1° luglio

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Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 10:07

Beato Antonio Rosmini Teologo, filosofo, fondatore

1 luglio

Rovereto (Trento), 24 marzo 1797 - Stresa, 1 luglio 1855


Grande e complessa figura del cattolicesimo dell’Ottocento, che solo recentemente è stato riscoperto e rivalutato dalla Chiesa, che ha autorizzato l’apertura della causa di beatificazione nel febbraio 1994.
Antonio Rosmini nacque a Rovereto (Trento) il 24 marzo 1797 da Pier Modesto, patrizio del Sacro Romano Impero e da Giovanna dei Conti Formenti di Biascesa sul Garda; trascorse la fanciullezza in un ambiente impregnato di virtù patriarcali e religiosità, governato dalla madre, donna intelligente e amorosa che seppe imprimere nel fanciullo quei semi di bontà e religiosità, che più tardi daranno frutto di autentico umanesimo cristiano.
Da giovane si manifesta subito in lui una serietà morale e un’apertura agli interessi culturali con spiccata inclinazione alla filosofia, già nel 1813 a 16 anni rivela l’inizio di una vera aspirazione ascetica, pur essendo aperto a tutti gli interessi culturali e conoscenze in tutti i campi, scopre che non vi è altra sapienza che in Dio.
Decide di farsi sacerdote vincendo le resistenze dei familiari, che vedevano in lui l’erede del casato, nel 1816 è all’Università di Padova, dedicandosi come studente ad ogni specie di ricerca filosofica, scientifica, storica e letteraria, qui conobbe Niccolò Tommaseo che gli resterà amico per tutta la vita, come più tardi nel 1826 avverrà a Milano con Alessandro Manzoni.
Viene ordinato sacerdote il 21 aprile 1821, poi trascorrerà un periodo di raccoglimento e riflessione a Rovereto, dove nel frattempo nel 1820 era morto il padre e diventando erede di tutto il patrimonio familiare, che comporterà per lui una delle croci più grandi della sua vita, il rapporto non facile con il fratello Giuseppe; mentre l’altra sorella Gioseffa Margarita, anima sensibile come la sua, si farà suora nelle Figlie della Carità, Istituto fondato da santa Maddalena di Canossa († 1835).
Antonio Rosmini, spirito straordinariamente ricco di doti, di tendenze universali, d’ingegno vigorosissimo, impostò la sua vita e il suo agire su un principio ascetico: da parte sua vorrà soltanto attendere alla purificazione dell’anima dal male e all’acquisto dell’amore o carità di Dio e del prossimo, in cui consiste la perfezione.
Quanto al resto - studio, attività, lavoro, condizione di vita - non sceglierà da sé, questa o quella attività, fosse pure un’opera di carità, ma lascerà a Dio di indicagliela attraverso le circostanze esteriori “esaminate al lume della ragione e della fede”.
È il principio cosiddetto di “passività” o di “indifferenza” che comporta una costante disposizione interiore a volere unicamente e totalmente ciò che vuole Dio. La “passività” che Rosmini s’impone è rigida disciplina, consacrazione totale, immolazione al bene nel modo che Dio avrebbe voluto per lui, senza condizioni né riserve. Nel 1821 giovane sacerdote gli viene da s. Maddalena di Canossa, l’invito a dar vita ad un Istituto religioso, ma egli non si sente pronto e solo nel 1827 a Milano, capirà che è giunto il momento.
Il 18 febbraio 1828 egli è solo sul Monte Calvario di Domodossola a preparare le Costituzioni del nascente Istituto e attende che Dio gli mandi compagni, che arriveranno man mano nel tempo; l’Opera si chiamerà “Istituto della Carità” che avrà come base il professare la carità ‘universale’, ossia la carità spirituale, intellettuale e corporale, per il bene del prossimo ed ai religiosi si chiede di essere disposti a qualunque opera venga loro affidata.
Nel 1828 papa Pio VIII approva l’Istituzione, incoraggiandolo a dare precedenza allo scrivere, in quel tempo di gran bisogno di scrittori, per influire utilmente sulle coscienze scosse dalle teorie scaturite dalla Rivoluzione Francese, dall’ordine imposto da Napoleone Bonaparte, dalla Restaurazione, dal clima anticlericale imperante.
Già dal 1823 egli però era nel mirino dell’Austria che lo tenne sotto censura e sospetto, che lo accompagneranno per tutta la vita, perché a Rovereto pronunciando un discorso per il defunto papa Pio VII (1800-1823), dichiarò il suo Amore per l’Italia; per gli austriaci non era altro che un infido ‘carbonaro’.
Nel 1830 pubblicò la sua prima grande opera filosofica “Nuovo saggio sull’origine delle idee”; mentre i confratelli crescono di numero guidati personalmente da Antonio Rosmini, egli nel 1832 dà inizio alla Congregazione delle ‘Suore della Provvidenza’ con le stesse basi ascetiche dell’Istituto della Carità; essi vengono richiesti ormai da molte scuole, iniziando così l’opera dei “maestri” e “maestre” rosminiane.
Viene nominato anche parroco a Rovereto, aprendo una Casa anche a Trento, ma per l’aperta ostilità del governo austriaco verso di lui, si dovranno interrompere nel 1835, rendendo necessario lo spostarsi a Milano di Rosmini per allentare la tensione.
In compenso i suoi religiosi partono per le missioni in Inghilterra, cooperando alla restaurazione della gerarchia cattolica, da lì passano in Irlanda; lo spirito dell’Istituto di sua natura “universale”, fa sì che i religiosi si adattano sapientemente, da lì partiranno poi per gli Stati Uniti e Nuova Zelanda; oggi sono presenti compreso le suore rosminiane in Venezuela, Tanzania ed India.
Le migliaia di lettere scritte da Rosmini con i tanti volumi delle sue opere filosofiche e teologiche, costituiscono una bibliografia davvero sterminata. Nel 1838 papa Gregorio XVI approva le Congregazioni nominando Antonio Rosmini come Superiore Generale, mentre continuava la sua opera di scrittore fecondo, con un fascino del pensatore, che tendeva a conciliare il pensiero tradizionale con le conquiste del pensiero moderno.
Nel 1839 pubblica “Nuovo saggio” e il “Trattato della coscienza morale”, fondamenti del suo pensiero filosofico e cioè l’affermazione che l’intelligenza è illuminata dalla luce dell’essere - o essere ideale - che è la luce della verità, per cui vi è nell’uomo qualcosa di “divino”. Cominciarono per lui le prime contestazioni degli avversari al suo pensiero, che accusavano le sue dottrine come contrarie alla fede e alla morale.
La polemica dopo un suo personale intervento, proseguì con la difesa da parte dei suoi amici e discepoli; dovette intervenire il papa stesso imponendo il silenzio a Rosmini ed al Superiore dei Gesuiti, suo contraddittore. Il Manzoni che da laico lo difendeva disse di lui: “una delle cinque o sei più grandi intelligenze, che l’umanità aveva prodotto a distanza di secoli”.
Il governo piemontese di Carlo Alberto, in un momento difficile della prima guerra d’indipendenza, decise di inviare come plenipotenziario a Roma dal papa, proprio il Rosmini di cui era noto il prestigio. Il papa Pio IX, nell’agosto 1848, l’accolse con affetto e stima, annunciandogli la porpora cardinalizia per il dicembre successivo, ma a novembre scoppia la rivoluzione e Pio IX è costretto a fuggire a Gaeta, chiedendo a Rosmini di seguirlo.
Con l’ostilità sempre presente dell’Austria, però si crea un clima sfavorevole per lui, tanto più che poco prima era stato pubblicato il suo libro “Delle cinque piaghe della santa Chiesa”, grande esposizione in veste e pensiero sacerdotale e frutto di un ardente amore per la Chiesa, sui pericoli che minacciavano l’unità e la libertà della Chiesa e con coraggio denuncia queste ‘piaghe’ e ne indica i rimedi; ma il libro allora venne letto con ben altra visuale.
Il governo borbonico di Napoli, non lo vuole sulle sue terre, le udienze al papa gli vengono ostacolate, il papa stesso preoccupato per le ombre che si addensano sulle sue dottrine, nel 1849 lo esorta per iscritto a “riflettere, modificare, correggere o ritrattare le opere stampate”.
Ad ogni modo nonostante la sua disponibilità a ‘correggere’, due suoi libri vennero messi all’Indice nel giugno 1849 con suo grande dolore. In quell’oscuro periodo, al seguito del papa a Napoli, scrisse l’ “Introduzione del Vangelo secondo Giovanni commentata”, pagine di alta teologia spirituale e di indubbia testimonianza di intima esperienza mistica.
In quella situazione di dubbio dottrinario e con due libri condannati, non poteva stare più vicino al papa, che lo lasciò libero di rientrare a Stresa nel 1849, per raggiungere i suoi confratelli, Rosmini ubbidì, sempre più convinto che era tutta opera della Provvidenza. Nel suo ritiro di Stresa, continuò a guidare le due Congregazioni e scrivendo la sua opera più alta la “Teosofia”, ma i suoi avversari ripresero ad attaccarlo, finendo per provocare da parte di Pio IX un esame approfondito di tutte le opere di Rosmini; l’esame durò quattro anni con l’angoscia dello scrittore non per sé, ma per il danno che venivano a subire le due Congregazioni, con il loro fondatore sotto un processo di cui parlava il mondo.
L’esame svoltosi presso la Congregazione dell’Indice finì nel 1854, alla seduta finale partecipò lo stesso papa, che dopo la sentenza definitiva di assoluzione, esclamò: “Sia lodato Iddio, che manda di quando in quando di questi uomini per il bene della Chiesa”.
Ma ormai il grande filosofo e fondatore è ormai prossimo alla fine della sua vita di profeta disarmato e ubbidiente; la malattia al fegato che l’aveva accompagnato per tutta la vita, si acutizzò procurandogli mesi di malattia che consumeranno il suo fisico tra dolori senza sosta e con l’elevarsi dello spirito che si affina nella sofferenza.
Al suo capezzale si alternano, amici, ammiratori, discepoli, persone che vogliono esternargli l’affetto, la stima, la gratitudine, chiedendo da lui ancora una benedizione, una buona parola; lo stesso Alessandro Manzoni, benché ammalato, corre dall’amico piangendo, incredulo che possa spegnersi sulla terra una intelligenza come quella di Rosmini.
Morì il 1° luglio 1855, a 58 anni, le sue spoglie mortali riposano in una cripta della chiesa del Ss. Crocifisso annessa al noviziato dell’Istituto di Stresa (oggi in provincia di Verbania). Ma il suo pensiero scritto non ebbe ancora pace; nel 1888 vengono esaminate le ultime due opere, non ancora esistenti nella precedente inchiesta e vengono condannate dal Sant’Uffizio, con 40 proposizioni dei suoi scritti precedenti, perché non sembravano consoni alla verità cattolica.
È trascorso più di un secolo da allora e gli ampi e numerosi studi sulla dottrina rosminiana, hanno dimostrato la loro armonia con la verità cattolica; quello che un secolo fa poteva non essere chiaro, alla luce dell’apertura verificatasi con il Concilio Vaticano II, di cui Rosmini fu un anticipatore lungimirante in alcune sue intuizioni, sulle divisioni all’interno della Chiesa riguardanti la vita quotidiana dei fedeli e dei loro pastori; con le ricerche e gli approfondimenti, è stato ampiamente chiarito.
``Papa Benedetto XVI lo ha dichiarato "venerabile" il 26 giugno 2006.
La celebrazione della sua beatificazione è avvenuta a Novara domenica 18 novembre 2007.



Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 10:08

Sant' Aronne Fratello di Mosè

1 luglio

Era il fratello maggiore di Mosè e con lui collaborò per ricondurre il popolo eletto nella Terra promessa. Durante la marcia nel deserto condivise con Mosè difficoltà e responsabilità. Fu a capo del popolo per tutto il tempo in cui il fratello rimase sul Sinai, ma ebbe la debolezza di accondiscendere al desiderio del popolo di farsi un'immagine di Dio. Rimproverato aspramente, fu risparmiato dalla tremenda ira divina per intercessione di Mosè. Dopo la solenne consacrazione sacerdotale, Dio stesso ne difese la legittimità contro la insubordinazione di alcuni oppositori con il miracolo della verga. Ma avendo Aronne dubitato - come Mosè - della possibilità di un intervento divino per far scaturire l'acqua dalla roccia, fu punito da Dio allo stesso modo del fratello: entrambi non avrebbero messo piede nella Terra di Canaan. Morì infatti nei pressi di Cades, dopo che Mosè lo ebbe spogliato delle insegne sacerdotali. Il popolo lo pianse, giudicandolo grande e simile a Mosè. (Avvenire)

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Aronne, della tribù di Levi, da suo fratello Mosè unto con l’olio sacro sacerdote dell’Antico Testamento e sepolto sul monte Hor.


Il profilo di Aronne è già stato tracciato in maniera magistrale dalla stessa Bibbia, che d'altra parte è, l'unica fonte sulla sua biografia. Oltre all'ampia e articolata trattazione dei primi cinque libri della Sacra Scrittura (il Pentateuco), vi sono due brani nella Lettera agli Ebrei e nel libro del Siracide. La Lettera agli Ebrei fa appunto riferimento ad Aronne all'inizio del capitolo quinto, quando viene avviata la riflessione sul significato e sull'estensione del sacerdozio di Cristo: "Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è, in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anch'egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne" (Eb. 5,1-4).
Il libro del Siracide (che veniva chiamato anche "Ecclesiastico") esalta la figura di Aronne inserendola ai primi posti della galleria di "uomini illustri", ai quali Gesù Ben Sira annette una singolare importanza. Nell'esaltazione di questi "nostri antenati per generazione", infatti, l'Autore sacro può sottolineare gli aspetti che gli sembrano più significativi per la comprensione del "patto" che Dio ha avviato con il suo popolo. E il sacerdozio di Aronne (e dei suoi successori, fino al contemporaneo Simone) è uno dei più qualificanti.
Fratello carnale di Mosè, è stata una gloria di Aronne quella di essere collaboratore privilegiato (anche se un po' geloso) del grande capo carismatico che Dio aveva inviato al suo popolo schiavo in Egitto per guidarlo verso la terra promessa. "Egli (Dio) innalzò Aronne, santo come lui (Mosè), suo fratello, della tribù di Levi. Stabilì con lui un'alleanza perenne e gli diede il sacerdozio tra il popolo. Lo onorò con splendidi ornamenti e gli fece indossare una veste di gloria". L'elogio prosegue con la dettagliata descrizione dei magnifici paramenti indossati da Aronne nell'esercizio del suo ministero. "Mosè lo consacrò e l'unse con l'olio santo. Costituì un'alleanza perenne per lui e per i suoi discendenti, finchè dura il cielo: quella di presiedere al culto ed esercitare il sacerdozio e benedire il popolo nel nome del Signore". Uomo fragile e peccatore come tutti, Aronne è tuttavia modello di collaborazione con Dio per l'attuazione del suo "disegno d'amore".



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00mercoledì 1 luglio 2009 10:10

San Atilano Cruz Alvarado Martire Messicano

1 luglio

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Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nel villaggio di Rancho de las Cruces nel territorio di Guadalajara in Messico, santi Giustino Orona e Attilano Cruz, sacerdoti e martiri, uccisi insieme per il regno di Cristo durante la persecuzione messicana.


Nacque ad Ahuetita de Abajo, appartenente alla parrocchia di Teocaltiche, Jalisco (Diocesi de Aguascalientes) il 5 ottobre 1901. Venne ordinato sacerdote quando esserlo era il maggior delitto che poteva commettere un messicano. Ma lui, con una allegria che sprizzava da tutti i pori, stese le sue mani affinchè fossero consacrate sotto il cielo azzurro dello stato di Jalisco vicino al quale si nascondevano sia l`Arcivescovo che il Seminario. Undici mesi dopo il tranquillo ed allegro sacerdote, mentre esercitava, come poteva, il suo ministero, venne chiamato dal suo parroco il Signor Curato Justino Orona. Obbediente si avvió verso il "Rancho de las Cruces" luogo che sarebbe stato il suo calvario. Mentre dormiva giunsero le forze militari e le autorita civili. II padre Atilano udendo la scarica che troncò la vita al suo superiore, si inginocchiò sul letto ed attese il monento del suo sacrificio. Lui venne fucilato, dando prova della sua fedelta a Cristo Sacerdote, all'alba del 1° luglio 1928.



