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15 luglio

Ultimo Aggiornamento: 16/07/2011 09:46
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16/07/2011 09:29

San Bonaventura Vescovo e dottore della Chiesa

15 luglio

Bagnoregio, Viterbo, 1218 - Lione, Francia, 15 luglio 1274

Giovanni Fidanza nacque a Bagnoregio (Viterbo) nel 1218. Bambino fu guarito da san Francesco, che avrebbe esclamato: « Oh bona ventura ». Gli rimase per nome ed egli fu davvero una «buona ventura» per la Chiesa. Studiò a Parigi e durante il suo soggiorno in Francia, entrò nell'Ordine dei Frati Minori. Insegnò teologia all'università di Parigi e formò intorno a sé una reputatissima scuola. Nel 1257 venne eletto generale dell'Ordine francescano, carica che mantenne per diciassette anni con impegno al punto da essere definito secondo fondatore dell'Ordine. Scrisse numerose opere di carattere teologico e mistico ed importante fu la «Legenda maior», biografia ufficiale di San Francesco, a cui si ispirò Giotto per il ciclo delle Storie di San Francesco. Fu nominato vescovo di Albano e cardinale. Partecipò al II Concilio di Lione che, grazie anche al suo contributo, segnò un riavvicinamento fra Chiesa latina e Chiesa greca. Proprio durante il Concilio, morì a Lione, il 15 luglio 1274. (Avvenire)

Patronato: Fattorini

Etimologia: Bonaventura = fortunato, significato intuitivo

Emblema: Bastone pastorale, cappello da cardinale

Martirologio Romano: Memoria della deposizione di san Bonaventura, vescovo di Albano e dottore della Chiesa, che rifulse per dottrina, santità di vita e insigni opere al servizio della Chiesa. Resse con saggezza nello spirito di san Francesco l’Ordine dei Minori, di cui fu ministro generale. Nei suoi molti scritti unì una somma erudizione a una ardente pietà. Mentre si adoperava egregiamente per il II Concilio Ecumenico di Lione, meritò di giungere alla visione beata di Dio.

