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KAROL WOJTYLA - Le sue Poesie e Prefazione

Ultimo Aggiornamento: 03/06/2011 17:35
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10/05/2011 14:48



Il senso del dolore, della sofferenza e della Croce


Un altro concetto-chiave dell’opera poetica di Wojtyla è quello del dolore e della sofferenza.
Al di fuori della fede, il problema del dolore non trova alcuna spiegazione plausibile, mentre nel pensiero cristiano assume il più alto significato, diventando nuova legge, e addirittura nuovo giorno della creazione con l’incarnazione di Cristo.
La Croce diventa, quindi, la «dimora dell'uomo».
Leggiamo in anticipo alcuni pensieri particolarmente toccanti, espressi nei versi del Pellegrinaggio ai luoghi santi:

«Chi non ha casa, pur abitandone una, ricomincia ad abitare, attraverso la Croce, la Terra.»

«Sono solo con me stesso. E insieme sono moltiplicato per tutti gli altri nella Croce che qui si ergeva. Una tale moltiplicazione e non riduzione rimane un mistero: la Croce va controcorrente. In essa le cifre recedono davanti all'Uomo.
Come avvenne che Tu giungessi alla Croce?»


Però la Croce è proprio ciò da cui ciascuno di noi rifugge, e che non vorrebbe portare in alcun modo.
Wojtyla nelle composizioni poetiche dal titolo Profili di Cireneo descrive le diverse maschere che il Cireneo assume in vari uomini, quando si sentono porre quel giogo sulle spalle.
Kierkegaard scriveva: «Sto cercando di stringere più intimamente il mio rapporto al Cristianesimo. Perché finora io ho lottato per la sua verità quasi tenendomi in un certo modo fuori di esso: ho portato la Croce di Cristo in un modo puramente esteriore, come Simone il Cireneo».
E Wojtyla descrive i vari profili di uomini che portano la Croce appunto in modo esteriore, o che comunque la vorrebbero respingere, mentre Cristo con la Croce è ciò in cui ognuno trova il suo vero spazio, e conclude:

«E nel Tuo grande mondo potresti non scorgere il mio piccolo mondo,
potresti spaccarlo interamente, annientarlo,
e andando con la croce potresti porlo sul filo di lama -
Tu, vasto, aperto - Tu, in cui ognuno trova il suo spazio.»



La morte come «passaggio» ad altra vita che ha nome «Pasqua»


L'altro problema - il più grande di tutti - che con la sola ragione non può essere spiegato in modo soddisfacente, è quello della morte. Questo viene riconosciuto da tutti coloro che affrontano il problema e lo trattano a fondo, sia credenti sia non credenti.
A conferma di quanto stiamo dicendo converrà leggere un passo di Hans-Georg Gadamer, che da laico molto aperto e sensibile a tale problema, esprime un giudizio equilibrato e penetrante: «La fede religiosa e la semplice laicità si accordano su un punto, nel rispettare la sovranità della morte. Le proposte dell'illusionismo scientifico incontrano nel mistero della vita e della morte un limite invalicabile. Per di più, davanti a questo confine si rivela l'autentica solidarietà reciproca di tutti gli uomini nel difendere il segreto in quanto tale. Chi vive non può accettare la morte, tuttavia deve affrontarla. Noi siamo viandanti sul confine tra l'al di qua e l'al di là. - Ci si deve attendere che una simile esperienza di frontiera, oltre la quale soltanto i messaggi religiosi concedono la possibilità di un superamento e di uno sguardo ulteriore, lasci scarso spazio al pensiero filosofico, alle sue domande, ai suoi principi razionali e al suo procedere concettuale. Ma soprattutto ci si deve aspettare che la filosofia non sia in grado generalmente di considerare l'uomo al cospetto della morte, senza riferirsi continuamente alla sfera ultraterrena della religione (che si tratti della promessa o della minaccia di punizione nel giudizio finale). Tuttavia, in base a quello che presso di noi si qualifica come filosofia, questo vuol dire che il problema filosofico può essere solo posto in riferimento al paganesimo greco e al monoteismo giudaico-cristiano-musulmano».
Il pensiero pagano, in particolare, cercava di risolvere il problema della morte con l'idea dell'immortalità dell'anima e della sua reincarnazione ciclica; il pensiero cristiano, invece, si incentra sul messaggio della risurrezione. Appunto su questo grande messaggio cristiano ruotano i bei pensieri espressi da Wojtyla nella Meditazione sulla morte.
Ciascuno di noi, egli dice, è trascinato da vorticose correnti che passano, dalle quali a un certo punto si viene travolti e si torna a essere polvere. Allora, ciascuno di noi rimarrà per sempre polvere?
La risposta è data da quello che Wojtyla chiama mysterium paschale, inteso come mistero di quel passaggio ultimativo che porta dalla morte a una nuova vita:

«Mysterium paschale –
mistero del Passaggio
in cui
il cammino s’inverte.
Dalla vita passare nella morte –
è questa l’esperienza, l’evidenza.
Attraverso la morte passare nella vita –
questo il mistero.»


