1° gennaio 2011

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Stellina788
00sabato 1 gennaio 2011 12:10

Sant' Almachio Martire

1 gennaio

Etimologia: Almachio = nativo di Chio (Egeo)

Martirologio Romano: A Roma, sant’Almachio, che, opponendosi agli spettacoli gladiatori, per ordine del prefetto di Roma Alipio fu ucciso dai gladiatori stessi e così ascritto tra i martiri vittoriosi.


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00sabato 1 gennaio 2011 12:11

Beato Andrea Gomez Saez Sacerdote salesiano, martire

1 gennaio

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Bicorp, Spagna, 7 maggio 1894 - Madrid, Spagna, 1 gennaio 1937


Andrés Gómez Sáez nacque a Bicorp in provincia di Valenza il 7 maggio 1894 e fu battezzato il giorno dopo. Emise i voti religiosi a Carabanchel Alto (Madrid) il 28 luglio 1914 e ricevette l'ordinazione sacerdotale a Orense il 9 settembre 1925.
Esercitò il sacro ministero a Baracaldo, La Coruña e Santander, dove lo sorpre-se la rivoluzione del 1936. Si nascose per non venire incarcerato, ma il 1° gennaio del 1937 fu denunciato come sacerdote ai miliziani, che lo arrestarono e lo fucilarono.
Beatificato il 28 ottobre 2007.


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00sabato 1 gennaio 2011 12:11

Beata Caterina Solaguti Vergine mercedaria

1 gennaio

Mercedaria nel monastero di Gesù e Maria in Orozco (Spagna), la Beata Caterina Solaguti fu la prima santa monaca di questo monastero, e famosa per la vita che condusse piena di virtù, morì santamente nel bacio del Signore.
L’Ordine la festeggia l’1 gennaio.


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00sabato 1 gennaio 2011 12:12

San Chiaro Abate di S. Marcello di Vienne

1 gennaio

m. 660

Martirologio Romano: A Vienne in Burgundia, nell’odierna Francia, san Chiaro, abate del monastero di San Marcello, che lasciò ai suoi monaci un esempio di perfetta vita religiosa.


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00sabato 1 gennaio 2011 12:13

San Davide III il Restauratore Re di Georgia

1 gennaio

+ 24 gennaio 1130


Figlio dell’imperatore Giorgio, non aveva neanche dieci anni quando, nel 1089, il padre gli impose la corona imperiale. Regnò dal 1089 al 1130. Viene chiamato il Restauratore perché profittando della sua vasta intelligenza e della sua grande laboriosità, riportò il regno all’antica gloria e il popolo alle migliori condizioni di vita. Fu anche il “restauratore” della Chiesa georgiana. Mentre scacciava i nemici della patria, riedificò le chiese e i monasteri demoliti, patrocinò l’opera delle istituzioni culturali, convocò, d’accordo con l’autorità ecclesiastica, sinodi per ristabilire la disciplina fra il clero e il popolo cristiano. Morì il 24 gennaio 1130. Le sue reliquie si trovano nel monastero di Guelati. Nella Chiesa georgiana esiste l’Ufficio proprio in suo onore. La sua festa si celebra il 1° gennaio e il 28 e 29 marzo.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:14

Sant' Eugendo Abate di Condat

1 gennaio

450 - 510

Martirologio Romano: In un villaggio della Gallia lugdunense, presso il massiccio del Giura, in Francia, commemorazione di sant’Eugendo, abate di Condat: vissuto in monastero fin dalla fanciullezza, si dedicò con grande impegno alla promozione della vita monastica.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:14

San Frodoberto Abate di Moutier-La Celle

1 gennaio

m. 667 ca.

Martirologio Romano: A Troyes nel territorio della Neustria, nell’odierna Francia, san Frodoberto, fondatore e primo abate del monastero di Moutier-la-Celle.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:15

San Fulgenzio di Ruspe Vescovo

1 gennaio

Theleste (attuale Tunisia), ca. 462 - Ruspe (attuale Tunisia), forse 1 gennaio 527

Etimologia: Fulgenzio = splendente, luccicante, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Ruspe, nel territorio bizaceno, nell’odierna Tunisia, san Fulgenzio, vescovo, che, dopo essere stato procuratore di quel territorio, si fece monaco; nominato poi vescovo, patì molto sotto la persecuzione dei Vandali ad opera degli ariani e per due volte fu relegato in Sardegna dal re Trasamondo; restituito finalmente al suo popolo, lo nutrì fedelmente per i restanti anni della sua vita con la parola di verità e di grazia.

Ascolta da RadioMaria:
  

Il territorio tra Hammamet e il golfo di Gabes (Tunisia) forma nel V secolo la provincia romana Bizacena, ricca di cereali. Qui Fulgenzio, nato da una casata illustre (il nonno era senatore), da giovane se la cava bene come amministratore di beni familiari e poi pubblici. Sua madre è cristiana, ma di lui non si sa: forse cristiano, forse pagano. Nemmeno è del tutto chiarito il suo mutamento radicale: a un tratto lo troviamo monaco. E di quelli buoni, per dottrina e impegno. Tutto è cominciato, dicono i biografi, con la lettura di commenti biblici scritti da un altro cristiano d’Africa: Agostino di Ippona, morto nel 430.
Al tempo di Fulgenzio tutta l’Africa romana è regno dei Vandali, con capitale Cartagine. Ariani i dominatori, cattolici i sudditi: la convivenza è difficile; sotto il regno di Trasamundo (496-523) non manca la persecuzione. Fulgenzio raggiunge via mare Siracusa, per proseguire verso l’Egitto. Vuole farsi eremita lì, come tanti. Ma le notizie di conflitti nella Chiesa egiziana gli fanno cambiare idea. E nell’anno 500 lo troviamo a Roma. Una città suddita, ma che vuole mostrarsi splendida al suo nuovo padrone, Teodorico il Goto. Fulgenzio è sbalordito da quello che vede: dovunque restauri e abbellimenti, costruzioni vere e finte, feste e appalti; un’appetitosa “Roma 500”, per usare il linguaggio del XX secolo.
Tornato in Africa, viene consacrato sacerdote. Re Trasamundo, che vuole l’estinzione morbida della Chiesa, proibisce di dare successori ai vescovi morti. Ma i cristiani eleggono in segreto i vescovi, e uno di essi è Fulgenzio, fatto capo della Chiesa di Ruspe (sempre in Tunisia). Trasamundo manda tutti gli eletti a soggkorno obbligato in Sardegna, che fa parte dei suoi domini. E qui, almeno, i cattolici sono lasciati in pace. Così, in un monastero di Cagliari, Fulgenzio diventa maestro di vescovi, di preti, di monaci, e consigliere e pacificatore tra i cittadini.
Diventa, nella sua umiltà, un capo, una figura che nemmeno re Trasamundo può ignorare. Difatti lo richiama a Cartagine, lascia che predichi, e anzi gli chiede pareri, lo interpella su questioni di fede. Insomma, lo stima molto. Anche se, per placare i suoi ariani duri e puri, deve rimandarlo a Cagliari. Solo alla morte del re sarà possibile a Fulgenzio tornare in patria, per fare sempre lo stesso lavoro: formare vescovi, preti e fedeli, con una sua pedagogia efficacissima che parte dall’esempio.
Preghiera, lettura e scrittura riempiono le sue giornate. Nelle sue opere espone con nitida precisione la dottrina trinitaria e cristologica, tratta i problemi della grazia e della predestinazione, polemizza con gli ariani. Muore a Ruspe, ma insegnerà anche da morto. Il Concilio Vaticano II (nel decreto sull’attività missionaria della Chiesa) farà riferimento anche al pensiero di Fulgenzio, espresso in una lettera al re Trasamundo.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:16

Beati Giovanni Battista e Renato Lego Martiri

1 gennaio

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+ Angers, Francia, 1 gennaio 1794

I fratelli sacerdoti Jean-Baptiste e René Lego, nati a La Flèche rispettivamente il 13 maggio 1766 ed il 5 ottobre 1764, subirono il martirio durante la Rivoluzione Francese e vennero beatificati il 19 febbraio 1984 da Papa Giovanni Paolo II insieme con altri martiri della diocesi di Angers.

Martirologio Romano: Ad Avrillé presso Angers in Francia, beati fratelli Giovanni e Renato Lego, sacerdoti e martiri, che, durante la rivoluzione francese, essendosi rifiutati di prestare l’empio giuramento imposto al clero, furono ghigliottinati.