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Quale pienezza di fede, di pietà, di lavoro, di azione nella vita dei santi! San Bonaventura ne è un esempio notevole. La sua vita religiosa, sacerdotale, episcopale, in una atmosfera di lavoro di serenità, di calda e dolce pietà, gli è valso da parte dal papa Sisto IV il titolo di “Dottore Serafico”. San Bonaventura si chiamava Giovanni di Fidanza. Nacque a Civita di Bagnoregio presso Viterbo nel 1217. Egli stesso narra che da bambino si ammalò di un morbo che lo stava conducendo alla morte, ma poi fu risanato da san Francesco in persona il quale, facendo su di lui un segno di Croce, pronunciò queste parole: “ Bona ventura”. Fu guarito e da allora fu chiamato Bonaventura”. Entrò nell’ordine francescano e compì gli studi a Parigi, dove iniziò anche ad insegnare. Una delle caratteristiche più significative della cultura medievale fu quella di non separare il naturale dal soprannaturale, in una prospettiva che non fosse solo di semplice riconoscimento intellettuale del soprannaturale, ma che si trasformasse inevitabilmente in consapevolezza dell’esserci di Dio in tutto. San Bonaventura afferma chiaramente che Dio è l’essere assoluto, eterno, provvidente e …illuminante perché la vita, la sapienza, la bontà di Dio sono la luce stessa di Dio impressa nelle cose al momento della creazione. Con questa teoria teologica di san Bonaventura si riconosce uno stretto legame tra Creatore e realtà creata, legame che però non scivola nel panteismo, cioè nella identificazione tra Creatore e creato. Infatti san Bonaventura sceglie questa teoria perché convinto che solo così si possa spiegare il continuo intervento provvidente di Dio nel creato. Tutto l’universo- dice-  è manifestazione evidente dell’esistenza di Dio. Ma oltre questa evidenza di carattere esterno, egli insegna che Dio è presente in ciascun essere, specialmente nell’anima umana. San Bonaventura ritiene che la conoscenza fine a se stessa non vale a nulla, questa ha senso se fa vivere meglio, se fa raggiungere la felicità che è unicamente Dio e in Dio. Ecco spiegato il perché Bonaventura non distingue tra conoscenza, vita morale e ascetica e ne parla come di un unico viaggio dell’anima, un itinerario della mente verso Dio che è formato da sei gradi fino a raggiungere l’unione con Dio senza perdere la propria individualità. In tal modo egli evita qualsiasi tipo di spiritualismo astratto. L’uomo arriva a Dio partendo dalle sue cose della sua vita quotidiana, ma non solo nel senso della conoscenza filosofica, ma anche nel senso della conoscenza come semplice studio delle cose. Tutto se conosciuto bene, concorre al raggiungimento di Dio; perché la realtà è una sorta di sinfonia di Dio. Il primo grado dice infatti che per mezzo dei sensi esterni l’anima apprende la bellezza del creato e tende al Creatore.
Teologo dogmatico, mistico, superiore generale del suo Ordine dei Frati Minori, Vescovo Cardinale, egli non è vissuto che 53 anni ed ha lasciato dietro di sé come un immenso solco la soavità della sua anima penetrata dalla dottrina e nello stesso tempo della tenera pietà in una grande santità. Egli scrisse una vita di San Francesco d’Assisi, cosa che faceva dire a San Tommaso d’Aquino : è l’opera di un santo su di un altro santo.
Le anime coscienziose della loro perfezione, della loro santificazione quotidiana hanno interesse e profitto a frequentare, per quanto  possono, dei santi del livello spirituale d’un San Bonaventura. Egli aveva una grande intelligenza, ma specialmente una grande potenza d’amore semplice ed affettuosa per Dio, per Gesù e per la Vergine, un senso d’equilibrio morale che lo distinse in mezzo ai suoi Frati così che più tardi il Pontefice lo elevò agli incarichi ed agli onori più importanti nella Chiesa.
Le sensibilità moderne hanno un grande bisogno d’orientamento semplice e forte verso un autentico cristianesimo, verso una spiritualità completa, fuori dalle mode passeggere e dei punti di vista troppo particolari, talvolta interessanti ma incompleti. Occorre loro una base solida di vita soprannaturale per avere esse stesse un’attività durevole sia nell’ordine dello sforzo e nel loro fervore personale che nel loro apostolato. A giusto titolo esse sognano di adattarsi al tempo presente, alle condizioni di vita, ma non possono realizzare questo adattamento senza delle virtù iniziali di dimenticanza di sé, di rinuncia e di umiltà. Questo adattamento non significa abbandono del rigore evangelico, addolcimento della fede che richiede, facilitato per alterare sotto la coltre di più comprensione il dato divino del Vangelo, delle sue esigenze, del suo vero senso che è quello espresso da Cristo, dalle sue parole, dai suoi esempi.
A questo titolo, un San Bonaventura, tutto permeato d’amore di Dio, al modo che avrà un giorno, quattro secoli più tardi, un san Francesco di Sales, e nello stesso tempo formato all’austerità delle virtù cristiane, sacerdotali e religiose, è un vero testimone di Cristo e del Vangelo.
L’adattamento ricercato ed augurabile nella formazione dei cristiani moderni non sarà fecondo che nella misura in cui questa psicologia profonda della vita spirituale sarà conservata intatta, con delle virtù che sono di tutti i tempi : la pietà, la purezza, l’umiltà, la fede, la speranza, la carità. Nel quadro differente ed evoluto, occorre guardare a queste virtù fondamentali tutto il loro posto, tutta la forza di lievito in una pasta forse più difficile da lavorare, ma che esige certamente un lievito di qualità.
È a questo titolo che la psicologia dei santi ci insegna ammirabilmente quali siano le indispensabili sorgenti spirituali d’amore di Dio e delle anime, la profonda rinuncia a se stessi che  solo realizzano  ogni fruttuoso apostolato di oggi come di ieri e di sempre.

