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LA NAVE CHE CANTAVA - romanzo di fantascienza - di Anne McCaffrey

Ultimo Aggiornamento: 09/09/2011 20:33
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Sesso: Femminile
09/09/2011 14:51

(segue)






Non fu una serata piacevole, per Helva. Quando aveva ricevuto l’ordine di partire, non aveva previsto niente del genere.
Davo era taciturno e all’erta, sorvegliava Kurla e Amsra, e passava spesso davanti alla porta aperta della cabina di Prane. Kurla sembrava disperata, anche se cercava
di nasconderlo: ma Helva aveva sentito Prane rifiutare ogni assistenza medica, e adesso sapeva che lui fingeva di dormire per evitare discussioni. Lo sguardo freddo di Ansra seguiva sempre la giovane assistente medica. Helva parlava solo quando le rivolgevano la parola, accettando il ruoo di nave automatica, anche se Davo, presumibilmente, sapeva che cos’era in realtà.
Le discussioni fra Davo e Ansra non avevano aiutato Prane e avevano aumentato la tensione. Helva si chiedeva se lui aveva agito apposta per indurre la donna a dichiarare le proprie ambizioni, usando proprio lei, la nave, come testimonio insospettato. Eppure, se questo era vero, perché aveva cercato di rimettere Ansra al passo?
Ma Helva non voleva occuparsi di quel problema, anche se, naturalmente, poteva testimoniare in favore di Davo.
Non le interessavano l’attrice astuta, l’assistente innamorata e l’attore morente. Amon ci si sarebbe divertito. Romeo e Giulietta in un’atmosfera d’ammoniaca, in condizioni d’imponderabilità, Con Shakespeare come stabilizzatore? In questo, Helva era d’accordo con Ansra: la faccenda era assoIutamente ridicola.
Un lungo sospiro turbò le sue riflessioni. Qualcuno dal sonno agitato? No, Prane era sveglio. “Amen, amen! Ma qualunque dolore sopravvenga, non potrà mai soverchiare la gioia che mi dona in un breve attimo la sua vista.
Unisci le nostre mani con le sacre parole, e poi la morte che divora l’amore faccia ciò che osa, a me basta poterla dire mia!”
La voce di Prane si alzò, tenera e forte, non danneggiata dalla debolezza fisica. Ma la risata che seguì era carica d’amarezza.
“lo non sono un pilota, eppure se tu fossi lontana come la riva del mare più lontano, io mi avventurerei per ottenere quel premio.”
Un’altra lunga pausa, poi: “Tu, disperato pilota, ora precipita sulle rocce strazianti la tua fragile nave! Per il mio amore!”
Un’altra pausa, così lunga che Helva lo credette addormentato.
“O morte, dov’è il tuo pungiglione?
O tomba, dov’è la tua vittoria?”
Helva si sentì fremere al suono di quella voce carica di rimpianto e di desiderio. Vuole morire! Pensa che questa missione l’ucciderà, e vuole morire!
Helva si consolò con una serie delle imprecazioni più colorite di Kira, e si augurò di saperne di più sul meccanismo dei trasferitori psichici di Beta Corvi. Bene, se i Corviki erano capaci di stabilizzare gli isotopi, dovevano essere ingegneri straordinari. Dato che il cervello generava una forma di energia primitiva, era possibile trasferirne la carica da un involucro ad un altro. In teoria era facile: ma in pratica? Poteva esserci una caduta d’energia, una impressione errata nel ricettacolo. Qualcuno poteva uscirne storpiato mentalmente... Helva abbandonò quel pensiero, poiché non disponeva di dati sufficienti. E poi, non era affar suo.
Ma Prane non sarebbe riuscito a morire, con Kurla Ster disperatamente decisa a tenerlo in vita. Helva non sapeva niente dei Corviki, ma sapeva che in tutte le civiltà evolute un essere ragionevole non era mai autorizzato a distruggersi. Kira Falernova s’era accorta a sue spese di quanto era difficile suicidarsi.
E se Kurla non era stupìda, e non Io sembrava affatto, nonostante la terribile infatuazione per Prane, doveva rendersi conto del desiderio di morte di quell’uomo.
Helva rifletté, un po’ confusa. Non sapeva in che modo Prane aveva potuto ridursi in quello stato, in un’epoca in cui la medicina era quasi perfetta. Era chiaro che aveva passato la cinquantina.., ma perché aveva le ossa molli? Si poteva iniettare il calcio nel midollo e aggiungere fosforo alla dieta. Ma Ansra aveva fatto allusione alle droghe, aveva detto che il cervello di Prane era rammollito.., no, le sue ossa craniche. Le ossa craniche non potevano venire ammorbidite dalle leggere droghe, del resto permesse, che aiutavano a migliorare la memoria. Un adulto perde circa centomila neuroni al giorno, e un attore deve avere una memoria efficientissima: Prane si serviva di quelle droghe, indubbiamente... possibile che, usate per lungo tempo, potessero danneggiare le ossa?
Helva controllò i banchi-memoria della nave: ma le droghe autorizzate non avevano conseguenze negative. Forse un attore che recitava su centinaia di pianeti e si esponeva alle radiazioni di soli tanto diversi, poteva subire qualche danno alla struttura cellulare? Un blocco delle proteine? Ma qualche ingegnere medico se ne sarebbe accorto, avrebbe corretto l’enzima difettoso.
Helva guardò l’uomo insonne. Stava mormorando, cambiando voce man mano che passava da un personaggio all’altro. Helva ascoltò, affascinata, per tutta la notte; poco prima dell’alba, finalmente, Prane Liston si addormentò.
All’alba, Helva controllò come al solito tutti i meccanismi di bordo, poi si accertò che non vi fossero altre navi a portata della sua radio. Ne fu irritata, e insieme provò un senso di sollievo.
La prima a svegliarsi fu Kurla, che accorse subito accanto a Prane. Si tranquillizzò quando lo vide addormentato e sereno. Con un tenero sorriso, la ragazza uscì, chiuse la porta, e si avvicinò alla cambusa. Poco dopo, Davo la raggiunse.
“Come sta, stamattina?”
Kurla, in tono difensivo, incominciò a snocciolare termini medici.
“Non mi interessa l’economia interna del tuo innamorato...”
“Prane Liston non è il mio innamorato.”
“Oh, davvero?”
“Davo, ti prego!”
“Non arrossire, mia cara. Scherzavo. Voglio un sì o un no. Prane è in grado di provare, oggi? Recitare nell’imponderabilità sarà difficile, e lui ha detto che vuole riprovare parecchie scene, ora che ha tempo. Helva può darci l’imponderabilità, se gliela chiediamo. Vero, Helva?”
“Sì.”
“Questa nave sembra così umana,” disse Kurla, coe un brivido.
“Lo è, Kurla. Helva è umana. Non è vero, Helva?
“Oh! Se n’è accorto?”
Davo rise della costernazione di Kurla.
“Mia cara signorina Ster, come esperta in medicine, avresti dovuto notare l’identità del nostro comandante!”
“Stavo pensando a tante cose,’ fece Kurla, in tono difensivo. “Ma le chiedo scusa se l’ho offesa, Helva,” fece, girandosi. Il suo sguardo si posò sulla porta chiusa della cabina di Prane, e il suo volto si copri di rossore.
“Lei è stata discretissima, mia cara,” rispose Helva. “Come cerco di essere anch’io,” aggiunse, in tono così tagliente che Davo comprese il rossore di Kurla.
“Il senso dell’onore cibernetico, eh?” chiese lui, con uno scintillio negli occhi.
“Sicuro, e la dimostrazione che noi siamo degni di fiducia, leali, cortesi, onesti, gentili e incorruttibili.”
Davo rise, fino a quando Kurla lo zittì, indicando la cabina di Prane.
“Perché? Voglio che si svegli e che si alzi. E dovrebbe fargli bene svegliarsi al suono d’una sana risata.”
“Una buona battuta,” osservò Prane, aprendo la porta. Sorrideva leggermente, a testa alta: ogni traccia di stanchezza era sparita. Non aveva riposato molto, ed Helva lo sapeva, ma sembrava persino più giovane. “Dobbiamo attaccare, Davo?” domandò.
“Non farai niente di niente, Solare,” intervenne Kurla, “se prima non avremo mangiato.”
Lui accondiscese, docilmente. Benché fosse decisa a stare alla larga dai conflitti di quel quartetto, Helva assistette alla prova con un vivo interesse. Kurla, promossa suggeritore, ricevette un copione.
“E adesso,” incominciò energicamente Prane, “ricordiamoci che non sappiamo cosa ne pensano i Corviki dei duelli, se pure hanno un’istituzione di questo genere. Non sappiamo se sono in grado di capire il codice arcaico che rendeva inevitabile questo duello. La nostra compagnia non ha il compito di interpretare le nostre antiche morali. Secondo il comandante della nave esploratrice, i Corviki sono stati affascinati dal concetto di certe formule speciali (l’equipaggio stava assistendo all’Otello) intese puramente a sprecare energia alla ricerca di un’eccitazione, senza uno scopo pratico.” E rise, imbarazzato.” Sono sempre stati in molti a pensare che il teatro è uno spreco di energie. Ma è inutile che cerchiamo di interpretare Shakespeare come se fosse un testo di sociologia. Dovremo recitarlo come l’avrebbe recitato la compagnia del Globe.”
“E allora la parte di Giulietta dovrebbe farla un ragazzino,” ricordò maliziosamente Davo.
“Non pretendo una fedeltà all’originale spinta fino a questo punto.” rise Prane. “La distribuzione delle parti rimane com’è. Avremo già abbastanza guai a recitare nell’ imponderabilità e ad abituarci agli involucri che ci daranno i Corviki. Quando arriveremo a Beta Corvi avremo solo il problema di abituarci alla nuova forma. Credo che sarà più o meno come cambiare costume.
“Bene, Davo, tu, come Tebaldo, entri in scena dal basso. Benvolio e Mercuzio staranno a sud, e io, come Romeo, mi avvicinerò da est su una eclittica.”
Tutti e due avevano già lavorato in imponderabilità, notò Helva, perché riuscivano a muoversi perfettamente, simulando l’energia di un affondo e l’eleganza di un arretramento quasi danzato. Ma quei movimenti richiedevano un grande sforzo fisico: poco dopo, tutti e due stavano sudando, mentre provavano e riprovavano il duello.
Finalmente riuscirono ad eseguire la scena per due volte di fila in modo perfetto. Helva era sbalordita dalla prestazione di Prane.
Ansra entrò galleggiando nella cabina principale e l’atmosfera cambiò così bruscamente che Helva controllò i suoi apparecchi di allarme, d’istinto.
“Buongiorno, mia buona signora,” fece Prane, nervosamente. “Attacchiamo la scena del balcone, bella Giulietta?”
“Mio caro Solare, hai già faticato abbastanza con Davo. Hai voglia di continuare?”
Prane esitò un attimo, poi s’inchinò, con un sorriso spontaneo.
“Tu, come Giulietta, devi stare in alto, mia cara,” e indicò con un gesto lo spazio in cui lei avrebbe dovuto recitare.
Ansra alzò le spalle e si lanciò verso l’alto.
“Dammi la battuta di Benvolio, per piacere,” chiese Prane a Kurla.
L’arrivo di Ansra aveva sconvolto la ragazza, che sfogliò nervosamente le pagine.
“Atto secondo, scena prima, Kurla,” mormorò Davo.
Helva portò la propria voce sul registro tenorile.
“Vai, dunque, poiché è vano cercare colui che non vuole essere trovato.”
“Cribbio, e questo chi è?” gridò Prane, girandosi sbalordito.
“Io,” fece dolcemente Helva, con la sua solita voce.
“Può cambiare voce a volontà?”
“Oh, è questione di proiezione, vede. E poiché la mia voce viene riprodotta attraverso un sistema audio, posso scegliere il registro più adatto.”
Ansra era rimasta ancora più sbalordita di Prane.
“Ma come ha potuto leggere la battuta?” chiese quest’ultimo.
“Ho letto il testo nei banchi-biblioteca,” disse Helva. Non raccontò che durante la sua infanzia aveva seguito con passione molti vecchi film. Era stato il suo hobby... e adesso aveva letto solo la propria memoria.
Prane allargò imprudentemente la braccia e dovette frenarsi per non volare fino al soffitto.
“E’ una fortuna incredibile. Potrebbe leggere qualcosa d’altro?”
“Cosa? Fai un’audizione a una nave, Prane?” chiese Ansra, come se volesse dargli del matto.
“Se non sbaglio,” intervenne sardonico Davo, “Helva è famosa come la nave che canta. Avrai visto senz’altro quel documentario su di lei, qualche anno fa, vero, Ansra? Certo che l’hai visto! Recitavamo insieme i tragici greci a Draconis!”
“Se non ti spiace, Davo,” s’intromise Prane, accostandosi alla colonna di Helva. “Lei è la nave che canta?”
“Si.”
“Vorrebbe avere la gentilezza di leggermi la tirata della Nutrice, atto primo, scena terza, quando Dama Capuleti e la Nutrice parlano del matrimonio di Giulietta? Incominci da: ‘In tutti i giorni pari o dispari dell’anno...”
“La nutrice deve essere un tipo terrestre?”
“Si, fortunatamente non rigenerato. Le sue battute sono un trionfo della caratterizzazione: solo lei può recitarle. Voglio dire, il testo è una caratterizzazione perfetta.”
“Credevo che questa fosse una prova della mia scena, non una conferenza,” osservò acida Ansra.
Prane la zitti con un gesto autoritario.
“La prego...”
Helva si rassegnò a prendere parte attiva alla prova, e rispose come se fosse stata la nutrice Angelica.