Sono molteplici le coppie di fratelli venerati come santi dalla Chiesa, fra i quali vogliamo ricordare in particolare i patriarchi Mosè ed Aronne, gli apostoli Pietro ed Andrea, i martiri Cosma e Damiano, gli evangelizzatori dei popoli slavi Cirillo e Metodio, i protomartiri russi Boris e Gleb, Sant’Annibale Maria ed il Servo di Dio Francesco Maria Di Francia, San Paolo della Croce ed il Venerabile Giovanni Battista Danei, i Beati Giovanni Maria e Luigi Boccardo, i Venerabili Antonio e Marco Cavanis, i Servi di Dio Flavio e Gedeone Corrà. A questa folta schiera bisogna aggiungere altre due coppie di fratelli, vittime della Rivoluzione Francese: i Beati Charles-Louis e Louis-Benjamin Hurtrel di Parigi ed i Beati Jean-Baptiste e René Lego di Angers, questi ultimi oggetto della presente scheda agiografica.
Il 1794 nella storia di Francia fu quasi certamente l’anno più sanguinoso, in particolare per i cattolici che si trovarono a dover testimoniare la loro fede sino all’effusione del sangue, e proprio tale anno si aprì il con il sacrificio della vita dei due fratelli sacerdoti Jean-Baptiste e René Lego. Nati a La Flèche, nel dipartimento francese di Sarthe, rispettivamente il 13 maggio 1766 ed il 5 ottobre 1764. Ordinati presbiteri della diocesi di Angers (dipartimento di Maine-et-Loire), ben presto si ritrovarono nella bufera della rivoluzione, costretti dunque a scegliere tra il giuramento alla nuova Costituzione Civile del Clero o la fedeltà al Romano Pontefice. I due fratelli optarono, a costo della vita, per questa seconda opzione e, dopo un processo nei loro confronti, il 1° gennaio 1794 nei pressi di Angers vennero ghigliottinati. In tutta la Francia un incalcolabile numero di cattolici, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, subì la medesima sorte e per limitarsi ora alla diocesi di Angers si conoscono almeno duemila nomi. Insieme ad alcuni di essi, il 19 febbraio 1984 Papa Giovanni Paolo II ha beatificato i fratelli Jean-Baptiste e René Lego, ponendoli così a modello per i sacerdoti di oggi, talvolta più fedeli alle mode secolari che a Cristo ed al suo Vicario in terra.


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00sabato 1 gennaio 2011 12:17

Beato Giovanni da Montecorvino

1 gennaio

Montecorvino Rovella, Salerno, 1247 - 1328

Primo apostolo della Cina.

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico.

Nacque nel 1247 a Montecorvino Rovella nel Salernitano, secondo alcuni, Montecorvino di Puglia, nella Daunia, vicíno Lucera, secondo altri. In favore di questi ultimi viene addotta la testimonianza di un coevo e confratello del grande missionario, fra Elemosina, che nel suo Chronicon lo dice: "Frater Ioannes de Montecorvino Apuliae".
Trascorse la sua giovinezza nel secolo e, comc scrive un altro suo coevo e confratello, fra Giovanni Marignolli, anch'egli illustre missionario, fu soldato, giudice e dottore.
Secondo lo stesso Marignolli avrebbe esercitato questi uílici per l'imperatore Federico, entrando poi a settantadue anni di età nell'Ordine .Minoritico; ma questi dati che, probabilmente, vanno attribuiti ai copisti piú che al coevo Marignolli, non sono esatti. Da una lettera dello stesso corvi nese, infatti, sappiamo che nel gennaio del 1305 aveva cinquantotto anni ed era religioso e missionario da oltre vent'anni.
In religione, come ricorda il citato fra Elemosina, fu un devoto imitatore di s. Francesco, rigido e severo nell'osservanza della Regola, fervido nell'insegnamento e nella predicazione della parola di Dio. E il Marignolli aggiunge: doctissimus et scientissimus.
Verso il 1279 fu inviato con altri minoriti in Armenia, in Persia e altre regioni del Medio Oriente. Vi colse non pochi frutti per la fede e la civiltà cristiane, e dieci anni dopo, nel 1289, tornò in Italia, per riferire al pontefice Niccolò IV e averne ordini e istruzioni. Presso il papa fu anche ambasciatore del re di Armenia, Haiton II, e del re di Persia, Argun, in pericolo per gli attacchi e le richieste tributarie dei Tartari e dei Saraceni.
Ripartí nello stesso anno per le missioni d'Oriente, legato del papa presso i suddetti re e altri principi orientali, e particolarmeme presso il Gran Khan della Cina, Kubilai, ai quali tutti, come ai patriarchi di Antiochia e di Georgia, recava lettere pontificie.
Lascio Rieti, dove era la curia papale, il 15 luglio 1289, e munito delle piú ampie facoltà per la diftusione del Vangelo fra i popoli dell'Asia, da Venezia o Ancona raggiunse dapprima Antiochia e la Georgia e passò poi a Sis, la capitale dell'Armenia, e a Tabriz sede del re di Persia. Qui svolse per breve tempo il suo apostolato, ospite gradito nei conventi dei Minoriti e dei Domenicani.
Nel 1291, con due soli compagni, Nicolò da Pistoia e Pietro Lucalongo, ricco e pio mercante italiano, riprese il suo cammino apostolico e scese in India dove, in tredici mesi di attività missionaria, convertí un buon numero di indiani e costruí per loro una ckiesa presso S. Tomé, Maliapur, nel territorio di Madras. Perduto qui il suo compagno domenicano che seppellí nella nuova chiesa, continuò il suo viaggio verso la Cina, con il Lucalongo, via mare, come sembra; fu dunque uno dei primi che usarono la via d'acqua tra l'India e la Cina (Almagià).
Da un porto, non identificato, della costa cinese, nel 1294 ripartí per Khambalik, Pekino, sede del Gran Khan di Cina, dove fu accolto con grandi onori quale legato di Roma, da Timur, succeduto a Kubilai (m. 18 febbraio 1294), che gli offrí anche ospitalità alla corte imperiale.
Iniziò subito il suo apostolato missionario, invitando lo stesso Gran Khan ad abbracciare la fede cristiana, ma lo trovò tenacemente legato all'idolatria, sebbene benevolo verso i cristiani. Felice esito ebbe invece la sua predicazione con il re di Tenduc, Giorgio, nestoriano, che non solo abbracciò la fede cattolica, ma volle ricevere anche gli Ordini minori, attraendo poi verso la sua nuova tede non pochi sudditi, e costruendo per essi una chiesa dedicata alla S.ma Trinità e detta "Chiesa romana" in onore del papa é del suo legato. Per questo fu accusato di apostasia dai nestoriani che nello stesso tempo accusavano il corvinese di essere un impostore, mago e falso legato papale.
Tutto ciò creò grandi difficoltà per l'apostolato di Giovanni che, peraltro, riconosciuto innocente dinanzi al Gran Khan, poté riprendere con successo la sua opera. Nei trentacinque anni in cui rimase a Khambalik, suo centro di irradiazione cristiana, vi costruí tre chiese e conventi e vi eresse due istituti, che si direbbero seminari, dove quaranta fanciulli dai sette agli undici anni venivano istruiti nel latino, nella liturgia e nel canto. Per essi, che ricorda salmodianti nelle chiese della città, scrisse trenta Salteri e Innari e due Breviari, ed essi stessi preparò a divenire trascrittori di testi liturgici. Apprese poi tam perfecte, come scrive il suo compagno di missione Arnoldo Alemanno, la lingua del paese, tradusse in mongolo il Nuovo Testamento e il Salterio, pensando anche alla traduzione di tutto il Breviario, perché insieme alla predicazione, alle immagini fatte dipingere in chiesa, al canto e al suono, divenissero strumenti piú efficaci di evangelizzazione.
Altre chiese e conventi costruí a Yangtchon nel Kiang-su, a Zayton nel Fukien e nel Tchekiang, nel Tenduc e ad Armalek (Kulgia), e migliaia furono i Mongoli convertiti alla fede cristiana.
Molti di questi dati sono esposti in due lettere inviate da Giovanni in Europa l'8 gennaio 1305 e il 13 febbraio 1306; altri sono tolti da lettere e relazioni di coevi, confratelli e missionari, quali Arnoldo Alemanno, Andrea da Perugia, Pellegrino da Città di Castello, Giovanni da Core.
Nelle lettere del corvinese v'è anche un pressante appello all'invio di nuovi missionari, che non gli mancarono per interessamento del pontefice Clemente V e del ministro generale Gonzalvo di Spagna. Sette di essi, tutti Minoriti, furono eletti vescovi (23 luglio 1307) e rimandati in Cina, perché a loro volta consacrassero Giovanni in pari data, arcivescovo di Khambalik e patriarca di tutto l'Oriente "in toto dominio Tartarorum". Tre di quei vescovi (Nicolò da Banzia, Ulrico da Seyfridsdorf e Andreuccio da Assisi) non giunsero a destinazione, essendo morti nel viaggio attraverso l'India; uno ritardò la sua partenza (Guglielmo da Villanova); ma vi giunsero con molti missionari gli altri tre (Andrea da Perugia, Gerardo Albuini e Pellegrino da Città di Castello), tra il 1309-1310. Fu allora che, con la consacrazione di Giovanni e con i tre suffraganei superstiti, ai quali si aggiunsero poi il ritardatario Guglielmo e, nel 1311, altri tre vescovi (Pietro da Firenze, fra Tommaso e Girolamo di Catalogna), venne anche organizzata la prima gerarchia di Cina con le sedi di Khambalik, Zayton e Caffa.
Il corvinese ne fu l'anima fino al 1328, quando, ricco di meriti e di virtú, morí nella sua sede arcivescovile e primaziale. Ebbe solennissime esequie, come narra Giovanni da Core, presente una gran folla di fedeli e di pagani, e il suo sepolcro fu in grande venerazione.
Fra Elemosina lo disse "B. Francisci devotus imitator"; Arnoldo Alemanno ne rilevò la "semplicem puritatem vitae et sanctam laudabilemque conversationem"; il Marignolli, che fu a Khambalik nel 1342, poteva ricordarlo con le significative parole: "quem sanctum venerantur Tartari et Alani". Come beato entrò nel Martirologio Francescano che lo commemora il 1° gennaio chiamandolo "primo apostolo della Cina".
La sua causa viene trattata presso la S. Congregazione dei Riti, e non constando della continuità del culto del nostro beato, anche per la distruzione cui andò soggetta l'opera sua nei secc. XIV e XV, è stato presentato un supplice libello per ottenere una beatificazione equivalente per viam exceptionis. Simile richiesta, fatta anche al pontefice Pio XI dal primo concilio plenario cinese, riunito a Shanghai il 12 giugno 1924, non ha avuto ancora una risposta diretta.