Autore: Don Marcello Stanzione



Catechesi di Benedetto XVI all’udienza generale di mercoledì 3 marzo 2010

Cari fratelli e sorelle,
quest’oggi vorrei parlare di san Bonaventura da Bagnoregio. Vi confido che, nel proporvi questo argomento, avverto una certa nostalgia, perché ripenso alle ricerche che, da giovane studioso, ho condotto proprio su questo autore, a me particolarmente caro. La sua conoscenza ha inciso non poco nella mia formazione. Con molta gioia qualche mese fa mi sono recato in pellegrinaggio al suo luogo natio, Bagnoregio, una cittadina italiana, nel Lazio, che ne custodisce con venerazione la memoria.
Nato probabilmente nel 1217 e morto nel 1274, egli visse nel XIII secolo, un’epoca in cui la fede cristiana, penetrata profondamente nella cultura e nella società dell’Europa, ispirò imperiture opere nel campo della letteratura, delle arti visive, della filosofia e della teologia. Tra le grandi figure cristiane che contribuirono alla composizione di questa armonia tra fede e cultura si staglia appunto Bonaventura, uomo di azione e di contemplazione, di profonda pietà e di prudenza nel governo.
Si chiamava Giovanni da Fidanza. Un episodio che accadde quando era ancora ragazzo segnò profondamente la sua vita, come egli stesso racconta. Era stato colpito da una grave malattia e neppure suo padre, che era medico, sperava ormai di salvarlo dalla morte. Sua madre, allora, ricorse all’intercessione di san Francesco d’Assisi, da poco canonizzato. E Giovanni guarì.
La figura del Poverello di Assisi gli divenne ancora più familiare qualche anno dopo, quando si trovava a Parigi, dove si era recato per i suoi studi. Aveva ottenuto il diploma di Maestro d’Arti, che potremmo paragonare a quello di un prestigioso Liceo dei nostri tempi. A quel punto, come tanti giovani del passato e anche di oggi, Giovanni si pose una domanda cruciale: “Che cosa devo fare della mia vita?”. Affascinato dalla testimonianza di fervore e radicalità evangelica dei Frati Minori, che erano giunti a Parigi nel 1219, Giovanni bussò alle porte del Convento francescano di quella città, e chiese di essere accolto nella grande famiglia dei discepoli di san Francesco. Molti anni dopo, egli spiegò le ragioni della sua scelta: in san Francesco e nel movimento da lui iniziato ravvisava l’azione di Cristo. Scriveva così in una lettera indirizzata ad un altro frate: “Confesso davanti a Dio che la ragione che mi ha fatto amare di più la vita del beato Francesco è che essa assomiglia agli inizi e alla crescita della Chiesa. La Chiesa cominciò con semplici pescatori, e si arricchì in seguito di dottori molto illustri e sapienti; la religione del beato Francesco non è stata stabilita dalla prudenza degli uomini, ma da Cristo” (Epistula de tribus quaestionibus ad magistrum innominatum, in Opere di San Bonaventura. Introduzione generale, Roma 1990, p. 29).
Pertanto, intorno all’anno 1243 Giovanni vestì il saio francescano e assunse il nome di Bonaventura. Venne subito indirizzato agli studi, e frequentò la Facoltà di Teologia dell’Università di Parigi, seguendo un insieme di corsi molto impegnativi. Conseguì i vari titoli richiesti dalla carriera accademica, quelli di “baccelliere biblico” e di “baccelliere sentenziario”. Così Bonaventura studiò a fondo la Sacra Scrittura, le Sentenze di Pietro Lombardo, il manuale di teologia di quel tempo, e i più importanti autori di teologia e, a contatto con i maestri e gli studenti che affluivano a Parigi da tutta l’Europa, maturò una propria riflessione personale e una sensibilità spirituale di grande valore che, nel corso degli anni successivi, seppe trasfondere nelle sue opere e nei suoi sermoni, diventando così uno dei teologi più importanti della storia della Chiesa. È significativo ricordare il titolo della tesi che egli difese per essere abilitato all’insegnamento della teologia, la licentia ubique docendi, come si diceva allora. La sua dissertazione aveva come titolo Questioni sulla conoscenza di Cristo. Questo argomento mostra il ruolo centrale che Cristo ebbe sempre nella vita e nell’insegnamento di Bonaventura. Possiamo dire senz’altro che tutto il suo pensiero fu profondamente cristocentrico.
In quegli anni a Parigi, la città di adozione di Bonaventura, divampava una violenta polemica contro i Frati Minori di san Francesco d’Assisi e i Frati Predicatori di san Domenico di Guzman. Si contestava il loro diritto di insegnare nell’Università, e si metteva in dubbio persino l’autenticità della loro vita consacrata. Certamente, i cambiamenti introdotti dagli Ordini Mendicanti nel modo di intendere la vita religiosa, di cui ho parlato nelle catechesi precedenti, erano talmente innovativi che non tutti riuscivano a comprenderli. Si aggiungevano poi, come qualche volta accade anche tra persone sinceramente religiose, motivi di debolezza umana, come l’invidia e la gelosia. Bonaventura, anche se circondato dall’opposizione degli altri maestri universitari, aveva già iniziato a insegnare presso la cattedra di teologia dei Francescani e, per rispondere a chi contestava gli Ordini Mendicanti, compose uno scritto intitolato La perfezione evangelica. In questo scritto dimostra come gli Ordini Mendicanti, in specie i Frati Minori, praticando i voti di povertà, di castità e di obbedienza, seguivano i consigli del Vangelo stesso. Al di là di queste circostanze storiche, l’insegnamento fornito da Bonaventura in questa sua opera e nella sua vita rimane sempre attuale: la Chiesa è resa più luminosa e bella dalla fedeltà alla vocazione di quei suoi figli e di quelle sue figlie che non solo mettono in pratica i precetti evangelici ma, per la grazia di Dio, sono chiamati ad osservarne i consigli e testimoniano così, con il loro stile di vita povero, casto e obbediente, che il Vangelo è sorgente di gioia e di perfezione.