Helva chiese una pausa, dopo parecchio tempo, con il pretesto di effettuare certi calcoli che la preoccupavano. Ma quello che la preoccupava era l’umore di Ansra.
Davo e Kurla avevano letto diligentemente altre parti, Davo con straordinaria aderenza ai vari personaggi, Kurla con una discreta abilità nella parte di Dama Montecchi. La Giulietta di Ansra invece, diventava sempre meno convincente. Leggeva, invece di recitare, e non reagiva alla passione, all’entusiasmo giovanile di Romeo-Prane. Era un pezzo di legno. La voce era giovane, i gesti da adolescente, ma non proiettava le qualità tipiche di Giulietta. Prane la consigliava, gentilmente, ma il comportamento di Ansra non cambiava.
Appena Helva si fu ritirata dalla prova, Kurla annunciò che era ora di mangiare qualcosa di caldo. Poi insistette perché tutti si riposassero un po’. Helva osservò, furtivamente, mentre Kurla controllava Prane con il suo apparecchio medico. Anche lei fu sbalordita di trovare il Solare in buona forma, dopo la fatica delle prove.
“Devi riposare, Solare Prane. Non mi interessa quello che dice il registratore. Devi recuperare le energie,” disse Kurla, in tono fermo. “Sono stanca persino io!”
Prane ebbe una smorfia fanciullesca ma si distese sul materasso antiurto, senza protesta, e chiuse gli occhi. Kurla Io copri, teneramente. Poi usci dalla cabina. Prane riaprì gli occhi di colpo e il suo sguardo apparve inequivocabile, ai visori di Helva. Dunque, Kurla era veramente il sole, per Prane, e Ansra era l’invidiosa Luna, pallida per la rabbia...
I passeggeri si addormentarono: tutti, eccetto Prane. Incominciò a recitare il Riccardo III, dal ‘Questo è l’inverno della nostra infelicità’, di Gloucester, fino al ‘La pace rivive! Possa vivere qui a lungo, con la volontà di Dio!’ di Richmond. Helva approvò quella scelta: era perfettamente intonata alle circostanze di quella giornata.
Verso l’alba, Helva ricordò improvvisamente un particolare e, rimproverandosi per la propria ottusità, chiamò Regulus col raggio.
“Mi fa piacere di sentire di nuovo la tua voce,” rispose affabile l’operatore del Cencom.
“Questa tua gentilezza non mi piace. Cosa mi state preparando? Non un’altra missione senza compagno, spero... perché la rifiuterò. Ho i miei diritti!”
“Uh, come siamo suscettibili. Perché sei così sospettosa? E così tonta?”
“Per farti sapere le mie intenzioni. E adesso ascoltami bene: c’è una cabina libera.., no, un appartamento, nella Stazione Orbitale, nel settore imponderabilità?”
“M’informerò. Ma perché?”
“Informati e rispondi.”
“Risposta affermativa. C’è.”
“Benissimo. Disponi perché venga assegnato al Solare Prane e ai suoi accompagnatori. Voliamo in imponderabilità, per prepararli alla loro missione, e non voglio che siano costretti a riabituarsi alla gravità normale.”
“Buona idea. Ma questo incarico non ti va?”
“Non usare quel tono con me, Cencom!”
“Ma se te li prendi tanto a cuore da sistemarli in orbita!”
Helva esitò. Non doveva mostrarsi preoccupata.
“Mi hanno abituata ad essere prudente. Sarebbe un peccato farli tornare alla gravità, adesso che si sono abituati alla caduta libera.”
“Non preoccuparti, Helva. La missione a Beta Corvi ha la priorità assoluta.”
“Senti, mi incuriosisce quella faccenda del trasferimento della psiche...”
“Calma, ragazza mia. Non farmi domande, dopo quello che mi hai detto!”
“Bene, starò zitta, ma il tuo è un comportamento meschino!” Ed Helva spense il raggio. Fino a quando i passeggeri non si svegliarono, continuò a meditare sui commenti della Centrale. Volevano che compisse quella missione: ma lei avrebbe resistito fino a quando non le avrebbero dato un compagno.