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00mercoledì 1 luglio 2009 10:12

San Carilelfo Abate

1 luglio

 


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00mercoledì 1 luglio 2009 10:13

Santi Casto e Secondino Vescovi e martiri

1 luglio

III secolo

Patronato: Mondragone (Caserta)

Emblema: Mitra, Pastorale, Palma


I santi martiri Casto e Secondino, oggi venerati come patroni della cittadina di Mondragone, in provincia di Caserta, subirono in realtà il martirio nella vicinissima città romana di Sinuessa di cui non restano che pochi resti archeologici.
Su di essi non vi sono purtroppo notizie storiche attendibili, nonostante l’esistenza dei loro “Atti” che paiono assolutamente leggendari e li identificano come vescovi. Ciò non vuol assolutamente dire però che i due personaggi non siano mai esistiti, ma lascia invece lo spazio per poter supporre che la loro vicenda terrena non si sia neppure svolta nell’antica Sinuessa. La devozione nei loro confronti avrebbe potuto piuttosto essere stata importata probabilmente dall’Africa, per attecchire sul terreno fertile della fede della popolazione locale. In seguito il loro culto venne trasferito dunque nell’odierna Mondragone ed il fatto che questo paese fu sede di un importante castello dei Re di Napoli fece sì che la popolarità e la venerazione nei loro confronti potesse estendersi anche fuori delle mura di Mondragone nei comuni vicini. Ancora oggi infatti sopravvive a Sessa Aurunca, Gaeta, Calvi, Capua, Sora, Trivento e Benevento.


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00mercoledì 1 luglio 2009 10:16

San Domiziano di Bebron Abate

1 luglio


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00mercoledì 1 luglio 2009 10:19

Sant' Eparchio di Angouleme Abate

1 luglio

 


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00mercoledì 1 luglio 2009 10:22

Santa Ester Regina

1 luglio


Etimologia: Ester = stella, dal persiano


L'eroina giudaica, che ha dato il nome ad uno dei libri sacri, "di belle forme e di aspetto avvenente", alla morte dei genitori fu adottata dal cugino Mardocheo (Esth. 2, 7); erano entrambi della tribù di Beniamino e del casato di Cis. La loro famiglia fu tra quelle deportate nel 597. Mardocheo era nato in esilio, e il suo nome derivava da quello del dio Marduk; egli ebbe cura di Ester come della pupilla dei suoi occhi. Il re Serse I (Assuero: 485-465 a. C.), ripudiata Vasti, scelse Ester a sua donna favorita. Allorché Aman, il potente ministro, ottenne il decreto per l'uccisione dei Giudei, Mardocheo, che aveva sempre vegliato su Ester, la esortò a presentarsi al re e a intercedere in favore dei suoi connazionali. Ella, sebbene fosse proibito, sotto pena di morte, di accedere al re senza essere chiamati, si presentò a porgergli la sua supplica, dopo aver pregato e digiunato, invitandolo a pranzo. Accolta benevolmente, fu esaudita, quando, dopo il banchetto, svelò al re la malvagità di Aman. Ester salvò così il suo popolo. Mardocheo, a ricordo del lieto evento istituì la festa dei Purim che veniva celebrata il 14 e 15 del mese di adhar. Gli antichi martirologi latini celebrano la festa di Ester al 1 o luglio: festum Hester reginae; il Canisio aggiunge, in tedesco, il seguente breve elogio: "Bella e fedele, che trasse e liberò, con l'aiuto di Mardocheo, da un irnmediato pericolo tutto il popolo giudaico".
I Copti pongono la festa di Ester, "regina dei Persiani", al 20 dicembre, senza fare menzione di Mardocheo. Tra i Greci, sia Ester sia Mardocheo appaiono nominati nella commemorazione generale di tutti gli antichi Padri del Vecchio Testamento. Il distico che si riferisce ad Ester suona così: "Commemorazione della giusta [o "santa"] Ester, che redense [liberò] dalla morte il popolo d'Israele".



Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 10:25

Sant' Eutizio (Euticio) Martire in Umbria

1 luglio

Palma

Emblema: Palma


Una passio, composta nel centro dell'Umbria dopo la metà del sec. VII e prima del IX sec. e che nei lezionari porta nomi diversi a seconda delle commemorazioni dei personaggi ricordati, narra che, sub Iuliano (361-63), vennero dalla Siria a Roma un Anastasio con due figli, Eutizio e Brizio, e nove nipoti. Quando Anastasio fu decapitato, gli altri fuggirono per la via Cornelia, separandosi nel luogo detto Pax Sanctorum. Eutizio si recò in Tuscia conducendo vita eremitica presso il lago di Bolsena.
Secondo il Lanzoni, questo Eutizio è il martire di Ferento (v.), ricordato da s. Gregorio Magno nei Dialoghi. L'autore della passio, infatti, con un procedimento familiare agli agiografi del tempo, unendo dati storici e favolosi, amalgamò insieme dodici santi della regione umbra, di cui aveva potuto avere notizia, senza curarsi delle contraddizioni cronologiche.
La sua festa si celebra il 1° luglio.


Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 10:26

Beati Giorgio Beesley e Montford Scott Martiri

1 luglio


Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beati Giorgio Beesley e Montford Scott, sacerdoti e martiri, che, condannati a morte per il loro sacerdozio sotto la regina Elisabetta I, dopo crudeli torture giunsero alla palma del martirio.


Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 10:28

Beati Giovanni Battista Duverneuil e Pietro Aredio Labrouhe de Laborderie Martiri

1 luglio


Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nel braccio di mare antistante Rochefort sulla costa francese, beati Giovanni Battista Duverneuil, dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, e Pietro Aredio Labrouhe de Laborderie, canonico di Clermont-Ferrand, sacerdoti e martiri, che durante la rivoluzione fr


La Rivoluzione Francese ebbe dei grandi meriti nella formazione politica, morale e sociale dell’epoca moderna, ma come tutte le rivoluzioni che in qualche modo presuppongono un capovolgimento violento delle classi al potere con i rivoltosi, lasciò dietro di sé un lago di sangue, morti ingiuste, delitti e violenze.
E la Chiesa Cattolica che in ogni rivoluzione avvenuta nel mondo, sin dalle sue origini, ha dovuto pagare un tributo di sangue, anche in questa ebbe innumerevoli martiri, morti per il solo fatto di essere religiosi.
L’Assemblea Costituente nel 1789, dopo aver confiscato tutti i beni ecclesiastici e soppresso gli istituti religiosi, decretò la Costituzione civile del clero, per cui vescovi e parroci, dovevano essere eletti con il voto popolare e imponendo al clero il giuramento di adesione alla Costituzione stessa; ci fu chi aderì (clero giurato) e chi non lo volle fare (clero ‘refrattario’).
L’Assemblea Legislativa andata al potere, infierì contro il clero ‘refrattario’ giungendo nel 1792 a massacrarne 300, fra vescovi e sacerdoti. Seguì al potere la Convenzione Nazionale che emise contro il clero ‘refrattario’ dei decreti di deportazione per cui bisognava presentarsi spontaneamente pena la morte; furono così colpiti 2412 sacerdoti e religiosi, deportati in tre zone della Francia, di cui 829 a La Rochelle (Rochefort), fra questi ultimi troviamo il sacerdote Yrieix Labrouche de Labordeire Pietro, che insieme ai suoi compagni di deportazione subì stenti di ogni genere, condizioni di vita miserevoli, maltrattamenti crudeli, perché si tendeva ad eliminarli clandestinamente; di lui si sa che era un sacerdote deportato nel 1793 a La Rochelle, morto di stenti sopportati con eroica pazienza e forza nella fede.
E’ stato beatificato insieme a 63 altri compagni di martirio, di cui si è potuto reperire una sufficiente documentazione, da papa Giovanni Paolo II, il 1° ottobre 1995.


Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 10:31

Beato Giovanni Nepomuceno (Jan Nepomucen) Chrzan Sacerdote e martire

1 luglio

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Gostyczyna, Polonia, 25 aprile 1885 – Dachau, Germania, 1 luglio 1942

Jan Nepomucen Chrzan, sacerdote dell’arcidiocesi di Gniezno, cadde vittima dei nazisti nel celebre campo di concentramento tedesco di Dachau. Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: Vicino a Monaco di Baviera in Germania, beato Giovanni Nepomuceno Chrzan, sacerdote e martire, che, di nazionalità polacca, in tempo di guerra, nel campo di detenzione di Dachau portò a compimento il suo martirio difendendo la fede davanti ai suoi persecutori.


Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 10:36

San Golveno di Leon Vescovo

1 luglio


Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 10:39

Beato Ignazio (Nazju) Falzon Chierico

1 luglio

La Valletta, Malta, 1 luglio 1813 - 1 luglio 1865

L'ambiente in cui il beato maltese Ignazio (Nazju) Falzon - vissuto a La Valletta tra 1813 e 1865 - esercitò il suo apostolato fu la guarnigione britannica di stanza sull'isola del Mediterraneo. Durante la guerra di Crimea, infatti, il contingente di Sua Maestà britannica era di ben 20mila soldati. Con loro organizzò lezioni di catechismo e momenti di preghiera. Strinse forti legami di amicizia e, per suo mezzo, oltre 650 dei militari protestanti passarono al cattolicesimo (anche alcuni non cristiani si convertirono). Pur avendo preso gli ordini minori, Ignazio - che aveva tre fratelli, di cui due preti - non si ritenne degno di essere ordinato sacerdote. Non esercitò neppure l'avvocatura, mestiere di famiglia per cui aveva studiato. Il 29 giugno del 1865, due giorni prima di morire, mentre recitava il «Veni creator», alle parole «Tu septiformis munere» gli apparve un globo di fuoco con sette lingue. È stato proclamato beato da Giovanni Paolo II nel maggio del 2001, durante il pellegrinaggio sulle orme di san Paolo. (Avvenire)

Martirologio Romano: A La Valletta nell’isola di Malta, beato Ignazio Falzon, sacerdote, che, si dedicò alla preghiera e all’insegnamento della dottrina cristiana, adoperandosi con zelo nell’assistenza ai soldati e ai marinai, perché aderissero alla fede cattolica prima di pa


Era di famiglia ricca e anche famosa, in cui l’attività forense era una tradizione. Avvocato era stato il nonno, avvocato era il padre, come anche un fratello. Ad appena vent’anni anch’egli è laureato in “utruque jure”, cioè sia in Diritto Canonico che Civile, all’università di La Valletta, dov’è nato nel 1813. Non eserciterà però la professione di avvocato neppure per un giorno, perché come altri due suoi fratelli che sono stati ordinati sacerdoti, anche lui sembra avviato al sacerdozio.
``Ancor prima della laurea aveva ricevuto infatti gli ordini minori, ma si ferma lì e chierico resterà per tutta la vita. Motivo? Perché si sente indegno di diventare sacerdote, il che non gli impedisce però di dedicare tutte le sue energie al Signore. Si sente particolarmente portato alla predicazione e alla catechesi ed esercita il suo apostolato in modo instancabile, offrendo insieme la testimonianza di una limpida fede cristiana, nutrita di molta preghiera, alimentata dalla comunione, irrobustita da prolungate adorazioni davanti all’Eucaristia. E’ qui soprattutto che la gente lo nota andare in estasi, tanto si immerge in Gesù e tanto si lascia permeare da Lui.
Singolare è l’ambiente in cui, in modo particolare, svolge il suo apostolato: la guarnigione britannica, circa 20 mila soldati, che in preparazione alla guerra di Crimea è insediata nell’isola di Malta. Per entrare in conversazione con loro deve imparare, e anche in fretta, l’inglese; per essere più efficace nella sua opera evangelizzatrice deve trovarsi un aiuto in alcuni amici laici, che riesce a coinvolgere, istruire e coordinare fino a trasformarli in evangelizzatori entusiasti come lui. Inizia con l’organizzare incontri di preghiera e lezioni di catechismo per i militari cattolici, ma alla fine riesce ad avvicinare anche i molti soldati protestanti ai quali si propone con la forza di una fede così limpida e cristallina che entusiasma e converte. E così c’è chi riesce a contare ben 656 protestanti, oltre a quattro arabi e due israeliani, che grazie a lui approdano al cattolicesimo.
Muore nel giorno del suo 52° compleanno, il 1° luglio 1865 per un attacco cardiaco e subito è circondato da venerazione, al punto che circa 40 anni dopo Pio X autorizza l’apertura della causa di beatificazione, che Giovanni Paolo II conclude nel 2001. Il 9 maggio, durante il suo viaggio a Malta sulle orme di San Paolo, proclama beato Ignazio (Nazju) Falzon, il “chierico missionario” che nutrendosi di Eucaristia e affidandosi a Maria era riuscito a portare le anime a Cristo, diventando un pioniere del dialogo ecumenico.
Ad affrettare la beatificazione la guarigione immediata e duratura, avvenuta più di vent’anni fa, di una persona (tuttora vivente), ammalata di cancro gastrico e data per spacciata dai medici, che dopo un tentativo di operazione non avevano ritenuto necessario prescrivere, perché inutile, qualche terapia chimica o radiante.``

Autore: Gianpiero Pettiti





Ancor giovane fu accolto tra i chierici della Diocesi di Malta. Si distinse subito per la sua vita integerrima, esempio unico di austerità e zelo apostolico tra i soldati e marinai protestanti. Era un chierico devotissimo della Eucarestia e la Vergine Maria. La sua carità con gli orfani e i poveri maltesi durante l'epidemie, era inesauribile. Fu beatificato da Giovanni Paulo !! il 9 maggio 2001. Nacque a La Valletta (Malta), il 1 luglio 1813, da nobili ma umili genitori, l'avvocato Francesco Falzon e Maria Theresa nubile Debono.Battezzato con i nomi Rochus, Angelus, Sebastianus, Ignatii, Vincentius e Rosarius, fu chiamato familiarmente Ignatii (Nazju in maltese)
Compiuti i quattordici anni, Nazju comincio a studiare le scienze divine. Ricevette l’abito clericale e la tonsure il 20 dicembre 1828. Il 21 agosto 1831, ricevette gli ordini minori di Ostariato e Lettorato e il 18 dicembre1831 ricevette gli ordini minori di Esocistato e di Accolitato. All` eta di solo 20 anni, il 7 dicembre 1833, si laureo` in legge canonica e civile all` Universita` di Malta. Imparo` la lingua inglese , per poter entrate in conversazione con I marinai e i soldati inglesi protestanti che arrivavano a Malta in preparazione per la Guerra in Crimea. Con le sue prediche e preghiere, furono reicevuti nella chiese cattolica 652 marinai e soldati protestanti. Per questi scrisse e pubblicò un libro con il titolo: ”Il Conforto del anima Christiana”
Nazju Falzon è ricordato anche per la sua devozione eucaristica. Spesso andava in estasi davanti al mistero eucaristico. Devotissimo anche alla Vergine Maria, specialmente sotto il titolo dell‘ Carmelo a della Immacolata Concezione.
Celebrava con santa gioia la Dogma dell’Immacolata l’8 dicembre 1854. Ripeteva spesso:”Preghiamo Dio cosi che ci arrichisca col dono della devozione speciale verso la madre di Dio”. Noto anche per la sua ardente devozione verso San Giuseppe. Infatti dono` immense somme di denaro per la costruzione della chiesa parrochiale di San Giuseppe a Msida,Malta. Altri santi come San Raffaele Arcangelo, San Ignazio di Loyola e San Giuseppe Benedetto Labre erano molto cari per il Beato.
Mori a causa di una malattia cardiaca il1 luglio 1865, lo stesso giorno del sua cinquantaduesimo compleanno. Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria del Gesu` (detta anche di “ta’ Giezo”) a La Valletta. Il13 aprile 1904, il Papa San Pio X ordina` l’apertura della causa di beatificazione a canonizzazione. Papa Giovanni Paulo II, il 23 ottobre 1987 riconobbe l’eroicita` delle sue virtu` e il 24 aprile 2001 ha avuto luogo la promulgazione del Decreto sull` miracolo’ alla presenza del santo padre. Beatificato insieme al Ven. Giorgio Preca e la Ven.Maria Adeodata Pisani O.S.B a Floriana, Malta. I suoi resti mortali sono venerati in un’urna lignea, custodita nella chiesa di Santa Maria di Gesu` a La Valletta.