Il conflitto fu acquietato, almeno per un certo tempo, e, per intervento personale del Papa Alessandro IV, nel 1257, Bonaventura fu riconosciuto ufficialmente come dottore e maestro dell’Università parigina. Tuttavia egli dovette rinunciare a questo prestigioso incarico, perché in quello stesso anno il Capitolo generale dell’Ordine lo elesse Ministro generale.
Svolse questo incarico per diciassette anni con saggezza e dedizione, visitando le province, scrivendo ai fratelli, intervenendo talvolta con una certa severità per eliminare abusi. Quando Bonaventura iniziò questo servizio, l’Ordine dei Frati Minori si era sviluppato in modo prodigioso: erano più di 30.000 i Frati sparsi in tutto l’Occidente con presenze missionarie nell’Africa del Nord, in Medio Oriente, e anche a Pechino. Occorreva consolidare questa espansione e soprattutto conferirle, in piena fedeltà al carisma di Francesco, unità di azione e di spirito. Infatti, tra i seguaci del santo di Assisi si registravano diversi modi di interpretarne il messaggio ed esisteva realmente il rischio di una frattura interna. Per evitare questo pericolo, il Capitolo generale dell’Ordine a Narbona, nel 1260, accettò e ratificò un testo proposto da Bonaventura, in cui si raccoglievano e si unificavano le norme che regolavano la vita quotidiana dei Frati minori. Bonaventura intuiva, tuttavia, che le disposizioni legislative, per quanto ispirate a saggezza e moderazione, non erano sufficienti ad assicurare la comunione dello spirito e dei cuori. Bisognava condividere gli stessi ideali e le stesse motivazioni. Per questo motivo, Bonaventura volle presentare l’autentico carisma di Francesco, la sua vita ed il suo insegnamento. Raccolse, perciò, con grande zelo documenti riguardanti il Poverello e ascoltò con attenzione i ricordi di coloro che avevano conosciuto direttamente Francesco. Ne nacque una biografia, storicamente ben fondata, del santo di Assisi, intitolata Legenda Maior, redatta anche in forma più succinta, e chiamata perciò Legenda minor. La parola latina, a differenza di quella italiana, non indica un frutto della fantasia, ma, al contrario, “Legenda” significa un testo autorevole, “da leggersi” ufficialmente. Infatti, il Capitolo generale dei Frati Minori del 1263, riunitosi a Pisa, riconobbe nella biografia di san Bonaventura il ritratto più fedele del Fondatore e questa divenne, così, la biografia ufficiale del Santo.
Qual è l’immagine di san Francesco che emerge dal cuore e dalla penna del suo figlio devoto e successore, san Bonaventura? Il punto essenziale: Francesco è un alter Christus, un uomo che ha cercato appassionatamente Cristo. Nell’amore che spinge all’imitazione, egli si è conformato interamente a Lui. Bonaventura additava questo ideale vivo a tutti i seguaci di Francesco. Questo ideale, valido per ogni cristiano, ieri, oggi, sempre, è stato indicato come programma anche per la Chiesa del Terzo Millennio dal mio Predecessore, il Venerabile Giovanni Paolo II. Tale programma, egli scriveva nella Lettera Novo Millennio ineunte, si incentra “in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste” (n. 29).
Nel 1273 la vita di san Bonaventura conobbe un altro cambiamento. Il Papa Gregorio X lo volle consacrare Vescovo e nominare Cardinale. Gli chiese anche di preparare un importantissimo evento ecclesiale: il II Concilio Ecumenico di Lione, che aveva come scopo il ristabilimento della comunione tra la Chiesa Latina e quella Greca. Egli si dedicò a questo compito con diligenza, ma non riuscì a vedere la conclusione di quell’assise ecumenica, perché morì durante il suo svolgimento. Un anonimo notaio pontificio compose un elogio di Bonaventura, che ci offre un ritratto conclusivo di questo grande santo ed eccellente teologo: “Uomo buono, affabile, pio e misericordioso, colmo di virtù, amato da Dio e dagli uomini… Dio infatti gli aveva donato una tale grazia, che tutti coloro che lo vedevano erano pervasi da un amore che il cuore non poteva celare” (cfr J.G. Bougerol, Bonaventura, in A. Vauchez (a cura), Storia dei santi e della santità cristiana. Vol. VI. L’epoca del rinnovamento evangelico, Milano 1991, p. 91).
Raccogliamo l’eredità di questo santo Dottore della Chiesa, che ci ricorda il senso della nostra vita con le seguenti parole: “Sulla terra… possiamo contemplare l’immensità divina mediante il ragionamento e l’ammirazione; nella patria celeste, invece, mediante la visione, quando saremo fatti simili a Dio, e mediante l’estasi … entreremo nel gaudio di Dio” (La conoscenza di Cristo, q. 6, conclusione, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 187).