Ed ecco la luce che illumina il mistero: Cristo ha mutato l’orientamento della direzione del passaggio, e questo passaggio ha nome Pasqua:

«Egli ha disgiunto,
non solo la pietra tombale ma tutta la terra
Egli ha smosso
trasformando quel campo in cui tutti passiamo,
anche se la corrente del Cedron continua a discendere
e nel corpo umano la corrente del sangue traccia ancora
una rotta di morte.
Egli ha aperto negli uomini uno spazio alla nascita,
ha rivelato in loro uno spazio di vita
che sovrasta alle correnti che passano,
che sovrasta alla morte.»


Dalla morte ci solleva la speranza, che è come «il suo contrappeso», nel senso che a chi muore si manifesta un segno di nuova vita. Fra la vita e la morte di ogni uomo si distende lo spazio del grande mistero, in cui l’essere di Cristo si inserisce e si impone come «misura suprema», e la morte di ciascun uomo diventa una parte della sua Pasqua:

«In questo spazio, la più perfetta misura del mondo
TU SEI
e dunque ho un senso, e scivolare nella tomba,
passare nella morte,
disfarmi nella polvere di irripetibili atomi
- è per me parte della Tua Pasqua.»


Nel vortice del moto centrifugo di tutte le cose del mondo – moto che si accresce sempre di più con il passare dei tempi – l’uomo si inserisce come

«sola scheggia di mondo che abbia un moto diverso…»

E con questo bel passo, con la metafora della Pasqua che significa il passaggio dalla morte alla vita, Wojtyla conclude il gruppo di poesie Meditazione sulla morte:

«Gli atomi dell’uomo antico fanno compatta la gleba
primordiale del mondo ch’io raggiungo con la mia morte,
li innesto in me definitivamente
per trasformarli nella Tua Pasqua – che è il Tuo PASSAGGIO.»


L’amore come la sfida più grande per l’uomo



Il tema dell’amore ha uno straordinario rilievo negli scritti di Wojtyla, e viene espresso in maniera toccante specie in quelli poetici.
Il pensiero più forte che egli esprime sull’amore è questo: l’amore è ciò che ci fa nascere non solo in senso fisico; l’amore è una sfida che Dio fa all’uomo, affinché l’uomo sfidi il destino.
Ma in che modo l’uomo può rispondere a tale sfida?
In effetti, malgrado l’«Io» si possa riconoscere solo nel «Tu» e non si possa realizzare al di fuori di questo nesso ontologico strutturale, l’«Io» e il «Tu» in dimensione puramente umana non creano un rapporto ontologicamente stabile.
In particolare, il vero amore nasce mettendo in atto un riflesso di quella «Interazione Assoluta» della divinità, come abbiamo spiegato parlando del concetto di persona.
Concludiamo leggendo in anticipo alcuni dei più bei pensieri sull’amore espressi poeticamente da Wojtyla:

«Ai piedi della verità bisogna mettere l’amore,
bisogna collocarlo agli angoli, per terra, per terra,
metterà radici anche là dove non ci sono strade –
e costruirà, eleverà, trasformerà.»


Già nel Canto del Dio nascosto Wojtyla scriveva:

«L’amore mi ha spiegato ogni cosa,
l’amore ha risolto tutto per me –
perciò ammiro questo Amore
dovunque Esso si trovi.»


Leggendo questi versi ci torna alla mente uno splendido aforisma di Gómez Dávila, che in modo icastico e tagliente esprime lo stesso pensiero:

«La domanda tace solo di fronte all’amore. Perché amore?
E’ l’unica domanda impossibile. L’amore non è mistero, ma luogo in cui il mistero si dissolve.»



Due frammenti poetici, che contengono le cifre emblematiche del pensiero poetico di Wojtyla:


Nel Canto del Dio nascosto, I 15, si dice:

Stare così, davanti a Te, guardare con questi occhi
in cui convergono le vie stellari –
occhi che siete ignari di Colui che in voi regna,
da Sé e dalle stelle prendendo luce sconfinata.

Dunque, sapere sempre di meno e credere sempre di più.
Chiudere piano le palpebre davanti al tremulo bagliore;
poi, con lo sguardo, risospingere la marea delle rive stellari
su cui è sospeso il giorno.

Dio presente, fa che questi occhi chiusi
divengano occhi interamente aperti –
e l’esile soffio dell’anima, che trema in uno sbocciare di rose
avvolgi nel tuo vento immenso.


E nella Nascita dei confessori, II 3, si dice:

Ma se c’è in me la verità – deve esplodere.
Non posso rifiutarla, rifiuterei me stesso
.





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