifici di culto e delle indulgenze, negando la venerazione dei santi e il purgatorio. Il Beato Pietro, dotto in scienza e dottrina, conoscendo bene il territorio maggiormente esposto al pericolo, era stato appositamente scelto come inquisitore. Piissimo, zelante nel suo ufficio, instancabile, per quattordici anni operò a Torino, in cui aveva sede il tribunale, e nelle valli della regione. Si spostava a piedi per le strade di montagna, sopportando fatiche enormi. Vista la gravosità del compito, chiedeva forza al Signore, fortificando il proprio spirito con preghiere, penitenze e digiuni. Convertì molti eretici e preservò interi paesi dall’abiura, con un ardore e un impegno eccezionali che però furono causa di molte inimicizie.
Il 2 febbraio 1365, celebrata la S. Messa della Presentazione del Signore nella chiesa francescana di Susa, due sconosciuti, probabilmente valdesi giunti dalle Valli di Lanzo, gli chiesero un colloquio appartato. Nel chiostro lo pugnalarono a morte per poi fuggire. L’omicidio suscitò grande emozione anche perché avvenuto in un edificio sacro, un vescovo dovette in seguito purificare il luogo del delitto. I Savoia, a una dura repressione, preferirono aumentare il presidio del territorio.
La fama del martirio di Pietro Cambiani fu tale che ne parlarono come cosa notissima Papa Gregorio XI nel 1375 e S. Vincenzo Ferreri nel 1403. Qualche tempo dopo la sua morte circolava un’incisione in cui gli assassini era effigiati come demoni. Il corpo rimase a Susa fino al 7 novembre 1516, quando fu traslato solennemente nella chiesa torinese di S. Domenico. Fu posto in cornu evangeli con un affresco che lo ritraeva, poi scomparso. Oggi le reliquie sono venerate nella navata di sinistra. Papa Pio IX il 4 dicembre 1865, nel quinto centenario della morte, ne confermò il culto. La sua festa, anticamente al 7 novembre, è oggi fissata al 2 febbraio.

PREGHIERA
Per tuo amore, o Dio, il Beato Pietro da Ruffia
non esitò ad offrirti la propria vita.
Fa che in unione a Cristo anche noi ti offriamo
il sacrificio della nostra esistenza quotidiana
.
Per Cristo Nostro Signore, amen.



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02/02/2011 09:42

Presentazione del Signore

2 febbraio

Festa delle luci (cfr Lc 2,30-32), ebbe origine in Oriente con il nome di ‘Ipapante’, cioè ‘Incontro’. Nel sec. VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’. La presentazione del Signore chiude le celebrazioni natalizie e con l’offerta della Vergine Madre e la profezia di Simeone apre il cammino verso la Pasqua. (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Festa della Presentazione del Signore, dai Greci chiamata Ipapánte: quaranta giorni dopo il Natale del Signore, Gesù fu condotto da Maria e Giuseppe al Tempio, sia per adempiere la legge mosaica, sia soprattutto per incontrare il suo popolo credente ed esultante, luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele.

Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

La festività odierna, di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme, venne denominata fino alla recente riforma del calendario festa della Purificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della sacra Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in ottemperanza alla legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di "presentazione del Signore", che aveva in origine. L'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua offerta sacrificale sulla croce.
Questo atto di obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce pure una lezione di umiltà, a coronamento dell'annuale meditazione sul grande mistero natalizio, in cui il Figlio di Dio e la sua divina Madre ci si presentano nella commovente ma mortificante cornice del presepio, vale a dire nell'estrema povertà dei baraccati, nella precaria esistenza degli sfollati e dei perseguitati, quindi degli esuli.
L'incontro del Signore con Simeone e Anna nel Tempio accentua l'aspetto sacrificale della celebrazione e la comunione personale di Maria col sacrificio di Cristo, poiché quaranta giorni dopo la sua divina maternità la profezia di Simeone le fa intravedere le prospettive della sua sofferenza: "Una spada ti trafiggerà l'anima": Maria, grazie alla sua intima unione con la persona di Cristo, viene associata al sacrificio del Figlio. Non stupisce quindi che alla festa odierna si sia dato un tempo tale risalto da indurre l'imperatore Giustiniano a decretare il 2 febbraio giorno festivo in tutto l'impero d'Oriente.
Roma adottò la festività verso la metà del VII secolo; papa Sergio 1 (687-701) istituì la più antica delle processioni penitenziali romane, che partiva dalla chiesa di S. Adriano al Foro e si concludeva a S. Maria Maggiore. Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: "I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti". Da questo significativo rito è derivato il nome popolare di festa della "candelora". La notizia data già da Beda il Venerabile, secondo la quale la processione sarebbe un contrapposto alla processione dei Lupercalia dei Romani, e una riparazione alle sfrenatezza che avvenivano in tale circostanza, non trova conferma nella storia.



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Beato Simone Fidati da Cascia

2 febbraio

Cascia (Perugia), 1280/90 - Firenze, 2 febbraio 1348

Nacque a Cascia (PG) verso il 1280-90. Ancora giovane entrò nell’Ordine agostiniano. Si dedicò all’inizio, con grande impegno, alle scienze naturali, fisica e chimica e consigliato da una saggia persona, cambiò indirizzo e si dedicò alla scienza della “grazia”. Fu grande predicatore e uno dei migliori maestri di vita spirituale del suo tempo, in Italia.Assertore della semplicità e dell’evangelica abnegazione, cercò di sfuggire cariche, titoli e prelature. Il filo conduttore della sua vita fu di formare Cristo in tutti. Morì a Firenze il 2 febbraio del 1348.

Martirologio Romano: A Firenze, beato Simone Fidati da Cascia, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che con le parole e con gli scritti condusse molti a una migliore vita cristiana.


Appartenente alla famiglia Fidati, vide la luce a Cascia verso il 1280-90. Dopo un breve interesse per la letteratura profana e in seguito per la figura e la dottrina del francescano spirituale fr. Angelo Clareno, vestì l'abito agostiniano.
Per tutta la vita si diede alla predicazione, specialmente in Toscana. Biasimava senza paura i peccatori ma la sua severità si estendeva anche a quelli che cercavano la sua amicizia, i quali, a volte, venivano da lui trattati con autentica ruvidezza. Però il suo dire pieno di ardore e di passione affascinava sempre l'uditorio.
E non fu meno apprezzato come scrittore, occupazione questa che lo impegnava gran parte della notte. Lo apprendiamo da fr. Giovanni da Salerno che visse con lui per circa 17 anni. Nell'opera più popolare, l’Ordine della vita cristiana, alle origini del volgare italiano, si richiama alla sequela e imitazione di Cristo, un ideale che nel suo capolavoro De gestis Domini Salvatoris viene ulteriormente sviluppato. A proposito di quest'opera si racconta come una volta gli sarebbe apparso il Signore sotto le sembianze di un fanciullo che lo invitava a bere dal calice che gli porgeva. Simone beve e “la dolcezza di questa bevanda gli rimase impressa in tutto il tempo che sopravvisse; facendogli parer insipido ogni altro cibo; e dopo cominciò a scrivere la detta vita del Salvatore”. Il suo pensiero fu influenzato dal Clareno ma, diversamente da lui, seppe evitare gli estremismi. È possibile che Lutero conoscesse l'opera del Fidati, ma ovviamente riflessioni o brani staccati dal contesto non autorizzano a ritenere Simone precursore del Riformatore. Prezioso pure è l’Epistolario che documenta la sua attività di guida spirituale vicina a persone di ogni tipo e ceto sociale.
Sia come predicatore popolare che come scrittore influenzò la vita pubblica del suo tempo, sebbene vivesse in modo molto schivo, preferendo una vita di solitudine, di preghiera e di studio. Su questa linea si colloca il suo netto rifiuto di qualsiasi incarico di comando, sia all'interno che al di fuori dell'Ordine agostiniano.
Morì, vittima della grande peste, il 2 febbraio 1348.
I suoi resti riposano nel Santuario di S. Rita a Cascia.
Il culto a lui tributato ebbe l’approvazione di Gregorio XVI nel 1833.
Nel calendario agostiniano la sua memoria liturgica ricorre il 16 febbraio.
Il Martyrologium Romanum pone la data di culto al 2 febbraio.