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00mercoledì 1 luglio 2009 10:42

San Justino Orona Madrigal Martire Messicano

1 luglio

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Justino Orona Madrigal nacque a Atoyac, in Messico, il 14 aprile 1877 e fu parroco di Cuquío, nell'arcidiocesi di Guadalajara e fondatore della congregazione delle Sorelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre restò cortese e generoso. Una volta scrisse: «Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltá, sicuramente possono salire al cielo». Quando la persecuzione contro la Chiesa divenne più pesante rimase tra i fedeli dicendo: «Resterò tra i miei vivo o morto». Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una fattoria vicino a Cuquío per riposare. All'alba del 1° luglio 1928 le forze federali irruppero nella fattoria e colpirono la porta della stanza in cui i due religiosi dormivano. Justino aprì e salutò il giustiziere esclamando «Viva Cristo Re!». Per tutta risposta gli spararono. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nel villaggio di Rancho de las Cruces nel territorio di Guadalajara in Messico, santi Giustino Orona e Attilano Cruz, sacerdoti e martiri, uccisi insieme per il regno di Cristo durante la persecuzione messicana.


Nacque a Atoyac, Jalisco (Diocesi di Ciudad Guzmán) il 14 aprile 1877. Parroco di Cuquío, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara). Fondadore della congregazione religiosa delle serelle Clarisse del Sacro Cuore. La sua vita fu segnata da dolori ma sempre si mantenne cortese e generoso. Una volta scrisse: "Coloro che perseguono il cammino del dolore con fedeltá, sicuramente possono salire al cielo". Quando la persecuzione dicenne più pesante rimase tra i suoi fedeli dicendo: "Io resterò tra i miei vivo o morto". Una notte, dopo aver deciso con il suo vicario e compagno di martirio, padre Atilano Cruz, una speciale pastorale, da tenersi in mezzo ad innumerevoli pericoli, entrambi si ritirarono in una casa del "Rancho de Las Cruces", vicino a Cuquío per riposare. All`alba del 1° luglio 1928 forze federali ed il presidente municipale de Cuquío irrumpero violentemente nel rancho e colpirono la porta della stanza in cui dormivano. Il Signor Curato Orona aprì e con voce forte salutò il giustiziere: "Viva Cristo Re!". La risposta fu una piogga di pallottole.



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00mercoledì 1 luglio 2009 10:45

San Martino di Vienne Vescovo

1 luglio


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00mercoledì 1 luglio 2009 10:52

San Nicasio Camuto de Burgio Cavaliere di Malta, martire

1 luglio

Cavaliere dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme detto poi Ordine dei Cavalieri di Malta.

Patronato: Caccamo (PA


La storia è stata avara di notizie per quanto riguarda la vita ed il martirio di San Nicasio, ma tramite testimonianze della parentela del Santo, che danno autenticità alle notizie sotto riportate, in quanto esistono ancora negli archivi i documenti originali vicini nel tempo al periodo in cui visse San Nicasio, è possibile tracciare un breve cenno sui momenti essenziali della sua vita.

San Nicasio nacque tra il 1130 e il 1140 e morì martire nel 1187, è di origine siciliana, probabilmente palermitano, discendente dai saraceni per parte di padre e dai normanni per parte di madre. Il saraceno Hammud (detto anche Kamut, Kamet o Achmet), Emiro di Girgenti (Agrigento) e di Castrogiovanni (Enna), quando Girgenti fu conquistata dal Conte Ruggero nel 1086, si ritirò in Castrogiovanni, resistendovi per molto tempo e patteggiando poi la resa. Nel 1088 si fece cristiano con tutta la famiglia, fu battezzato in Sciacca dal vescovo di Girgenti, Gerlando, ed ebbe come padrino lo stesso Conte Ruggero di cui prese il nome cristiano, divenendo Ruggero Camuto. Il 4 Luglio 1088 il Conte Ruggero gli donò il castello della terra del Burgio nella Valle di Mazara. Da questa investitura, derivò ai discendenti il cognome della famiglia “BURGIO”. Il figlio di Ruggero Camuto, Roberto de Burgio, sposò Aldegonda, nobile normanna consanguinea degli Hauteville; da Roberto e Aldegonda nacquero: Ruggero, investito del castello di Sciacca dalla Contessa Giulia il 14 Ottobre 1144; Guglielmo, che nel 1166 assistette all’incoronazione del Re Guglielmo II nella qualità di Grande del Regno; Ferrandino e NICASIO che abbracciarono la vita religiosa come membri dell’Ordine Ospedaliero dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, conosciuto oggi come Ordine di Malta. I due fratelli Ferrandino e Nicasio pronunziarono come frati laici i tre voti religiosi di Povertà, Castità e Obbedienza e il quarto voto di “restare in armi” per dedicarsi al conforto degli afflitti, all’assistenza dei pellegrini e degli ammalati e alla difesa dei territori cristiani della Terra Santa, aderendo pienamente allo spirito dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme che aveva come princìpi ispiratori la difesa della fede, l’assistenza ai pellegrini e agli ammalati, l’impegno alla solidarietà, alla giustizia, alla pace, sulla base dell’insegnamento della dottrina evangelica, in stretta comunione con la Santa Sede, attraverso una carità operosa e dinamica, sostenuta dalla preghiera. Essi risposero all’appello del Gran Maestro dei Gerosolimitani, Ruggero Des Moulins, che sollecitava presso i prìncipi cristiani l’aiuto per la liberazione della Terra Santa. Nel 1185, imbarcatisi a Trapani al seguito di Ruggero Des Moulins che ritornava a Gerusalemme scortato da due galere del Re Guglielmo II, partirono per la Terra Santa, dove, secondo lo spirito dell’Ordine, prestarono il loro servizio agli ammalati e ai pellegrini nell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme. Nel 1187 il Sultano Saladino, il cui regno si estendeva dal deserto libico alla valle del Tigri circondando su tre fronti i regni crociati, il 30 Giugno invase il regno di Gerusalemme, i Cristiani, dopo aver difeso il castello di Tiberiade, decimati e allo stremo, si rifugiarono sopra una collina chiamata Corni di Hattin, dove il 4 Luglio vennero definitivamente sconfitti, fatti prigionieri e poi consegnati ai carnefici. In questa battaglia, che si concluse con la resa di Tiberiade e di Tolemaide, rimasero uccisi Ruggero Des Moulins e gran parte degli Ospitalieri. Anche San Nicasio che era capitano al seguito di Ruggero Des Moulins fu fatto prigioniero durante la battaglia di Hattin e, poiché si rifiutò di rinnegare Cristo, fu decapitato, in odio alla fede, alla presenza del Sultano Saladino. Quando l’Arcivescovo di Tiro, Josias, giunto a Palermo nell’estate del 1187, diede la notizia dell’uccisione dei fratelli Ferrandino e Nicasio al Re Guglielmo II, questi si stracciò i lussuosi vestiti di seta, indossò un saio e andò in ritiro penitenziale per quattro giorni. Nicasio fu venerato come Martire sin dai primi anni dopo la sua morte, e ciò prova che morì come cristiano in difesa di Cristo e della fede. San Nicasio fu quindi un Crociato che testimoniò la propria fede con il martirio, dando così l’esempio di come vivere nello spirito delle beatitudini evangeliche, che egli si era impegnato a realizzare, vestendo l’abito dei Cavalieri Gerosolimitani (la croce ottagonale bianca, segno delle otto beatitudini), in quanto seppe abbandonare gli agi della sua casa per diventare povero nel nome del Signore, accettando le afflizioni di un lungo viaggio in Terra Santa, per servire Cristo negli ammalati e nei pellegrini con la mitezza di chi, affamato e assetato della giustizia, desiderava ridare ai cristiani la gioia di poter venerare i luoghi in cui era vissuto il Salvatore, e ciò come frutto della misericordia verso il prossimo, cioè dell’amore che fu la sua forza nella persecuzione, affrontata per portare la pace laddove questa veniva negata ai cristiani. L‘Imperatore Federico II il 24 Agosto 1232, nell’investire Guglielmo de Burgio delle terre di Caltagirone, creandolo Viceré della Valle di Noto, fra le glorie della famiglia Burgio ricorda i due fratelli Ferrandino e Nicasio ”…in supradicto Hospitale crucesignati…qui in humanae et Divinae Majestatis servitium sanguinem effunderunt…” .