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Sant' Abudemio Martire

15 luglio

Etimologia: Nome di etimologia incerta e di provenienza orientale

Martirologio Romano: Nell’isola di Ténedo nel mare Egeo davanti alle coste dell’Ellesponto, sant’Abudemio, martire.



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Sant' Andrea Nguyen Kim Thong Nam Martire

15 luglio

Martirologio Romano: Nella provincia di Mỹ Tho in Cocincina, ora Viet Nam, sant’Andrea Nguyễn Kim Thông Nam (Nam Thuông), martire, che, catechista, condannato dopo il carcere all’esilio sotto l’imperatore Tự Đức, legato con catene e caricato di una trave, portò a compimento durante il viaggio il suo martirio.



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Beata Anna Maria Javohey Fondatrice

15 luglio

Jallongers (Francia), 10 novembre 1779 - Parigi, 15 luglio 1851

Fondò a Parigi la Congregazione Cluniacense delle Suore di San Giuseppe, dedicate alla cura degli infermi e alla formazione cristiana della gioventù femminile.

Martirologio Romano: A Parigi in Francia, beata Anna Maria Javouhey, vergine, che fondò la Congregazione Cluniacense delle Suore di San Giuseppe per la cura dei malati e la formazione cristiana della gioventù femminile, diffondendola nelle terre di missione.


Quinta di dieci figli, Anna Maria Javouhey nacque il 10 novembre 1779 a Jallongers vicino Seurre in Francia. A sette anni “Nanette” seguì la famiglia trasferitasi a Chamblanc; nel 1789 fece la Prima Comunione e poté vedere gli sconvolgimenti sociali e la crisi religiosa scaturita in quegli anni, dalla Rivoluzione Francese e con l’imposizione della Costituzione civile del clero, con alcuni ecclesiastici che aderirono e altri no.
Ed è proprio uno di questi, l’abate Ballanche, che col suo apostolato semiclandestino, diventa il suo consigliere e guida; Anna a partire dall’11 novembre 1798, prende ad interessarsi dell’educazione dei fanciulli e con molta premura degli ammalati poveri.
Desiderosa di consacrarsi completamente a Dio, ricerca un Ordine religioso che possa soddisfare la sua vocazione; entra per primo nel noviziato delle Sorelle della Carità, fondate da s. Giovanna Antida Thouret, nel settembre-novembre 1800 a Besançon; poi nel 1803 va in Svizzera ed entra nella Trappa diretta da Agostino de Lastrange.
Ma nel giugno 1804 ritorna a Chamblanc per unirsi a tre sorelle anch’esse desiderose di consacrarsi a Dio; il 14 aprile 1805 giorno di Pasqua, le quattro sorelle fanno benedire ed approvare i loro progetti dal papa Pio VII che era di passaggio a Chalon-sur-Saône, di ritorno da Parigi, dove il 2 dicembre 1804 aveva consacrato Napoleone imperatore.
Così preso coraggio, aprono a Chalon nel 1806, una scuola denominata “Associazione S. Giuseppe”, intanto il 12 dicembre 1806 Napoleone firma l’autorizzazione della piccola Comunità, così nel maggio 1807, le quattro sorelle Javouhey e altre cinque suore, pronunciano i voti nella chiesa di S. Pietro, eleggendo Anna come superiora, la quale aggiunse al suo nome quello di Maria e adotta come abito quello blu delle vignaiole di Borgogna.
Dopo essere stata alloggiata per cinque anni nel vecchio monastero di Autun, l’Associazione S. Giuseppe, si sposta nel giugno 1812 a Cluny nell’ex convento dei Recolletti, vicino alla celebre abbazia di S. Pietro. Da questo luogo la Fondazione, prenderà il nome di Congregazione delle “Suore di S. Giuseppe di Cluny”.
Da lì madre Javouhey intraprenderà altre iniziative di diffusione della Comunità, così il 10 gennaio 1817 le prime quattro suore sbarcano nell’isola Bourbon; re Luigi XVIII intanto conferma l’esistenza della sua Congregazione e le abilita all’insegnamento e all’assistenza ospedaliera.
Dopo aver fondato vari istituti in Francia, madre Anna Maria s’imbarca a Rochefort il 1° febbraio 1823 per raggiungere il Senegal dove fonderà quattro comunità; ritornata in Francia nel 1824, l’operosa superiora si dedica alla redazione degli Statuti dell’Associazione, che saranno approvati nelle varie sedi negli anni 1825, 1827 e 1829.
A lei si rivolse il ministro della Marina Chabrol, per offrirle di ricostituire nella Guyana Francese, l’antica fondazione della “Nouvelle-Angoulême” e madre Javouhey accetta, così il 28 giugno 1828 lascia Brest e sbarca a Cayenna il 10 agosto. Trascorse in quel clima tropicale, cinque anni di sacrifici per ricostituire il centro ed il villaggio di La Massa a 200 km da Cayenna.
Nel 1883 ritorna a Cluny per risolvere delle controversie sorte con il vescovo di Autun sulla giurisdizione della Fondazione; il 26 dicembre 1835 torna in Guyana e là con circa 500 schiavi demaniali liberati, si occupa nuovamente di La Massa, che è divenuto un centro di educazione dei negri, per farli usufruire al meglio della loro libertà e del loro lavoro.
Nel 1843 lascia i suoi amati negri per ritornare in Francia, per trattare i numerosi problemi spirituali, suscitati dalla sua opera; aprì un secondo noviziato a Parigi, che diverrà l’attuale Casa Madre.
Il suo lavoro continuò fino all’esaurimento delle sue forze, finché madre Anna Maria morì a Parigi il 15 luglio 1851e seppellita a Senlis, nella grande cappella della Congregazione. Fu una donna eccezionale, basti pensare che per una donna era una cosa fuor del comune in quei tempi, percorrere 45.000 km attraverso i mari e con i velieri di allora; in anticipo sui tempi, la madre Javouhey lavorò con tutte le sue forze alla promozione umana e cristiana della razza nera, subito capì la necessità di un clero locale, così fece preparare al sacerdozio i primi tre preti senegalesi, ordinati a Parigi nel 1840 e una giovane ex schiava delle Antille, divenne suora della Congregazione e visse e morì nell’isola di S. Lucia nei Carabi.
Ebbe l’intuizione profetica delle Chiese locali, segni visibili dell’universalità della Chiesa; fin dal 1817 mandò le sue figlie in ogni parte del mondo, nonostante le vicende spesso non favorevoli della Storia.
Papa Pio XI le conferì il titolo di “prima donna missionaria” per il suo impegno nell’evangelizzazione delle terre lontane.
Donna dall’intelligenza sorprendentemente pratica, dalla volontà di ferro, dalla forte personalità, è bene descritta da una frase del re di Francia, Luigi Filippo (1835): “La signora Javouhey, ma è un grand’uomo”.
Come ogni fondatore, madre Javouhey ha lasciato alle Suore di S. Giuseppe di Cluny, uno “spirito” ossia il modo di amare Dio e un “progetto particolare” ossia il modo di servire la Chiesa e il mondo; questi due elementi costituiscono il patrimonio di famiglia.
La causa per la sua beatificazione fu introdotta a Roma il 13 febbraio 1908; è stata beatificata il 15 ottobre 1950 in San Pietro da papa Pio XII.