Helva non avverti i passeggeri degli accordi che aveva preso per sistemarli: si limitò ad agganciarsi al portello della Stazione Orbitale, come se quella fosse stata la destinazione stabilita fin dall’inizio. Sotto di loro c’era Regulus IV, che splendeva nella luce riflessa del suo sole.
“Ci avevano detto che saremmo scesi alla Base di Regulus!” protestò Ansra, fissando minacciosamente l’attendente che si era presentato al portello.
“Se qui c’è l’imponderabilità, preferisco restare,” esclamò Davo.
“Ridicolo!” continuò Ansra, rivolgendosi all’attendente. “Voglio essere portata alla Base. E voglio vedere l’ufficiale incaricato di questa missione.”
“La XH-834 raggiungerà la Base dopo avere scaricato qui i passeggeri, signorina Colmer” mormorò l’uomo, per calmarla.
“Se vuole ritornare nella cabina principale, signorina Colmer, potrò chiudere il portello,” disse Helva, vedendo che Prane e Kurla erano entrati nel portello della Stazione. L’attendente spinse i bagagli e uscì a sua volta. Helva chiuse il portello esterno, e Ansra fu costretta a rientrare.
“Le farò rapporto, razza di... di...”
“Spia? Mostro? Canaglia?” suggerì gentilmente Helva
“La farò mandare in disarmo, sgualdrina placcata di latta!”
In quel momento, Helva si mise in moto, scaraventando Ansra sulla poltrona più vicina. E la tenne li inchiodata a bestemmiare.
“Si pentirà della sua insolenza, attricetta da quattro soldi e senza corpo!” sibilò finalmente Ansra quando furono arrivate, mentre si avviava verso l’ascensore.
“Mi rincresce molto che lei abbia sofferto nella manovra del rientro, signorina Colmer. Le avevamo consigliato di fermarsi alla stazione,” tuonò Helva, accendendo l’altoparlante esterno, perché la sentissero quelli a bordo del veicolo che era venuto a prendere la donna.

“Ehi, Helva, che diavolo hai fatto a quella Colmer?” le chiese il Cencom, poco dopo, sulla banda privata. “Se non fossi la cocca di tutti i pezzi grossi, ti buscheresti un’ammonizione e la multa. Quella ha qualche buon amico in alto loco, sai.”
“Allora è per questo che la mandano in missione.”
“Senti, ragazza mia, io sono dalla tua parte, ma un’osservazione di questo genere...
“Se volessi essere veramente cattiva, ti farei ascoltare qualche registrazione non censurata delle conversazioni che ho avuto occasione di godermi in questo viaggio.”
“Per esempio?”
“Ho detto ‘se volessi essere ‘cattiva’.” Tolse la comunicazione, e si guardò intorno per cercare una compagnia più divertente.
Sul campo d’atterraggio c’erano almeno venti navi-cervello. Un congresso? Una rimpatriata? Scorse subito Amon, e cinque navi della sua classe. Cercò di comunicare con la VL-830, ma non ci riuscì: non riuscì a comunicare neppure con le altre navi: le frequenze erano sovraccariche.
E tutti quanti aspiravano alla missione su Beta Corvi? Chiese alla torre di controllo di trovarle un altro spazio libero, possibilmente vicino agli alloggi dei piloti. Dovevano esserci pure altre navi che avevano voglia di chiaccherare con lei.
“Felice di risentirti,” intervenne il Cencom. “Gli ordini sono di startene lì, chiaccherona.”
“Posso avere almeno un po’ di compagnia? Qualche pilota? Ricordati che mi hanno promesso un braccio, questa volta. E dovete darmelo. Se sapessi cosa deve sopportare una povera ragazza indifesa...”
“Posso prometterti compagnia,” ammise brontolando l’operatore, e tolse la comunicazione.
Helva attese, con i circuiti aperti, e l’ascensore a terra. E attese. Cominciava già ad irritarsi quando ricevette la richiesta di salire a bordo. Attivò l’ascensore, impaziente, e fu stupita quando vide che ne usciva una persona sola.
“Tu non sei un braccio.”
“Grazie, amica,” disse l’ometto nervoso, con una voce anche troppo familiare.
“Tu sei...”
“Niall Parollan, di Regulus, il tuo ufficiale coordinatore delle comunicazioni, Grado Planetario, Supervisore di Sezione, Divisione Navi-Cervello dei Mondi Centrali.”
“Hai un bel coraggio!”
Lui sogghignò amabilmente, per niente intimidito. Chiuse il portello, si accomodò sulla poltrona di fronte alla colonna. L’uniforme era regolamentare, ma tagliata su misura; e portava preziosi stivali di lucertola mizariana.
“Accomodati,” fece ironica Helva.
“Grazie. Ho pensato che dovevamo conoscerci meglio, adesso che sono il tuo supervisore.”
“Perché?”
Lui la guardò malignamente e sorrise.
“Volevo vedere per quale ragione tutti si azzuffano per avere Helva, la XH-834”
“I piloti?” Helva si sentì felice.
“Come sei famelica! Bisogna controllare la tua alimentazione?”
“Non mi fido dite, Parollan,” annunciò Helva, dopo una pausa. “Non c’è nulla da vedere... di Helva.”
“In questo ti sbagli, ragazza mia,” fece lui. “Sì, c’è qualcosa...”
“Mi sono fatta riverniciare su Nekkar.”
“Lo so. Ho controllato i conti.”
“Ingrati. Speravo di averlo gratis.” Poi, quando lui ridacchiò della sua sorpresa, Helva aggiunse: “Se hai controllato i miei conti, saprai che posso permettermi di pagare la penale per il rifiuto della missione.”
“Oh, e mordi, anche!” rise Niall, estasiato. “Non scherzi, vero?”
“Neanche per un microsecondo Voglio un braccio, Parollan, e non uno scocciatore come te.”
Lui continuò a ridere.
“Adesso capisco il perché.” Poi, di colpo, si rifece serio. “Sentimi bene. La missione a Beta Corvi richiede una capacità diplomatica insolita da parte di entrambi i compagni, poiché il braccio e la mente saranno a contatto diretto con i Corviki per tutta la durata della missione. La persona ingusciata, inoltre, ha la responsabilità del controllo diretto e discrezionale dei meccanismi di trasferimento psichico... un controllo che rende necessario l’uso di un nuovo contatto di sinapsi.”
Helva fischiò. Questo voleva dire aprire il guscio di titanio: un’esperienza dura per una persona ingusciata. Nel peggiore dei casi, poteva derivarne un grave trauma.
“Le navi delle due classi più recenti non richiederanno la manomissione del guscio: sono già dotate di cavi supplementari, previsti in caso di future modificazioni.”
“E questo esclude Amon,” osservò Helva.
“Lui è escluso comunque,” disse NiaIl. “Non ha mai sentito parlare di Shakespeare e il suo braccio non saprebbe cavarsela neanche in una recita parrocchiale.”
“Anche il braccio deve recitare? Bene, questo ovviamente esclude me, poiché per il momento non ho un compagno, vero?”
“Dio mi salvi dalla tua lingua, quando t’infuri davvero. Ecco, Chadress Turo è stato richiamato in servizio attivo...”
“Un altro compagno temporaneo? No, assolutamente no.”
“Per avere questo incarico, parecchie navi sarebbero dispostissime a cambiare compagno. Avanti, Helva,” gridò Parollan, “non fare la testarda. Ascoltami. Non ti sei mai ostinata cosi... a torto.”
Helva digerì in silenzio quell’accusa.
“Ti ascolto.”
“Oh! Questa è la mia Helva”’
“Non sono la tua Helva.”
“Parli come Ansra Colmer.”
Helva sibilò indignata.
“Sicuro. Ti fai forte del tuo prestigio,” insistette NiaIl. “Quella donna non avrà tentato di far cancellare il nome del Solare Prane dalla missione, per caso? Se lo ha fatto, io...”
“Ha molti appoggi influenti,” disse Niall: una certa tensione nel suo atteggiamento mise Helva in guardia.
Lei ridacchiò sottovoce, e Niall reagì.
“Me l’immaginavo,” rise forte Helva. “I suoi appoggi non servono a nulla, finché la curva delle probabilità favorisce ancora Prane. E non è accaduto nulla che abbia cambiato la situazione, vero?”
“Uh, gli attori chiacchierano a vanvera,” ringhiò Parollan assumendo un’aria acida. “E tu devi avere ascoltato i loro incubi, la notte.”
“Ti ho già detto che ci sono stati episodi veramente drammatici. Se quella donna insiste troppo per eliminare Prane, fammelo sapere.”
Niall alzò la testa di scatto, illuminandosi.
“Helva, non capisci quanto potresti esserci utile? Sai che Ansra se ne è andata da una nave all’altra, a sondare i cervelli e i loro compagni? E sta raccomandando la nave più comprensiva al Comandante Railly!”
“E’ capace di riuscirci, anche. Se fossi in te, direi a Davo Fillanaser di farla protestare: ha intenzione di rubare la scena a Romeo.”
“lo lo so!” Niall balzò dalla poltrona e cominciò a camminare avanti e indietro. “E tu lo sai. Ma quella è influente, e la curva delle probabilità la indica come la Giulietta più adatta. Non possiamo liberarcene. Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”
Helva tacque, di proposito.
“Prane ha chiesto se sei disponibile.”
“E’ una comunicazione ufficiale di missione, supervisore?”
“C’è di mezzo un premio triplo, Helva.” Parollan non capitolava.
“Non me ne importerebbe neanche se comportasse un tagliando per la manutenzione gratis per tutta la mia esistenza, Parollan. Conosco i miei diritti. E’ una comunicazione ufficiale di missione?”
“Che razza di testarda!” urlò Parollan. Girò sui tacchi e uscì dalla cabina, senza neppure voltarsi indietro.
Helva era infuriata per gli insulti, i modi arroganti, le argomentazioni contorte, i ricatti velati e gli sfacciati tentativi di corruzione che aveva dovuto sopportare da parte di quell’uomo. Non sapeva come avesse fatto a diventare supervisore: ma lei aveva i suoi diritti, e intendeva scegliere...
Qualcuno chiese il permesso di salire a bordo.
“Se sei venuto a chiedermi scusa, Niall Parollan...”
“A chiedere scusa? Siamo in ritardo? Ma se ci hanno appena avvertiti!” gridò una voce baritonale. Helva tacque il tempo necessario per distinguere una mezza dozzina di voci garrule.
“Chi vuole salire a bordo?” domandò.
“Sembra proprio arrabbiata,” disse un mormorio rauco. “Veniamo dagli alloggi dei piloti e vorremmo.., vorremmo...”
“Corteggiarla, è il termine giusto, stupido,” suggerì il sussurro rauco.
“Permesso accordato,” disse Helva, cercando di escludere il tono acido della propria voce.
Sette persone, cinque uomini e due donne, si stiparono nell’ascensore, brontolando perché ci stavano stretti. Helva sentì lo sforzo del meccanismo; poi i sette si precipitarono nella cabina, Helva fissò quelle belle facce sorridenti: persone alte e forti ansiose di compiacerla, di corteggiarla, di essere i suoi compagni.


