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18 marzo

Ultimo Aggiornamento: 18/03/2011 14:53
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San Cirillo di Gerusalemme Vescovo e dottore della Chiesa

18 marzo - Memoria Facoltativa

Gerusalemme, ca. 315 - 387

Nato da genitori cristiani, fu successore del vescovo Massimo nelle sede episcopale dei Gerusalemme nell’anno 348. Implicato nelle dispute ariane, dovette subire più volte l’esilio. Testimoniano la sua attività di pastore i discorsi con i quali espose ai fedeli la vera dottrina della fede, la sacra Scrittura e la tradizione della chiesa.

Etimologia: Cirillo = che ha forza, signore, dal greco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: San Cirillo, vescovo di Gerusalemme e dottore della Chiesa, che, dopo avere sofferto molti oltraggi dagli ariani a causa della fede ed essere stato più volte scacciato dalla sua sede, spiegò mirabilmente ai fedeli la retta dottrina, le Scritture e i sacri misteri con omelie e catechesi.

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Cirillo nacque verso il 315 probabilmente a Gerusalemme. Successore del vescovo Massimo dal 348 circa fino al 18 marzo 386, il suo episcopato fu segnato dalla grave crisi che coinvolse la Chiesa del IV secolo. Esiliato ben tre volte, Cirillo di Gerusalemme, esperto conoscitore della Parola di Dio, compose opere molto importanti che testimoniano uno stile di vita sobrio e pacifico e una attenzione molto viva per la pastorale dei catecumeni.

Cirillo di Gerusalemme, ordinato presbitero intorno al 345, fu uomo particolarmente attento alla preparazione dei catecumeni aspiranti al sacramento del battesimo celebrato nella notte di Pasqua. È in questi anni di sacerdozio che compose l’opera che ancora oggi è giustamente nota: le Catechesi contengono discorsi che illustrano la dottrina cristiana (i primi 19 discorsi tenuti nella basilica del Santo Sepolcro edificata a Gerusalemme da Costantino sono indirizzati ai catecumeni) e ne spiegano i sacramenti (i discorsi 20-24 furono rivolti ai battezzati ammessi alla Chiesa Anastasis per comprendere il significato della prassi liturgica).

Divenuto vescovo intorno all’anno 348, Cirillo fu severamente impegnato nella disputa cristologica seguita all’affermazione del simbolo niceno. Questo, proclamato nel I Concilio Ecumenico di Nicea nell’anno 325, non aveva sancito la sconfitta degli ariani sostenitori di una cristologia che negava a Gesù Cristo uguale divinità del Padre: il termine “della stessa sostanza”, homoousios, costituì l’affermazione cristologica contro la deriva ariana.
Terminato il Concilio, infatti, si aprì una lunga e dolorosissima stagione che vide la Chiesa dividersi sulla questione cristologica. Non tutti si professarono niceni (come l’illustre vescovo e Dottore della Chiesa sant’Atanasio di Alessandria d’Egitto), né il partito ariano costituiva un blocco monolitico. I più oscillavano tra le due posizioni.

Cirillo di Gerusalemme come Acacio, vescovo di Cesarea (340-366), e molti altri, conosceva una posizione intermedia e personale. A causa di questioni legate al rapporto tra Chiese, Acacio, sposando definitivamente una dottrina marcatamente ariana e garantendosi così il sostegno imperiale, riuscì ad allontanare ripetutamente Cirillo dalla sua sede episcopale. Fu, così, prima deposto ed esiliato dall’imperatore Costanzo nel 357 e nel 360, poi dall’imperatore Valente dal 367 al 378.  
L’imperatore Teodosio (379-395) pose fine al suo esilio durato complessivamente 16 anni: Cirillo poté nella sua autorevolezza partecipare al II Concilio Ecumenico, celebrato a Costantinopoli nel 381, dove sottoscrisse completamente il simbolo, divenuto niceno-costantinopolitano, accettando il termine homoousios.
Fu dichiarato Dottore della Chiesa da papa Leone XIII nel 1882.