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16/07/2011 09:32

Sant' Ansuero di Ratzeburg Abate e martire

15 luglio

Martirologio Romano: A Ratzeburg nell’Alsazia, ora in Germania, sant’Ansuero, abate e martire, che fu lapidato con altri ventotto monaci dai Vinédi insorti contro i predicatori della fede cristiana.



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16/07/2011 09:35

Beato Antonio Beszta-Borowski Sacerdote e martire

15 luglio

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Borowskie Olki, Polonia, 9 settembre 1880 – Piliki, Polonia, 15 luglio 1943

Il beato Antoni Beszta-Borowski, sacerdote diocesano, nacque a Borowskie Olki (Bialystok), Polonia, il 9 settembre 1880 e morì a Piliki, Polonia, il 15 luglio 1943. Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Martirologio Romano: Nella cittadina di Bielsk Podlaski in Polonia, beato Antonio Beszta-Borowski, sacerdote e martire, che, durante la guerra, fu arrestato da nemici della fede e morì fucilato per Cristo.




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16/07/2011 09:37

Sant' Atanasio di Napoli Vescovo

15 luglio

Martirologio Romano: A Napoli, sant’Atanasio, vescovo, che, dopo aver sofferto molto da parte del suo empio nipote Sergio, fu scacciato dalla sua sede e passò al cielo a Veroli tra i monti Ernici nel Lazio afflitto dalle tribolazioni.




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Beato Bernardo II di Baden Margravio

15 luglio

Baden, 1428 - Moncalieri (TO), 15 luglio 1458

Patronato: Moncalieri (TO), Baden Baden (Germania)

Emblema: Stendardo

Martirologio Romano: Nel villaggio di Moncalieri in Piemonte, beato Bernardo, che, margravio del Baden, fu colto da morte mentre si recava in Oriente in difesa dei popoli cristiani dopo la presa di Costantinopoli da parte dei nemici.