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00sabato 1 gennaio 2011 12:17

San Giuseppe Maria Tomasi Cardinale, teatino

1 gennaio

Licata (Agrigento), 12 settembre 1649 – Roma, 1° gennaio 1713

Figlio del Duca di Palma di Montechiaro, celebre famiglia nobile siciliana di Lampedusa, rinunciò al titolo a favore del fratello e si fece religioso teatino. Grande studioso di liturgia, scrisse libri contro gli eretici dell'epoca, esercitò importanti incarichi nella Curia romana e ricevette la dignità cardinalizia. E' stato canonizzato nel 1986.

Martirologio Romano: A Roma, san Giuseppe Maria Tomasi, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari, detti Teatini, e cardinale: nell’ardente desiderio di rinnovare il culto divino, passò quasi tutta la sua vita a ricercare e pubblicare antichi testi e documenti della sacra Liturgia e si adoperò nel catechizzare i fanciulli.


Discendente della nobiltà siciliana del Seicento, Giuseppe Tomasi, figlio primogenito di don Giulio, duca di Palma e principe di Lampedusa e di donna Rosa Traina, nacque a Licata (Agrigento) il 12 settembre 1649.
Ebbe una educazione cristiana ed umanistica, fu istruito anche nelle lingue moderne, soprattutto quella spagnola, essendo destinato dalla famiglia, come paggio alla corte del re di Spagna.
Ma in lui ben presto fiorì la vocazione allo stato sacerdotale e nel 1664 ottenne il consenso dei genitori ad entrare fra i padri Teatini, vestendone l’abito in S. Giuseppe a Palermo; il 25 marzo 1666 rinunciò ai suoi diritti patrimoniali e feudali a favore del fratello don Ferdinando.
Si approfondì negli studi sacri e quelli in lingue orientali, sotto la direzione di padre Francesco Maria Maggio, che citò il suo allievo per la pietà e l’erudizione che dimostrava, in una sua opera di liturgia sacra. Studiò a Messina, Ferrara, Modena e Roma, nelle varie case dei ‘Chierici Regolari’ detti Teatini, fondati nel 1524 da s. Gaetano da Thiene; nel 1671 era diacono.
L’anno successivo nel 1672 tornò nel feudo di Palma di Montechiaro per la morte del fratello, completò gli studi teologici a Palermo e nel 1673 venne ordinato sacerdote nella Casa Generalizia dell’Ordine a S. Silvestro di Monte Cavallo a Roma; qui dimorò per molti anni in una semplice stanzetta, poi tramutata in cappella e oggi scomparsa.
Rifiutò le cariche nell’Ordine e sempre si dedicò alle opere di pietà, agli studi liturgici e testi sacri, apprese la lingua ebraica dal dotto rabbino Mosè da Cave, il quale per suo merito, si convertì al cattolicesimo, venendo battezzato con il nome di Giuseppe.
Fu ammesso al circolo degli eruditi ed alla biblioteca della regina Cristina Alessandra di Svezia, di cui si avvalse dei codici contenuti, provenienti dalla Biblioteca Floriacense, nel comporre la sua opera fondamentale “Codices Sacramentorum nongentis annis vetustiores…” , pubblicata a Roma nel 1680 e dedicata alla stessa regina Cristina.
La sua fu una vita di dotto studioso, senza trascurare i doveri di sacerdote e di religioso e la sua intima vita spirituale; prese a pubblicare numerose opere di liturgia e di scienza sacra e per sottrarsi all’attenzione e lodi provenienti dai dotti dell’epoca, prese a sottoscriverle con il cognome dell’ava paterna: Giuseppe Caro.
Sempre alla ricerca di antichi documenti liturgici, pubblicò una raccolta di ‘Antifonari e Responsoriali’ tratti dal Monastero di San Gallo e dall’Archivio della Basilica Vaticana; con la protezione del cardinale Barberini, arciprete di S. Pietro, curò l’edizione critica della Bibbia in due volumi nel 1688.
Redasse nel 1690 le ‘Costituzioni’ delle monache benedettine del Monastero della Vergine Maria del Rosario di Palma, nella diocesi di Girgenti (Agrigento), per la fondazione voluta nel 1659 dalla sua stessa famiglia e in cui tra le prime dieci monache, professarono tre sue sorelle e come badessa la zia materna donna Antonia Traina; in seguito vi entrò anche la madre.
Si occupò anche dell’istruzione pubblica in Palma, promuovendo la venuta dei padri Scolopi, si rallegrò con il nipote Ferdinando perché frequentava il collegio a Palermo, convinto che si impara meglio nella scuola pubblica che a casa con il proprio maestro, che non è temuto proprio perché frequenta la casa. Continuarono le pubblicazioni di carattere liturgico e biblico e il 18 maggio 1712, fu creato cardinale da papa Clemente XI.
Purtroppo dopo nemmeno un anno, si ammalò e morì a Roma il 1° gennaio 1713, fu sepolto nella chiesa di San Martino ai Monti del suo titolo cardinalizio; la ricca urna che ne contiene il corpo, fu fatta costruire nel 1903 dal cardinale Vaszary, primate d’Ungheria.
Precursore della Riforma liturgica, per lo spirito delle sue opere di restaurazione degli antichi riti della Chiesa; fu venerato dai pontefici del tempo, che l’avevano conosciuto personalmente; papa Benedetto XIV, in deroga ai decreti di Urbano VIII, diede inizio prima dei prescritti 50 anni dalla morte, ai processi per la sua beatificazione.
Fu beatificato il 29 settembre 1803 da papa Pio VII e canonizzato da papa Giovanni Paolo II il 12 ottobre 1986.


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00sabato 1 gennaio 2011 12:18

San Giustino di Chieti Vescovo

1 gennaio

m. 540

Patronato: Diocesi Chieti-Vasto

Martirologio Romano: In Campania e in Abruzzo, commemorazione di san Giustino, celebrato come vescovo, insigne per zelo e per la difesa dei cristiani.


San Giustino è considerato da un’antica tradizione l’evangelizzatore della città di Chieti, nonchè il suo primo vescovo, nonostante molte incertezze circa il periodo in cui sarebbe vissuto. Non esiste infatti una documentazione storica dalla quale trarre notizie particolareggiate circa la sua vita: solo nel XV secolo comparirono alcune sue “passio”, in gran parte ricalcate a modello di quelle dei santi omonimi, che finiscono per confonderlo con un santo di Siponto che avrebbe subito il martirio in Abruzzo nel III secolo insieme ai fratelli, Fiorenzo e Felice, ed alla nipote, Giusta.
E’ cosa comunque certa che la cattedrale di Chieti venne invece intitolata al santo vescovo Giustino almeno sin dal IX secolo. Proprio a tale epoca risalgono, infatti, i primi documenti sulla chiesa a noi pervenuti. Assai probabilmente questo misterioso personaggio resse la diocesi di Chieti durante il travagliato periodo delle invasioni barbariche e della diffusione dell’eresia ariana, cioè intorno alla fine del IV secolo.
In tale frangente storico, dinnanzi al dissolversi delle istituzioni statali dell’Italia del tempo, il popolo iniziò a stringersi attorno ai pastori, scelti tra le figure più carismatiche del mondo cristiano. Non sono poche, infatti, le città italiane a venerare quali santi i loro vescovi di quel periodo.
Gran parte delle reliquie del santo sono ancor oggi venerate in un’urna, posta nella cripta della cattedrale teatina. Oggetto di una particolare ed antica venerazione è il Santo Braccio, al quale la devozione popolare attribuì numerosi miracoli, tra i quali quello del 593 in cui il Santo Braccio, portato in processione dai teatini, respinse un’invasione di cavallette che minacciavano i raccolti nei dintorni della città.
San Giustino era un tempo festeggiato al 1° gennaio, poi nel 1616 la sua festa fu spostata al 14 gennaio ed infine trasferita all’11 maggio. Il Martyrologium Romanum lo commemora comunque ancora nella data originaria.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:19

San Guglielmo di Volpiano Abate di S. Benigno di Digione

1 gennaio

962-1031

Etimologia: Guglielmo = la volontà lo protegge, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Nel monastero di Fécamp in Normandia, transito di san Guglielmo, abate di San Benigno di Digione, che negli ultimi anni della sua vita governò con fermezza e prudenza i suoi moltissimi monaci distribuiti in quaranta monasteri.


Figlio di Roberto, nobile italiano, e di Perinza, nobile di ascendenza lombarda, Guglielmo nacque nel 962 nel castello dell'isola San Giulio sul lago d'Orta; ebbe per madrina l'imperatrice Adelaide, sposa di Ottone I. Il motivo del nome da Volpiano è nella residenza della sua famiglia in quel borgo del canavese dove già intorno all'anno 1000 sorgeva un importante castello (rimasto in piedi fino al 1555 quando fu distrutto ad opera dei francesi).
Oblato nel 969 nel monastero benedettino di S. Michele di Locedio, frequentò successivamente le scuole di Vercelli e di Pavia. Di ritorno al suo monastero, vi fece la professione e ricevette la direzione del coro e della scuola monastica, divenendone ben presto il secretarius. Dopo un breve ritiro sul monte Pircheriano, conobbe Maiolo, abate di Cluny, quando questi, nel 985, riformò l'abbazia di Locedio, e lo seguí a Cluny, dove risiedette dal 985 al 989.
Priore di St-Saturnin-sur-Rhone per qualche mese, fu incaricato della restaurazione materiale e spirituale dell'antica abbazia di S. Benigno a Digione, secolarizzata da ca. cento anni, che il vescovo di Langres, Bruno di Roucy, aveva affidato a Cluny. Guglielmo ricevette la benedizione abbaziale il 7 giugno 990. A Digione, egli stabili l'osservanza cluniacense, pur conservando alla sua abbazia una completa indipendenza nei confronti di Cluny. Si allontanò infatti dallo spirito cluniacense soltanto per una eccessiva severità, che gli valse il soprannome di supra regulam. Ricostruí la chiesa di S. Benigno dopo aver creduto di ritrovare il corpo dello pseudo martire che vi era venerato, e vi stabilì una scuola che ebbe un rapido fiorire.
Il vescovo di Langres gli affidò poi la riforma dei monasteri di Bèze, Tonnerre, Molesme e Moutier-Saint-Jean; infine fondò sulle proprietà paterne (1001-1003) l'abbazia di S. Benigno di Fruttuaria (dioc. d'Ivrea).
Il suo biografo, che fu monaco nell'abbazia di Digione, Rodolfo Glabro, ricorda che Guglielmo riformò una quarantina di abbazie: si tratta, oltre a quelle citate nella diocesi di Langres, di St-Vivant di Vergy (Autun), S. Apro di Toul, St-Arnoul di Metz, la Trinité di Fécamp, Jumièges, St-Ouen di Rouen, il Mont-Saint-Michel in Normandia, St-Faron di Meaux, Gorze, Saint-Germain-des-Prés (Parigi), S. Apollinare di Ravenna, S. Ambrogio di Milano, Moyenmoutier e St-Mansuy di Toul; a Guglielmo si deve anche la fondazione di Bernay. Ampliò, inoltre, l'influenza della sua abbazia di Digione con la fondazione di priorati nelle diocesi di Langres, Autun, Chalon-sur-Saone, Troyes, Toul, e di quella di Fruttuaria con la creazione dei priorati di Quaranta, Paderno, Cavalliaca, Navigena e S. Perpetua di Asti. Attraverso la Normandia la sua influenza si estese in Inghilterra.
Della sua opera letteraria ci rimangono una dozzina di lettere e un trattato De vero bono et contemplatione divina. Pare siano andate perdute altre opere: il Liber de reformatione et correctione cantus, il Psalterium pro idiotis, Sermones plares, De eleemosinis decimalibus et quadragesimalibus.
Oltre ad una riforma dello statuto dei conversi in virtú della quale questi divengono dei familiari bisogna ricordare, nell'opera di Guglielmo, soprattutto una osservanza piú rigorosa nella preghiera, nel cibo e nelle vesti, la sua cura nella fondazione, soprattutto in Normandia, di scuole popolari, che permettevano ai fedeli di imparare a leggere e cantare i salmi, e il suo zelo nella costruzione di chiese; si deve a lui, infatti, l'introduzione per primo in Borgogna dei maestri comaschi dell'Italia settentrionale.
Quando morí a Fécamp, il 1° gennaio 1031, Guglielmo aveva sotto la sua direzione mille e duecento monaci disseminati nelle diverse abbazie e priorati. Fu sepolto in quella città, davanti all'altare di S. Taurino nel monastero della Trinità. Il suo culto è stato approvato nel 1808 per la diocesi di Ivrea. Festa al 1° gennaio.


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00sabato 1 gennaio 2011 12:19

Beato Luigi (Lojze) Grozde Martire

1 gennaio

Gorenje Vodale, Slovenia, 27 maggio 1923 - Mirna, Slovenia, 1 gennaio 1943


Porta su di sé, come marchio indelebile, la vergogna di essere figlio illegittimo. Vergogna che soprattutto è di sua madre, che si rifiuta anche di allevarlo, per non aver sempre davanti agli occhi il ricordo della sua colpa. Se il padre naturale si rifiuta di riconoscerlo come figlio, l’uomo che quattro anni dopo sposa sua madre si rifiuta di accettarlo in casa. Così sono i nonni e una zia a prendersi cura di lui e forse è un bene, perché lo educano alla fede e all’amor di patria, anche se a lui mancherà sempre l’affetto di mamma. Venuto alla luce nel maggio 1923, in Slovenia, cresce in aperta campagna, nel tipico ambiente contadino del tempo, contraddistinto da lavoro duro e tanta povertà. Il bambino, però, eccelle negli studi e sembra quasi che trovi nei suoi successi scolastici la compensazione alla carenza di affetto materno che lo ha fatto sentire sempre inferiore ai suoi compagni.  Fatto sta che gli fanno proseguire gli studi nella capitale, a Lubiana, frequenta il liceo e si diploma a pieni voti, grazie anche ad una benefattrice che gli paga gli studi e la permanenza al convitto. A 13 anni entra a far parte della Congregazione Mariana, di cui per un periodo sarà pure il presidente, ma per quanto forte non è questa l’esperienza decisiva per far maturare la sua fede. Due anni dopo alcuni compagni di liceo gli fanno conoscere l’Azione Cattolica ed è subito amore a prima vista. È convinto che sia stata proprio la Madonna a fargli la grazia di entrare a far parte di questa associazione: preghiera, incontri formativi, letture, apostolato attivo lo portano in poco tempo a consolidare la sua fede. Diventa il ragazzo della comunione quotidiana, della testimonianza forte, del sorriso limpido; lo studio diventa il suo mezzo per fare apostolato, per avvicinare i compagni, per annunciare la sua fede. “Non voglio essere un uomo mediocre. Un compito tanto bello e così sublime come quello proposto dall’Azione Cattolica vale la pena che sia vissuto a qualsiasi costo”, scrive. E che non siano semplicemente buoni propositi lo dimostreranno i fatti. In quegli anni pensa anche al sacerdozio, ma gli sembra di poter fare di più e meglio come laico impegnato e coerente. “Il giovane di Azione Cattolica deve essere sempre disposto ai sacrifici, perfino al martirio e alla morte”: parole dal sapore profetico, annotate sul suo diario in tempi non sospetti, quando ancora nulla sembra far prevedere il peggio. Eppure quel ragazzo “come tanti” comincia a diventare “speciale”, allenandosi al sacrificio, prendendosi cura come non mai della sua vita spirituale, votandosi interamente al Regno di Dio: non sa di prepararsi in questo modo a scelte ben più impegnative. Perché in Iugoslavia i tempi si fanno difficili e con il comunismo promosso da Tito si scatena anche una feroce persecuzione contro i cattolici. Per le feste natalizie del 1942 sente forte il desiderio di tornare in famiglia per far visita ai suoi. Durante il viaggio, il 1° gennaio 1943 si ferma al monastero cistercense di Stična per accostarsi alla comunione, che sarà l’ultima della sua vita, perché in quello stesso giorno viene intercettato dai partigiani di Tito e fatto prigioniero con il pesante sospetto di essere il corriere dei militanti anticomunisti. Dalla persecuzione cui è sottoposto, però, saltano fuori soltanto un messalino, un libretto religioso e alcune immaginette. Crudelmente torturato per tutta la notte nel tentativo di fargli rivelare inesistenti complotti e una sua fantomatica attività di spia, viene alla fine ucciso come pericoloso cattolico. Il suo corpo orribilmente seviziato viene ritrovato il 23 febbraio, per caso, da alcuni ragazzini. Dal piccolo cimitero in cui viene sepolto, il ventenne cattolico dal coraggio indomito e dalla fede limpida continua però ad attrarre con la fama popolare del suo martirio, riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa nello scorso mese di marzo. E domenica scorsa, nella città slovena di Celje, nel contesto del Congresso Eucaristico sloveno, è stato solennemente beatificato Alpjzij (Luigi) Grozde, il ragazzo entusiasta della sua fede e innamorato dell’Eucaristia.

Autore: Gianpiero Pettiti



Lojze Grozde nacque il 27 maggio1923 a Gorenje Vodale, e fu battezzato il 27 maggio, nella chiesa parrocchiale di Trzisce na Dolenjskem, diocesi di Novo mesto (Slovenia). Era figlio illegittimo, il padre naturale non lo volle mai riconoscere come proprio figlio. Per questo motivo figlio e madre furono trascurati dai molti parenti. Quando Lojze aveva quattro anni la madre si sposò con un certo Kovac. La madre dovette lavorare molto presso vari padroni per mantenere se stessa e il figlio e cosi Lojze fu allevato presso i nonni materni e la zia.
L’ambiente in cui nacque e visse la sua infanzia il Beato, era quello tipico di contadini poveri, dediti al duro lavoro della campagna, ebbe un influsso sul suo temperamento e sul suo carattere personale, molto riservato e timido.
L’ assenza di mamma, sempre molto impegnata con il lavoro, causò a Lojze molta sofferenza. All’età di sei anni cominciò a frequentare la scuola elementare. Malgrado tutte queste difficoltà il Beato fu educato fin da bambino nella fede cattolica e nell’amore verso Dio e verso la patria. La sua profonda vita interiore traspariva già nelle sue composizioni scolastiche, in cui egli superava in tutto i compagni per il suo maggiore sviluppo spirituale.
Terminata con successo la scuola elementare, cominciò a frequentare il ginnasio-liceo nella capitale della Slovenia, a Ljubljana: Dopo otto anni di studio conseguì la maturità classica. Durante lo studio, con l’aiuto di benefattori, potè ottenere un posto nel convitto vescovile a Marijanisce (Marianum). Molto generoso nell'aiutare i compagni di scuola e di convitto, riuscì a conquistare la simpatia di tutti. In quell tempo cominciò anche a comporre poesie. L'8 dicembre 1936  Lojze diventò membro della Congregazione Mariana e si consacrò all'Immacolata. Alcuni anni dopo, diventò pure il presidente della Congregazione Mariana.
Mentre frequentava il liceo, alcuni membri dell'Azione Cattolica, lo invitarono a partecipare alle loro riunioni. I loro ideali lo stimolavano ad affrontare nuovi impegni apostolici: voleva fare tutto per il regno di Dio, condurre gli altri giovani a Cristo, sacrificarsi per la salvezza dell anime. Era convinto, che proprio la Vergine Santissima, di cui era molto devoto, l'aveva guidato verso l'Azione Cattolica per allargare l'orizzonte della sua vita spirituale e il suo campo d'azione. Coltivò in sè una fede sicura e ferma e lo spirito di sacrificio. La sua fede incrollabile lo rendeva ottimista. Nel suo diario aveva scritto: il giovane di Azione Cattolica deve essere sempre disposto ai sacrifici, perfino al martirio e alla morte. Attinse la forza per il suo apostolato laico dall' Eucaristia, alla quale partecipava quasi ogni giorno e dalla Comunione quotidiana.
Già durante gli studi al liceo aveva pensato spesso di farsi prete. Dopo la preghiera e una lunga riflessione decise che come laico dell'Azione Cattolica, avrebbe potuto fare di più per il Regno di Dio e per salvare le anime.
Col crescere dell'età continuava a migliorare se stesso. Lojze aveva sempre avuto un forte senso di appartenenza alla nazionalità slovena, ma nello stesso tempo intuiva il pericolo che veniva per il popolo dalla rivoluzione comunista. Durante la seconda guerra mondiale la Slovenia fu occupata dagli Italiani e dai Tedeschi, con la la guerra civile.
Alla fine dell'anno 1942 Lojze desiderava ardentemente di recarsi a casa sua per Natale, ancge se era pericoloso recarsi nella sua terra natale, dove in quel tempo c'erano tanti partigani armati. Ma in Lojze ardeva forte il desiderio a visitare la madre: era tempo di Natale e con la sua visita avrebbe potuto condividere con lei la gioia della festa.
Da Ljubljana a Trebnje viaggiò con il treno. Malgrado i pericoli, il 1 gennaio 1943, giunse a Stična, dove presso il monastero dei Cistercensi, si accostò alla comunione, per l’ ultima volta nella sua vita. Poi proseguì il viaggio verso Mirna, dove partigiani l’afferrarono e lo sottoposero al primo interrogatorio, pensando che fosse stato il corriere. Di sera lo trascinarono nella trattoria di Vidmar e da quel momento iniziarono a torturarlo. Due partigiani insolenti l’accusarono d’essere una spia segreta dei militanti anticomunisti e gli intimarono di confessare i suoi intrighi ostili al popolo. Lojze, non avendo niente da confessare, si rifiutò di dire bugie: addosso non gli hanno trovato niente altro che  il piccolo messale romano, il libro “Sequela di Cristo” e alcune imaginette della Madonna di Fatima.
Il SdD fu sottoposto a tormenti e a torture disumane che egli sopportò con grande forza spirituale, abbandonandosi alla volontà di Dio. Dopo una lunga tortura lo uccisero. Come martire cristiano finì la sua vita esemplare all’eta di solo vent’anni.
Il ritrovamento del corpo martoriato avvenne il 23 febbraio 1943. Il corpo insepolto è stato riscoperto da alcuni bambini nel bosco nei pressi di Mirna, vicino al ruscello di Vejersca. I resti mortali di Lojze Grozde furono sepolti nel cimitero vicino al luogo dove era nato, a Šentrupert na Dolenjskem.
Fin dai primi momenti quando si seppe della sua morte, fu ritenuto dai fedeli un martire cristiano. La sua tomba al cimitero di Sentrupert è diventata meta di pellegrinaggi sia di fedeli singoli, sia di gruppi dei fedeli. Nei decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale,  a causa del regime comunista che era al potere in Slovenia, in pubblico era proibito parlare a voce alta della morte di Lojze Grozde. Nonostante ciò,  i fedeli di nascosto visitavano la tomba e il luogo del martirio portando candele e mazzi dei fiori, chiedendo la sua intercessione nelle loro preghiere.
La morte del beato Lojze Grozde è da ritenersi un martirio nel senso formale, perché da una parte i persecutori si sono lasciati guidare dall’odio verso la fede, e dall’altra parte il Beato ha sacrificato la sua vita per amore della fede e della Chiesa cattolica.
La fama del martirio di Lojze Grozde presente tra i fedeli da subito, è presente tuttora con la convinzione che si sia trattato di un martirio a causa della fede. La fama del martirio di Lojze Grozde venne messa in risalto anche dal Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua visita pastorale in Slovenia dal 17 al 19 maggio del 1996. Dallo stesso Papa il Beato venne definito “il discepolo di Cristo” e fu annoverato tra “gli eroici testimoni della Fede”. I fedeli hanno testimoniato la sua fama di santità e di martire cristiano dalla morte di Grozde fino ad oggi.
Grozde è il simbolo di tutti gli Sloveni cattolici sottoposti al martirio durante e dopo la guerra a causa della loro fedeltà alla fede. Egli è uno dei più grandi giovani Sloveni che risplende anche oggi come esempio per i giovani del nostro paese.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:20

Maria Santissima Madre di Dio

1 gennaio

Maria figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui (LG, 56). Nel Concilio di Efeso (anno 431), dove venne affermata la natura umana e divina dell’unica persona del Verbo in Gesù Cristo, venne affermata anche la maternità divina di Maria.

Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

Martirologio Romano: Nell’ottava del Natale del Signore e nel giorno della sua Circoncisione, solennità della santa Madre di Dio, Maria: i Padri del Concilio di Efeso l’acclamarono Theotókos, perché da lei il Verbo prese la carne e il Figlio di Dio abitò in mezzo agli uomini, principe della pace, a cui fu dato il Nome che è al di sopra di ogni nome.

Ascolta da RadioVaticana:
  
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La solennità di Maria SS. Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale. Originariamente la festa rimpiazzava l'uso pagano delle "strenae" (strenne), i cui riti contrastavano con la santità delle celebrazioni cristiane. Il "Natale Sanctae Mariae" cominciò ad essere celebrato a Roma intorno al VI secolo, probabilmente in concomitanza con la dedicazione di una delle prime chiese mariane di Roma: S. Maria Antiqua al Foro romano, a sud del tempio dei Castori.
La liturgia veniva ricollegata a quella del Natale e il primo gennaio fu chiamato "in octava Domini": in ricordo del rito compiuto otto giorni dopo la nascita di Gesù, veniva proclamato il vangelo della circoncisione, che dava nome anch'essa alla festa che inaugurava l'anno nuovo. La recente riforma del calendario ha riportato al 10 gennaio la festa della maternità divina, che dal 1931 veniva celebrata l'11 ottobre, a ricordo del concilio di Efeso (431), che aveva sancìto solennemente una verità tanto cara al popolo cristiano: Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio.
Nestorio aveva osato dichiarare: "Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi "; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: "Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l'eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna". Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria.
E’ da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: "Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!". Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"" (Lc 11,27s).
In realtà, "Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all'opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente" (Lumen Gentium, 56).



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00sabato 1 gennaio 2011 12:22

Beato Mariano (Marian) Konopinski Sacerdote e martire

1 gennaio

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Kluczewo, Polonia, 10 settembre 1907 - Dachau, Germania, 31 dicembre 1942

Martirologio Romano: Nel campo di prigionia di Dachau vicino a Monaco di Baviera in Germania, beato Mariano Konopiński, sacerdote e martire: polacco di nascita, offrì la sua vita per Cristo Signore patendo dai medici crudeli atrocità.


Marian Konopinski nacque nella città polacca di Kluczewo, nei pressi di Wielkopolskie, il 10 settembre 1907. Divenne sacerdote dell’arcidiocesi di Poznan, di cui fu poi anche vicario. Io odio alla sua fede venne arrestato dal regime nazista nel settembre 1939 e deportato nel campo di concentramento di Dachau, vicino a Monaco di Baviera in Germania. Crudelmente sottoposto da medici aguzzini ad esperimenti sul suo corpo, morì infine straziato il 1° gennaio 1942.
Papa Giovanni Paolo II l’13 giugno 1999 elevò agli onori degli altari ben 108 vittime della medesima persecuzione nazista, tra le quali il Beato Marian Konopinski, che viene dunque ora commemorato dal Martyrologium Romanum in data 1 gennaio.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:23

Sant' Odilone di Cluny Abate

1 gennaio

961/2 - 1 gennaio 1049

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Presso Sauvigny in Burgundia, nell’odierna Francia, transito di sant’Odilone, abate di Cluny, che, severo con se stesso, ma mite e misericordioso con gli altri, pacificò in nome di Dio popoli belligeranti, in tempo di fame sostenne con ogni mezzo gli afflitti e per primo istituì nei suoi monasteri la commemorazione di tutti i fedeli defunti il giorno dopo la festa di Tutti i Santi.


Uno degli ultimi figli di una famiglia numerosa dell’Alvernia, Odilone di Mercoeur nacque nel 961 o 962. La devozione, unitamente alle relazioni della famiglia, decisero i suoi genitori a consacrarlo al servizio del Signore nella collegiata di St-Julien di Brioude, di cui in seguito sarebbe divenuto canonico. S.Maiolo, peraltro, lo attirò nel monastero di Cluny verso il 990 e poi, dal maggio 993, lo scelse come abate-coadiutore, dopo avergli fatto conferire gli Ordini, scelta che nel genn. 994 fu confermata da un’elezione canonica. Odilone divenne unico abate di Cluny l’11 magg., alla morte di Maiolo, e avrebbe occupato questa carica fino alla propria morte, avvenuta a Souvigny nella notte fra il 31 dicembre e il 1° gennaio 1049.
Soltanto gli avvenimenti esterni permettono di determinare le varie tappe nella continuità di questo lungo abbaiato.
Odilone dovette, prima di tutto, far fronte alle difficoltà derivanti dai religiosi di certi monasteri dipendenti da Cluny, e dai signori che volevano spogliare l’abbazia dei suoi beni. Nel dic. 997 egli intraprese il primo dei suoi così frequenti viaggi verso Pavia e Roma, che gli procurarono l’occasione di intervenire a favore di diversi chiostri della penisola. I suoi incontri con i papi e gli imperatori sono soltanto un particolare delle sue molteplici relazioni, che spiegano l’origine delle donazioni di monasteri a lui fatte.
Dopo il primo periodo di pesante attività, Odilone conobbe, tra il 1005 e il 1013, anni più calmi, che lo condussero all’apogeo della sua grandezza.
Gli anni tra il 1014 e il 1030 dimostrarono a quale potenza fosse pervenuta Cluny. La benevolenza degli imperatori, soprattutto di Enrico II, e dal re di Francia, Roberto, nonché quella dei papi, come Benedetto VIII e Giovanni XIX, dimostrano l’ascendente di Odilone e come ciò fu favorevole alle cause da lui difese, senza peraltro allontanare le difficoltà nate dalla condotta di alcuni vescovi e di alti personaggi. Ben presto, tuttavia, le prove andarono moltiplicandosi, fino a ca. il 1040, data in cui l’abate riuscì a dominare progressivamente la situazione. La sua malattia, durante un ultimo viaggio a Roma (inizi del 1047) annunciava già la fine che sopravvenne durante un’ultima visita ai suoi monasteri.
I primi a beneficiare dello zelo di Odilone furono i monaci di Cluny, per i quali egli ricostruì il complesso degli edifici monastici, ad eccezione della chiesa, che era stata ultimata dal suo predecessore; ma la stesa attività di costruttore fu da lui esercitata anche in altre case da lui dipendenti. Per i suoi monaci egli pronunciò anche dei sermoni, di cui alcuni ci sono pervenuti, compose gli Inni dell’Ufficio di s. Maiolo, redasse una Vita di quest’ultimo e quella dell’imperatrice Adelaide; a capo dei monaci egli presiedette a quell’esistenza claustrale in cui la liturgia occupa un posto così preminente e di cui fece descrivere i particolari in un Ordo celebre, ricopiato a Farfa (Consuetudines ferfensis); arricchì la biblioteca, promosse lavori artistici nel laboratorio degli orafi, coltivò il talento letterario dei suoi religiosi. Sotto il suo governo, il patrimonio di Cluny aumentò considerevolmente, insieme al numero dei monasteri ad essa soggetti. Per quanto sia difficile precisare un elenco di questi ultimi, fra grandi e piccoli, essi superavano i settanta, di cui più di venticinque debbono attribuirsi al suo governo. Rafforzò inoltre i vincoli che li legavano a Cluny, ne assicurò la direzione con priori formati alla sua scuola, a tutti procurò il vantaggio dell’esenzione che, con Bolle successive, ottenne sempre più completa. L’unità dell’osservanza e dello statuto canonico, congiunta all’unità del governo, raggruppavano tutte le case cluniacensi in un vero Ordine: è proprio in questa occasione che la parola ordo assunse la sua nuova accezione. Oltre che sull’Ordine, Odilone esercitò, all’occasione, la sua azione anche su altri monasteri, di cui si trovava a difendere gli interessi.
L’estensione dell’Ordine di Cluny, il suo irradiamento, e in particolare il ruolo delle sue consuetudini, moltiplicavano i centri di fervore religioso e di preghiera, per il maggior bene della Chiesa; ad essi si aggiungeva la costruzione di nuovi luoghi di culto nelle campagne. Il compito assunto da Odilone nella Chiesa si trova così determinato e Benedetto VIII lo riconosce in una Bolla (1° sett. 1016): “Servire Iddio, permettere di aderire a Dio, pregare, celebrare la Messa per i vivi e defunti, prender cura degli ospiti e dei poveri, fare l’elemosina”; tutto ciò significò, di per sé e per il ruolo sociale dei chiostri, contribuire potentemente al progress spirituale del popolo cristiano, e preparare biondi il terreno per lo sforzo futuro della riforma gregoriana.
Nello stesso tempo, i legami dei monasteri cluniacensi con Roma istituivano una rete di forze e di tappe prestabilite; nello stesso senso operavano le relazioni cordiali intrattenute da Odilone con numerosi vescovi.
I suoi obiettivi, peraltro, non corrispondono esattamente a quelli dei gregoriani; egli volle semplicemente far amare il Cristo Gesù, preparare le anime alla vita del cielo e per questo offrire agli uomini l’ordine e la pace. Tutti debbono contribuir a realizzare questo bene, tanto più urgente in quanto troppo spesso regnano ancora il disordine e le guerre; al di sopra dei conti e dei re, l’imperatore gli sembra il miglior garante del suo ideale: al bisogno, egli interverrà presso di lui per sollecitare un perdono o una protezione, riconoscendogli per contro le qualità per scegliere un buon papa, così come spetta al re di nominare un buon vescovo.
Allo stesso ideale si collega il ruolo che si accorda a Odilone nella conclusione dei patti di pace e nella istituzione della “tregua di Dio”, o, ancora, il ruolo di giudice nei possedimenti di Cluny, di arbitro che presiede ai regolamenti dei conflitti fra terzi, di conciliatore che ricerca degli accomodamenti con i suoi avversari. La sua instancabile generosità sovviene a tutte le miserie: in quei tempi di frequenti e spesso spaventevoli carestie, egli procura i viveri agli indigenti senza lesinare, non esitando a vendere il tesoro della sacrestia o a elemosinare preso i ricchi. Non gli basta di soccorrere i corpi, vuole liberare le anime dei defunti: no contento dei suffragi, già frequenti a Cluny per le anime del Purgatorio, egli istituisce, all’indomani di Ognissanti, la nuova, solenne commemorazione dei trapassati.
Questa immensa pietà è senza dubbio il tratto dominante del suo carattere. Egli medita troppo profondamente l’esempio del Signore Gesù per non essere fondamentalmente misericordioso e pietoso. La sua bontà, tuttavia, non è vana tenerezza, perché, al contrario, egli si dimostra uomo deciso e forte, perfino tenace, e pratico; manifesta infatti il suo senso pratico pur nel suo governo di anime e nella sua devozione al Verbo incarnato o a Maria, Signora, Stella del mare. Amico purissimo, nutre una particolare devozione all’Eucaristia; uomo di fede profonda e attiva, è un contemplativo, teso verso la visione del Signore.

CULTO
Il posto che Odilone ha tenuto ai suoi tempi, le sue relazioni e l’irradiamento delle sue opere, più ancora che la sua reputazione di taumaturgo, avrebbero richiesto l’iscrizione nel calendario di numerose chiese, come era accaduto per il suo predecessore, s. Maiolo. In realtà il culto si limita ai monasteri cluniacensi e ad alcuni altri soltanto, o a diocesi con le quali Odilone si trovò in rapporti particolarmente stretti, come Chartres e Le Puy.
La data della sua morte, nell’ottava della Natività, portava, evidentemente a causa della coincidenza, un certo imbarazzo; la successiva storia monastica dei secc. XI e XII doveva affievolire il suo ricordo, in modo che il culto ha preso un carattere locale assai evidente a Cluny e soprattutto a Souvigny, dove, nel 1063 il legato, s. Pier Damiani, consacrava una nuova chiesa, elevava le reliquie, redigeva una nuova Vita del santo per abbreviare quella del monaco Jotsaldo; nel 1345 l’arcivescovo di Bourges procedeva a una traslazione, cosa che certamente diede occasione alla dispersione di alcune ossa in altre chiese, ma l’insieme del corpo rimase a Souvigny, dove nel 1793, sarebbe stato quasi del tutto distrutto.
Odilone è iscritto nel Martirologio Romano al 1° gennaio (Comm. Martyr. Rom., p.2, n.12). Sebbene non abbia un grande posto nell’iconografia, questa gli attribuisce alcune caratteristiche: la mitra che, ai suoi piedi, ricorda il rifiuto all’arcivescovato di Lione, oppure piccoli corpi tra le fiamme, che ricordano l’istituzione della commemorazione del 2 novembre.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:23

San Severino Gallo Martire mercedario

1 gennaio

+ 1419

Originario di Francia, San Severino Gallo era famosissimo Dottore dell’Università di Parigi e molto rinomato nell’Ordine Mercedario. Trovandosi ad Algeri, in Africa per redenzione, fu catturato da un principe mussulmano, il quale vedendolo fedelissimo a Cristo lo fece condannare a morte. Lacerato con raffinatissime torture venne poi inchiodato ad un palo e raggiunse così il coro dei martiri nell’anno 1419.
L’Ordine lo festeggia l’1 gennaio.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:24

San Sigismondo (Zygmunt) Gorazdowski Sacerdote

1 gennaio

1845 - 1 gennaio 1920

Nato il 1° novembre 1845 a Sanok (Polonia), svolse il suo ministero in varie parrocchie e promosse numerose opere per sacerdoti, giovani, malati e poverti. Fu autore di un celebre catechismo per il popolo, fondò un nuovo quotidiano, varie istituzioni di beneficenza e la Congregazione delle Religiose di San Giuseppe per i poveri e i malati. Morì il 1° gennaio 1920 a Leopoli (Ucraina).

Martirologio Romano: A Leopoli in Ucraína, san Sigismondo Gorazdowski, sacerdote: di origine polacca, fu insigne per pietà verso il prossimo e pioniere di attività per la difesa della vita; fondò la Congregazione delle Suore di San Giuseppe, adoperandosi con ogni mezzo per il bene dei poveri e dei bisognosi.


Secondo di sette figli, il beato Zygmunt nacque il 1° novembre a Sanok nella parte orientale della Polonia. Dopo iniziali studi per avvocato, entrò nel seminario superiore di Leopoli, pur essendo malato fin dall’infanzia di tubercolosi, allora incurabile. La malattia si aggravò al punto che dopo gli studi di teologia, dovette fermarsi per due anni per intraprendere un’energica cura, con la rassegnata fiducia in Dio.
Inaspettatamente egli migliorò, tanto quanto bastò affinché potesse ricevere l’ordinazione sacerdotale il 25 luglio 1871.
Per sei anni lavorò come vicario parrocchiale e amministratore nella zona dell’allora Galizia. Profuse a piene mani tutte le sue energie nell’opera di apostolato fra la povera gente della zona, basti ricordare che una parrocchia dell’epoca aveva nel suo raggio ben 6-7 Comuni distanti fra loro.
Accorse in aiuto degli ammalati di colera a Wojnilow, incurante del contagio deponeva i cadaveri nelle bare suscitando l’ammirazione di tutti, ebrei compresi. Dal 1877 lavorò per circa 40 anni, presso la parrocchia di s. Nicola a Leopoli, in questo periodo, la sua carità dilagò in tutti i sensi; si impegnò come editore e redattore alla stampa di giornali, articoli pedagogici e sociali, del testo del catechismo, riviste di formazione.
Fondò la ‘Casa del lavoro volontario’ per i mendicanti, la ‘Cucina popolare’, la ‘Casa di cura per malati incurabili e convalescenti di lunga degenza’, il Collegio di S. Josafat per studenti poveri, la ‘Casa del Bambin Gesù’ per ragazze madri e neonati abbandonati, inoltre fondò la Congregazione delle Suore della Misericordia di S. Giuseppe.
Grande era la sua devozione a s. Giuseppe al cui nome intestò la maggior parte delle sue opere; già in vita era chiamato il “Prete dei mendicanti”, il “Padre dei poveri”, ”l’Apostolo della Misericordia divina di Leopoli”.
Morì il 1° gennaio 1920, lasciando la Congregazione che si è diffusa in 62 case in vari Stati. Beatificato da papa Giovanni Paolo II il 26 giugno 2001 a Lviv (Leopoli) in Ucraina.
Papa Benedetto XVI, nella sua prima cerimonia di canonizzazione, lo ha proclamato santo il 23 ottobre 2005 in piazza San Pietro.



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00sabato 1 gennaio 2011 12:25

Beato Ugolino da Gualdo Cattaneo Eremita

1 gennaio

Martirologio Romano: A Gualdo Cattaneo in Umbria, beato Ugolino, che condusse vita eremitica.


Tra le valli Umbra e Tiberina, tra Foligno e Spoleto, dove amene colline conservano mirabilmente artistiche testimonianze del passato, sorge il borgo di Gualdo Cattaneo, arroccato e munito di una possente cerchia di mura. Fondato nel 975 dal Conte da cui prese il secondo nome, ebbe sempre un ruolo geografico strategico. Il suo nome è legato ad un beato, venerato come patrono, il cui corpo è custodito nella cripta della chiesa dei Ss. Antonio e Antonino.
Ugolino era un eremita dalla profonda e rigorosa vita spirituale, che divideva la giornata tra preghiera, silenzio e lavoro manuale. Sulla sua vita non possediamo molte notizie, ma sufficienti a delinearne la santità. In un documento del 1348 il Vescovo di Spoleto, Bartolus, scriveva al nostro beato, priore e fondatore laico dell’eremo di S. Giovanni nella selva di Onterio (nei pressi di Gualdo) in risposta ad una sua lettera. Ugolino era quindi la guida spirituale di un gruppo di eremiti ed aveva scritto per chiedere che l’eremo rientrasse nella giurisdizione dell’abbazia benedettina di Subiaco. Si firmava Ugolino Michele “de Mevania” (Bevagna). L’autorizzazione fu confermata da Papa Gregorio XI nel 1374, quando Ugolino aveva già raggiunto la patria celeste.
Alla morte fu sepolto con il dovuto riguardo e la sua tomba divenne meta di pellegrinaggi e fonte di grazie. Il trasferimento delle reliquie nella chiesa dei Ss. Antonio e Antonino fu eseguito successivamente, di certo prima della fine del secolo XV. In quegli anni era attiva una confraternita dedicata alla Vergine e ad Ugolino, venerato santo a voce di popolo. I confratelli, nel loro stendardo, recavano una sua immagine, la sua più antica raffigurazione insieme a quella dipinta nella chiesa di s. Agostino nel 1482 da un allievo dell’Alunno.
E’ conservata un’antica lapide, copia di una precedente, che in passato dette animo a confusioni e discussioni anche accese, sui tempi e sul luogo in cui nacque Ugolino, Bevagna o Gualdo. I due paesi sono comunque assai vicini e una tesi è quella che i natali furono a Gualdo, da genitori di Bevagna. Il culto è da sempre sentito e già nel 1483 gli statuti comunali decretavano l’offerta “della cera” per la festa fissata al 1° gennaio (data della morte). I festeggiamenti si svolgono oggi anche a inizio settembre. Il suo biografo principale è uno studioso del XVII secolo, Ludovico Iacobilli. Nel 1919 ne fu confermato il culto “ab immemorabili”.



Stellina788
00sabato 1 gennaio 2011 12:25

Beato Valentino Paquay

1 gennaio

Tongres, Belgio, 17 novembre 1828 - Hasselt, 1 gennaio 1905

Nato a Tongres (Belgio) nel1828, Luigi Paquay entrò tra iFrati minori come Valentino.Visse sempre a Hasselt, dovefu molto stimato. La suaassiduità al confessionale lo hafatto spesso paragonare alCurato d’Ars. Fu devotissimodell’Eucaristia, promuovendo alcomunione frequente, e del Sacro Cuore.Ne diffuse il culto tra le consorelle dellafraternità dell’Ordine secolarefrancescano, di cui fu direttore spiritualeper 26 anni. Morì 77enne nel 1905.

Martirologio Romano: Ad Hasselt vicino a Tongeren in Belgio, beato Valentino Paquay, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori, che nella preghiera, nel ministero della riconciliazione e nella devozione del Rosario offrì un mirabile esempio di carità cristiana, raggiungendo, in spirito di umiltà, dalle minime cose altezze sublimi.


Il Venerabile Servo di Dio Valentino Paquay, nacque a Tongres nel Belgio il 17 novembre 1828 da Enrico e da Anna Neven, di specchiata onestà e profondamente religiosi, quinto di undici figli e ricevette al Battesimo il nome di Luigi.
Compiute le classi elementari, entrò nel collegio di Tongres dei Canonici Regolari di Sant'Agostino per proseguire gli studi letterari; nel 1845 fu ammesso al piccolo seminario di St-Trond per i corsi di retorica e di filosofia.
Dopo la precoce morte del padre, avvenuta nel 1847, ottenuto il consenso materno, entrò nell'Ordine dei Frati Minori della provincia belga, e il 3 ottobre 1849 iniziò il noviziato nel convento di Thielt.
Il 4 ottobre dell'anno successivo emise la professione religiosa nelle mani di Padre Ugolino Demont, guardiano del convento e, subito dopo, andò a Beckheim per frequentare il corso teologico che terminò nel convento di St-Trond. Ordinato sacerdote a Liegi il 10 giugno 1854, fu dai superiori destinato a Hasselt, dove rimase per tutta la vita, ricoprendo anche gli uffici di vicario e di guardiano. Nel 1890 e nel 1899 fu eletto definitore provinciale.
“Attraverso la guida di San Giovanni Berchmans, il maestro prediletto, Padre Valentino — scrive Agostino Gemelli — si innesta nella spiritualità francescana insegnandoci la virtù di tutti i momenti, la valorizzazione delle minime cose, sotto l'aspetto della più franca ed immediata umiltà” (cf. I. Beaufays, P. Valentino Paquay, il “Padre Santo” di Hasselt , Milano, Ed. Vita e Pensiero, 1947, Presentazione).
Instancabile fu l'opera del Padre nel campo dell'apostolato. Predicò quasi continuamente e, per la sua parola semplice e persuasiva, fu molto stimato specie negli ambienti popolari e presso gli istituti religiosi. Fu soprattutto assiduo al confessionale, emulando il santo Curato d'Ars, al quale talvolta fu paragonato. Spesse volte dette prova del dono di penetrare in modo straordinario nelle coscienze dei penitenti, che venivano da lui anche da lontano.
Ebbe una singolare devozione alla Santissima Eucaristia e, col suo apostolato di mezzo secolo in favore della Comunione frequente, fu precursore attivo del famoso decreto del papa San Pio X.
Devoto del Sacro Cuore di Gesù, di cui non cessava di meditare e magnificare le eccelse perfezioni, ne diffuse il culto, specie tra le consorelle della Fraternità dell'Ordine Francescano Secolare di Hasselt, che diresse per ventisei anni. Tenne sempre vivo il ricordo della Passione di Gesù, col praticare quotidianamente il pio esercizio della Via Crucis. Devotissimo della Vergine, la venerò, giovanetto, nella chiesa parrocchiale di Tongres sotto il titolo di Causa nostræ lætitiæ, e con quello di Virga Jesse nel santuario di Hasselt, ma, come francescano, preferiva a tutti i titoli di Maria quello dell'Immacolata Concezione e volle celebrare, nonostante la sua infermità, con grande esultanza il cinquantenario della proclamazione del dogma, che coincideva col suo giubileo di sacerdozio.
Morì ad Hasselt il 1 gennaio 1905 all'età di settantasette anni. L'eroicità delle sue virtù fu riconosciuta da Papa Paolo VI con Decreto del 4 maggio 1970.
E' stato beatificato da Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003.



Stellina788
00sabato 1 gennaio 2011 12:26

San Vincenzo Maria Strambi Vescovo, passionista

1 gennaio

Civitavecchia, 1 gennaio 1745 - Roma, 1 gennaio 1824

Patronato: Diocesi Macerata-Tolentino. Patrono Collegio Postulatori delle Cause Santi

Etimologia: Vincenzo = vittorioso, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Roma, san Vincenzo Maria Strambi, vescovo di Macerata e di Tolentino, della Congregazione della Passione, che governò santamente le diocesi a lui affidate e a motivo della sua fedeltà verso il Romano Pontefice patì l’esilio.


Nacque il 1° gennaio 1745 a Civitavecchia, dove il padre aveva aperto una farmacia.
A 15 anni, vinte le resistenze del genitore, il 4 novembre 1762 entrò nel seminario di Montefiascone ricevendo la tonsura e gli Ordini minori. Frequentò il Collegio Nuovo di Roma , uditore dei domenicani a Viterbo. Divenne diacono il 14 marzo 1767 a Bagnoregio ove poi a novembre entrò come Rettore del Seminario. Fu consacrato sacerdote sempre a Bagnoregio il 19 dicembre 1767.
Chiamato per vocazione ad una vita più religiosa trovò la sua strada nella Congregazione dei Passionisti di san Paolo della Croce, dopo essere stato respinto dai Lazzaristi e dai Cappuccini.
Novizio con il nome di Vincenzo Maria e nonostante parecchie obiezioni del padre, poté fare la sua professione il 24 settembre 1769.
Iniziò e poi divenne famoso come predicatore, da solo o in gruppo di missionari fra la gente dell’Italia Centrale, esercitò varie volte l’apostolato insieme a s. Gaspare del Bufalo. Popolarissimo a Roma predicò più volte anche davanti al Collegio Cardinalizio.
Salì molti gradi nella gerarchia del suo Ordine, fino a diventare postulatore generale dal 1792 alla morte.
Fu direttore spirituale di tante anime elette come la ven. Luisa Maurizi e la beata Anna Maria Taigi.
Il 5 luglio 1801, venne nominato vescovo di Macerata e Tolentino. Costruì un nuovo seminario in cui profuse ogni attenzione, come la scelta dei professori, l’accoglienza personale di ogni singolo seminarista, teneva personalmente lezioni ogni settimana favorì le lezioni di canto gregoriano.
Con la filatura della canapa creò un giro economico per aiutare i poveri. Ampliò l’orfanotrofio dei Padri Somaschi, e il Conservatorio di Tolentino, eresse un ricovero per i vecchi. Particolare attenzione la diede all’organizzazione del catechismo con scuole appropriate e anche per gli adulti.
Rifiutò di prestare giuramento di fedeltà all’imperatore Napoleone, secondo le leggi vigenti, che purtroppo videro lo scioglimento e la dispersione di vari Ordini religiosi e per questo fu relegato a Novara per un anno e nell’ottobre 1809 venne trasferito a Milano ospite dei Barnabiti e poi di varie persone dell’alta borghesia e nobiltà.
Il papa, dietro le sue pressanti richieste lo esonerò dalla sede vescovile di Macerata e lo volle presso di sé come consigliere, compito che espletò per quaranta giorni; colpito da apoplessia, morì il 1° gennaio 1824
(nello stesso giorno che era nato), fu sepolto nella basilica dei ss. Giovanni e Paolo.
Il 12 novembre 1957 il suo corpo venne traslato nella chiesa di s. Filippo in Macerata. Delle sue opere di ascetica e devozione sono state stampate molte edizioni.
Beatificato il 26 aprile 1925 da Pio XI, canonizzato da Pio XII l’11 giugno 1950.
Nel calendario proprio della Congregazione dei Passionisti la memoria viene celebrata il 24 Settembre.



Stellina788
00sabato 1 gennaio 2011 12:27

Santa Zdislava Madre di famiglia

1 gennaio

Krizanov, Moravia, 1220 - Gabel 1252

Nata a Krizanov in Moravia, fu sposa di un principe della famiglia Lemberk, da cui ebbe quattro figli che educò religiosamente. Indossato l'abito del Terz'Ordine, curò la diffusione dell'Ordine dei Frati Predicatori in Boemia e per essi fece costruire dal marito due conventi. La sua vita fu ricca di carità verso i poveri. Morì a Jablonnè nel 1252.

Martirologio Romano: A Jablonné in Boemia, santa Zdisláva, madre di famiglia, che fu di grande conforto agli afflitti.


Siamo nel Medioevo in Cecoslovacchia, Zdislava nacque nella regione Moravia tra il 1215 e 1220, figlia di Pribyslav e Sibilla castellani di Krizanov, luogo della sua nascita. I suoi genitori erano molto pii, in particolare il padre, essi fondarono il monastero cistercense di Zd’ar, aiutarono anche altri Ordini religiosi e istituzioni caritatevoli con offerte e lasciti.

Ebbero cinque figli di cui Zdislava era la primogenita, essa si sposò con Gallo di Lemberk potente e rispettato signore della Boemia settentrionale. Dalla loro unione nacquero quattro figli di cui soltanto di due si conosce il nome Margherita e Gallo che morì giovane.

Pur essendo una persona addentro a tutti i problemi politici del suo Paese, Gallo di Lemberk nutriva in cuor suo uno spirito eletto cristiano; della sua devota moglie Zdislava si sa che visse una vita tutta dedita nel soccorrere i poveri e altamente religiosa, si associò all’opera dei PP. Domenicani e che per farli restare stabilmente, fondò insieme al marito, due conventi nelle terre del suo dominio: Jablonné e Turnov, intorno al 1250. Morì nel 1252 e fu sepolta nella chiesa domenicana di s. Lorenzo a Jablonné, vicino al suo castello di Lemberk, dove ancora oggi è il suo corpo.

Il suo culto molto fiorente nei secoli XIII e XIV, ebbe un alleggerimento dovuto alle guerre ussite, che durò un paio di secoli, ma nel XVI si risvegliò in modo tale che suscitò un grande interesse per la sua canonizzazione.

Nell’iconografia Zdislava figura quasi sempre in abito domenicano con in mano il modello della chiesa di Jablonné e mentre distribuisce il pane ai poveri. Il suo culto fu approvato nel 1908 da papa Pio X, la sua festa liturgica è al 4 gennaio, mentre in Boemia e Moravia è al 30 maggio.

Il papa Giovanni Paolo II l’ha canonizzata il 21 maggio 1995 a Olomouc in Slovacchia.



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