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11 aprile

Ultimo Aggiornamento: 11/04/2011 14:03

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Santo Stanislao Vescovo e martire

11 aprile

Szczepanowski, Polonia, c. 1030 - Cracovia, Polonia, 11 aprile 1079

Vescovo di Cracovia, fu pastore sapiente e sollecito. Succedette al vescovo Lamberto nel 1072. Intrepido sostenitore della libertà della Chiesa e della dignità dell'uomo, difensore dei piccoli e dei poveri, subì il martirio sotto il re Boleslao II? Canonizzato da Innocenzo IV ad Assisi nel 1253, è patrono della Polonia. Le sue spoglie, custodite nella cattedrale di Cracovia, sono mèta di pellegrinaggio attraverso i secoli. (Mess. Rom.)

Etimologia: Stanislao = la gloria dello stato, dal polacco

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Martirologio Romano: Memoria di san Stanislao, vescovo e martire, che fu strenuo difensore della civiltà e dei valori cristiani tra le ingiustizie del suo tempo; resse come buon pastore la Chiesa di Cracovia, prestando soccorso ai poveri e visitando ogni anno il suo clero; mentre celebrava i divini misteri, fu ucciso dal re di Polonia Boleslao, che aveva severamente rimproverato.

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I buoni esempi dei genitori esercitarono una profonda impressione sul figlio che imparò presto a darsi alla preghiera, ad evitare i frivoli divertimenti, a imporsi delle piccole privazioni e a soffrire volentieri le incomodità della vita. Dopo i primi studi, egli fu inviato a completarli dapprima a Gniezno, celebre università della Polonia, poi a Parigi, dove per sette anni si applicò allo studio dei diritto canonico e della teologia. Per umiltà rifiutò il grado accademico di dottore.
Quando ritornò in patria e divenne, per la morte dei genitori, possessore di una considerevole fortuna, Stanislao potè disporre dei beni in favore dei poveri e servire Dio con maggiore libertà. Il vescovo di Cracovia, Lamberto Zurla, conoscendo quanto grande fosse la sapienza e la virtù di lui, lo ordinò sacerdote e lo fece canonico della cattedrale.
Stanislao fu il modello del capitolo per le penitenze con cui affliggeva il proprio corpo, la lettura e la meditazione continua della Sacra Scrittura, le vigilie e l'assiduità ai divini uffici. Incaricato della predicazione, si acquistò in breve una così grande reputazione che parecchi ecclesiastici e laici accorsero da tutte le parti della Polonia a consultarlo per la tranquillità della loro coscienza.
Dopo la morte di Lamberto, tutti, ad una voce, elessero Stanislao suo successore. Egli, che si riteneva indegno e incapace di tanto ufficio, rifiutò energicamente. Dovette tuttavia piegarsi all'ordine formale di Alessandro II e lasciarsi consacrare vescovo nel 1072. Costretto a compiere le funzioni degli apostoli, egli cercò di praticarne le virtù. Per tenere sottomessa la carne portò il cilicio fino alla morte e per distaccarsi sempre di più dai beni della terra soccorse i bisognosi con generosità. Per non dimenticare nessuno ne fece compilare un elenco completo. La sua casa era sempre aperta a quanti ricorrevano a lui per consiglio e aiuto. Ogni anno visitava la diocesi per togliere gli abusi ed esigere dal clero una vita che fosse di edificazione per i fedeli. Dimentico delle ingiurie, trattava tutti con la dolcezza e la bontà di un padre, e prediligeva i deboli e gli oppressi, che difendeva sempre e ovunque con invincibile fermezza.
La Polonia in quel tempo era governata da Boleslao II l'Ardito. Costui si era dimostrato valoroso nella guerra contro i Russi, ma nella vita privata non rifuggiva dalle orge, e in quella pubblica dalla tirannia. I rapimenti e le violenze erano i crimini che quotidianamente consumava con grande scandalo dei sudditi. Nessuno di coloro che lo avvicinavano osava fargliene la minima rimostranza. Soltanto Stanislao ogni tanto lo andava a trovare per indurlo a riflettere sulla enormità dei propri crimini e le funeste conseguenze degli scandali che dava. Boleslao II in principio cercò di scusarsene, poi parve dare segni di pentimento e promise di emendarsi.
Le buone risoluzioni del re non durarono a lungo. Nella provincia di Siradia un giorno Boleslao fece rapire a viva forza Cristina, la moglie del signore Miecislao, famosa per la sua bellezza. L'atto tirannico e immorale provocò l'indignazione di tutta la nobiltà polacca. L'arcivescovo di Gniezno, primate del regno, e i vescovi della corte furono pregati d'intervenire, ma essi, timorosi di dispiacere al sovrano, rimasero dei cani muti. Soltanto Stanislao, dopo avere a lungo pregato, osò affrontare il re per la seconda volta e minacciargli le censure ecclesiastiche se non poneva termine alla sua vita disordinata e prepotente. Alla minaccia di scomunica Boleslao uscì dai gangheri e ingiuriò grossolanamente il coraggioso prelato dicendogli: "Quando uno osa parlare con tanto poco rispetto ad un monarca, converrebbe che facesse il porcaio, non il vescovo". Il santo, senza lasciarsi intimidire, rinnovò le sue istanze e disse al sovrano: "Non stabilite nessun paragone tra la dignità regale e quella episcopale perché la prima sta alla seconda come la luna al sole o il piombo all'oro".