Autore: Massimo Salani



Tutta la sua vita è coinvolta nel travaglio della Chiesa durante i primi secoli. Ossia nei dibattiti teologici anche molto aspri, mescolati alle debolezze umane e intrecciati poi alla politica, alle guerre esterne per difendere l’Impero e a quelle interne per impadronirsi del trono, mettendo di mezzo anche la fede.
Basta una sequenza di date a riassumere la vicenda di Cirillo. Eletto vescovo di Gerusalemme nel 348, viene destituito nel 357. Motivo: il vescovo Acacio di Cesarea di Palestina (che pure lo ha consacrato) lo accusa di errori dottrinali; e soprattutto pretende che la sede episcopale di Gerusalemme dipenda da quella sua di Cesarea, che fu già capitale amministrativa della Palestina e sede dei procuratori romani.
Nel 359 un concilio locale di vescovi lo riabilita, e lui torna alla cattedra di Gerusalemme. Ma nel 360 viene scacciato per la seconda volta da un altro concilio, riunito a Costantinopoli su insistenza di Acacio, che è pure molto influente sull’imperatore filo-ariano Costanzo. (E d’altra parte questo Acacio, vescovo dal 340 al 366, non è certo un personaggio da poco. Succeduto al grande vescovo Eusebio, continuò ad arricchire la biblioteca di Cesarea. San Girolamo, infatti, morto nel 420, parlerà delle sue grandi opere di commento e interpretazione della Sacra Scrittura, andate poi perdute).
E riecco Cirillo nuovamente in carica a Gerusalemme nel 362, alla morte di Costanzo, che era in lotta contro i Persiani e poi contro il cugino Giuliano. Ma, verso il 367, l’imperatore Valente lo condanna all’esilio, dal quale potrà tornare solo nel 378, definitivamente, dopo la morte di Valente nella guerra contro i Goti.
Ora nessuno lo caccerà più. Nel 381 Cirillo prende parte al Concilio di Costantinopoli (secondo concilio ecumenico) e a quello successivo del 382, nel quale viene ancora ribadita la validità della sua consacrazione a vescovo di Gerusalemme, dove rimane finalmente indisturbato fino alla morte.
Nel 1882, quindici secoli dopo, papa Leone XIII lo proclamerà Dottore della Chiesa per il suo insegnamento scritto contenuto nelle Catechesi, che sono istruzioni per i candidati al battesimo e per i neobattezzati. Accusato a suo tempo di legami con correnti dell’arianesimo, egli invece respinge la dottrina ariana sul Cristo, e anzi limpidamente lo dichiara Figlio di Dio per natura e non per adozione, ed eterno come il Padre.
Ancora nel XX secolo, il Concilio Vaticano II richiamerà l’insegnamento di Cirillo di Gerusalemme, con quello di altri Padri, in due costituzioni dogmatiche: la Lumen gentium, sulla Chiesa, e la Dei Verbum, sulla divina Rivelazione. E ancora nel decreto Ad gentes, sull’attività missionaria della Chiesa nel mondo contemporaneo.




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18/03/2011 14:44

Sant' Alessandro di Gerusalemme (di Cappadocia) Vescovo e martire

18 marzo

m. 250 circa

Etimologia: Alessandro = protettore di uomini, dal greco

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Alessandro, vescovo e martire, che, venuto a Gerusalemme dalla Cappadocia, accettò la cura pastorale della Città Santa, dove fondò una preziosa biblioteca e istituì una scuola; più tardi, giunto ormai in avanzata età dopo una vita longeva, condotto a Cesarea durante la persecuzione dell’imperatore Decio, subì il martirio per la sua fede in Cristo.

Ascolta da RadioVaticana:
  



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Sant' Anselmo II di Lucca (o da Baggio) Vescovo

18 marzo

Baggio, Milano, c. 1040 - Mantova, 18 marzo 1086

Il patrono di Mantova è noto anche come Anselmo di Baggio (luogo di nascita) e come Anselmo II di Lucca, diocesi di cui fu vescovo. Visse 46 anni, dal 1040 al 1086. Oggi viene ricordato - oltre che a Mantova e a Lucca, dall'ordine benedettino, di cui era monaco - e a San Miniato. Lo zio, Papa Alessandro II, lo aveva voluto sulla cattedra episcopale toscana. Il nipote gli fu fedele nei contrasti con l'Imperatore Enrico IV, durante i quali fu consigliere presso Matilde di Canossa. Fu anche un moralizzatore dei costumi ecclesiali. Il Papa lo inviò più volte in Germania e in Lombardia, dove divenne legato permanente. Si stabilì a Mantova, dove morì. Il corpo riposa in duomo. (Avvenire)

Patronato: Mantova

Etimologia: Anselmo = protetto da Dio, Dio gli è elmo, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Mantova, transito di sant’Anselmo, vescovo di Lucca: fedelissimo alla Sede Romana, durante la lotta per le investiture ripose nelle mani del papa san Gregorio VII l’anello e il pastorale, che a malincuore aveva ricevuto dall’imperatore Enrico IV; scacciato dalla sua sede da parte dei canonici che rifiutavano la vita comune con lui, fu mandato come legato in Lombardia dal papa, al quale fu di grande aiuto.