Moncalieri, città medioevale a poca distanza da Torino è forse l’unica in Italia ad avere come patrono un principe tedesco. Bernardo figlio del margravio di Baden Giacomo V e di Caterina di Lotaringia, nacque verso il 1428; Baden è una regione storica della Germania sud-occidentale corrispondente alla Selva Nera e il cui centro più importante, oggi è Baden Baden; il margravio invece nel Medioevo, era un titolo corrispondente a quello di marchese, dato ai feudatari tedeschi, ai quali era affidata la difesa delle terre di confine.
Di Bernardo si hanno poche notizie sulla sua vita, venne educato alla corte di Francia e avviato alla carriera militare sotto Francesco Sforza (1401-1466), condottiero di ventura e dal 1447 al servizio della Repubblica Ambrosiana, con il quale partecipò alla difesa di Milano dall’assalto dei Veneziani.
Si sa che ebbe promessa in sposa Maddalena, figlia di Carlo VII di Francia, ma non sembra che il matrimonio sia stato celebrato. In seguito lasciò la vita militare per scegliere quella diplomatica, più adatta alla sua indole pacifica, quindi svolse la sua attività al servizio dell’imperatore Federico III, rinunciando per questo al trono di Baden, di cui era diventato margravio dopo la morte del padre; lasciando la reggenza al fratello Carlo, per dedicarsi a missioni di pace verso numerosi principi dell’Europa di allora.
Alla caduta di Costantinopoli nel 1453 fu inviato dall’imperatore Federico III presso varie corti di Francia e d’Italia, per stringere alleanze e per raccogliere fondi necessari per organizzare una crociata che si preparava contro i Turchi.
E nell’ambito di queste missioni di alta politica, nel 1458 si reca a Genova per trattare un’alleanza della flotta genovese con quella veneziana, per contrastare i musulmani; ma a Genova trova la città in preda ad una epidemia di peste, nonostante che venga sconsigliato di entrarvi, Bernardo volendo compiere il suo dovere entra comunque, venendo contagiato.
Pur essendo ammalato, riprende il viaggio per tornare a Baden attraversando il Piemonte, ma giunto a Moncalieri muore il 15 luglio 1458 con l’assistenza dei frati francescani che l’avevano ospitato; suppongo che la causa della morte di questo giovane principe di 30 anni, non sia stata la peste, ma le conseguenze d’indebolimento del fisico, dopo che ne ebbe superata la fase acuta; se no da contagiato non poteva rimettersi in viaggio, con la possibilità di estendere l’epidemia in altri luoghi ed agli stessi accompagnatori.
Durante i solenni funerali ne vennero esaltate le virtù di messaggero e operatore di pace, e avvenne un primo miracolo, con la guarigione immediata di un moncalierese, ammalato gravemente agli arti inferiori.
Venne sepolto nella chiesa di S. Maria della Scala e sul suo sepolcro continuarono a verificarsi numerosi miracoli, che ne fecero estendere la venerazione e il culto di beato in varie regioni d’Europa.
Papa Clemente XIV il 16 settembre 1769 ne confermò il culto, dichiarandolo patrono del Granducato di Baden, oltre che della diocesi di Friburgo, della città di Moncalieri e quella di Vic nella diocesi di Nancy in Francia.
È solitamente rappresentato vestito con l’armatura, appoggiato ad un’asta, alla cui estremità vi è una croce o un vessillo. Moncalieri nei giorni precedenti il 15 luglio, giorno della sua celebrazione liturgica, gli riserva tutta una serie di manifestazioni religiose, folcloristiche in costume, rievocative, con la processione dell’urna d’argento, contenente le reliquie del beato Bernardo II margravio di Baden e suo patrono.


PREGHIERA

O glorioso Beato Bernardo di Baden,
che pur vivendo tra le ricchezze e le comodità della vita,
hai saputo praticare in sì alto grado la carità,
la preghiera, la mortificazione, la continenza,
ottieni a noi che ti invochiamo come nostro patrono,
l’amore di Dio, il distacco dai beni e i piaceri della terra,
affinché possiamo imitarti in vita,
ed essere un giorno beati con Te in Paradiso. Amen.

oppure:

O Dio, Tu sei grande e meraviglioso nei Tuoi Santi,
e attraverso il loro misericordioso amore celeste
non cessi mai di offrire a noi,
poveri e bisognosi sulla terra,
doni materiali e spirituali.
Umilmente Ti preghiamo per l’intercessione
ed i grandi meriti del Tuo Servo,
il Beato Bernardo di Baden:
purifica i nostri cuori, benedici le nostre case,
la nostra terra ed il nostro lavoro,
e fa’ dimorare presso di noi la verità e l’umiltà,
la castità e la temperanza, l’amore e la pietà.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

oppure:

O Dio, che in questo giorno hai coronato nei cieli
il beato Bernardo, tuo Confessore,
concedi propizio che, mentre celebriamo devotamente la sua festa,
cerchiamo di imitarne anche gli esempi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.



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16/07/2011 09:38

Santi Catulino e compagni Martiri

15 luglio

Martirologio Romano: Sempre nello stesso luogo, commemorazione dei santi Catulino, diacono e martire, in onore del quale sant’Agostino tenne un sermone al popolo, e altri martiri, che riposano nella basilica di Fausto.



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Beato Ceslao di Cracovia Domenicano

15 luglio

Cracovia, Polonia, 1180 c. - Wroclaw, 17 luglio 1242

Nacque in Slesia probabilmente nel 1180, passò la giovinezza a Cracovia. Nel 1220 faccompagnò insieme a san Giacinto, il vescovo di Cracovia Ivo Odrowaz a Roma. Lì conobbe san Domenico Guzman e assistette alla miracolosa resurrezione ddi un giovane operata dallo stesso Domenico. Giacinto e Ceslao decisero di entrare nell'ordine dei Predicatori, e furono mandati in Polonia per erigere nuove fondazioni. Durante il viaggio di ritorno si fermò a Praga dove fondò la casa domenicana presso la chiesa di San Clemente, prima di fare ritorno a Cracovia. Nel 1232 Ceslao diventò padre provinciale della Polonia. Girò per altri quattro anni per tutta la Slesia e la Polonia fondando case, finché nel 1236 si dimise e, tornò a Wroclaw, dove nel 1241 fu partecipe della liberazione della città dall'assedio dei tartari. Morì il 17 luglio 1242 e fu sepolto nella chiesa di Sant'Adalberto. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Breslavia in Slesia, nell’odierna Polonia, beato Cesláo, sacerdote tra i primi frati dell’Ordine dei Predicatori, che operò per il regno di Dio in Slesia e altre regioni della Polonia.