Boleslao II, risoluto a vendicarsi a costo di ricorrere alla calunnia, si ritirò bruscamente senza neppure congedare lo sconcertante visitatore. Il santo vescovo aveva comperato da un signore, chiamato Pietro, la terra di Piotrawin, ne aveva pagato il prezzo alla presenza di testimoni, poi ne aveva dotata la chiesa di Cracovia. Nell'atto di vendita nessuna formalità era stata omessa, tuttavia Stanislao, confidando nella buona fede dei testimoni, non aveva richiesto dal venditore una quietanza. Essendo costui morto, il re chiamò a sé i nipoti di Pietro, li esortò a richiederne l'eredità come un bene usurpato dal vescovo, e li assicurò che avrebbe saputo intimidire i testimoni al punto da chiudere loro la bocca. Gli eredi, seguendo le istruzioni di Boleslao II, intentarono un processo al vescovo, lo citarono a comparire davanti ad un'assemblea di giudici presieduta dal re e lo accusarono di avere usurpato la loro proprietà. Il santo sostenne di averla pagata, ma essi negarono. Allegò allora dei testimoni, ma essi non ebbero il coraggio di dire la verità. Stanislao stava per essere condannato quando, in seguito ad una improvvisa ispirazione, chiese ai giudici una dilazione di tre giorni, promettendo di fare comparire in persona Pietro, morto da tre anni. La richiesta fu accolta con uno sprezzante sogghigno.
Dopo aver digiunato, pregato e vegliato, Stanislao il terzo giorno si recò al luogo in cui Pietro era stato seppellito, fece aprire la tomba e, toccandone con il pastorale la salma, gli ordinò di alzarsi nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il defunto ubbidì e il santo lo condusse con sé al tribunale dov'era ad attenderlo il re, la corte e una grande folla di curiosi. "Ecco - disse Stanislao ai giudici entrando con Pietro nella sala - colui che mi ha venduto la terra di Piotrawin; egli è risuscitato per rendervene testimonianza. Domandategli se non è vero che gli ho pagato il prezzo di quella terra. Lo conoscete e la sua tomba è aperta". I presenti rimasero allibiti. Il risorto dichiarò che il vescovo gli aveva pagato quella terra davanti ai due testimoni che pochi giorni prima avevano tradito la verità, rimproverò i suoi nipoti per avere osato perseguitare ingiustamente il vescovo di Cracovia e li esortò a farne la penitenza. Dopo di che egli ritornò alla tomba da cui era uscito scongiurando il santo di pregare Nostro Signore affinché gli abbreviasse le pene del Purgatorio.
Quel prodigio fece una grande impressione sopra Boleslao II. Per un certo tempo trovò la forza di reprimere la sua lussuria e di mitigare le sue crudeltà. Compì persino una spedizione contro i Russi e s'impadronì della loro capitale, Kiew. Tuttavia, l'ebrezza della vittoria lo fece ricadere in braccio alle più sregolate passioni. Non contento degli ordinari eccessi, volle abbandonarsi pubblicamente alle abominazioni di Sodoma e Gomorra. Stanislao, quale novello Giovanni Battista, prese la risoluzione di porre un freno alla licenza del novello Erode anche a costo del martirio per la gloria di Dio e la salute della Polonia. Egli chiese al Signore con preghiere e penitenze la conversione del re, lo visitò parecchie volte per fargli aprire gli occhi e sollevarlo dall'abisso in cui era precipitato. La sua fatica fu inutile: il sovrano lo caricò d'ingiurie e lo minacciò di morte se continuava a censurare la condotta come aveva fatto.
Stanislao, acceso di sdegno per l'offesa che il re faceva a Dio, dopo avere chiesto il parere di altri vescovi, scomunicò pubblicamente Boleslao II e gl'interdisse l'ingresso in chiesa. Siccome il re continuava, nonostante le pene canoniche in cui era incorso, a prendere parte con i fedeli ai riti liturgici, il vescovo ordinò ai sacerdoti di sospendere i divini uffici ogni volta che lo scomunicato ardiva varcare la soglia delle loro chiese. Per parte sua, allo scopo di non essere turbato dalla presenza di lui nella celebrazione della Santa Messa, andava a dirla nella chiesa di San Michele, fuori Cracovia. Pieno di furore, Boleslao II si recò colà e ordinò ad alcune guardie di entrare in chiesa e di massacrarvi Stanislao. Esse ubbidirono, ma mentre stavano per mettere le mani addosso al santo che celebrava la Messa, furono fatti stramazzare a terra da una forza misteriosa. Il re, irridendo alla loro debolezza, si avvicinò in persona a Stanislao con in mano la spada sguainata, e gli assestò un fendente sulla testa con tale violenza da farne schizzare le cervella contro la parete. Era l'11 aprile del 1079. Per assaporare di più la sua atroce sete di vendetta tagliò il naso e le labbra al martire, e quindi diede ordine che il cadavere fosse trascinato fuori della chiesa, fatto a pezzi e disperso per i campi affinché servisse di cibo agli uccelli e alle bestie selvagge.
Tuttavia Iddio fece sì che quattro aquile difendessero per due giorni le reliquie del santo e che durante la notte esse rilucessero di uno strano splendore. Alcuni sacerdoti e pii fedeli, fatti audaci da quei prodigi, osarono, malgrado la proibizione del re, raccogliere quelle membra sparse, emananti un soave profumo, e seppellirle alla porta della chiesa di San Michele. Due anni più tardi il corpo di Stanislao fu trasportato a Cracovia e seppellito prima in mezzo alla chiesa della fortezza e poi nella cattedrale (1088).
S. Gregorio VII (+1085) lanciò l'interdetto sul regno di Polonia, scomunicò Boleslao II e lo dichiarò decaduto dalla dignità regale. Il principe, perseguitato esternamente dalla riprovazione dei sudditi, straziato internamente dal rimorso dei crimini commessi, cercò rifugio presso Ladislao I (+1095), re d'Ungheria, che lo accolse con bontà. Il pentimento non tardò ad impossessarsi del suo animo e allora intraprese un pellegrinaggio a Roma per implorare dal papa l'assoluzione dalle censure. Giunto ad Ossiach, nella Carinzia, la grazia lo spinse ad andare a bussare alla porta del monastero dei benedettini e chiedere di potervi passare il restante della vita come un fratello laico. Vi rimase sconosciuto fino alla morte (+1081) dedito alla penitenza e ai lavori più umili.
S. Stanislao di Cracovia fu canonizzato da Innocenze IV nel 1253. Sulla sua tomba avvennero dei prodigi, tra cui la risurrezione di tre morti.