Anselmo di Baggio (dove è nato) o di Lucca (dove è stato vescovo) o di Mantova (dove è morto ed è sepolto) viene solennemente ricordato, come è noto, il 18 marzo a Mantova, a Lucca, a San Miniato e nell'Ordine benedettino. E' venerato anche in molti altri luoghi benché talora confuso con S. Anselmo d'Aosta (è interessante notare come il "Martirologio Romano" lo citi abbastanza genericamente nello stesso giorno quale "Mantuae sancti A. episcopi et confessoris").
Il santo Patrono di Mantova visse 46 anni, dal 1040 al 1086.
Alcuni momenti sono significativi nella vita del Patrono mantovano: i suoi rapporti con Matilde di Canossa, la sua intransigenza morale, la sua costante difesa del Papa contro l'Imperatore.
E' noto come l'"andata a Canossa" in clamorosa umiltà di Enrico IV, scomunicato per sottomettersi al Papa Gregorio VII, sia risultata il frutto della attenta mediazione di Matilde. Questo singolare ed eccezionale personaggio storico femminile, che difese in ogni modo il papa e sempre ne sostenne i diritti quale capo della Chiesa contro l'imperatore, era stato affidato dal Papa medesimo alla cura spirituale del vescovo di Lucca. Questi le fu sempre garbato consigliere anche nelle vicende politiche del tempo e Matilde di Canossa fu al vescovo Anselmo così grata che lo accoglierà nell'esilio mantovano e gli sarà vicina in punto di morte.
Altro momento sottolineato nella vita del Santo è, come dicevamo, la carica morale, il rifiuto dell'agiatezza, l'amore per la giustizia. Conformemente a tali principi e secondo le disposizioni papali egli si batté nella sua diocesi per la riforma dei costumi del clero. In ciò fu così intransigente che arrivò a pretendere, non senza riceverne astio e persino disobbedienza, che i canonici di Lucca vivessero in comunità insieme al loro vescovo.
Nella lotta poi fra Gregorio VII e l'antipapa Clemente III eletto dall'imperatore (che si era nel frattempo ripreso, per così dire, dalla cocente umiliazione) Sant'Anselmo si schierò con decisione dalla parte del legittimo Papa romano dal quale e per il quale fu incaricato di delicate missioni di "persuasione" in Germania e in Lombardia. Proprio in Lombardia svolse poi il compito di legato permanente. Stabilitosi quindi a Mantova, possesso allora di Matilde, impegnò la città nell'opera di riforma e di sostegno del Papa tanto da fare della stessa un centro propulsore di vita religiosa per tutta la regione.



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San Braulio Vescovo

18 marzo

590 circa - 651

Martirologio Romano: A Saragozza in Spagna, san Braulio, vescovo, che diede aiuto a sant’Isidoro, di cui fu grande amico, nel rinnovare la disciplina ecclesiastica in tutta la Spagna e ne fu degno successore per eloquenza e dottrina.





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Beata Celestina Donati Fondatrice

18 marzo

Marradi, Firenze, 28 ottobre 1848 – Firenze, 18 marzo 1925


Avere tutto e sentire che comunque ti manca qualcosa. A Maria Anna Donati davvero non manca nulla, tra affetti familiari, buona istruzione, salute e simpatia. Per di più, particolare non trascurabile, la sua famiglia ha un patrimonio ingente e per lei, forse, c’è anche un buon partito, almeno nelle fantasie di papà. Che proprio non riesce ad ammettere un futuro da religiosa per quella sua figlia, sulla quale, al di là delle di lei inclinazioni, lui ha altri progetti. Di antica e stimata famiglia fiorentina, Maria Anna nasce, ultima di sei figli, nel 1848 a Marradi, dove papà è funzionario del granducato; e poiché la sua professione di giudice lo obbliga a continui spostamenti, la famiglia lo segue anche a Cortona e a Siena, prima di ritornare a fine carriera definitivamente a Firenze. Cresce particolarmente devota, straordinariamente matura, precocemente incline alla vita religiosa. Un periodo di riflessione e di ricerca vocazionale presso le suore Vallombrosane non ha esito positivo, e questo rafforza papà nella sua contrarietà all’ingresso in convento di quella figlia un po’ speciale, che prega tanto e che si prende così a cuore i bisogni degli altri. Maria Anna pazientemente attende: fino ai 41 anni, assolvendo fedelmente anche ai suoi doveri di figlia; docilmente obbediente, ma anche fortemente determinata a seguire prima o poi la sua vocazione. E’ padre Celestino Zini a sostenerla in questo periodo di ricerca e di paziente attesa; direttore spirituale particolarmente illuminato, scopre in lei i germi di una vocazione autentica che sapientemente coltiva, aiutandola ad innamorarsi perdutamente di Dio. Per di più, da buon padre scolopio, le trasmette anche la spiritualità e il carisma del suo fondatore, San Giuseppe Calasanzio, che si concretizza nell’educazione della gioventù. Così lei, quando è libera di volare dove la vocazione la spinge, comincia con l’aprire una scuola gratuita per le ragazze povere o non accompagnate: si è accorta infatti di quanto l’ignoranza le esponga maggiormente allo sfruttamento e alla sottomissione di persone senza scrupoli, che a fine Ottocento già non mancano. Spesso le opere di Dio nascono da episodi di per sé insignificanti o molto semplici: come per don Bosco, che ha iniziato col primo orfano cui ha spalancato le porte di casa sua, così per Maria Anna, il giorno in cui si vede affidare una bimba, che la mamma vuole sottrarre alle continue violenze del papà. Sono così gettate le basi delle “Figlie Povere di San Giuseppe Calasanzio”, o, più semplicemente, delle “Calasanziane”, come la gente impara presto a chiamarle. E’ un progetto che le nasce in cuore dettato dal bisogno, che però ha tutta l’approvazione e il necessario accompagnamento di padre Celestino Zini, in omaggio al quale lei, insieme ai voti, prende il nome di Celestina. La sua attenzione si concentra subito sulle figlie dei detenuti, che oltre alla povertà hanno spesso alle spalle una miseria morale insieme alla mancanza della figura paterna. Fa, cioè, a Firenze quanto a Pompei sta facendo il beato Bartolo Longo per i figli dei detenuti., ma è un intervento che ancora suscita diffidenza e scandalo, tanto è poca la considerazione che all’epoca si ha per chi è in carcere. Ci vuole tempo e pazienza perché Madre Celestina riesca a far convergere sulla sua opera la beneficenza dei ricchi fiorentini, trasformando la loro “carità da salotto” in concreti interventi per i bisognosi. Nonostante ciò i debiti sono i suoi più fedeli compagni, fino alla morte. Per lei, figlia di un giudice e con un’educazione rigida che non ammette indebitamenti, è una sofferenza continua, tanto che la si sente esclamare più di una volta: “Cristo c’è morto sui chiodi, noi ci viviamo”, dove i chiodi sono rappresentati dalla cronica mancanza di denaro che non la fa vergognare di tendere continuamente la mano, e che malgrado tutto non bastano mai. Alle sue suore insegna che “le bambine sono il tempio della SS. Trinità”, che bisogna “venerare in loro l’infanzia di Gesù e per questo non siamo degne di stare loro appresso”, mentre raccomanda di mettere un “supplemento d’anima” in quello che fanno, perché il loro non sia semplicemente un intervento “sociale”. . Madre Celestina Donati muore il 18 marzo 1925 ed è stata beatificata il 30 marzo dello scorso anno, mentre le sue suore, ora appena un centinaio, sono presenti in Italia, Brasile, Salvador, Romania, come lei sempre a servizio dei poveri più poveri.