Nacque in Slesia probabilmente nel 1180, passò la giovinezza a Cracovia in una Polonia che ripresasi dalle invasioni mongole, ricresceva in quel cristianesimo introdotto due secoli prima dal re Miecislao I e che avrebbe poi avuto la grande fioritura sotto il re Casimiro il Grande.
I suoi studi iniziati a Cracovia proseguirono nelle Università di Parigi e Bologna, le maggiori in quell’epoca; fu ordinato sacerdote dal vescovo Vincenzo Kadlubek di Cracovia, nel cui ambiente aveva maturato la sua cultura intellettuale e spirituale, giacché era uno dei primi, gli fu affidata la Collegiata di Sandomierz.
Nel 1220 si presentò la grande occasione della sua vita, fu destinato ad accompagnare insieme a s. Giacinto, il vescovo di Cracovia Ivo Odrowaz a Roma, lì conobbe s. Domenico Guzman e assisté alla miracolosa resurrezione del giovane Napoleone nipote del cardinale Stefano, operata dallo stesso s. Domenico.
Allora Giacinto e Ceslao decisero di entrare nell’ordine dei Predicatori, furono così inviati a Bologna dove rimasero per un certo tempo, nel 1221 i suoi superiori di Bologna mandarono Ceslao insieme ad altri monaci in Polonia per erigere nuove fondazioni.
Durante il viaggio di ritorno si fermò a Praga dove fondò la casa domenicana presso la chiesa di s. Clemente, giunto a Cracovia vi operò per molti anni presso la chiesa della SS. Trinità, nel monastero da poco fondato da altri confratelli nel 1222.
Da lì passò a Wroclaw dove rimase per sette anni come superiore diventando nel 1232 padre provinciale della Polonia. Girò per altri quattro anni per tutta la Slesia e la Polonia fondando case, finché nel 1236 si dimise, costretto dall’esaurimento delle forze, da tutte le cariche, tornò a Wroclaw, dove nel 1241 fu partecipe della liberazione della città dall’assedio dei tartari. Morì il 17 luglio 1242 e fu sepolto nella chiesa di s. Adalberto. Papa Clemente XI confermò il culto il 27 agosto 1712 e papa Benedetto XIV nel 1748 fissò il giorno della sua celebrazione al 20 luglio. L'Ordine Domenicano lo ricorda il 17 luglio mentre il Martyrologium Romanum lo indica al 15 luglio.





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16/07/2011 09:45

San Davide di Svezia (David di Vasteras) Monaco e vescovo

15 luglio

m. 1082

Etimologia: Davide = diletto, dall'ebraico

Emblema: Guanto, Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Västerås in Svezia, san Davide, vescovo, che, di nazionalità inglese, dopo essere divenuto monaco cluniacense, partì per convertire gli Svedesi a Cristo e, ormai anziano, morì piamente nel monastero da lui stesso fondato.


Vi sono ben 18 santi con questo nome riportati dall’autorevole “Bibliotheca Sanctorum”, questo sta a dimostrarci la grande devozione che in ogni tempo, sia in Oriente che in Occidente, si è avuta in onore del grande profeta biblico.
Il Davide o meglio David che si celebra il 15 luglio fu vescovo di Västeras in Svezia, egli era un monaco cluniacense di origine anglosassone mandato verso il 1020 come missionario nella terra svedese.
Lavorò evangelizzando gli svedesi ancora pagani a partire dal Sud e poi nella Regione Centro-orientale del paese; abitò nel luogo dove ora sorge la chiesa di Munkathorp che con il suo nome ricorda appunto il monaco (munk) che battezzava i nuovi convertiti nell’acqua di una vicina sorgente.
Nella storia ecclesiastica della Svezia viene ricordato come l’apostolo del Västmanland e primo vescovo di Västerås. Probabilmente morì nel 1082 e il suo corpo fu sepolto a Munkathorp; quattro secoli dopo nel 1463 fu traslato nella cattedrale della sua sede vescovile.
Purtroppo come per altre reliquie di santi cattolici, quando in Svezia subentrò il luteranesimo, esse furono prese e sepolte nel cimitero e il suo sarcofago distrutto.
Il suo simbolo è un guanto, perché una leggenda dice che una volta appese i suoi guanti ad un raggio di sole.
Festa liturgica il 15 luglio.




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16/07/2011 09:46

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