La venerazione del Martire Nicasio pare abbia avuto inizio a Caccamo, ma un altare a lui dedicato esisteva già nel 1305 nella Chiesa Arcipretale di San Pietro in Trapani. Scrive il Sacerdote Vincenzo Venuti nel suo “discorso storico-critico” su San Nicasio Martire edito nel 1762 “…ora dal dominio, ch’ ebbe vicino di Caccamo la famiglia del Burgio, o dalla divozione, che a San Nicasio professò la famiglia Cabrera, o per ambi i motivi, io stimo essersi pian piano introdotto in Caccamo un qualche culto del nostro Santo Gerosolimitano…”. I Burgio non erano Signori di Caccamo, ma furono padroni di un casale nei pressi della Città chiamato Caccamo minore, che estendeva i suoi confini con Termini Imerese, a quattro miglia da Caccamo. A tal proposito si legge nel testamento di Roberto Lo Burgio datato 4 Luglio 1230 “…investit ex nunc et pro tempore post ejus mortem Dominum Rubertellum…Pheudi et Casalis Caccabi minoris, et de omnibus terris a dicto Casale descendentibus in vallonem usque ad confines Hymeram…”. Inoltre, un discendente della famiglia Burgio, Nicolò Lo Burgio, sposò Leonora Maria Cabrera un tempo Signora di Caccamo. In Sicilia il culto di San Nicasio si diffuse da Caccamo, dove, come già detto, era stato introdotto dalla famiglia Cabrera la quale lo vantava come antenato e che, volendo propagare la gloria del casato, aveva costituito Patrono della Città quel Martire che era al tempo stesso Protettore della famiglia e, a Caccamo, raggiunse l’apice tramite l’opera del Beato Giovanni Liccio il quale ne rese più viva la venerazione. Essendosi sparsa la devozione, diverse immagini del Santo furono dipinte nelle strade e nelle case private di Caccamo, come attestato da un atto notarile del 1573, e particolarmente nella chiesa a lui dedicata di fronte alla Città perché da lì potesse proteggere tutto il popolo. Appare così chiaro che San Nicasio fu il più antico Protettore di Caccamo. Numerosi furono i miracoli che si videro a Caccamo per intercessione di San Nicasio, tra i quali le liberazioni dalla peste avvenute nel 1575 e nel 1624. San Nicasio veniva inoltre invocato per ottenere la guarigione da una malattia del collo chiamata struma o scrofole, e ciò ne facilitò la diffusione della devozione in tutta la Sicilia. A Caccamo si costituì pure una Confraternita a lui intitolata, approvata il 5 Agosto 1596 dall’ Arcivescovo di Palermo Diego De Haedo, il quale rafforzò la venerazione che i Caccamesi tributavano a San Nicasio, concedendo ad essi il 29 Agosto 1604 una reliquia del Santo che egli aveva rinvenuto sotto la pietra dell’altare maggiore della Cattedrale di Palermo, dove era stata collocata alcuni anni dopo la morte di Guglielmo Lo Burgio il quale così scrisse nel suo testamento datato 4 Agosto 1347 ”…e cchiui vogghiu chi miu fighiu Franciscu avissi a fari bona la dunazioni, chi iu fici di la Reliquia di Santu Nicasiu miu parenti a la Chiesa di Palermu, quali Reliquia fu data a lu quondam Rubertu di lu Burgiu di un militi dittu Vestul, di cui fu Duci, e Capitanu lu dittu Santu Nicasiu, quannu cummattiu pri la Fidi di Cristu, comu militi di li Spitali di Gerusalemmi…”. Il 17 Ottobre 1609 il Cardinale Giannettino Doria ordinò come festa di precetto per la Città di Caccamo la solennità di San Nicasio, “concedendo a tutte quelle persone che visiteranno la Chiesa di Santo Nicasio nella vigilia et festa di detto Santo per insino al tramontar del sole di detta festività giorni cento d’indulgenza oltre l’indulgenza plenaria che per Sua Santità è concessa a detta chiesa”. Il 31 Maggio 1625, con atto ufficiale presso il notaio Pietro Ciuffo, il Clero, il Sindaco ed i Giurati di Caccamo elessero San Nicasio Martire Patrono e Protettore della Città, con voto perpetuo di celebrarne ogni anno la festa, a spese comunali, nell’ultima Domenica d’Agosto e Lunedì successivo (giorno anniversario della traslazione della reliquia). Il 4 Ottobre 1996 l’Arcivescovo di Palermo il Card. Salvatore De Giorgi con Decreto Arcivescovile ha riattivato l’antichissima Confraternita di San Nicasio. Il Martyrologium Romanum promulgato nel 2001 da Sua Santità Giovanni Paolo II pone la festa liturgica di San Nicasio Martire al 1° Luglio “Die 1 iulii - Ptolemaide in Palaestina, sancti Nicasii, equitis Ordinis Sancti Ioannis Hierosolymitani et martyris, qui in Terrae Sanctae defensione a Saracenis captus et decollatus est”. A Caccamo, oltre la festa liturgica del 1° Luglio, ogni anno viene solennizzata la festa della traslazione della Reliquia di San Nicasio Martire nell’ultima Domenica d’Agosto e Lunedì successivo.

``PREGHIERA A SAN NICASIO

`` O Glorioso Martire e nostro Patrono e Protettore Santo Nicasio, dal Cielo dove godi l’eterna visione di Dio, volgi il tuo sguardo pietoso verso questo popolo, verso questa tua Città di Caccamo e intercedi per noi.
Per i meriti del tuo martirio ottienici da Dio la forza necessaria per testimoniare la nostra fede, difendici dai pericoli dell’anima e del corpo, sostienici nelle malattie, assistici nelle necessità, consolaci nelle amarezze della vita e soccorrici nell’ora della nostra morte.
O Glorioso Santo Nicasio, prega per noi affinché, sperimentando sempre i frutti del tuo patrocinio, possiamo camminare con entusiasmo incontro a Cristo Vita e Salvezza nostra.
Amen.



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00mercoledì 1 luglio 2009 10:55

Sant' Oliviero Plunkett Martire

1 luglio

Loughcrew (Irlanda), 1625 - Londra, 1 luglio 1681

Nato nel 1625 a Lougherew, Irlanda, Oliviero Plunkett studiò a Roma presso il Collegio irlandese e insegnò per 12 anni all'Urbaniana. Fu ordinato prete nella cappella dell'Ateneo missionario da un vescovo irlandese in esilio per la persecuzione di Cromwell. Quando quest'ultimo morì, si aprì un periodo tranquillo per la Chiesa. Oliviero tornò in patria come arcivescovo di Armagh per riorganizzare la comunità. Ripresa la persecuzione, si rifugiò sui monti per sfuggire all'esilio. Accusato di un inesistente «complotto cattolico», fu condannato a morte e giustiziato nel 1681. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Ancora a Londra, sant’Oliviero Plunkett, vescovo di Armagh e martire, che, falsamente accusato di cospirazione e condannato a morte sotto il re Carlo II, al cospetto della folla presente davanti al patibolo, perdonò i suoi nemici e professò fino all’ultim