Autore: Gianpiero Pettiti



Maria Anna Donati nacque a Marradi (Firenze) il 28 ottobre 1848, ben presto si sentì attratta dalla vita religiosa, trascorse così un periodo di riflessione presso le Suore Vallombrosane, ma l’esperienza non ebbe buon esito.
Ritornata in famiglia si affidò alla guida spirituale del padre scolopio Celestino Zini, che intuì le possibilità nascoste della giovane e con esperto tatto spirituale, la condusse all’ascolto della voce dello Spirito Santo.
Con il suo consiglio, arrivata ai 41 anni giunse così a fondare nel 1889 la nuova Congregazione delle “Figlie Povere di S. Giuseppe Calasanzio” dette “Calasanziane” con il fine di educare cristianamente le bambine povere e qualche tempo dopo anche dell’educazione delle figlie e dei figli dei carcerati.
Il messaggio del Calasanzio, fatto proprio da madre Celestina Donati, che prendendo i voti aveva cambiato il nome di Maria Anna, è sempre vivo e presente; chi opera nel sociale usa la professionalità, ma anche un “di più” di umano e civile e soprattutto quel “supplemento d’anima” che viene dalla fede.
Nel 1892 morì il suo direttore spirituale e sua guida padre Zini, che era divenuto nel frattempo arcivescovo di Siena; tutta la responsabilità dell’Istituzione restò sua, che la governò saggiamente, diffondendola in tutte le regioni d’Italia.
Seppe infondere nelle sue figlie lo spirito di povertà, che l’accompagnò per tutta la vita, creandole tantissime difficoltà nella gestione dell’Istituto. Di natura umilissima, poneva ogni problema ai suoi superiori ecclesiastici, attenendosi docilmente alle loro direttive; si adoperò per stabilire il suo Istituto a Roma, contraendo anche debiti notevoli e ci riuscì con l’aiuto di molte persone.
Madre Celestina morì a Firenze il 18 marzo 1925; una decina d’anni dopo si cominciò ad istruire la causa per la sua beatificazione, il 12 luglio 1982 uscì il decreto d’introduzione; il 6 aprile 1998 si ebbe quello sull’eroicità delle virtù e il titolo di venerabile.
Fra le tante Case che le sue suore “Calasanziane” gestiscono, c’è l’oasi calasanziana “Mamma Bella” a Campi Salentina, vicino Lecce, nella cui chiesa riposano le reliquie del santo calasanziano Pompilio Maria Pirrotti, che visse in questi luoghi e che così chiamava la Madonna. L’opera delle suore prosegue oltre che con i salentini ora anche con gli immigrati albanesi.
E' stata beatificata a Firenze il 30 marzo 2008.





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18/03/2011 14:48

Sant' Edoardo II il Martire Re d’Inghilterra

18 marzo

962 circa - 18 marzo 979

Emblema: Corona, Palma, Pugnale

Martirologio Romano: Presso la cittadina di Wareham in Inghilterra, sant’Edoardo, che, re degli Angli, fu ucciso ancora giovane con malvagio inganno dai sicari della sua matrigna.