Quando si sparse la voce che la XH-834 veniva corteggiata, arrivarono altri piloti. Helva doveva riabbassare l’ascensore non appena l’ultimo arrivato era uscito dal portello: non fu strano che Kurla Ster uscisse nella cabina senza preavviso.
“Ehi, cosa aspetti, ragazza? Accomodati e mettiti pure in concorrenza con noi,” l’incoraggiò qualcuno.
“Non è una concorrente, ragazzi,” cantilenò Helva. “Lasciatela andare nella cabina del pilota.”
Kurla alzò una mano, per protestare, confusa e imbarazzata. Gli altri la sospinsero verso la cabina.
“E’ successo qualcosa al Solare, Kurla?” chiese Helva, non appena la porta si chiuse. La sua incertezza venne spazzata via dal grido di Kurla.
“Allora lui ti sta a cuore!”
“Rispetto Prane come artista e come essere umano,” rispose Helva, scegliendo con cura le parole; e intanto si chiedeva se era stato Parollan a mandarle la ragazza.
“E allora perché hai rifiutato la missione, dopo che lui ti ha richiesta?” chiese la ragazza, con un tono stridulo.
“Non ho rifiutato la missione.”
Kurla strinse la labbra.
“Allora Ansra Colmer è riuscita a farti escludere.”
“Non ne so niente, Kurla. Mi hanno interpellata... ufficiosamente... e mi ha lusingata molto sapere che il Solare Prane mi aveva richiesta. Ma ho anche spiegato... ufficiosamente... che non voglio altri incarichi con un compagno temporaneo.
“Non capisco. Credevo che fosse per via della Colmer. O perché non capivi che Prane aveva bisogno di te? Non c’è nessun’altra nave che conosca Shakespeare e che lo sappia recitare! E Prane ha pensato che tu potevi interpretare la parte della Nutrice: la tua bravura l’ha impressionato... eri perfetta, un miracolo! E lui ha bisogno di contare su quanto c’è di meglio. Deve essere tutto perfetto..” Kurla faticava a controllare la propria voce. “Tutto perfetto...”
“Perché lui è alla fine?”
Kurla si lasciò cadere sulla cuccetta, con gli occhi pieni di lacrime.
“Dio mi salvi da una donna che piange,” esclamò irosamente Helva. “Dunque, è il canto del cigno di Prane, e tu hai deciso che io sono la nave che dovrà cantarglielo?”
“Ti prego... se hai in te un grammo di umanità...” poi Kurla si portò le mani alla bocca, pentita di ciò che aveva detto.
“In effetti, sono umana per ventidue chili, Kurla...”
“Oh, Helva, scusami,” balbettò la ragazza. “Non volevo offenderti. E non avevo il diritto di venir qui. Ma speravo di poterti spiegare...”
Si alzò in piedi, a fatica.
“Ti prego di dimenticare la mia visita,” disse, con voce più secca. “Ho agito d’impulso, e ho sbagliato.”
“E’ vero che nessuna delle altre navi conosce Shakespeare?”
“lo non mi abbasserei mai a dire una bugia.
“E Ansra sta complicando le cose.”
Kurla sembrò rinunciare ad ogni dignità: si appoggiò alla porta, stancamente.
“Fa allusioni atroci sul conto di Prane. Dice... non importa. Ma cerca di screditarlo di fronte agli altri attori. E... e... Helva, non mi fido di quella donna.”
“E allora falla protestare, sciocchina.”
“lo? Ma cosa posso fare, io? lo sono un’assistente medica.”
“Kurla, quell’uomo sta morendo. Non puoi farti illusioni...”
“No, non mi faccio illusioni.” La ragazza si raddrizzò. “Ma non voglio che venga privato di quest’ultima, perfetta interpretazione. Non gli resta altro che la sua arte.”
“Ma tu hai influenza su di lui. Convincilo a sostituire Ansra.”
Kunla scosse il capo, tristemente.
“Non lo farà. La ritiene la migliore Giulietta che esista, e per questo è disposto a sopportarla. E lei lo era davvero, quando provavano a Duhr. Poi, è cambiata. Da un giorno all’altro. Ma Prane non la sostituirà: e Ansra lo distruggerà, Helva. Lo so. Riuscirà a distruggerlo.”
“Non ci riuscirà, finché io la terrò d’occhio,” rispose con fermezza Helva.
Chadress Turo arrivò con una rapidità che a Helva apparve sospetta, ma lei sapeva che non era stato Parollan a mandarle Kunla. E trovò Chadress simpatico. Non poteva essere andato in pensione da molto tempo, perché il suo passo era elastico e il suo corpo forte e scattante. Portava una serie di stelle al merito, ma nessuna medaglia e questo significava che era molto efficiente, ma non eccezionale.
“Benvenuto a bordo, Chadress Turo di Marak. E’ piacevole avere un compagno, anche per poco tempo.”
Chadress captò quella sfumatura caustica.
“Spero di non essere io, la causa del tuo malcontento.”
“No. E la tua è la prima faccia allegra che vedo da un po’ di tempo.”
“Hanno dovuto portarmi fin qui in incognito, per sottrarmi all’indignazione degli altri piloti,” fece Chadress, con uno scintillìo negli occhi. “Oh, gli passerà. Succede sempre cosi. Comunque, ufficialmente, tutti sono entusiasti di te: il supervisore Parollan sì vanta di essere stato lui a convincerti ad accettare...”
“Quella faccia di bronzo ha la spudoratezza di...”
“Me l’immaginavo “ rise Chadress. “Ma non importa. Non ero il solo a pensare che tu eri l’unica nave in grado di compiere questa rnissione. Sarà una missione molto importante. e con un carico di esplosivo...”
“Di personalità esplosive, vuoi dire?”
Chadress rise.
“Ho conosciuto molti attori.., io stesso sono un buffo classico, ed è per questo che mi hanno richiamato in servizio.” E aggrottò la fronte. “Ne sono stato felicissimo. Sono convinto che noi piloti dovremmo morire in servizio. Beh, lasciamo perdere. Ecco il nastro della missione.” E lo inserì nella fenditura. Poi chiuse il portello, e lasciò acceso solo l’audio, sedette nella poltrona per ascoltare.
Helva si stupì: sapeva già quasi tutto, di quella missione. L’operatore di Nekkar era stato davvero bene informato.
Una nave esploratrìce aveva intercettato emanazioni pulsanti di energia potentissima nei pressi di Beta Corvi, e aveva accertato che le emanazioni provenivano dal sesto pianeta, un gigante dall’atmosfera di ammoniaca. Allora s’era inserita in orbita. Prima che l’equipaggio potesse preparare le sonde da mandare in quell’atmostera corrosiva, i Corviki avevano stabilito il contatto.
“Mi è parso che una mano gigantesca mi coprisse la testa e mi imprimesse le nozioni nel cervello,” era il commento del comandante della nave.
Quell’insolito sistema di comunicazione era comunque efficiente: i Corviki avevano accertato la natura dei loro visitatori inattesi, e avevano scoperto l’esistenza di qualcosa che a loro mancava, per quanto fossero estremamente evoluti dal punto di vista scientifico.
“Immagino che la migliore analogia sia questa” continuò la voce del comandante della nave. “Un ricercatore che ha dedicato cinquant’anni della sua esistenza allo studio, si guarda attorno all’improvviso, e scopre che esistono anche altre cose… come le ragazze e il sesso. Capisce la teoria, ma non la sua applicazione, e ci tiene ad impararla.”
‘Romeo e Giulietta’ era un campione della merce che aveva destato la curiosità dei Corviki. Se l’interpretazione fosse stata accettabile, gli umani avrebbero dovuto insegnare recitazione ai Corviki, i quali avrebbero pagato rivelando i metodi di stabilizzazione di certi isotopi transuranici, che erano abitualmente inutilizzabili a causa della brevità del loro periodo. I Mondi Centrali morivano dalla voglia di conoscere quei metodi, e la XH-834 doveva assicurare il successo della ‘missione drammatica’.
“E va bene, tentiamo,” disse Helva.
“Non mi sembri molto sicura.”
“E’ tutto troppo semplice. Per esempio: il trasferitore della psiche. Come possiamo essere sicuri che non ci sia un trucco, e che i nostri non restino intrappolati negli involucri Corviki?”
“E’ proprio per questo che ti daremo un congegno di sicurezza e un controllo a tempo.”
“Credono che i Corviki mi bloccheranno per amore della Giulietta della Colmer?”
Chadress sogghignò, ma gettò sulla ‘console’ il disegno del trasferitore.
“Ci hanno studiato sopra tutti gli specialisti della Galassia. Non c’è nessuna trappola. E questi apparecchi li fabbrichiamo noi, non i Corviki. Loro ci hanno avvertiti che per la nostra forma di vita il limite di resistenza è sette ore.”
“Ah!”
“Calma. Il trasferitore ha un comando a tempo, regolato per un massimo di sette ore, dopodiché richiama la psiche. Non può succedere niente.”
“E dopo il limite massimo, cosa succede ad una personalità se...”
“Non inventare altri problemi, ne abbiamo già anche troppi. Ma ho parlato con il comandante della nave espIoratrice, ed è entusiasta del sistema. Dice che è l’ideale, per un gruppo di attori. Basta pensare di voler essere sulla superficie del pianeta e, tac!, ci sei. Senza dolore e senza fatica. Una semplicità assoluta.”
“La semplicità finisce quasi sempre in una catastrofe.”
Chadress le diede della pessimista e continuò a spiegare. Helva pensò ad una mezza dozzina di fattori che potevano rovinare tutto, e quello meno pericoloso era proprio il trasferitore della psiche.