S. Oliviero Plunkett nacque nel 1625 a Lougherew, nella diocesi di Meath, da una famiglia anglo-normanna. Educato cattolicamente, studiò a Roma presso il Collegio Irlandese e ricevette l’ordinazione sacerdotale nella cappella del Collegio Urbaniano di Propaganda Fide nel 1654 dalle mani di un Vescovo irlandese rifugiatosi a Roma a causa delle persecuzioni di Cromwell.
Trovatosi, proprio a causa di questa situazione, nell’impossibilità di tornare in Irlanda, Oliviero esercitò per alcuni anni il ministero sacerdotale a Roma.
Entrò fra i cappellani della casa oratoriana di San Girolamo della Carità e si dedicò alla cura spirituale degli infermi. Nel frattempo si laureava in diritto alla Sapienza.
Nominato nel 1657 professore di teologia al Collegio Urbaniano, insegnò per dodici anni ai giovani destinati a recarsi in missione e svolse attività di consigliere per gli affari irlandesi della Sacra Congregazione di Propaganda Fide.
Morto Cromwell, in Irlanda cominciò un tempo più sereno per la Chiesa e il Plunkett fu nominato Arcivescovo di Armagh. Ricevuta l’ordinazione episcopale nel 1669, nel marzo dell’anno successivo tornò in Irlanda dove si prodigò con gran zelo nella riorganizzazione dell’Archidiocesi. Lavorò per tre anni in modo instancabile. Ricominciata la persecuzione, l’Arcivescovo Plunkett, all’ordine di lasciare il paese, preferì rimanere con i suoi fedeli.
Scelse la via della montagna e dei boschi, e per mesi dovette soffrire molto per il freddo e la fame. Tra i patimenti, era grato al Signore di potersi dedicare allo studio e alla meditazione della Parola di Dio. Dopo una breve pausa, che vide Mons. Plunkett riprendere provvisoriamente il suo ministero, scoppiò una nuova e grave crisi con le rivelazioni di un “complotto cattolico”.
L’Arcivescovo fu coinvolto nel processo di Dundalk nel 1680, e poi trasferito a Londra dove l’anno dopo fu ancora processato e infine condannato a morte. Sopportò le calunnie, il carcere e le altre sofferenze con indomita fede.
Morì il primo luglio 1681.
Fu beatificato il 23 maggio 1920 da papa Benedetto XV.
La memoria liturgica è il primo luglio.

Molte considerazioni si poterebbero fare su questo nuovo Santo. Tra queste possiamo ricordare la sua incredibile energia. Sapeva conciliare i doveri di pastore (trascorreva buona parte del suo tempo tra il suo popolo) e di amministratore, con regolari e attente relazioni a Roma. Colpisce di lui, pure, la sua acuta intelligenza, la sua cultura, e la sua preoccupazione per i “media”. Concludendo il nostro discorso su sant’Oliviero, vogliamo ascoltare le parole del Postulatore della Causa, John Hanly, che scrive di lui sull’Osservatore Romano del 12 ottobre 1975:
"La Chiesa, oggi come sempre, ha bisogno dell’esempio dei suoi santi membri. Ed ha anche bisogno della loro intercessione presso il trono di misericordia. L’esempio di Oliver Plunkett può oggi ispirare il fedele che vive in Paesi ove la fede cattolica è in vari modi ostacolata, se non addirittura apertamente ostacolata. Egli, in quanto arcivescovo di Armagh, fu un pover’uomo, ma curò per i sacerdoti della sua provincia un alto livello di decoro clericale, il che non è oggi per la Chiesa un esempio da poco rilievo. Se questi livelli fossero stati mondani, il primo soffio della persecuzione lo avrebbe trovato fuggiasco, anziché nelle vesti del buon pastore pronto a soffrire pur rimanendo fedele al suo gregge. Il mondo odierno, nel quale hanno così poco senso, la vocazione, la fedeltà al proprio compito, ha bisogno del suo esempio".



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00mercoledì 1 luglio 2009 11:02

Preziosissimo Sangue di Gesù

1 luglio


Il Sangue, è descritto nella Bibbia come un importante elemento della vita.
``"La vita di una creatura risiede nel sangue" (Levitico 17,11). E' soprattutto in questo versetto biblico che si può comprendere l'assoluta importanza che questo liquido comporta nella vita sia degli esseri umani che degli animali.
``L'Antico Testamento si sofferma diverse volte sull'argomento del sangue, ribadendone la preziosità. Dio Padre comanda di non versare il sangue, cioè di non spargerlo inutilmente con gli assassinii, di non berlo e di non mangiare carni animali che contengano ancora residui di sangue; perchè il sangue è vita, il sangue è sacro. (Deuteronomio 12,23).``
Ed è all'importanza del sangue nell'Antico Testamento, che si affianca l'importanza del sangue Divino di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana: Gesù. Il Sangue di Cristo è la più grande e perfetta rivelazione dell'Amore del Padre Celeste e la sua effusione vivificante è sorgente della Chiesa, che continuamente rinasce nutrendosi del Sangue Divino, e, attraverso di essa, è riscatto per l'uomo peccatore a cui viene donata la salvezza.
``La vita spirituale trova un insostituibile alimento nel Sangue di Cristo, vero fulcro del cuore, della vita e della missione della Chiesa.``
Gesù stesso, nell'Ultima Cena, dà importanza rilevante al Sangue, che è simbolo della Redenzione. Anche San Paolo nelle sue lettere parla con devozione del Riscatto umano dal peccato, che è avvenuto tramite la morte di Gesù, il quale ha tanto amato gli uomini fino a versare il suo Prezioso Sangue.
``Dal punto di vista storico si può dire che già anticamente era viva la devozione al Preziosissimo Sangue. Dopo un lungo periodo nel corso del quale questa devozione non venne più praticata, il Sangue di Cristo cominciò nuovamente ad essere adorato nella prima metà dell'ottocento, attorno a una presunta reliquia della Passione che si conservava nella Basilica di S.Nicola in Carcere (oggi S.Giuseppe a Capo le case).``
L'iniziatore, fu un pio sacerdote, poi vescovo, don Francesco Albertini, promotore di una Confraternita intitolata appunto al Preziosissimo Sangue, nel cui seno si formarono grandi spiriti che ne proseguirono e ne diffusero la devozione.``
Tra gli altri propagatori di questa devozione, brillano i nomi di S.Gaspare del Bufalo, fondatore dei Missionari del Preziosissimo Sangue, e di S.Maria De Mattias, che fondò le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo.``
In tutta Italia e anche nel mondo, sorsero diversi Istituti femminili dedicati al Sangue di Cristo, come le Suore del Preziosissimo Sangue, fondate a Monza da Madre Maria Matilde Bucchi, le Figlie della Carità del Prezioso Sangue, fondate a Pagani (SA) da don Tommaso Fusco. E ai nostri giorni altre congregazioni presero vita a Honk Kong, in Sudafrica e negli USA.``
Nel 1822, S.Gaspare presentò istanza alla Santa Sede per ottenere il "Nulla osta" per la celebrazione della festa del Preziosissimo Sangue. La Sacra Congregazione dei Riti Religiosi, concesse di celebrarla la prima domenica di luglio, ma solo all'interno della congregazione di S. Gaspare.
``Pio IX la fissò al primo luglio, e Pio XI la elevò a rito doppio di prima classe nell'aprile 1934, a ricordo del XIX centenario della Redenzione.
``Paolo VI poi, abbinò questa festa a quella del Corpus Domini, creando però malcontento tra i devoti e gli istituti religiosi dedicati al Sangue di Cristo. Ricevuti in udienza i devoti e gli istituti, il Papa volle chiarire il significato di tale abbinamento, ribadendo la sua intenzione di non degradare in nessun modo la devozione al Sangue.
``Il Santo Padre concesse ugualmente il diritto di celebrare la festa il primo luglio, con liturgia di solennità.



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00mercoledì 1 luglio 2009 11:06

Santa Regina di Denain

1 luglio

VIII secolo

Rimasta vedova del conte Beato Adalberto di Hainaut, fondò il monastero di Denain, del quale in seguito fu badessa la figlia Santa Renfrida.