Occorre innanzitutto specificare, per raccapezzarsi nella folta schiera di santità sorta presso le corti reali inglesi, che il santo in questione è il re Sant'Edoardo II il Martire, zio del quasi omonimo re Sant'Edoardo III il Confessore, festeggiato invece il 5 gennaio.
Edoardo II, dunque, era figlio del re Sant'Edgaro il Pacifico e della sua prima consorte Etelfleda, che morì non molti anni dopo la sua nascita, avvenuta all'incirca nel 962. Ricevette il battesimo dal celebre San Dunstano, titolare della sede arcivescovile di Canterbury e primo ministro reale.
Alla morte di Edgaro, il malcontento di alcuni cavalieri portò al tentativo di incoronazione del piccolo Etelredo, nato dal secondo matrimonio con Elfrida. Questa possibilità si scontrò però con l'opposizione del santo vescovo, che preferì incoronare egli stesso Edoardo II quale nuovo sovrano l'8 luglio 975. Anche se appena ragazzo, il nuovo re possedeva indubbiamente un temperamento vile ed un'innata inclinazione alla violenza, fattore che non poteva non renderlo ostile agli altri. L'opposizione nei suoi confronti continuò a crescere, nonostante fosse costantemente seguito nell'opera di governo da Dunstano. Alfero di Mercia dedise di intraprendere il saccheggio e la distruzione dei monasteri presenti nel regno, vanificando così in un battibaleno tutta la preziosa opera che il vescovo aveva realizzato ed Edoardo II aveva sostenuto in vario modo. Ma questa fu solamente una delle tante reazioni alla fitta politica di alleanza e reciproco sostegno instauratasi fra la monarchia e la Chiesa inglesi. Il monachesimo, sempre più emergente ed attivo nella vita di corte, avrebbe potuto compromettere inoltre il potere dei cavalieri.
Il biografo Osvaldo di Worcester narra che fu allora tramato un complotto finalizzato all'uccisione del re, dopo neppure quattro anni dalla sua ascesa al trono. Tutte le cronache sono concordi nel sostenere la tesi dell'assassinio di Edoardo II, ma Guglielmo di Malmesbury e lo stesso Osvaldo si spingono oltre, attribuendo l'iniziativa ai sostenitori di Etelredo ed in particolare a sua madre Elfrida. Constatando però anche l'ostilità provata da Alfero di Mercia, si può supporre che la cospirazione nei confronti del giovane sovrano ebbe sicuramente basi assai ampie.
In ogni caso il tragico evento si consumò presso il castello di Corfe-Gap nel Dorset, residenza di Etelredo ed Elfrida, ove Edoardo fu convocato dal fratellastro in seguito ad una battuta di caccia. Giuntovi dunque a cavallo, privo di scorta, la matrigna ordinò di coglierlo di sorpresa con una pugnalata. Spronato con urgenza il cavallo, un piede di Edoardo scivolò dalla staffa ed egli, caduto di sella, rimase ancorato solo più con un piede all'animale, che lo trascinò per un lungo tragitto. La morte, ormai inevitabile, lo raggiunse così il 18 marzo 979. Ufficialmente mai nessuno fu mai incolpato dell'accaduto, ma una leggenda vuole che la malvagia matrigna sia poi entrata nel monastero di Wherewell in segno di espiazione per la sua grande colpa di mandante dell'omicidio.
La vicenda Sant'Edoardo II è paragonabile a quella di altri santi re anglosassoni, come San Chenelmo ed Santi Etelberto e Sigeberto II dell'Est-Anglia. Come avvenuto anche per molti martiri del XX secolo, il concetto di martirio è stato dunque esteso a casi di morte violenta a causa della giustizia, “per testimonium caritatis heroicis”. Tuttavia il culto nei confronti del re Edoardo II non fu dettato solo dall'essere stato ucciso ingiustamente adempiendo il proprio dovere, ma anche dal divulgarsi di molti racconti di miracoli verificatisi sulla sua tomba a Shaftesbury, ove le sue reliquie erano state traslate. Il santo sovrano martire è ancora festeggiato in particolar modo nella diocesi di Plymouth. Oltre che con gli attributi tipici di un re e di un martire, Edoardo viene raffigurato anche con il pugnale, oggetto protagonista del suo martirio. La presenza di molte icone orientali del santo e dovuta dalla presenza di alcune sue reliquie nella chiesa ortodossa di Brookwood, nel Surrey. Proprio perché vissuto prima del grande scisma, anche parecchie Chiese orientali lo annoverano nei loro calendari.





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18/03/2011 14:49

San Frediano di Lucca Vescovo

18 marzo

Irlanda, prima metà del VI secolo - Lucca, ca. 588, il 18 marzo

Etimologia: Frediano = portatore di pace, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Lucca, san Frediano, vescovo, che, originario dell’Irlanda, radunò dei chierici in monastero, per il bene del popolo deviò il corso del fiume Serchio rendendo fertile il territorio e convertì alla fede cattolica i Longobardi che avevano invaso la regione.