L’adattamento che lei aveva subìto era anche più semplice. Ed era molto ìngegnoso, ammise, esaminando il piccolo apparecchio con le lenti del microscopio. Avrebbe collegato alcuni fili infinitesimali già inseriti nel cervello: uno nell’area che controllava i nervi ottici, perché il trasferitore della psiche era azionato da quella parte del cervello umano. Altri due erano fissati ai centri dei riflessi che le avrebbero permesso di calcolare il tempo e di staccare il collegamento psichico degli altri umani.
L’operazione cui l’avevano sottoposta era stata effettuata sotto anestesia, e Helva detestava quell’idea. Era stato tremendo sentire il Comandante della Base di Regulus pronunciare le sillabe che azionavano il pannello che dava accesso al suo guscio, dietro la colonna di titanio. Le era sembrato di rimanere esposta e vulnerabile per l’eternità, prima che l’uomo premesse il pulsante dell’anestesia. Lei aveva lottato istintivamente contro l’incoscienza: era quello che aveva provato la povera 732? 0 la pazzia aveva cancellato la paura, in lei?
Helva non aveva concluso quel pensiero: e si era accorta di avere ripreso conoscenza. Si guardò attorno, sbalordita, e vide la cabina vuota. S’irritò perché il Comandante Railly aveva osato lasciarla priva di protezione. Poi notò che era passato parecchio tempo da quando Railly aveva pronunciato la parola chiave: diciotto ore, venti minuti e trentadue secondi, per l’esattezza.
“Ti sei svegliata, Helva?” Chadress entrò nella camera stagna. “Hanno calcolato al secondo. Hai il mal di testa?”
“Mal di testa? E come potrei? Non ho i riflessi del dolore.”
Poi Helva si guardò attorno: accanto ai divani erano stati sistemati i trasferitori, ed erano state fissate alcune cuccette alle paratie di tutte le cabine, nella cabina del pilota era stata aggiunta un’altra tavola.
“A quanto pare sono diventata una tradotta.”
“Davvero,” fece Chadress. “E la truppa sta arrivando.”
Cinque uomini arrivarono con l’ascensore. Chadress li presentò, ma per Helva era più facile ricordarli con i nomi dei personaggi che avrebbero interpretato. Le presentazioni furono interrotte da un ululare di sirene e dall’arrivo di un drappello di veicoli.
“Ansra ha organizzato lo spettacolo,” annunciò seccamente l’uomo che faceva la parte del Principe Escalo. Nessuno se la prese quando Chadress rifiutò l’accesso agli estranei, incluso il Comandante Railly. Railly non vi fece caso, gli altri dovettero subire, e Ansra fu costretta ad accontentarsi di sorridere ai suoi ammiratori mentre saliva verso il portello.
“Eccomi di nuovo qui, Helva,” disse in un tono allegro che non ingannò la nave-cervello.
“Benvenuta a bordo, signorina Colmer.” ‘Mi hai dato la battuta introduttiva,’ pensò Helva, ‘e io ti rispondo con la battuta giusta’. Subito il Cencom (e l’operatore non era Niall Parollan) le diede il via per la Stazione Orbitale. Poco dopo, Helva si agganciò al portello del Settore lmponderabilità.
La scena era molto simile a quella dell’imbarco a Duhr: Davo, il Solare Prane e Kurla al centro di un gruppo di persone sorridenti. Ma stavolta entrarono tutti quanti, abilmente, si accomodarono sulle poltrone e si allacciarono le cinture di sicurezza; senza perdere tempo.
Prane appariva così allegro e sveglio che Helva diede un’occhiata a Kurla, il cui atteggiamento le avrebbe spiegato meglio le vere condizioni di salute dell’attore. La ragazza era raggiante, orgogliosa, sicura. Rivolse un cortese cenno di saluto ad Ansra, che sorrideva a tutti con un sorriso stereotipato.
Per contro, Davo era stanco e pensieroso. Si diresse subito verso una cuccetta, e fissò la rete di sicurezza. Prane venne a librarsi di fronte a Helva.
“Desidero ringraziarla infinitamente di avere accantonato le sue esigenze personali e di avere accettato questa missione. Il Comandante Railly mi ha assicurato che lei avrà la priorità di scelta, al suo ritorno.”
Helva non ebbe il tempo di chiedersi perché quelle parole la turbassero: la Stazione Orbitale diede il via, e augurò a tutti buona fortuna. Chadress manovrò i comandi a mano, secondo l’etichetta di rito: ma Helva era così abituata a fare da sola che le seccò stare a guardare. Non che Chadress fosse un incapace... Accidenti, pensò, guardandosi attorno, ma come aveva fatto a lasciarsi convincere?

Non appena Chadress annunciò di avere ristabilito l’imponderabilità, Prane volle incominciare le prove. Per prima cosa spiegò ai cinque uomini saliti a bordo alla Base tutte le scene che non avevano ancora provato con lui. Avevano tutti lavorato in condizioni d’imponderabilità, e conoscevano bene le loro parti. Avevano bisogno soltanto di abituarsi ai movimenti ed alla voce della Nutrice che usciva dalla parete. Ma Ansra cominciò a fare la difficile. Avanzò ondeggiando verso Prane, forse per incantarlo, o forse per intimidirlo.
“Prane, io sono capace di proiettare qualunque emozione, ma come posso fingere che una.., una voce astratta sia la Nutrice? Come posso recitare con una parete? E, se posso chiederlo.., come potrà Helva abituarsi all’imponderabilità, dato che non si è mai servita di un corpo?”
“Le istruzioni sui movimenti di scena sono chiarissime, e impresse nei miei circuiti. Perciò non posso sbagliare... finché lei sarà la Giulietta che dovrebbe essere.” rispose Helva.
Nessuno rise. Ansra si rimise in posizione mordendosi le labbra, accigliata. Ma anche se aveva detto di essere capace di proiettare qualunque emozione, in realtà rimase legnosa e distratta. Non si accendeva alle parole di Romeo, e Helva non riusciva a capire perché: quell’uomo era ispirato, e trasmetteva agli altri l’ispirazione.
Prane, dopo diversi giorni passati nell’imponderabilità che alleviava la pressione sulle sue ossa spugnose, ed esaltato dai buoni risultati delle prove, trasudava vitalità ed entusiasmo, e appariva instancabile.
Arrivarono alla scena IV dell’atto I: erano in scena Prane, Mercuzio, Benvolio, ed altri che s’erano improvvisati comparse. Mercuzio concluse la sua battuta.
“…Venite, ardiamo la luce del sole!”
La scena era stata rapida, le battute brillanti: la spensieratezza d’un gruppo d’amici diretti verso una serata piacevole risaltava perfettamente.
Mercuzio ripeté la battuta. Helva ricordò che lei faceva anche il suggeritore.
“No, non è così,” lesse.
Vi fu silenzio; e anche lei ripeté la battuta.
“Conosciamo questa battuta,” disse Prane, mentre la pausa si prolungava. “Chi deve dirla?”
Helva trasalì.
“Deve dirla lei.”
Per un attimo, un’espressione orribile passò negli occhi di Prane. Poi scoppiò a ridere. “E’ sempre la battuta più corta, quella che sfugge!” esclamò. E si affrettò a rispondere a Mercuzio.
Quella notte, mentre tutti dormivano, Prane continuò ad agitarsi, inquieto. Helva alzò il volume nella cabina che l’attore divideva con altri cinque compagni. Prane stava ripetendo la scena IV, più e più volte. Poi tacque. Helva lo credette addormentato, poi vide che infilava una mano nella cintura, ne estraeva una pillola, se la portava alla bocca, con un moto calcolato per simulare un gesto istintivo di un dormiente.
Quel gesto furtivo e la ripetizione accanita della scena spiegarono tutto a Helva. Prane Liston era veramente drogato. Le droghe permesse che miglioravano la memoria, e che pure erano considerate innocue dalla farmacopea ufficiale, erano diventate velenose per la mente e per il corpo di quell’uomo, e lui lo sapeva. Eppure, ciò che Prane temeva soprattutto era perdere la memoria: e per impedirlo, si stava uccidendo lentamente.
A parte Ansra, le prove procedevano bene. Helva non capiva come facesse Prane a non perdere la calma di fronte a quell’ostruzionismo deliberato. Tutte le scene di Ansra perdevano fuoco e ritmo. Ma Prane non reagiva. E Ansra smise di tentare di spingerlo a qualche reazione imperdonabile, prese a punzecchiare Kurla, che era assai più vulnerabile.
Per fortuna Nia Tubb, che faceva la parte di Dama Capuleti, divideva la cabina con le altre donne. Era un’esperta in fatto di rapporti umani, e riusciva sempre a sottrarre Kurla all’ostilità di Ansra; e continuava a chiaccherare allegramente, quando erano sole. Ma persino lei si rendeva conto che la tattica di Ansra incominciava ad esasperare quella ragazza così sensibile.

“Cara, se hai qualche fastidio vero con la Colmer, mi permetterai di aiutarti, eh?” Disse Nia Tubb a Kurla, una mattina.
“Grazie,” rispose Kurla, con un pallido sorriso.
“Senti, detto fra noi, Prane non è drogato, vero? Non lo conosco abbastanza e non mi sembra comunque drogato, però...”
“Il Solare Prane ha un’allergia causata dall’uso della ‘trappola’.”
“Ma ho sempre saputo che la ‘trappola’ è la cosa più innocua di questo mondo! Anch’io l’ho presa migliaia di volte e...”
“Di solito è cosi. Ma il Solare la prende da più di settant’anni. Un residuo del contenuto di silicio, che il suo organismo avrebbe dovuto eliminare, si è fissato nei tessuti. Lui soffre anche di ritenzione di liquidi, e il diuretico che gli avevano prescritto si è combinato con il residuo di silicio… Il suo organismo continua a perdere potassio, in un processo irrimediabile”
“Che cosa significa? In apparenza, Prane sta bene...”
La voce di Kurla, clinica e distaccata, era più tragica di un pianto.
“In condizioni di bassa gravità e d’imponderabilità, in particolare, non vi sono pressioni sullo scheletro, e lui sta bene. Ma ha le ossa molli: una caduta, un colpo, uno sforzo fisico eccessivo e lui... si spezzerebbe. E il silicio sta comprimendo gradualmente i suoi organi vitali.”
“E non possono sostituirli?”
Kurla scosse il capo. Nia le accarezzò la mano, gentilmente. Helva le interruppe, per annunciare una prova. E fu la prova peggiore. L’atteggiamento di Ansra aveva minato l’intera compagnia. Sbagliavano tutti, dimenticavano i movimenti di scena. Quando Mercuzio e Paride attaccarono un litigio che non era nel copione, Prane annunciò una pausa.
“Così non va. Oggi e domani riposeremo. Helva, per favore, i liquori. Nia e Kurla, volete avere la cortesia di dare un’occhiata in cambusa per vedere se c’è qualcosa di buono? Helva, ha qualche film interessante? Abbiamo bisogno di prendere di nuovo contatto con la realtà quotidiana che abbiamo dimenticato, assorbiti come siamo nella vecchia Inghilterra.”
Ansra usci, sbattendo la porta della cabina delle donne. Helva la spiò, e la vide guardarsi rabbiosamente in uno specchio. Era strano vederla così frustrata, mentre Kurla e Nia chiaccheravano allegre nella cambusa.
Helva cercò di vedere tutto e di ascoltare tutto. Davo si diresse verso Prane: poiché Helva aveva l’abitudine di parlare solo dalla cabina principale, i suoi passeggeri finivano per dimenticare che lei aveva occhi e orecchi dovunque.
“Devi rendertene conto, Prane,” disse Davo. “Ansra è decisa a rovinare lo spettacolo. E ci sta riuscendo.”
Prane lo fissò a lungo, poi sorrise lievemente.
“Tu hai una soluzione.”
“Sì. Sbilanciamola. Ricordi quello che facevamo durante le tournées più lunghe?”
“Scambiare tutte le parti?”
“Precisamente. Diamine, tutti quanti conosciamo tutte le battute degli altri!”
Prane sogghignò maliziosamente.
“E diamo a Helva la parte di Giulietta?”
“No! Giulietta è Kurla!” ribatté serissimo Davo.
“E Romeo?”
“Quella parte non ha bisogno di cambiamenti,” disse Davo, poi aggiunse, in tono leggero: “Ma io sarò Frate Lorenzo e vi sposerò.”
Prane attese che tutti avessero mangiato, poi diede l’annuncio, che fu accolto da tutti con schiamazzi d’approvazione.
“Io farò Dama Capuleti!” annunciò Escalo, in falsetto.
“E io, Dama Montecchi!” disse Frate Lorenzo in tono di contralto, poi ritornò al suo normale tono di basso. “Ho sempre pensato che fosse un’alcoolizzata!”
“E io farò Escalo,” si offri Helva, con una voce così simile a quella dell’attore che l’uomo si lasciò sfuggire il bicchiere dalle dita.
“Saresti capacissima di recitare da sola tutta la tragedia!” gridò Davo. “Non c’è una sola parte che tu non possa fare, amica mia!”
“Dici davvero? E allora io farò la Nutrice,” annunciò Ansra Colmer. “Così Helva capirà come va interpretata quella parte!”
“E Kurla farà Giulietta,” gridò Davo, fissando Ansra. “Preparate la scena. Tutti a posto! Tutti a posto!”
“Due famiglie, di eguale dignità…” cominciò subito Helva, con voce di basso, per non dare tempo agli altri di riflettere.
Davo fece la parte di Sansone e Chadress, che di solito era Capuleti, fece la parte di Gregorio, abbandonandosi a varie improvvisazionì.
Quando Escalo-Dama Capuleti arrivò galleggiando in compagnia della Nutrice, Ansra, con calcolata malizia, abbandonò l’ostruzionismo e recitò la sua parte con l’impegno che non aveva mai messo nella parte di Giulietta: e riuscì addirittura a dare alle sue battute un significato diverso da quello previsto dal copione. La sua ultima battuta in quella scena: ‘Vai, fanciulla, cerca notti felici per i tuoi giorni felici’, fu così velenosa che Escalo s’impappinò.
Ma poi Giulietta incontrò Romeo alla festa. E Prane fu un Romeo diverso e più tenero; la sua voce tremava non per la stanchezza ma per l’amore. E Kurla era una Giulietta ideale: confusa, timida, ardita e preziosa. Arrossì deliziosamente, mentre diceva:
“Perché i santi hanno mani che le mani dei pellegrini toccano, e palma a palma è il bacio dei pii pellegrini.”
Porse le mani a Romeo, a palme in giù, come Prane aveva insegnato tante volte ad Ansra: e Ansra, ogni volta, aveva sbagliato a far concordare le parole ed il gesto. Romeo sollevò le mani di Giulietta sulle sue… e l’ardore negli occhi di lui, la gioia negli occhi di lei conferirono a quella scena una dolcezza che incantò tutti.
“Così dalle mie labbra, grazie alle tue, il mio peccato è mondato,”
disse Romeo con voce dolcissima, mentre le sue labbra incontravano quelle di Giulietta in un bacio che era un giuramento devoto.
Dimenticando completamente la propria parte, Ansra si lanciò verso i due che erano ancora abbracciati, dimentichi di tutto. E in quel momento risuonò l’allarme di prossimità. Erano arrivati a destinazione.

“Adesso,” disse Chadress agli attori, “tutti seduti nella cabina principale, i trasferitori vanno allacciati sulla testa: sono adattabili e non daranno fastidio. Avete sentito tutti i rapporti degli uomini della nave esploratrice che li hanno usati per primi. Sapete che il trasferimento è facile e indolore. Basta che pensiate di essere sulla superficie del pianeta, e ci sarete.”
“E come si fa a pensare ad una superficie che non abbiamo mai visto?” chiese Nia, con una smorfia.
“Una scena abbastanza analoga è il fondo marino nei Caraibi, sulla Terra. O il mondo d’acqua del sistema di Aldebaran. O Vega Quattro. Immaginate di essere circondati da alghe di tutti i colori. Sì, gli uomini della nave esploratrice hanno insistito molto sull’importanza dei colori. I Corviki somigliano ad animali marini della classe idrozoi: un grosso corpo a forma di sacco con una quantità di tentacoli che forse sono terminazioni nervose.”
“Caspita, che costume!” mormorò Nia Tubb, con un brivido.
“Mi hanno detto che ci starà benissimo,” fece Chadress, sorridendole. “Dunque, Helva è la nostra garanzia. Lei ha un collegamento per il ritorno automatico. Non possiamo rimanere troppo a lungo nell’ambiente dei Corviki.”
“Perché?” chiese Ansra, in tono seccato.
“I Corviki senza dubbio hanno le loro buone ragioni, ma non hanno spiegato perché. Dunque, Prane?”
Il Solare si alzò.
“Sappiamo tutti quanto è importante questo assurdo scambio culturale: Shakespeare contro energia. Il Bardo è stato tradotto in molte lingue, e spesso l’essenza del suo teatro è stata compresa anche dai popoli più strani, più barbari e più evoluti. Possiamo credere che avrà qualcosa da dire anche ai Corviki... se ci metteremo tutto il cuore... o l’organo equivalente che troveremo negli involucri gentilmente offerti dai nostri ospiti.”
“Signori e signore, sipario!” Sedette, si pose sul capo il trasferitore, e si sdraiò, rilassandosi completamente. Pochi secondi dopo, sull’orlo del trasferitore si accese una luce.
“Se è tutto qui,” disse Nia Tubb, e si mise in testa il suo. Gli altri l’imitarono, fino a quando rimasero a bordo solo Chadress ed Helva.
“Dai un’occhiata a Prane,” disse Helva.
“Sta benone a quel che posso giudicare io. Ci vediamo laggiù, Helva.”
Anche Chadress si trasferì. Helva ebbe l’impressione che le sue nuove sinapsi ardessero. Ma era impossibile... Cercò di trasferirsi a sua volta.. .e pensò che per la prima volta sarebbe uscita dal suo guscio. Un’ondata di terrore e poi...
Si era trasferita.
La pressione era diversa… avvolgente. Ma i Corviki avevano assicurato che avrebbero provveduto involucri per gli attori. Helva era avvolta nell’involucro, e l’involucro era avvolto nell’atmosfera. Provò ad ondeggiare per liberarsi da quel senso di costrizione. Non c’era il senso della gravità: c’era qualcosa entro la quale lei si stava muovendo. Bene, non era poi orribile. Si agitò, e scorse qualcosa che faceva parte di lei, qualcosa che si muoveva… cercò di guardare meglio, ma quelle cose si spostavano sotto di lei. Uhm. Per mezzo dei suoi visori, lei poteva vedere ogni angolo della nave, di solito. La mobilità era una limitazione. Decise di guardarsi attorno: abbassò lo sguardo, in una prospettiva interminabile, finché distinse una massa color ocra che doveva essere il ‘suolo’. Attorno a lei e sopra di lei ondeggiavano innumerevoli fronde, dai colori incredibili, mutevoli: colori che talvolta comprendevano anche suoni ed odori. Gli odori erano una sensazione nuova, per Helva.
“Ti stai adattando, Helva?” Una presenza familiare dominò la sua mente. Si girò istintivamente verso quel ‘suono’ che non era un suono.
“Le sensazioni fisiche sono molto strane,” rispose.
“Lo credo.”
“Come ti senti, Chadress?” Quella presenza era senza dubbio il suo compagno.
“Provo una sensazione vellutata, morbida e profonda, piacevolissima ti assicuro.” Chadress sembrava molto colpito. “Mi sembra d’essere tornato giovane” Il suo pensiero era incredulo e divertito. “E’ chiaro che ci hanno dato involucri nuovi di zecca.”
“Chissà dove se li sono procurati,” fece Helva.
Una nuova personalità si stava avvicinando. Entrambi Io riconobbero: era un vero Corviki. La presenza era molto densa: Ch adress e Helva ebbero un’impressione di vecchiaia e di immensa saggezza.
“Sono il vostro impresario,” si presentò il Corviki. “Gli altri sono tutti nei loro involucri. Possiamo procedere a questa espressione di energia.”
‘Chiamiamo pure la rosa con un altro nome, il suo profumo sarà sempre dolce,’ pensò Helva, mentre si lanciavano verso una zona sferica, circondata da masse libere di sostanza nera e da fronde enormi. All’improvviso, riconobbe tutti quanti, nonostante le forme apparentemente identiche: c’erano lievi variazioni di colore che li distinguevano.
Prane appariva denso come l’impresario, notò subito Helva. Cominciò a pensare che la densità indicasse vecchiaia e saggezza, e si chiese come doveva apparire lei, agli altri. Poi Prane la pregò di attaccare come coro, per dare inizio alla prova.
Per un attimo, Helva si chiese freneticamente come poteva proiettare il ‘coro’ senza le sue solite apparecchiature audio. Provò il desiderio di ritornare al suo guscio... Ma Prane era il regista, e bisognava obbedire, al regista.
“Due famiglie, di eguale dignità…” E la sua presenza si ampliò, si oscurò: e lei fu più di se stessa.
Poi Sansone e Gregorio uscirono dalle fronde, e la loro personalità era tenue e leggera. La compagnia riuscì a condensarsi e a dissolversi fino al quarto atto, e a quel punto il nuovo ambiente non sembrava più neppure strano.
Fu quasi una sofferenza fisica venire strappati via dal controllo a tempo, ritornare alla nave, e scoprire che erano ritornati, purtroppo di carne e d’ossa. Nessuno aveva voglia di chiacchierare. Mangiarono in fretta e andarono a dormire.

Ma Helva era sveglia e per la prima volta in vita sua, invidiò quelli che potevano godere il dolce oblìo del sonno. Controllò all’esterno con i visori. Erano in orbita: su di loro c’era il cielo nero, e sotto di loro la grande nube ribollente di colori. Helva controllò le proprie apparecchiature e scoprì qualcosa che non andava nel motore. Qualcosa le impediva di leggere i dati, eppure tutte le spie a bordo erano sul verde. Non ‘sentiva’ l’energia, che pure non mancava. Non riusciva a raggiungerla, ecco. In quel momento, mentre rifletteva, udì un lieve sussurro. Era Prane che ripeteva la sua litania.
“Se con la tua arte, mio carissimo padre,
hai scatenato le acque selvagge, placale...”
Helva ascoltò avidamente fino a quando la voce assonnata si spense.
“E che la tua indulgenza mi liberi...”
Ripresero le prove il ‘giorno’ seguente, al punto in cui le avevano interrotte. Helva ebbe la sensazione che nessuno dei Corviki avesse abbandonato il ‘teatro’ o si fosse accorto che la compagnia se ne era andata. Controllavano il tempo, oltre all’energia? Il tempo, come sosteneva un teorico Alpheccano, era solo un’emissione di energia?
Quel giorno, le sue percezioni erano più acute. Gli altri stavano per incominciare la recita, quando l’impresario si accostò ad Ansra.
“Non c’è nessuna ragione logica per trattenere l’energia. Lo scopo dell’esperimento non è conservarla. Noi stiamo valutando gli effetti di questa forma di espulsione d’energia sui sensi e sui fattori della personalità. Lei impedisce l’esperimento: quindi, perda energia nella misura necessaria.”
“Altrimenti?”
Un’ondata di colori e di piaceri rispose all’ultimatum di Ansra.
“L’involucro verrà vuotato permanentemente.”

“Non tornerò in quel posto orribile per farmi insultare in pubblico!” dichiarò Ansra
Era magnifica, pensò Helva, ma il pubblico non si commosse.
“Basta così, Ansra Colmer,” disse Prane, alzandosi dal divano, con un tono glaciale. “Hai reso note le tue preferenze e le tue opinioni a tutta la compagnia. Ma qui c’è in gioco qualcosa di più delle nostre divergenze personali, e finora tutti quanti sono stati fin troppo pazienti nei confronti dei tuoi capricci e dei tuoi complotti. Domani ritornerai laggiù, e perderai energia come ti ha detto l’impresario.”
“E chi può costringermi a farlo?” ribatté Ansra in tono di sfida.
“Tutti noi, cara,” rispose Nia Tubb, precedendo Chadress e Davo, che stavano per alzarsi. ‘Ne saremo felicissimi. Anzi, ti accorgerai che dopo quello che ti faremo passare, per te sarà un piacere ritrovarti in quell’involucro Corviki.”
“Non ne avrete il coraggio!”
Helva sì chiese se Ansra, dopo aver preso quella decisione, era troppo testarda per arrendersi, o se credeva di essere inviolabile. Per fortuna, non era capace di sopportare il dolore fisico, e una mezza dozzina di sberle da parte di Nia bastò a convincerla.
“No, no, mia cara!” gridò Nia, afferrando Ansra per un braccio, quando quella sì avviò singhiozzando verso la cabina. “Non ti muovi dal mio fianco... Non mi fido di te. Siediti, mangia, e stai buona. E domani sarai la migliore Giulietta che sia mai esistita.”
Quella scena aveva esaurito tutti. Chadress e Kurla distribuirono una crema ad alto contenuto di proteine e boccette di liquore. Dopo mangiato, tutti andarono alle loro cuccette e si coprirono con le reti di protezione.
“Ti dispiace tenere d’occhio Nia e Ansra, Helva?” chiese Chadress.
Helva notò che c’era in lui qualcosa di diverso, di più profondo: qualcosa di corvikiano.
“Credi che reciterà, adesso?” Stava chiedendo Kuria a Prane. Erano gli unici rimasti svegli, e sembravano incapaci di separarsi.
“Il suo colore era composto di collera e di paura...” Prane s’interruppe e fissò Kurla.
“Stai pensando come un Corviki!” rise lei. “E’ contagioso! E’ come assumere le caratteristiche del personaggio che si impersona. Vedi, persino una dilettante come me impara i trucchi dell’arte!”
“Su Corvi, mia cara, tu sei una presenza molto solida e molto tiepida.”
La risata di Kurla si spezzò: i suoi occhi si riempirono di rimpianto, I due stavano quasi per baciarsi, quando Prane, con un gemito strozzato, si lanciò lungo il corridoio.

Durante la prova seguente, Ansra perse energia con molta buona volontà, e così riuscirono a recitare l’intera tragedia. Prane era così soddisfatto che annunciò all’impresario la sua intenzione di fissare la prima rappresentazione.
“Il mio gruppo d’energia è veramente ansioso di fare questa esperienza,” rispose l’impresario, irradiando i toni lavanda che per i Corviki indicavano il piacere. “Va bene la vostra prossima venuta?”
Prane accettò.
“Se questa emissione è soddisfacente,” chiese Chadress, con deferenza, “le entità Corviki intraprenderanno un trasferimento dei nostri schemi, in modo che noi possiamo adempiere i termini del contratto?”
“Risposta affermativa. E’ evidente che c’è una perdita di entità-ego superiore al minimo programmato. L’entropia potrebbe superare le necessità fondamentali dell’energia.”
Helva pensò che avrebbe dovuto analizzare quell’affermazione, quando fosse tornata alla nave. Sembrava una nozione minacciosa.., per Helva, ma non per il suo io racchiuso nell’involucro corvikiano. Eppure, quella suddivisione della personalità poteva essere pericolosa.
Quando furono tornati alla nave, non faticò a individuare coloro che stavano cambiando psicologicamente: tendevano ad esprimersi in termini Corviki, come avevano fatto Prane e Chadress la notte precedente. L’unica immune era Ansra, ma Ansra era chiusa nella sua irritazione: non aveva energia (ecco, anch’io ci sono cascata, gemette Helva) per le esperienze oggettive.

La prima rappresentazione su Beta Corviki fu un trionfo incandescente, frenetico. Oltre le fronde c’erano masse di Corviki che pulsavano, assorbendo l’energia irradiata dagli attori, come se fossero affamati dell’energia di quel tipo.
Helva sentiva il proprio involucro corvikiano espandersi incredibilmente per il riflesso che, in una reazione termica, le trasmetteva l’entusiasmo degli spettatori… Ed era certa che i Corviki capivano il conflitto dei due gruppi d’energia rivali, il desiderio delle due giovani entità di combinarsi in un nuovo gruppo, l’energia che lei stessa irradiava come Nutrice, la luce brillante di particelle beta che le due entità giovani si scambiavano, giurandosi l’unione dei neuroni per poi disperdere l’energia vitale dei loro nuclei allo scopo di far comprendere ai gruppi rivali che al loro li vello di energia era possibile la coesistenza.
Mentre il Principe ricordava la morte-entropia dei due, esplosioni di approvazione si irradiarono dalle fronde. Helva, satura del riflusso, si precipitò ad emettere verso l’enti tà più vicina qualche erg di quella pressione, in un sacrificio che era estasi. Attorno a lei l’atmosfera crepitava, gorgogliava, tuonava, sfolgorava per l’esplosione di forze positive scatenate dall’entusiasmo.
Helva benedisse i chirurghi; li benedisse e li maledisse perché l’avevano resa incapace di continuare per sempre quel rapporto esaltante. Si riprese, stordita, quando fu scos sa dal segnale di pericolo.
Nella cabina giacevano figure inerti, marionette senza vita.., a parte il ritmo lieve del respiro. Spaventata, Helva fece scattare i trasferitori. Non accadde nulla. Passò un’eternità e finalmente senti il gemito di Ansra.
“Ansra! Ansra!” gridò Helva, con voce dura e insistente. “Ansra!”
“Co... cosa?”
“Vada nella cambusa. Prenda lo stimolante K, lo spray azzurro.”
Era come far muovere un robot. Continuò a ripeterle gli ordini, per costringerla a obbedire. La donna batté le palpebre, si mosse, spinta da quella voce, finalmente prese lo spray giusto, ed Helva le ordinò di dirigere il getto verso il proprio polso. Lo stimolante fece subito effetto.
“Oh, mio Dio” mormorò Ansra, stordita. “Mio Dio!”
“Ansra! Dia gli stimolanti a tutti. Si muova! Si muova!”
L’attrice era ancora poco più di un automa; Helva approfittò del suo stordimento per ordinarle di dare lo stimolante a Kurla e a Prane prima che agli altri. Poi a Chadress. Finalmente tutti cominciarono a muoversi, torpidamente.
“Credo che non potrò più tornare laggiù,” disse Escalo a Prane, con voce tremula, stringendosi la testa fra le mani. “Non avrei mai creduto di non potere affrontare più un pubblico solo perché è troppo entusiasta. Ma quel posto è... è... Stavo per dire pure entropia.” Rise, riprendendosi da un brivido di terrore. “Ed è questo, il guaio.”
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