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Beato Stefano Bellesini

2 febbraio

Trento, 25 novembre 1774 - Genazzano, 2 febbraio 1840

Nacque a Trento da famiglia benestante il 25 novembre 1774. Il 31 maggio 1794 emise i voti religiosi nell'Ordine agostiniano. Visse in tempi molto difficili. Dopo la soppressione delle case religiose operata dal governo nella sua regione, si dedicò intensamente all'attività scolastica per poter curare 1a formazione culturale e cristiana dei fanciulli in un ambiente avverso alla religione, meritandosi la fiducia e la stima dell'autorità civile di Trento.Per restare fedele alla vita comune, della quale fu convinto e impegnato promotore, appena poté, fuggì a Bologna rinunziando all'ufficio di Ispettore delle scuole elementari nel distretto di Trento. Fu eccellente maestro dei novizi.Consacrò gli ultimi anni della sua vita al ministero parrocchiale a Genazzano, ove morì il 2 febbraio 1840.

Martirologio Romano: A Genazzano nel Lazio, beato Stefano Bellesini, sacerdote dell’Ordine di Sant’Agostino, che in un’epoca di sconvolgimenti rimase fedele all’Ordine in difficoltà, dedicandosi all’educazione dei fanciulli, alla predicazione e alla cura pastorale.


Nasce a Trento, da una famiglia benestante il 25 novembre 1774. A 18 anni veste l'abito agostiniano nel convento di S. Marco. Passa poi a Bologna per il noviziato, in seguito a Roma e di nuovo a Bologna per lo studio della filosofia e della teologia. Costretto dalle truppe napoleoniche ad abbandonare lo Stato pontificio ritorna a Trento, dove nel 1797 viene ordinato. Vive nel convento di S. Marco fino al 1809, anno della sua soppressione.
Rientrato in famiglia, si dedica all'assistenza dei ragazzi, aprendo nella propria casa una scuola gratuita. Continua questa attività al ritorno del governo austriaco, acquistandosi in breve tempo la stima e la fiducia della gente e della stessa autorità civile che lo nomina Ispettore Generale delle scuole del Trentino.
Padre Stefano vuole però rimanere fedele alla sua professione religiosa. Vista l'impossibilità di realizzare questo desiderio nella sua città, poiché il governo non permette di riaprire il convento di S. Marco, nel 1817 abbandona la carriera scolastica e, di nascosto, si rifugia a Bologna, nello Stato Pontificio, dove nel frattempo è stata ristabilita la vita religiosa. All'autorità civile di Trento, che pressantemente lo invita a ritornare, risponde risoluto che il legame, che lo tiene unito a Dio attraverso i voti religiosi e "all'amatissima mia Madre, che è la Religione" è di gran lunga più vincolante di qualunque altro.
Chiamato dal Generale dell'Ordine a Roma, per alcuni anni svolge il compito di maestro dei novizi. Nel 1826 viene mandato a Genazzano, nel santuario della Madonna del Buon Consiglio. Qui dedica gli ultimi anni della vita al ministero parrocchiale, attendendo con sollecitudine ai poveri e ai fanciulli. Muore il 2 febbraio del 1840 colpito dalla peste che aveva contratto assistendo i suoi parrocchiani.
I suoi resti riposano nel Santuario del Buon Consiglio a Genazzano.
Fu proclamato beato da S. Pio X nel 1904. E’ il primo Parroco elevato agli onori degli altari.
La sua memoria liturgica ricorre il 3 febbraio.



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