Nelle iscrizioni più antiche il nome è Frigianu o Frigdianus. La data di nascita non si conosce, e come sua terra d’origine si indica l’Irlanda, terra di evangelizzatori dell’Occidente, “isola dei santi”. Probabilmente si è fatto monaco in patria. Poi viene a Roma come pellegrino e studente. Più tardi lo troviamo nei dintorni di Lucca, eremita. Ed è lì che vanno a prenderlo clero e cittadini per farne il loro vescovo, intorno al 560. Un fatto non tanto insolito, in verità. La sua vita austera e la sua cultura sono ben note, e anche la sua energia. Doti naturalmente sempre preziose, ma essenziali in questi anni tormentati.
Nel 568 l’invasione longobarda (un esercito e un popolo; soldati, famiglie, anche animali...) mette fine all’unità italiana. (E passeranno 1.350 anni prima di vederla rifatta al completo, fino al bollettino di Armando Diaz nel 1918). L’intero territorio si trova diviso irregolarmente, con una parte più estesa conquistata dai Longobardi, e con le regioni più ricche ancora bizantine. Nelle terre già povere la povertà cresce, aggravata dalle rapine dei nuovi venuti (che distruggono anche il monastero di Montecassino), e dalla bassa produttività dei terreni, anche per il disordine idrogeologico. In territorio lucchese le acque del Serchio (affluente dell’Arno) trasformano spesso i coltivi in acquitrini.
E qui interviene Frediano, che sa anche d’idraulica: d’accordo con i capi cittadini, progetta e fa aprire un canale che porta il Serchio al mare, risanando il territorio. E la voce popolare trasforma la saggia iniziativa in miracolo: con un rastrello, si racconta, il vescovo ha tracciato al Serchio un nuovo corso e il fiume ha obbedito. Frediano lavora anche a mettere ordine nella sua diocesi, a costruire chiese, e s’impegna fortemente – come tanti altri vescovi del tempo – per portare nella Chiesa i Longobardi, in gran parte ariani o anche pagani. Per opera sua nasce una comunità monastica che avrà vita plurisecolare; da essa deriveranno i “canonici di San Frediano”, che Anselmo da Baggio, diventato papa Alessandro II, chiamerà a guidare anche i canonici di San Giovanni in Laterano a Roma.
Gli eventi hanno quasi cancellato le autorità civili tradizionali, ed è spesso Frediano a supplirle, come accade ad altri vescovi dell’epoca. Lui è con la gente, è per la gente, mescolato a contadini e pescatori, in una intimità continua e cordiale. Sempre maestro e sempre fratello. Di qui la sua popolarità immensa, l’aura di prodigio che pare sempre accompagnarlo, i tanti miracoli che gli si attribuiranno, e l’affettuosa durata del suo culto, di secolo in secolo.
Frediano muore, secondo una tradizione, il 18 marzo 588. Ma l’anno non è sicuro. La sua festa si celebra invece il 18 novembre, giorno della traslazione del corpo nella chiesa a lui intitolata. Questo avverrà tra il 1024 e il 1032, al tempo del papa Giovanni XIX.




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Beati Giovanni Thules e Ruggero Wrenno Martiri

18 marzo

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+ 18 marzo 1616

Beatificati nel 1987 da Papa Giovanni Paolo II.

Martirologio Romano: A Lancaster in Inghilterra, beati Giovanni Thules, sacerdote, e Ruggero Wrenno, che, originari della medesima contea, divennero martiri di Cristo durante il regno di Giacomo I.






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San Leopardo (Leobardo) di Tour

18 marzo

m. 593 circa

Martirologio Romano: A Tours nel territorio della Neustria, in Francia, san Leobardo, che visse recluso in una piccola cella accanto al monastero di Marmoutier, rifulgendo per spirito di penitenza e umiltà.





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Beata Marta (Amata Adele) Le Bouteiller Religiosa

18 marzo

Percy (Francia), 2 dicembre 1816 – St. Sauveur-le-Vicomte, 18 marzo 1883

Martirologio Romano: Nel cenobio di Saint-Sauveur-le-Vicomte nella Normandia in Francia, beata Marta (Amata) Le Bouteiller, vergine delle Suore delle Scuole Cristiane della Misericordia, che, confidando fortemente in Dio, si dedicò sempre con pazienza ai servizi più umili.