  
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Beato Angelo (Carletti) da Chivasso Sacerdote

11 aprile

Chivasso, Torino, 1411 circa – Cuneo, 11 aprile 1495

Antonio Carletti (così si chiamava prima di abbracciare la vita consacrata) nacque a Chivasso nel 1411 da un'antica e nobile famiglia. Dopo aver studiato a Bologna diritto canonico e civile esercitò la professione forense. A trentatré anni la svolta: morti i genitori, persone molto pie, rinunciò alla toga per consacrarsi a Dio. Dopo aver venduto i propri beni (distribuendo il ricavato tra il fratello e i poveri) entrò tra i francescani di Santa Maria del Monte a Genova, assumendo il nome di frate Angelo. L'attenzione per i poveri sarà il grande filo rosso della sua vita. A Genova e a Savona promosse la costituzione dei Monti di pietà per combattere il fenomeno dell'usura. Tra i francescani fu eletto Vicario generale degli Osservanti, il ramo fondato da san Bernardino da Siena. Numerosi gli incarichi delicati a lui affidati da papa Sisto IV, anche lui francescano, che aveva conosciuto Angelo da Chivasso a Genova. Fu autore anche di numerose opere tra cui la «Summa Angelica», un manuale di teologia morale che ebbe grande fortuna. Morì nel 1495 nel convento di Sant'Antonio a Cuneo. (Avvenire)

Patronato: Chivasso (TO)

Martirologio Romano: A Cuneo, beato Angelo (Antonio) Carletti da Chivasso, sacerdote dell’Ordine dei Minori, insigne per dottrina, prudenza e carità.


Nel 1411 a Chivasso, cittadina poco distante da Torino, nell’antica e nobile famiglia Carletti, nacque il nostro Beato a cui fu dato il nome di Antonio. Studiò a Bologna, uno dei centri culturali più importanti d’Europa, conseguendo la laurea in Diritto Canonico e Civile e in Teologia. La sua era una famiglia pia, tanto che anche un altro fratello diverrà sacerdote.
Tornato a Chivasso esercitò la professione forense e divenne membro della Corte di Giustizia. Erano gli anni dei fasti e dello splendore della dinastia dei Paleologi. Benché giovane, Antonio fu notato da Giangiacomo Paleologo che lo nominò Senatore e Consigliere del suo Marchesato. Il nostro beato dei Paleologi vedrà sia la fortuna che la caduta. La svolta della vita venne però all’età di trentatre anni: morti i genitori, rinunciò alla brillante professione e al matrimonio per consacrarsi a Dio. Sposò la povertà francescana prendendo il nome di Angelo. Vendette i propri beni, dividendo il ricavato tra il fratello e i poveri, e assegnò una casa paterna alla comunità per i pubblici consigli.
Entrò nel Convento di S. Maria del Monte a Genova, appartenente all’Osservanza di S. Bernardino da Siena che da poco era morto (un’unica Provincia univa Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta). Qui conobbe Francesco della Rovere (futuro Papa Sisto IV). Ebbe come primo e delicato incarico l’insegnamento della teologia ai novizi. Genova sarà per venti anni la sua residenza principale. Durante questo periodo promosse l’erezione in città e a Savona dei Monti di Pietà per combattere il drammatico problema dell’usura che era in mano a uomini potentissimi. L’attenzione per i poveri sarà costante per tutta la vita. A Savona fece anche costruire il Convento di S. Giacomo.
Dotto, umile, mansueto, paziente, dalle maniere cortesi, nel 1464 fu eletto Vicario Provinciale. Era il primo di numerosi incarichi: nel Capitolo di Mantova del 1467 venne nominato Commissario, insieme a Padre Pietro da Napoli, per la suddivisione della grande Provincia francescana di Germania (nacquero così quella di Boemia, di Polonia e d’Austria). Nel 1472 a L’Aquila ebbe, per la prima volta, l’incarico più importante: Vicario Generale degli Osservanti. In occasione di quel Capitolo, presenti duemila frati, si traslò il corpo di S. Bernardino dalla chiesa dei Conventuali a quella nuova a lui intitolata e il B. Angelo ebbe l’onore di collocarlo personalmente nella cassa. In questo triennio fondò i monasteri di Saluzzo, Mondovì e Pinerolo. Fu rieletto Vicario Generale a Pavia nel 1478. Tale carica significava viaggiare per l’Italia, spesso a piedi, per visitare i conventi, controllare l’osservanza della Regola ed eventualmente risolvere problemi e questioni.
Nel 1480 un gravissimo pericolo minacciò l’Italia. I Turchi conquistarono Otranto, dopo l'eroica resistenza degli abitanti che furono barbaramente trucidati (gli 800 superstiti piuttosto che abiurare la fede preferirono il martirio e sono oggi venerati come Beati). I musulmani volevano conquistare Roma e sottomettere tutta la cristianità. Sisto IV, che bene conosceva le doti dell’amico Angelo, lo nominò Nunzio e Commissario Pontificio per organizzare la difesa cristiana contro l’avanzata ottomana. Il B, Angelo visitò tutti i regnanti d’Italia manifestando la gravità della minaccia. La valorosa resistenza degli Otrantini (quindici giorni) che permise al Duca Alfonso d'Angiò di organizzare un esercito, la morte del sultano Maometto II, l’impegno e le preghiere del nostro Beato scongiurarono il pericolo.
Nonostante avesse chiesto di essere dispensato fu eletto nuovamente Vicario Generale nel 1484 alla Verna (presente anche il B. Bernardino da Feltre) e poi confermato a Urbino nel 1489 (era quasi ottantenne). Rinunciò più volte alla dignità vescovile, rimanendo per tutta la vita un semplice sacerdote. Accettò nel 1491, solo per obbedienza al nuovo Papa Innocenzo VIII, l’incarico di arginare, col Vescovo di Moriana, la diffusione della Riforma Valdese nel Ducato di Savoia. Ottenne numerose conversioni e un accordo pacifico tra Cattolici e Valdesi (1493). Al termine del suo ultimo Generalato le Province dell’Ordine erano venticinque, tutte esemplari per santità.
Fu un grande predicatore: i suoi quaresimali affollavano chiese e piazze. Predicò a Mantova, Genova, Cuneo, Susa, nel Monferrato e a Torino alla corte di Carlo I. Scrisse diverse opere, la più importante delle quali è la “Summa casuum conscientiae”, detta "Summa Angelica". La prima edizione fu del 1476. Divisa in 659 capi, in ordine alfabetico, tratta delle varie questioni di coscienza. Utilissima per i confessori è un vero e proprio dizionario di Teologia morale. Ebbe grande fortuna e diffusione. Come simbolo dell’ortodossia cattolica Lutero la bruciò nella pubblica piazza di Wittemberg il 10 dicembre 1520 insieme alla Bolla di Scomunica, al Codice di Diritto Canonico e alla Summa Teologica di S. Tommaso. Era già stata stampata trentun volte.
Fu guida spirituale di umili e di potenti: ricordiamo il Duca di Savoia Carlo I, S. Caterina di Genova (dal 1475) e la Beata Paola Gambara (che conobbe nel 1484). Quest’ultima, attratta dalla vita religiosa, si consigliò con lui prima di sposare il Conte Costa di Benevagienna. L’unione infelice, causa l’infedeltà e il carattere del consorte, fu però una scuola di santificazione. Iscritta al Terz’Ordine Francescano, il Beato Angelo le fu Padre Spirituale indicando il modo in cui trascorrere le giornate: alzarsi presto, recitare le preghiere e il Rosario, frequentare la S. Messa, attendere ai lavori domestici e alla carità verso i poveri senza trascurare le letture spirituali.
Carico d’anni, di fatiche e di meriti morì l’11 aprile 1495, povero e umile (per tutta la vita disdegnò gli onori), nel convento di S. Antonio di Cuneo, dove ottantenne si era ritirato. Negli ultimi anni aveva persino questuato per le strade della città.
Tra i primi miracolati ci furono il Conte Costa, consorte della B. Paola, e un facoltoso genovese. Questi offrì la prima arca solenne in cui fu riposto il corpo del Beato che, incorrotto e flessibile, emanava una soave fragranza. A metà del XVI secolo il convento di S. Antonio, per ampliare le mura cittadine, venne abbattuto e il corpo fu traslato solennemente nel Convento di S. Maria degli Angeli che sorgeva fuori città. Nel 1625 vennero istruiti i primi Processi per la beatificazione.
Le sacre reliquie furono sempre tenute in grande considerazione, venerate spesso anche dai Savoia. L’arca venne trasferita temporaneamente nella cappella dell’Ospizio cittadino dei Frati per essere maggiormente accessibile al popolo in occasione di calamità: la pestilenza del 1630 e un temuto assedio nel 1640. Nel 1681, con atto pubblico, fu proclamato dai Cuneesi loro Patrono. Nel 1691 e nel 1744 i Francesi cercarono di conquistare la città e la protezione del B. Angelo fu tangibile. Nel 1691 una bomba inesplosa, dopo aver forato il tetto della chiesa, si adagiò di fronte all’urna. Benedetto XIV confermò il culto nel 1753, fissando la memoria al 12 aprile. In tale occasione Carlo Emanuele III, Re di Sardegna, fece dono di una cassa d’argento e bronzo per custodire il corpo, visibile attraverso un lato di cristallo. Nel 1802, a causa della soppressione del convento per le leggi napoleoniche, l’arca fu portata in Cattedrale. Dopo venti anni tornerà definitivamente a S. Maria degli Angeli.
Nella natia Chivasso, alla fine d’agosto di ogni anno, il santo concittadino è festeggiato con un’antica fiera. Alla sua città era rimasto sempre affezionato: vi costruì il convento di S. Bernardino (distrutto dai francesi nel 1542) e vi fece stampare la sua Summa nel 1486 da Giacomino Suigo. La cugina Bartolomea Carletti si fece, dietro suo consiglio, terziaria francescana fondando nel 1505, pochi anni prima di morire santamente, un monastero di Clarisse.



 
 

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Sant’ Antipa di Pergamo Martire

11 aprile

m. Pergamo, Asia Minore, I secolo

Sant’Antipa da “fedele testimone”, come narra l’evangelista Giovanni nell’Apocalisse, portò a compimento il suo martirio in nome di Cristo presso Pergamo, in Asia Minore. L’iconografia lo raffigura quale vescovo. La tradizione orientale lo annovera tra i 72 apostoli di Cristo citati nei Vangeli.

Martirologio Romano: A Pergamo nell’Asia, nell’odierna Turchia, commemorazione di sant’Antípa, che, testimone fedele, come dice san Giovanni nell’Apocalisse, subì il martirio in nome di Gesù.


Il nome di Sant’Antipa ci è stato tramandato esclusivamente dal libro dell’Apocalisse, ove è detto dall’apostolo Giovanni “testimonio mio fedele, che fu ucciso tra voi, dove abita Satana”. Se ne può dedurre che Antipa abbia subito il martirio a Pergamo in Asia Minore sotto il regno di Nerone, imperatore feroce nella persecuzione ai cristiani. Andrea di Cesarea, nel commentare l’Apocalisse all’inizio del VII secolo, attestò di aver letto il racconto del martirio del santo, ma la “passio” tramandata non sembra corrispondere a quanto citato da Andrea, ma sarebbe piuttosto ricalcata sullo schema tipico di tale genere letterario. Antipa in età ormai avanzata fu arestato in seguito ad una sommossa popolare e condotto dinnanzi al tribunale del prefetto della città. Interrogato come di consueto ed esortato ad ubbidire agli ordini imperiali e sacrificare agli dei, per il suo rifiuto fu allora trascinato al tempio di Diana e rinchiuso in un toro di bronzo arroventato. Pare che venne edificata una chiesa sul suo sepolcro ed il suo culto è antichissimo in Oriente. Sia i sinassari bizantini che il Martyrologium Romanum pongono la commemorazione di Sant’Antipa all’11 aprile. L’iconografia lo raffigura quale vescovo. La tradizione orientale lo annovera tra i 72 apostoli di Cristo citati nei Vangeli.



