10 febbraio

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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:38

Santa Scolastica Vergine

10 febbraio

Norcia, Perugia, ca. 480 - Montecassino, Frosinone, ca. 547

Scolastica ci è nota dai “Dialoghi” di san Gregorio Magno. Vergine Saggia, antepose la carità e la pura contemplazione alle semplici regole e istituzioni umane, come manifestò nell’ultimo colloquio con il suo fratello s. Benedetto, quando con la forza della preghiera “poté di più, perché amò di più”. (Mess. