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LA NAVE CHE CANTAVA - romanzo di fantascienza - di Anne McCaffrey

Ultimo Aggiornamento: 09/09/2011 20:33
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Sesso: Femminile
09/09/2011 17:55

LA NAVE RAPITA - 5





Le navi cervello non spariscono,” disse Helva in tono che si augurava fosse abbastanza fermo.
Teron sporse il mento in un gesto che lo faceva sembrare un Neanderthal senza collo. Quel gesto, in principio divertente, aveva finito per diventare insopportabile.
“Hai sentito la Centrale,” rispose Teron, in tono didattico. “Spariscono, poiché sono sparite.”
“La sparizione è in contrasto con la psicologia del guscio,” disse Helva, trattenendosi a stento dall’urlare al massimo volume. In quell’ultimo anno, s’era accorta di reagire a Teron in modo più emotivo che razionale. Il loro abbinamento era intollerabile e lei lo avrebbe rotto appena avesse conclusa quella missione e avesse fatto ritorno alla Base di Regulus.
Helva ne aveva abbastanza di Teron. Non gliene importava nulla se quel sentimento non era reciproco. Aveva faticato ad ammettere di essersi cacciata in una situazione cui non riusciva ad adattarsi, ma lei e Teron erano incompatibili. L’unica cosa da fare era liberarsi di quell’individuo.
“La tua lealtà è lodevole, ma in questo caso è mal riposta,” stava continuando pomposamente Teron, “Ecco i fatti. Quattro navi-cervello impegnate in missioni per conto dei Mondi Centrali sono sparite senza lasciare tracce, insieme ai loro piloti. Una nave può alterare un nastro di rotta; un pilota no. Le navi non si sono presentate ai porti di destinazione. Non sono apparse neppure nei settori dì detti porti. Perciò sono sparite. Le navi devono avere alterato i nastri di rotta per ragioni ignote. Perciò sono organismi malfidati. E’ la conclusione logica. Un’intelligenza razionale deve ammetterlo.”
Ed esibì quel sogghigno irritante che all’inizio Helva aveva scambiato per un dolce sorriso. Lei contò lentamente fino a cento. Quando tornò a parlare, la sua voce era perfettamente controllata.
“I dati presentati sono incompleti. Mancano i moventi. Quelle quattro navi non avevano ragione di sparire. Non erano neppure pesantemente indebitate. Anzi, la DR si sarebbe sdebitata entro tre anni.” ‘Proprio come me’, pensò. “Perciò, e sulla base di informazioni riservate a me note, le tue conclusioni sono inaccettabili.”
“Non capisco quali informazioni riservate, ammesso che tu ne abbia,” fece Teron con un sorriso di superiorità, “potrebbero cambiare le mie conclusioni, alle quali è giunta anche la Centrale.”
Ecco, pensò Helva, ha chiamato in causa l’autorità suprema, e crede di avermi tappato la bocca. Ma era inutile discutere con lui. Era un tipo cocciuto, dogmatico, insensibile, fanatico dei regolamenti e dalla mentalità così ristretta da essere completamente privo di immaginazione. E Parollan una volta aveva accusato lei di essere testarda!
Non avrebbe dovuto pensare a Niall Parollan. Quello scocciatore le aveva fatto una delle sue visitine ufficiose per convincerla a non scegliere Teron di Acthion.
“E’ stato promosso solo perché è bravo nella teoria! E’ adatto per un bidone dell’immondizia, non per te!” aveva urlato Niall Parollan, camminando avanti e indietro nella cabina.
“Non sei tu, il suo futuro compagno.” aveva ribattuto Helva. “Il suo profilo psicologico è perfettamente compatibile con il mio.”
“Svegliati, ragazza mia. E guardalo. E’ tutto muscoli e niente cuore. Cristo, è... è un androide, completo d’un cervello metallico programmato in atmosfera rarefatta. Ti farà impazzire.”
“E’ un tipo fidato, equilibrato, colto, ben adattato...”
“E tu sei la vergine dispettosa in una corazza di latta!” aveva gridato Parollan, e per la seconda volta da quando si conoscevano, era uscito senza voltarsi indietro a guardarla.
E adesso Helva doveva ammettere che Niall Parollan aveva avuto tutte le ragioni. Teron di Acthion era insopportabile.
‘E se mi dice ancora una volta che sono un organismo malfidato, pensò Helva, gli spalanco il portello in pieno spazio!’
Ma Teron era convinto di averla azzittita con la sua ultima osservazione. Sedette al pannello dei comandi, si sgranchì le dita come faceva sempre, poi cominciò a passare i suoi preziosi dati al calcolatore, per controllare il nastro della rotta: era chiaro che intendeva prevenire il desiderio irrazionale di fuga che Helva poteva provare, secondo lui. Lavorava metodicamente e lentamente, impassibile.
‘Ma come ho fatto ad essere così stupida da scegliere lui?’ si chiese Helva. ‘I miei fluidi nutrienti mi vanno in tanto acido. Quando torno a Regulus dovrò farmi controllare il sistema endocrino. Non sono a posto... No, no, no, si disse. Non ho niente che non possa guarire togliendomi di torno Teron. Quello mi sta spingendo a dubitare della mia sanità mentale. E io so di essere sana di mente, o non sarei quella che sono.
Ricordatelo,’ si disse Helva. ‘prima che questo viaggio finisca, Teron è capace di convincerti che tu sei una minaccia per i Mondi Centrali, perché la tua intelligenza è imprevedibile... Come se tu non fossi riuscita a cavartela da tanti guai proprio perché hai un’intelligenza imprevedibile... Come quella volta su Alioth, con Kira.’
Helva s’era già dimostrata imprevedibile, nella sua breve carriera, e Teron aveva avuto la ‘bontà’ di farglielo notare, e l’aveva ammonita di non agire mai al di fuori degli ordini, finché lui era il suo compagno. Non doveva fare niente, assolutamente niente, senza prima avere l’approvazione di Teron e della Centrale. Un organismo intelligente si distingueva proprio perché eseguiva gli ordini senza deviazionismi.
“Vuoi dire,” aveva osservato Helva ridendo, la prima volta, convinta che Teron scherzasse, “che se gli ordini mi impongono di entrare in un’atmosfera che le mie indagini indicano come corrosiva e pericolosa per me e per te, dovrei eseguirli egualmente?”
“Le Navi dei Mondi Centrali non ricevono mai ordini insensati,” aveva ribattuto Teron, in tono di rimprovero.
“Sì, domani! Magari emanano un ordine senza conoscere determinati fattori importantissimi. Come l’atmosfera corrosiva...”
“Ipotetica...”
“ma possibilissima. Devi ammettere che spesso ci accostiamo a sistemi stellari poco noti. Perciò è possibile, non ipotetico, che gli ordini richiedano una valutazione ponderata, e questa valutazione può e deve portare anche alla disobbedienza.”
Teron aveva scosso la testa, con aria di disapprovazione.
“Ora capisco perché i Mondi Centrali vogliono un pilota umano per le navi controllate da un cervello. E’ necessario, dato che c’è un organismo malfidato che può disporre d’uno strumento poderoso come una delle vostre navi.”
Helva aveva balbettato, sbalordita. Era stata sul punto di osservare che il pilota non poteva escluderla dai comandi: era lei, invece, che poteva escludere il pilota.
“Un giorno,” aveva continuato inesorabile Teron, “questi espedienti non saranno più necessari. L’automatismo sarà così perfetto che non serviranno più i cervelli umani.”
“Adesso usano esseri umani,” aveva risposto Helva, spiccando bene ogni sillaba.
“Ah, sì, esseri umani. Noi siamo creature fallibili, soggetti a troppe pressioni, troppo fragili per un grande compito.” Teron aveva la tendenza ad abbandonarsi alle omelie. “Errare è umano, perdonare è divino. E quando l’elemento umano, incline all’errore, verrà eliminato, e l’automazione sarà perfetta, le tecniche usate attualmente saranno inutili. Raggiunta la vera perfezione, le navi saranno completamente fidate.” E aveva accarezzato con aria di superiorità il pannello dei comandi.
Helva s’era frenata a stento dal rispondergli male. Secondo la logica di Teron, ogni essere intelligente, mobile o immobile, era imprevedibile e malfidato: era incapace di ammettere, lui, che una conclusione intelligente molto spesso non era per nulla logica.
E adesso, in quel momento, l’intelligenza, l’istinto, l’addestramento e la ragione dicevano ad Helva che le navi cervello non sparivano: soprattutto quattro di fila, in meno di un mese. Una ogni cento anni era possibile e probabile. Ma c’era sempre una ragione: come il dolore della 732, che era impazzita ed era finita su Alioth...
‘Ma perché diavolo ho permesso che Kira mi lasciasse, al termine della Missione Cicogna? Lei avrebbe capito questa situazione,’ pensò Helva. Era inutile sperare di convincere Teron che quelle quattro sparizioni erano assurde: per convincersi avrebbe dovuto possedere un po’ d’intuizione, e Teron non ne possedeva affatto.
E per giunta, Teron sembrava dimenticare troppo spesso che dietro la paratìa di titanio c’era un corpo umano... inerte ma completo.
Se Teron non fosse stato così esasperante, le avrebbe fatto pena. Aveva la mania della perfezione: perché aveva il terrore di sbagliare, e perché sbagliare significava fallire, e fallire, per lui, era inammissibile. Se lui non avesse commesso errori, non avrebbe mai fallito, e sarebbe stato un autentico successo...
‘Bene,’ si disse Helva ‘io non ho paura di sbagliare e di riconoscere di avere fallito. E con Teron mi sono proprio sbagliata. Se diffida della gente ingusciata, non può essere utile né a me né ai Mondi Centrali. Bene, non sarò vendicativa: chiederò che lo sostituiscano, e pagherò la penale. Non andrò in rovina per così poco. Con un nuovo braccio e un paio di buoni incarichi, mi sdebiterò in poco tempo. Ma Teron... fuori dai piedi!’
Quella decisione la fece sentire subito molto meglio. Quando Teron si svegliò, il ‘giorno’ dopo, controllò come al solito tutti i contatori e tutti gli indicatori di bordo. Quel controllo Helva poteva sbrigarlo in dieci minuti, ma lui impiegava quasi tutta la mattina. Tutti gli altri compagni lasciavano quel compito al cervello.
“Tutto perfettamente a posto,” commentò Teron, come al solito, dopo aver comparato i suoi dati con quelli di Helva. Poi sedette, ad attendere il momento in cui avrebbe avvistato Tania Borealis.
La TH-834 era già stata a Durrel, il quarto pianeta di Tania Borealis, e gli addetti allo spazioporto conoscevano già Teron. Lo conoscevano e lo disprezzavano, al punto di parlare con Helva, invece che con lui. A Helva faceva piacere, ma poi Teron diventava ancora più intollerabile. Questa volta, lui reagì mostrandosi molto solenne e burocratico con i funzionari del porto e con il Capitano del Servizio Medico al quale doveva consegnare il carico di droghe rare. Data la natura e la potenza di quelle droghe era opportuna una certa cautela, ma era un vero insulto il fatto che Teron pretendesse di chiamare sul raggio i Mondi Centrali per chiedere una copia del cubo d’identità del capitano Brandt, prima di consegnargli il prezioso pacchetto.
E, per peggiorare le cose, toccò a Niall Parollan, supervisore della Sezione, rispondere a quella chiamata, ed Helva comprese fin troppo bene tutte le sfumature della sua voce che pronunciava le frasi di rito.
Helva ribolliva, aveva voglia di scoppiare. Ci mancava anche Parollan! Altri tre scali, uno a Tania Australis e due ad Alula, prima di poter tornare alla Base di Regulus. Era meglio lasciare che Niall si divertisse adesso, così avrebbe finito di ridere quando lei avrebbe dato il benservito a Teron.
Preparandosi al tono trionfale di Niall, Helva gli segnalò privatamente di tenere acceso il raggio. Teron, schiavo come sempre del protocollo, avrebbe accompagnato il capitano Brandt fino alla macchina, e lei avrebbe avuto il tempo di informare Parollan della sua decisione.
“Torre alla TH-834. Richiesta di permesso di salire a bordo da parte dell’Antiolathan Xixon,” disse la Torre di Durrell.
“Permesso rifiutato,” disse Helva, senza neanche guardare Teron.
“Parla il pilota Teron,” s’intromise il braccio, avvicinandosi ai comandi e aprendo il canale locale. “Qual è lo scopo della richiesta?”
“Non lo so. Quei signori stanno arrivando con una macchina.”
Teron tolse il contatto e guardò dal portello aperto. La macchina di Brandt stava incrociando l’altro veicolo al centro del campo.
“Helva, non hai il diritto di dare ordini, quando la richiesta è formulata secondo i regolamenti.”
“Hai mai sentito parlare di un Antiolathan Xixon?” chiese Helva. “E la nostra non è una missione riservata?”
“Conosco benissimo la natura della nostra missione e non ho mai sentito parlare di un Antiolathan Xixon. Ma questo non significa che non esista. Il suo titolo sembra un titolo religioso, e noi abbiamo ordine di mostrarci rispettosi verso tutte le religioni. Quindi dobbiamo riceverlo.”
“Verissimo. Ma posso ricordare al Pilota Teron che ho una maggiore anzianità di servizio e che ho accesso ai banchi-memoria? Banchi-memoria meccanici, meno suscettibili d’errore della mente umana? E non esiste nessuno Xixon.”
“La richiesta era formulata a norma di regolamento,” ripeté Teron.
“Non dovremmo consultare la Centrale?”
“Vi sono cose che possiamo fare e senza sanzione ufficiale.”
“Oh, davvèro?”
La macchina arrivò e gli Xixon chiesero permesso di salire a bordo. Il loro arrivo impediva a Helva di parlare in privato con la Centrale. E l’iniziativa presa da Teron l’irritava ancora di più.
I quattro uomini salirono a bordo: due, che indossavano semplici tuniche grigie, si fecero da parte, come se precedessero un alto dignitario. Portavano armi alla cintura, e appesi al collo avevano strani fischietti. Il terzo, grigio di capelli ma vigoroso, fece entrare ossequiosamente il quarto, un imponente individuo dai capelli bianchi, che indossava una lunga tunica nera. Anche lui portava un fischio, più grande di quello delle guardie, ma molto simile.
Helva notò che quella scena era ben poco rassicurante. L’uomo dai capelli grigi aveva controllato con lo sguardo ogni angolo della cabina, il vecchio si accostò alla paratia di titanio che nascondeva Helva, mentre l’altro si avvicinava a Teron. Improvvisamente, Helva si spaventò.
“Teron, sono impostori!” gridò, ricordandosi, con un’improvvisa speranza, che il raggio di comunicazione con la Centrale era ancora acceso.
L’uomo dai capelli bianchi abbandonò ogni finzione:
puntò un dito verso la colonna e sibilò una serie di sillabe, in una cadenza spaventosa.
Prima di perdere conoscenza, Helva vide le due guardie soffiare nei fischietti: le note penetranti bloccarono sonicamente i circuiti della nave. Vide Teron afflosciarsi sul pavimento, abbattuto dall’uomo dai capelli grigi. Poi il gas anestetico liberato dal vecchio la sopraffece.

‘Ho i circuiti in disordine’ pensò Helva... e ricordò tutto.
Non vedeva nulla: non udiva nulla. Non un fruscio, non un puntolino luminoso. Lottò contro un’ondata di disperazione che minacciava di scaraventarla verso la pazzia.
‘Io penso, quindi vivo,’ si disse, con tutta la forza della sua volontà. ‘Posso pensare e posso ricordare, razionalmente, con calma, tutto quello che è accaduto.’
L’orrore dell’assoluto isolamento dal suono e dalla luce stava quasi per dominare il suo ego. Freddamente, Helva rivisse la scena conclusiva del tradimento. L’entrata dei quattro uomini, i fischi che bloccavano i suoi circuiti per paralizzare le sue difese contro l’attivazione non autorizzata del suo pannello. La manovra del terzo uomo che aveva abbattuto Teron.
L’attacco era stato pianificato per sopraffare nello stesso tempo il braccio e la mente. Solo qualcuno che aveva a che fare con i Mondi Centrali poteva conoscere le informazioni necessarie per sconfiggere l’unità mobile e quella immobile: e soprattutto, come faceva a conoscere la parola chiave, e il timbro appropriato di voce?
Helva arrivò alla conclusione, ovvia ma sbalorditiva. Adesso sapeva come mai le altre quattro navi erano sparite. Erano state rapite come era stata rapita lei. Ma perché? E dov’erano? Isolate come lei? Oppure erano impazzite per la..
‘Mi rifiuto di pensare una cosa simile,’ si disse Helva. ‘E debbo riflettere...’
La prima nave a scomparire era stata la FT-687. Anche quella era impegnata a trasportare droghe: ma ritirava materiale grezzo, non lo distribuiva. Lo stesso valeva per la RD-751 e la PF-699. Le droghe che quelle navi trasportavano potevano essere ottenute solo mediante una richiesta ai Mondi Centrali, e venivano consegnate in piccole quantità da squadre speciali.
Un’ampolla contenente cento centimetri cubici di Menkalite poteva avvelenare l’acqua di un intero pianeta, e trasformare gli abitanti in docili schiavi. Un granello della stessa droga, diluito in una sospensione di proteina, bastava ad immunizzare gli abitanti di parecchi sistemi stellari contro un’epidemia di encefalite. La Tucanite, che era una sostanza psichedelica, era preziosa per la cura della catatonia e dell’autismo. Quelle droghe erano mortali, sotto un punto di vista, ma sotto un altro aspetto erano indispensabili... Era per quello che le navi erano state rapite? Neppure una persona ingusciata al sicuro dalle macchinazioni d’una mente malata.
Una mente malata? I pensieri di Helva si concentrarono. Dov’era quel suo stupido braccio? Teron avrebbe potuto essere utile, con i suoi muscoli. Ricordò il momento in cui il terzo uomo lo aveva abbattuto: e si augurò, malignamente, che gli avesse fatto veramente male. Ma Teron poteva vedere e udire senza bisogno di apparecchi meccanici...
Helva si sentì in preda alla vertigine: era sull’orlo della pazzia, e non doveva cedere...
UN SUONO.
Un suono metallico, graffiante. Ma era un suono, meraviglioso dopo quel silenzio intollerabile. Urlò, ma poiché aveva solo i collegamenti auditivi, urlò silenziosamente.
Una voce stava tuonando:
“HO RICOLLEGATO IL TUO SISTEMA SONORO”
Helva abbassò rapidamente il volume ad un livello accettabile. La voce era nasale e sgradevole, ma il senso dell’udito era meraviglioso.
“Sei stata staccata dalla nave.”
Helva non comprese subito quelle parole.
“Sei collegata ad un circuito limitato audiovisivo perché tu non impazzisca. Se approfitterai della mia bontà, tornerò a isolarti.”
Una risata perversa accompagnò la minaccia. “Magari per sempre.”
Inaspettatamente, le ritornò anche la vista: Helva lanciò un urlo.
“E’ così che pensi di collaborare?” domandò la voce nasale, uscendo da una caverna rosea armata dì zanne d’avorio. Helva si affrettò a regolare le lenti, per ridurre quella faccia a proporzioni normali. Era la faccia dell’uomo, non più camuffato da vecchio, che si era presentato come l’Antiolathan Xixon.
“Collaborare?” chiese Helva, sconvolta.
“Sì, o collabori, o niente.” Lo Xixon tese la mano verso i cavi.
“No. Impazzirei!” gridò Helva, atterrita.
“Impazzire?” L’uomo rise, oscenamente. “Saresti in buona compagnia. Ma non impazzirai... per ora. Voglio servirmi di te.”
Un dito dominò la lente, come un proiettile minaccioso.
“No, sciocco, non così!” urlò all’improvviso lo Xixon, e sparì su un lato dello schermo.
Disperatamente, Helva regolò il proprio udito e la propria vista. Stava di fronte ad un piccolo amplificatore nel quale si innestavano i suoi cavi.., più altri dodici. Poteva vedere solo davanti a sé: e tra lei e il pannello dell’amplificatore, c’erano due gusci, dalle cui sommità uscivano minuscoli fili. Dentro quei gusci c’erano due esseri come lei.
‘Dovrebbero essercene altri due. Vicino a me?’ Poi scorse altri cavi. ‘Sì, vicino a me.’
Cautamente, cercò di assorbire l’energia dell’amplificatore: era piuttosto limitata. Sulla sinistra, scorse qualcosa che appariva come una parte di un apparecchio per comunicazioni interstellari.
Lo Xixon ritornò, e le sorrise, beffardamente.
“Dunque sei la nave che canta: quell’oscenità di Helva. Ti presento i tuoi cari compagni, osceni quanto te. Naturalmente, Foro non può fare altro che gemere e ululare. L’abbiamo tenuto troppo al buio.” lo Xixon rise, soddisfatto. “Delia non sta molto meglio, ma risponde, quando le si rivolge la parola. Tagi e Merl hanno imparato a non parlare se io non li interrogo: l’imparerai anche tu. Ho sempre desiderato uno zoo di mostri, e adesso ce l’ho. E tu mia ultima ospite, allieterai il mio riposo con la tua incomparabile voce. Vero?”
Helva non rispose. E subito precipitò nelle tenebre e nel silenzio. ‘E’ pazzo,’ si disse. ‘Lo fa per terrorizzarmi. Mi rifiuto di lasciarmi terrorizzare da un pazzo. Aspetterò e resterò calma. Aspetterò...’


“E allora, mio grazioso mostro, hai ripensato alla mia offerta generosa?”
Helva aveva riflettuto: limitò la sua capitolazione a un monosillabo. La felicità di vedere e di udire non poteva cancellare le ore interminabili di cecità e di silenzio... Ma il cronometro di fronte a lei le diceva che l’uomo l’aveva tenuta isolata solo per pochi minuti. Era orribile dover dipendere da quella belva. Lo studiò. La sua pelle aveva una lieve colorazione azzurra. Doveva essere nato su uno dei tre pianeti abitabili di Rho Puppis; oppure, si drogava con la Tucanite... il che era più verosimile. Helva aveva trasportato la Tucanite, e anche la RD l’aveva trasportata...
“Hai voglia di cantare, adesso?” La risata dell’uomo era diabolica.
“Signore?” fece una voce servile, sulla sinistra. Lo Xixon si girò, accigliandosi.
“Allora?”
“L’834 non trasportava Tucanite.”
Lo Xixon si girò verso Helva, con occhi lampeggianti.
“Dove l’avete messa?”
“L’abbiamo consegnata a Tania Australis,” rispose Helva, mantenendo un tono bassissimo, di proposito.
“Parla più forte!” urlò l’uomo.
“Sto usando tutta l’energia che mi ha dato lei. Quell’amplificatore non ne produce molta.”
“E non deve produrne molta,” fece irritato lo Xixon, guardandosi intorno. “Dimmi, qual è la nave che dovrà trasportare la Tucanite, dopo di te?”
“Non lo so.”
“Parla più forte:”
“Ma sto già gridando.”
“Non è vero. Bisbigli.”
“Così va meglio?”
“Beh, posso sentirti. Dimmi, quale nave dovrà trasportare la Tucanite, adesso?”
“Non lo so.”
“Non lo saprai neanche al buio?” La risata echeggiò nel cranio di Helva, mentre l’uomo la riprecipitava nelle tenebre.
Lei contò lentamente, un secondo dopo l’altro, per calcolare il tempo. L’uomo la ricollegò poco dopo. Helva aveva voglia di urlare per sentire la propria voce, ma riuscì a mantenerla bassissima.
“Così va meglio?” domandò l’uomo, con una smorfia di sospetto. “Ho disinserito completamente quel Foro.”
Helva cercò di reprimere la compassione: si consolò pensando che Foro era già impazzito.
“Per parlare è sufficiente,” disse, alzando lievemente il volume. Non poteva ripetere quel trucco: sarebbe costato probabilmente la pazzia di Merl o di Tagi o di Delia.
L’uomo scomparve. Helva alzò il volume dell’audio. Sentiva almeno dieci diversi schemi di movimento, fuori della portata della sua visuale. A giudicare dalle vibrazioni del suono, si trovavano in una caverna naturale, ampia ma dal soffitto basso. Se il pannello del comunicatore era del tipo normale, se non c’erano troppo grotte in cui si poteva disperdere il suono, e se tutti i dipendenti di quel pazzo erano vicini, forse lei avrebbe potuto fare qualcosa. Lo Xixon voleva che lei cantasse...
Attese, cercando di conservare la calma. Poi l’uomo tornò, massaggiandosi distrattamente una spalla. Helva ingrandì la visione e notò le tracce azzurre sotto la pelle. Si, usava la Tucanite.
Qualcuno porse una sedia all’uomo, che si accomodò. Un’altra mano accostò una tavola, su cui era posato un piatto di cibi raffinati.
“Canta, mio grazioso mostro, canta,” ordinò lo Xixon. Helva obbedì. Cominciò a metà della sua gamma, cantando le canzoni più sensuali che riusciva a ricordare, e poi aumentò il tono di basso. Ma tenne il volume al minimo, per costringere l’uomo a chinarsi verso di lei, se voleva udirla.
Lo Xixon si spazientì: tese la mano per staccare tutti i cavi tranne quelli di Helva, ma lei lo supplicò di non privare dei sensi i suoi compagni.
“Non è necessario, signore. Basta aumentare un po’ l’energia dal pannello principale. Anche se i miei compagni non assorbissero la corrente dell’amplificatore, non potrei cantare una nenia Reticolata, per esempio.”
L’uomo si raddrizzò, con gli occhi scintillanti.
“Sai cantare una nenia Reticolata? Una nenia dell’accoppiamento?”
“Certamente,” disse lei, fingendosi sorpresa. L’uomo la fissò, diviso tra il desiderio di ascoltare quei famosi canti esotici e il timore di darle troppa energia. Ma ormai era sotto l’effetto della Tucanite, e il fascino delle nenie Reticolate era soverchiante. Prima di decidere, comunque, lo Xixon chiamò un tecnico per consultarsi con lui.
Helva precipitò nelle tenebre e nel silenzio, poi, all’improvviso, si sentì rinascere; i suoi cavi, adesso, ricevevano una corrente più forte.
“Adesso hai l’energia che ti serve, canterina,” le disse lo Xixon, malignamente. Canta o te ne pentirai. E non cercare di farmi qualche brutto scherzo. Canta, canta per guadagnarti la vista e l’udito.”
Helva attese che la risata si spegnesse. Neppure una nenia Reticolata poteva fare effetto, sullo sfondo di quella sghignazzata. Poi attaccò con un pezzo facile, cercando di valutare l’energia di cui poteva disporre. Sarebbe bastata. E l’eco del suo canto le ritornava, assicurandole che l’ambiente non era molto vasto; e si trovava all’interno di un massiccio di pietra. Magnifico.
Cominciò a inserire qualche tono più basso, abilmente, in modo che sembrasse una parte normale della nenia. Lo Xixon, anche se la sua sensibilità era intensificata dalla droga, non poteva capire quello che lei stava facendo. Helva continuò ad aumentare le frequenze inaudibili.
La nenia era affascinante: e Helva udì distintamente i passi furtivi degli schiavi e dei collaboratori dello Xixon che si raccoglievano attorno a lei, per ascoltare quell’irresistibile canto di sirena.
Helva si raccolse per un istante, e poi riversò tutto un inferno sonico nella triplice nota. Il suono colpì per primo lo Xixon, che era sensibilizzato dalla Tucanite: e lo uccise, travolgendogli il cervello con un’ondata massiccia di furore vibrante. Poi colpì gli altri che si trovavano nella grotta: Helva udì le loro grida di disperazione al di sopra del bizzarro suono composito creato da lei. E svennero, uno dopo l’altro.
Il sovraccarico cortocircuitò parecchi pannelli del quadro principale, ed una pioggia di scintille ricadde sui morti e sugli svenuti. Helva lottò per mantenere aperti i propri circuiti, ora alimentati da una corrente più debole: ma si sentiva ormai sfinita. La grotta era silenziosa; si udivano soltanto respiri rauchi e lo sfrigolare dei fili di contatto.
“Delia, rispondimi! Sono Helva.”
“Chi è Helva? Non ho accesso ai miei banchi-memori a.”
“Tagi, mi senti?”
“Sì,” una risposta secca, meccanica.
“Merl, e tu mi senti?”
“Parli troppo forte.”
Helva fissò il cadavere dell’uomo che aveva torturato così atrocemente i suoi compagni. Oh, se avesse potuto avere un paio di mani! Ma vendicarsi su di un corpo privo di vita era illogico...
‘E adesso che faccio?’ si chiese. E a questo punto, ricordò che era stata sul punto di proclamare la sua intenzione di dividersi da Teron. E AVEVA LASCIATO ACCESO IL RAGGIO! Parollan non era il tipo che perdeva tempo... DOVE DIAVOLO ERA?


“Ecco fatto, Helva, sei di nuovo a posto,” disse il capitano ST-1, accarezzando paternamente la colonna. Helva controllò visualmente, per assicurarsi che lo sportello fosse perfettamente richiuso.
“La tua nuova parola-chiave è stata sintonizzata nel metallo, e il Comandante Railly è l’unico a conoscerla,” le assicurò il capitano.
“E i collegamenti audiovisivi indipendenti sono fissati alle sinapsi extra del mio guscio?”
“Sicuro.”
“Capitano... sei stato mai privato dei tuoi sensi?”
L’uomo rabbrividì, oscurandosi. Nessuno, tra coloro che erano entrati nel quartier generale dello Xixon, su quell’asteroide, avrebbe mai potuto dimenticare le condizioni pietose in cui erano stati trovati gli ingusciati... quegli esseri che erano pure stati ritenuti invulnerabili.
“Tagi, Merl e Delia si riprenderanno. Delia potrà rientrare in servizio entro un anno,” disse il capitano, sottovoce. Poi sospirò, non riusciva a parlare di Foro. “Voi siete molto preziosi, sai.”
Si accostò al pannello, ed Helva boccheggiò. “Calmati,” disse lui, accarezzando la colonna.
“Sei al sicuro.”
Raccolse i delicati strumenti che aveva usato, e li avvolse nella morbida gommapiuma.
“E i piloti?” chiese Helva.
“Beh, Rife di Delia guarirà presto. Gli hanno dato una sola dose di Menkalite. Stanno cercando ancora le altre due navi, ma credo che tutti i piloti sopravviveranno.” Poi cambiò di colpo espressione. “Come mai avevi il raggio acceso, Helva? Quando abbiamo tirato fuori il tuo braccio dalla cella imbottita, si è infuriato perché avevi ignorato i regolamenti... Ma se non li avessi ignorati, il Cencom non avrebbe mai saputo quello che stava succedendo. Come mai avevi lasciato aperto il canale?”
“Preferirei non dirlo. Ma dato che hai conosciuto Teron, puoi indovinarlo facilmente.”
“Eh? Beh, in ogni caso, è stato questo a salvarti.”
“Ce ne hanno messo, ad arrivare.”
Il capitano rise.
“Non dimenticare che ti avevano dato il via per la partenza, e i tuoi rapitori sono decollati da Durrel prima che il tuo supervisore potesse fermarli. Parollan ti ha lanciato subito dietro tutte le navi che si trovavano in questo settore. Ma c’è voluto egualmente un po’ di tempo: chi poteva pensare che i tuoi rapitori avessero scelto come nascondiglio un asteroide così vicino a Durrell?”
“Quello Xixon era furbo. Nessuno avrebbe mai pensato di cercarlo lì.”
“Sì, aveva un quoziente d’intelligenza molto alto,” ammise il capitano. “Non per niente, aveva studiato da pilota.”
‘Brutta faccenda,’ pensò Helva. La Tucanite l’aveva aiutato a liberarsi del condizionamento, e lui s’era intrufolato fra gli addetti alla manutenzione della Base di Regulus, preparando il terreno per le sue future imprese: in quel modo si era procurato le parole-chiave. E poi servendosi delle navi-cervello e dei piloti debitamente drogati, avrebbe potuto sbarcare dovunque, anche alla Base dei Mondi Centrali…
“Beh, adesso vado,” disse il capitano, con un rispettoso saluto. “Al resto provvederà il tuo braccio.”
“No, se potrò impedirglielo,” sibilò Helva.
L’ultimo legame con Teron s’era spezzato quando lui l’aveva messa nei guai con la sua ostinazione. E Teronl, dal canto suo, s’era rassegnato alla prigionia con stolida dignità, secondo la sua logica.
‘Ma quella logica era vigliaccheria,’ pensò Helva. Rife di Delia, per esempio, aveva tentato di fuggire. Era riuscito ad arrampicarsi su per l’imbottitura della sua cella, lacerandosi i piedi e le mani per arrivare fino alla botola. Stordito dall’iniezione di Menkalite e dalla denutrizione, era riuscito a giungere fino al portello, e lì l’aveva trovato la squadra di soccorso.
Helva fece scendere il capitano, e incominciò un rapido controllo. Era come riscoprire una serie di miracoli: per la prima volta apprezzava la versatilità della nave che era il suo corpo, l’ampiezza della sua visione. Oh, era meraviglioso essere di nuovo sé stessa.
“Helva?” Mormorò una voce sommessa. “Sei sola, adesso?” Era il Cencom, sul raggio.
“Sì. Il capitano se ne è appena andato. Puoi raggiungerlo al…”
“Lascialo andare.” Poi Helva si rese conto che quella voce rauca apparteneva a Niall Parollan. “Volevo sapere se eri ritornata al tuo posto. Tutto bene, Helva?”
Niall Parollan reso rauco dalla preoccupazione? Helva si sentì sorpresa e lusingata, ripensando alle parole sprezzanti che lui le aveva rivolto durante l’ultimo incontro.
“Ancora intatta, se è questo che vuoi sapere, Parollan,” rispose, allegramente. E le sembrò di sentire un sospiro.
“Ecco la mia ragazza1” rise Parollan, subito dopo. “Naturalmente, se non avessi avuto le sinapsi fuori posto, dopo quell’esperienza su Beta Corvi, mi avresti ascoltato, quando ti dicevo che quello scimmione di Teron era solo un maniaco del regolamento con una gran faccia di bronzo...”
“Non di bronzo, Niall,” l’interruppe Helva. “Il bronzo è un metallo, e Teron è di cartapesta.”
“Oh, oh! Ammetti di esserti sbagliata sul suo conto?”
“Errare è umano...”
“Grazie a Dio!”
In quel momento, Teron chiese il permesso di salire a bordo.
“Ci sentiamo più tardi, Helva. Non me la sento di...”
“No, Parollan!”
“Helva, mio unico amore, sono rimasto inchiodato su questo raggio per tre giorni, e gli stimolanti non fanno più effetto. Sto per crollare.”
“Tieni gli occhi aperti ancora per qualche minuto, Niall. E’ una cosa ufficiale,” disse Helva, mentre attìvava l’ascensore. Una rabbia fredda prese, nella sua mente, il posto della gioia che quella conversazione con Parollan le aveva dato.
Teron entrò nella cabina principale, la salutò con sobria cerimoniosità, poi si diresse verso la poltrona del pilota. Si stropicciò le mani, sedette, fletté le dita, poi le posò sulla tastiera del calcolatore.
“Dovrò fare un controllo accurato per accertarmi che non ci siano stati danni,” disse.
“Davvero?” chiese Helva, in tono minacciosamente tranquillo.
Teron aggrottò la fronte e si girò verso la colonna. “Il nostro programma di lavoro è rimasto interrotto anche troppo a lungo, per via di questo incidente.”
“Incidente?”
“Cambia tono, Helva. Non puoi pretendere di servirti dei tuoi trucchi con me.”
“Che cosa non posso pretendere?”
“Suvvia,” cominciò lui, abbassando il mento. “Tengo conto del fatto che tu hai subito una certa tensione. Avresti dovuto insistere perché io sorvegliassi il lavoro del capitano che ti ha reinstallata. Potresti avere subito qualche danno ai circuiti, sai.”
“Quanto sei gentile a pensare a questa possibilità!” fece Helva. Dunque era quello che gli interessava?
“Fisicamente non puoi subire danni, certo, poiché sei chiusa nel titanio,” disse Teron, e tornò a voltarsi verso la ‘console’.
“Teron di Acthion, a questo punto posso dire soltanto che per te è una sporca fortuna che io sia chiusa nel titanio. Perché se fossi mobile, ti sbatterei fuori a calci...”
“Cosa ti ha preso?”
Una volta tanto, un illogico sbalordimento sconvolse il volto di Teron.
“Fuori! Fuori dal mio ponte! Fuori dalla mia vista! FUORI!” ruggì Helva, aumentando il volume ad ogni parola, senza badare alla delicatezza della struttura dell’orecchio umano. Lo scacciò con la forza del suono, e Teron, coprendosi le orecchie con le mani, corse nell’ascensore, che lei si affrettò a calare.
“Un organismo malfidato, eh? Irresponsabile, eh...” gli urlò dietro lei, a pieno volume. Poi scoppiò a ridere. “Hai sentito, Niall Parollan?” chiese poi, in tono ragionevole ma esultante. “Niall? Ehi, Cencom, rispondimi!”
Dal canale aperto veniva soltanto il suono discorde di un profondo russare.
“Niall?” Il dormiente continuò a russare, ed Helva ridacchiò, a quella ulteriore dimostrazione della fragilità umana. Chiese e ottenne via libera, e decollò dallo spazioporto semidistrutto dall’asteroide. Al suo ritorno, avrebbe fatto una lunga chiacchierata con il Comandante Railly. La penale per il ‘divorzio’ da Teron sarebbe stata poca cosa, in confronto al premio per il ritrovamento delle quattro navi rapite e poi doveva esserci un premio federale per avere contribuito alla cattura degli spacciatori di droga. In totale, quei premi dovevano fare di lei una nave libera, padrona di se stessa. E quel solo pensiero bastava a metterle addosso la voglia di cantare.





[Modificato da auroraageno 09/09/2011 17:56]
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