 
 

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San Barsanofio Eremita

11 aprile

Barsanufio (o Barsanofio), di origine egiziana, fu monaco recluso nel monastero di San Seridone presso Gaza, in Palestina. Visse tra V e VI secolo. Vivendo nella più stretta solitudine comunicava con le persone che a lui ricorrevano per mezzo di scritti. Fu così tra i consiglieri e i maestri più ascoltati del suo tempo ed ebbe un grande influsso sul monachesimo orientale. Ebbe come corrispondente Giovanni detto il Profeta, abate del monastero di Merosala e maestro del celebre Doroteo di Gaza. Gli scritti attribuiti ai due epistolografi sono raggruppati sotto il titolo di «Lettere ascetiche» o «Lettere di direzione». Furono stampate a Venezia nel 1816. Barsanufio morì verso il 540. Le sue reliquie furono portate a Oria, in provincia di Brindisi, dove si venerano nella cattedrale. (Avvenire)

Patronato: Oria (BR)

Martirologio Romano: Presso Gaza in Palestina, san Barsanufio, anacoreta, che, egiziano di nascita, fu insigne per una straordinarie doti di contemplazione e per l’integrità di vita.


BARSANOFIO, BARSANUFIO (BARSANOFRIO o BARSANORIO), eremita, santo

Nato verso la metà del sec. V in Egitto, entrò in un monastero presso Gaza dove visse in perfetta solitudine, trattando solamente con un monaco che gli faceva da segretario. Fu un grande contemplativo ed ebbe doni soprannaturali. La fama della sua santità lo fece ricercare da molti solitari con i quali ebbe relazioni epistolari. Tra essi ci fu Giovanni, detto il profeta, abate del monastero di Merosala e maestro del famoso Doroteo. Il loro carteggio, di circa 800 lettere, è importante per la storia della spiritualità. In esso sono trattate questioni precise e brevi risolte con aforismi (apophthegmata) che furono poi usati come precetti monastici. I pregi principali di quelle lettere consistono nella fedeltà alla tradizione ed in una discrezione di consigli adattati alle reali necessità umane, lontani da ogni eccesso. Esse ebbero un grande influsso nei monasteri orientali, mentre rimasero ignote in Occidente.
Barsanofio morì in tarda età verso il 540 e la sua immagine fu riprodotta nella chiesa di S. Sofia a Costantinopoli insieme con quella di Antonio, Efrem ed altri santi. Dagli orientali è festeggiato il 6 febbraio, nel Martirologio Romano invece è commemorato l'11 aprile. Nella diocesi di Oria San Barsanofio si festeggia il 20 febbraio ed il 29/30 agosto.
Le sue reliquie furono trasportate da un monaco palestinese ad Oria (Brindisi) verso l'850 e collocate dal vescovo Teodosio presso la porta della città in un'antica basilica. Distrutta questa dai Saraceni, per lungo tempo se ne perdette il ricordo. Furono ritrovate, si dice in seguito ad una visione, dal sacerdote Marco e trasferite nella cattedrale dove sono tuttora.





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San Domnione (Donnione) di Salona Vescovo e martire

11 aprile

Martirologio Romano: A Spalato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, san Domnione, vescovo e martire, che si dice sia stato ucciso durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.