Amata Adele Le Bouteiller nacque il 2 dicembre 1816 a Percy (Francia), terza dei quattro figli di Andrea Le Bouteiller e Maria Francesca Morel, piccoli proprietari terrieri, coltivatori e tessitori di tela.
A scuola ebbe come educatrice la Terziaria carmelitana suor Maria Farcy; insegnante per 48 anni e figura determinante sulla formazione della gioventù della parrocchia e certamente ispiratrice della vocazione religiosa di Amata Adele.
Il 1° settembre 1827 morì il padre a soli 39 anni, purtroppo morire in giovane età in quell’epoca era cosa frequente, quando bastava una semplice infezione o la dilagante tubercolosi a provocare la fine di una giovane vita; la madre rimasta sola con i quattro figli, dovette allevarli e provvedere al loro sostentamento aiutata dai figli maggiori, Amata che aveva quasi undici anni, proseguì gli studi e nel contempo doveva badare alla casa.
Sposatosi i due fratelli maggiori nel 1837, Amata sui 20 anni, andò a lavorare come domestica per guadagnare da vivere.
Con suor Farcy, organizzatrice per la parrocchia, si recò ogni anno in pellegrinaggio a Chapelle-sur-Vire a circa 15 km da Percy e in questa località entrò in contatto con la Congregazione delle “Suore delle Scuole Cristiane della Misericordia”, fondata nel 1804 da santa Maria Maddalena Postel (1756-1846), per l’educazione della gioventù.
Attratta dalla loro spiritualità, a 25 anni il 19 marzo 1841, decise di donarsi totalmente a Dio ed entrò nell’Abbazia di Saint Sauveur-le-Vicomte, accolta dalla ottantaquattrenne Fondatrice, che nonostante l’età era di grande vitalità e dotata di doni carismatici.
Amata ebbe come maestra delle novizie la beata Placida Viel (1815-1877), che alla morte della Fondatrice le succederà, portando ad uno sviluppo stupendo la Congregazione.
Quando arrivò Amata, la cinquantina di suore erano anche impegnate nella costruzione della chiesa abbaziale e degli antichi edifici, che avevano trovato in rovina al loro ingresso; la vita era austera tenendo conto degli anni di carestia che si vivevano, ma ciò non spaventò Amata, abituata alle ristrettezze della sua famiglia, subentrate dopo la morte prematura del padre.
Il 14 settembre 1842 ricevette l’abito religioso con il nome di suor Marta; nell’inverno seguente ancora novizia, la fondatrice madre Postel la mandò alla Casa di La Chapelle-sur-Vire, che suor Marta conosceva bene, per aiutare quella comunità nei servizi materiali.
Un giorno mentre lavava la biancheria nelle acque gelide del fiume Marquerand, le sfuggì di mano un lenzuolo trascinato dalla corrente, nel tentativo di riprenderlo scivolò nell’acqua gelata che le causò un inizio di paralisi alle gambe, pertanto fu rimandata all’Abbazia.
Qui ebbe un colloquio con madre Maddalena Postel che l’assicurò che non l’avrebbe rimandata a casa, anzi poggiandole le mani sul ginocchio le promise che avrebbe pregato per lei; poco dopo Marta guarì e attribuì la sua guarigione alla Madre.
Il 7 settembre 1843 fece la sua prima professione nella Abbazia Casa-madre della Congregazione; Marta fu addetta alla cucina, al lavoro dei campi e poi alla cantina, compito che tenne per circa quaranta anni sino alla morte; fece tutto con spirito di obbedienza, tanto che si è detto fece in modo grande le piccole cose.
La sua vita da suora trascorse al servizio di Dio e delle consorelle, sempre semplice e gioviale nell’espletare i servizi più umili; dedita alla preghiera e meditazione, alimentava la sua spiritualità con la lettura di autori della cosiddetta “Scuola francese di spiritualità”.
Si occupò dei domestici e degli operai che prestavano la loro opera, inoltre degli ospiti di passaggio; distribuiva il vino anche per 250 persone al giorno e durante la guerra si arrivò a 500 persone.
Si racconta che durante la guerra tra la Francia e Germania, quando le scorte dell’abbazia si esaurivano paurosamente, allora suor Marta appendeva alla parete un’immagine di madre Maddalena, morta da tempo e pregava intensamente e da quel momento le scorte del ‘cidre’ (il vino) e degli altri generi alimentari non si esaurivano.
Nell’inverno del 1875-76, suor Marta ormai sessantenne, cadde e si fratturò una gamba, la lunga convalescenza, aggiunta alla morte della madre e dell’amata suor Placida sua confidente, furono per lei grandi prove che sopportò continuando ad interessarsi della dispensa, sia pur sostenendosi con un bastone, ma il suo declino era evidente.
Il 18 marzo 1883, domenica delle Palme, mentre era intenta a riportare in cucina le bottiglie dopo la cena serale, cadde una prima volta e poi una seconda volta a sera tardi, colpita da una congestione cerebrale, si spense dopo aver ricevuto i Sacramenti a circa 67 anni.
Fu sepolta nel cimitero della stessa Abbazia di St. Sauveur-le-Vicomte; la causa per la sua beatificazione iniziò nel 1933 e il 4 novembre 1990 papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata.