Ultimamente pare rincontrare nuovamente fortuna il nome “Regina”, che ispira indubbiamente sentimenti regali, pur senza incorrere in fraintendimenti politici od istituzionali. Regina, infatti, è uno tra i più bei titoli maggiormente attribuiti alla Madonna, che veneriamo come Regina degli Angeli, dei Patriarchi, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri, dei Confessori della fede, delle Vergini, di tutti i Santi, del Rosario, della famiglia, della pace e del Cielo.
Questo dunque è uno di quei nomi sorti come titoli devozionali verso la Vergine Santissima.
Ciò non toglie, però, che vi siano due sante che portano questo nome, nelle cui ricorrenze è possibile festeggiare l’onomastico, mentre assai più numerose sono le sante “regine” di fatto.
La santa Regina venerata in data 1° luglio, vissuta in Francia nell’VIII secolo e discendente di un’importante famiglia dell’Hainaut, fu in realtà una contessa, poiché andò in sposa al conte Adalberto. Da questo felice matrimonio nacque una figlia, chiamata Renfrida, o Reginfreda.
Rimasta vedova ancora giovane, Regina intraprese la fondazione di un nuovo monastero a Denain, nei pressi di Valenciennes, città celebre per i suoi pizzi. Qui la contessa assunse il velo come benedettina ed assumendo come obiettivo la propria santificazione per mezzo della preghiera e del lavoro.
Ma colei che Regina aveva generato nella carne, cioè la figlia Renfrida, divenne ben presto sua madre spirituale, assumendo la carica di badessa del nuovo monastero. La santa genitrice le si sottomise volentieri, dando così origine ad un capovolgimento di posizioni assolutamente impossibile sul piano umano, ma non spiritualmente.
La badessa Renfrida fu anch’ella venerata come santa alla sua morte ed è dunque ricordata l’8 ottobre.
Di questa vicenda non si possono purtroppo soggiungere ulteriori dettagli, poiché esistono solo alcune leggende prive di alcun fondamento storico. Ma ciò che sappiamo, nonché l’antichità del culto conferitole, può bastare come conferma delle silenziose virtù di questa santa che portò il bel nome regale di Regina.


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00mercoledì 1 luglio 2009 11:09

San Teodorico di Mont-d'Or Abate

1 luglio


Etimologia: Teodorico = che sta a capo del popolo, dall'anglosassone

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Presso Reims nel territorio della Neustria, in Francia, san Teodorico, sacerdote, discepolo del vescovo san Remigio.


Secondo antichi scritti e di incerto valore, Teodorico nacque nella regione della Mrna, ove il padre Marcardo viveva di brigantaggio e furti.
``Quando si sposò propose alla moglie di vivere castamente, ma non essendo riuscito a convincerla, l’abbandonò. A noi viventi in quest’epoca moderna, ci sembra tutta un’assurdità, ma nell’Alto Medioevo non è raro trovare queste coppie che di comune accordo decidano di vivere castamente il loro matrimonio, inteso allora anche come un vincolo di fede reciproco; e lungo i secoli troviamo coppie che raggiungono il martirio insieme, oppure diventano santi mettendo in pratica un separazione che contemplava la scelta di un monastero per ognuno.
``Teodorico si recò presso il vescovo s. Remigio che gli suggerì di vivere in solitudine nei dintorni di Reims a Mont Or, oggi Mont d’Or.
``S. Remigio lo ordinò sacerdote; attorno a lui si riunirono numerosi discepoli, compreso il padre Marcardo, pentitosi delle sue infamie.
``Il re d’Austrasia, Teodorico I, gravemente ammalato ad un occhio, si recò a trovare il pio abate per le cui preghiere ottenne la guarigione, si dice anche che Teodorico risuscitò anche la figlia del re il quale dimostrò la sua gratitudine con grandi elemosine al monastero.
``Il santo abate fondatore, morì il 1° luglio 533, fu sepolto nella chiesa di Mont Or sulla cui tomba avvennero molti miracoli.
``L’Abbazia fu distrutta dagli Ungari; nel 933 fu restaurata dal vescovo di Reims, nel sec. XIII fu edificata una grande chiesa.
``Dopo molte vicissitudini, nei secoli, legate al destino del monastero, nel 1776, le reliquie sistemate in una cassa d’argento dorato, furono trasferite nella chiesa parrocchiale.
``Nel Martirologio Romano è precisato che Teodorico era discepolo di s. Remigio.


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00mercoledì 1 luglio 2009 11:12

Beato Tommaso Maxfield Martire

1 luglio

1585 - 1 luglio 1616


Da Guglielmo e Orsola Ross (o Roos), entrambi ferventi cattolici, perseguitati per la fede, nacque Tommaso Maxfield intorno al 1585, forse nelle prigioni di Gatehouse, dove sua madre si trovava rinchiusa, perché ricusante. Desi­deroso di abbracciare lo stato religioso, si recò nel 1603 in Francia per frequentare il collegio inglese di Douai, che dovette tuttavia lasciare per ragioni di salute, il 17 magg. 1610, ma dove ritornò in seguito, ricevendovi la sacra Ordinazione dalle mani di Ermanno, vescovo di Arras, il 29 marzo 1614.
``Inviato alla missione inglese, il suo ministero in patria durò soltanto tre mesi, esercitato sotto il nome di John Cleaton, perché il 1° nov. 1615 venne catturato a Londra davanti all'altare su cui qualche minuto prima aveva terminato di celebrare la Messa. Dopo aver subito un primo interrogatorio da parte del vescovo anglicano, fu rinchiuso nelle prigioni di Gatehouse, a Westminster, dove passò circa otto mesi di sopportabile detenzione. Il 14 giug. 1616, in seguito ad uno sfortunato tentativo di fuga, effettuato calandosi con una fune dalla finestra della sua cella, venne segregato avvinto in pesanti catene in un fetido, angusto ed oscuro locale sotterraneo, dove, oltre alla sofferenza di non poter stare né in piedi, né sdraiato, dovette subire nelle settanta ore che vi trascorse il continuo tormento delle punture di innumerevoli insetti, senza tuttavia che il suo spirito ne rimanesse fiac­cato. Trasferito il 17 giug. seguente nelle prigioni di Newgate, fu messo tra i delinquenti comuni, due dei quali furono da lui riconciliati con la fede.
``Al processo il Maxfield si rifiutò di prestare il giura­mento di fedeltà al re Giacomo I nel modo in cui gli veniva imposto, protestando peraltro di essere assolutamente fedele al suo sovrano, che affermava di riconoscere come vero e legittimo. Ritenuto co­munque reo di alto tradimento nella sua qualità di prete cattolico, che rifiutava altresì di giurare, il 30 giug. successivo venne condannato ad essere impiccato e squartato. Inutilmente intercedette in suo favore l'ambasciatore spagnolo Diego Sarmiento de Acuna, che ottenne soltanto l'autorizzazione di poter far visita al prigioniero.``Il giorno seguente un'inconsueta moltitudine di popolo fece ala lungo tutto il tragitto percorso dal M. che veniva condotto all'estremo supplizio, confortato da un numeroso stuolo di cattolici oran­ti, tra cui molti spagnoli, i quali avevano inghirlan­dato il patibolo di fiori e di ramoscelli di alloro, per onorare il martire, mentre il terreno circostante appariva cosparso di erbe odorose. Dopo aver di­chiarato che unico scopo della sua attività missio­naria era stato quello di giovare alla salvezza delle anime dei suoi amati compatrioti, predicando quella stessa fede già predicata da s. Agostino di Canter­bury ai loro antenati, benedi tutti i presentì e porse la testa al capestro.
``Era il 1° lugl. 1616 quando il nodo scorsoio troncò la vita al beato Tommaso Maxfield, i cui resti mortali, che il suddetto ambasciatore spagnolo riuscì a pre­levare ed a portare con sé rimpatriando nel 1618, sono tuttora conservati parte a Gondomar ed in altre località della Spagna e parte nell'abbazia be­nedettina di Downside, dove furono portati nel 1885 da Gilberto Dolan, che li aveva avuti dai di­scendenti dell'antico ambasciatore di Spagna in In­ghilterra, conte di Gondomar. Innalzato all'onore degli altari da Pio XI, il 15 dic. 1929, il beato Tommaso Maxfield viene commemorato il 1° luglio.



Stellina788
00mercoledì 1 luglio 2009 11:15

San Zhang Huailu Martire

1 luglio

m. 1900

Catecumeno che, durante la persecuzione in Cina, spontaneamente si è dichiarato cristiano ed è stato battezzato col proprio sangue, nella città di Zhuhedian.

Martirologio Romano: Nel villaggio di Zhuhedian presso Jeshui nella provincia dello Hunan in Cina, san Zhang Huailu, martire, che, durante la persecuzione scatenata dai seguaci della setta dei Boxer, mentre era ancora catecumeno, si professò spontaneamente cristiano e, fortificatore.


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