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Beata Elena Guerra Vergine

11 aprile

Lucca, 23 giugno 1835 - Lucca, 11 aprile 1914

Etimologia: Elena = la splendente, fiaccola, dal greco

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Nella stessa città, beata Elena Guerra, vergine, che istituì la Congregazione delle Oblate dello Spirito Santo per l’educazione della gioventù femminile e istruì mirabilmente i fedeli sulla cooperazione dello Spirito Santo nell’economia della salvezza.


Scrittrice, teologa, apostola, santa, dice di lei il suo biografo padre Domenico Abbrescia. Ha studiato in casa italiano, francese, musica, pittura, ricamo e, di nascosto, anche latino. A 19 anni è infermiera tra i colerosi di Lucca e a 22 l’aggredisce un male che la terrà per quasi otto anni a letto. E lei studia i Padri della Chiesa, crea un gruppo di “Amicizie spirituali” tra le sue visitatrici, progetta forme di vita contemplativa.
Guarita, studia e viaggia: nel 1870 assiste in Roma a una seduta del concilio Vaticano I; e a Lucca, dopo prove e insuccessi, nasce infine per opera sua una comunità femminile, ma di vita attiva, dedita all’educazione delle ragazze e intitolata a santa Zita, patrona della città. E’ una comunità senza voti, un sodalizio di volontarie dell’insegnamento, pilotata da lei anche con gli scritti: i suoi agili “librini”, efficaci guide all’approfondimento della fede. Qui è accolta per qualche tempo, e fa la prima comunione nel 1887, la futura santa Gemma Galgani. Più tardi, l’istituto verrà riconosciuto dalla Chiesa come congregazione religiosa.Con la sua comunità, lei ha già problemi e anche conflitti. Ma ora decide pure di lanciarsi in un’impresa che va oltre la congregazione, oltre Lucca e l’Italia, per investire l’intera Chiesa. Ci ha pensato in segreto per anni e ora parte: bisogna ricondurre tutti i fedeli verso la conoscenza e l’amore per lo Spirito Santo, del quale Cristo ci ha detto: "Egli vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,13). I cristiani sono troppo fiaccamente consapevoli della prospettiva gloriosa che ci attende col “rovescio di Babele” (come scriverà nel 1987 Severino Dianich), rinnovando l’evento della Pentecoste di Gerusalemme. E' tempo di agire, e nessuno la ferma: scrive al papa Leone XIII, insiste, riscrive, andrà anche in udienza: chiede forti spinte per un “ritorno allo Spirito”, che nel secolo successivo sarà così vivacemente annunciato da movimenti e gruppi. Tre documenti pontifici, fra il 1895 e il 1902, invitano a operare per questo scopo, personalmente caro a Leone XIII; e il vecchio Papa dà alle suore di Elena il nome di Oblate dello Spirito Santo. Chiarissimo segno che è stata capita.L’hanno capita a Roma. Ma a Lucca, in casa sua, c’è chi le si mette contro: suore, figlie spirituali sue. E si arriva alle dimissioni di lei da Madre generale, ma con accompagnamento di inique umiliazioni. Elena sa accettare anche questo, sostenuta dalle consorelle fedeli e dalla sua limpida visione dell’esempio di amore che bisogna sempre saper offrire. E’ il suo momento più alto. E si chiude al mattino di un Sabato santo, sùbito dopo che lei ha indossato l’abito di Oblata dello Spirito Santo. Il suo corpo è sepolto a Lucca nella chiesa di Sant’Agostino. Nel 1959, papa Giovanni XXIII l’ha proclamata beata.
La data di culto indicata nel Martyrologium Romanum è l'11 aprile. Mentre nella diocesi di Lucca viene ricordata il 23 maggio.





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11/04/2011 13:24

San Filippo di Gortina Vescovo a Creta

11 aprile

Martirologio Romano: Commemorazione di san Filippo, vescovo di Górtina sull’isola di Creta, che, al tempo degli imperatori Marco Antonino Vero e Lucio Aurelio Commodo, difese con vigore la Chiesa a lui affidata sia dall’odio dei pagani sia dalle insidie delle eresie.



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11/04/2011 14:03

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