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18/03/2011 14:53

San Salvatore da Horta Professo Francescano

18 marzo

Santa Coloma de Farnés, 1520 - Cagliari, 18 marzo 1567

Nacque nel dicembre 1520 a Santa Coloma de Farnés, in Catalogna (Spagna). Rimasto orfano molto presto, dopo un periodo di prova nell'abbazia benedettina di Montserrat, scelse definitivamente la via della povertà entrando nel convento francescano di Barcellona, dove fece la professione religiosa nel 1542. Trasferito a Tortosa cominciò a essere conosciuto per i suoi poteri di taumaturgo. Malgrado l'umiltà con cui lo viveva, questo dono gli causò incomprensione da parte dei confratelli. Per anni peregrinò da un convento all'altro e ovunque si ripeteva lo stesso copione: prodigi e nuove inimicizie. Fu persino denunciato all'Inquisizione che non trovò nulla contro di lui. Conobbe un po' di pace nel convento di Santa Maria di Gesù a Cagliari dove giunse nel 1565. Morì il 18 marzo 1567. Pio XII l'ha canonizzato il 17 aprile 1938. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Cagliari, san Salvatore Grionesos da Horta, religioso dell’Ordine dei Frati Minori, che si fece umile strumento di Cristo per la salvezza dei corpi e delle anime.


Ecco un santo che a causa del carisma di operare troppi miracoli, passò parecchi guai nella sua vita. Salvatore nacque del dicembre 1520 a Santa Coloma de Farnés nella Catalogna (Spagna), i genitori di cui si conosce solo il cognome Grionesos, lavoravano assistendo gli ammalati del piccolo ospedale della zona e di cui in seguito ne ebbero la direzione.
Rimasto orfano giovanissimo, andò a Barcellona dove si mise a fare il calzolaio per sostenere la sorella minore Blasia. Non appena questa sorella si sposò, Salvatore poté così in piena libertà, scegliere la vita religiosa da sempre desiderata; lasciata Barcellona andò nella famosa abbazia benedettina di Montserrat per un periodo di prova, ma la sua vocazione di umiltà e povertà ebbe la sua attuazione, dopo l´incontro con i francescani, entrando il 3 maggio 1541 nel loro convento di Barcellona.
Si distinse subito per le sue virtù e pietà, fece la professione religiosa nel maggio del 1542 e trasferito poi a Tortosa dove fu impiegato in tutti i servizi più faticosi, che espletò con prontezza e diligenza; ma cominciarono pure i guai per lui; dotato di poteri taumaturgici, operava prodigi su prodigi e la sua fama di dispensatore di miracoli, che lo rendevano oltremodo popolare, suscitò l´incomprensione dei confratelli e l´ostilità dei superiori, i quali infastiditi da tanto clamore lo ritennero un indemoniato e presero a trasferirlo da un convento all´altro.
Dovunque arrivasse i prodigi proseguivano, i frati si mettevano le mani nei capelli e giocoforza si armavano di pazienza con quel confratello laico professo, che faceva perdere la loro pace. Da Tortosa, fu inviato prima a Belipuig e verso il 1559 ad Horta nella provincia di Tarragona in Catalogna, dove restò per quasi 12 anni, compiendo anche qui numerosi miracoli, gli fu mutato anche il nome in fra´ Alfonso, nel tentativo di allontanarlo dai fedeli, ma alla fine fu trasferito anche da qui.
Giunto a Reus lo attendevano ulteriori persecuzioni e un altro allontanamento a Barcellona, che era sede della famigerata Inquisizione spagnola e a cui Salvatore venne perfino denunziato, uscendone comunque trionfante con l´umiltà e la carità dei santi.
Infine ultima tappa del suo doloroso calvario itinerante, fu il convento di S. Maria di Gesù a Cagliari in Sardegna, giungendovi nel novembre del 1565, trovando finalmente qui un´oasi di pace, pur continuando i fatti straordinari che l´avevano accompagnato per tutto quel tempo, procurandogli dolori, sofferenze, incomprensioni; in altre parole beneficando la vita degli altri e avvelenandosi la sua.
Colpito da una violenta malattia, fra´ Salvatore da Horta, morì a Cagliari il 18 marzo 1567 fra il dolore di tutta la città, che ancora oggi ne venera le reliquie nella Chiesa di S. Rosalia; il corpo del santo è custodito in una preziosa urna di bronzo dorato, arricchita di pregiati cristalli. L´urna è sistemata visibile, sotto la mensa dell´altare maggiore al centro del presbiterio, attorniata da quattro angeli oranti in marmo bianco.
Da qui, il culto per il taumaturgo, laico professo dei Frati Minori Francescani, crebbe e si estese in tutta la Spagna e Portogallo; il 15 febbraio 1606 dietro richiesta del re Filippo II di Spagna, il papa Paolo V gli accordò il titolo di beato, confermato il 29 gennaio 1711 da papa Clemente XI.E il 17 aprile 1938, papa Pio XI lo canonizzò, stabilendo la festa liturgica per l´umile santo, perseguitato perché troppo miracoloso, al 18 marzo.

Il nome Salvatore è molto diffuso nell´Italia Meridionale e in particolare in Sicilia, anche nelle varianti Turi, Turiddu; bisogna però dire che il nome Salvatore più che al santo di cui abbiamo parlato, si riferisce almeno in Campania, a Gesù Salvatore e la cui festa della "Trasfigurazione di Gesù" è al 6 agosto.
Il santo spagnolo di Horta è molto venerato anche nel Comune di Orta di Atella, in provincia di Caserta, che per puro caso ha il nome come la città spagnola, che identifica il santo francescano.





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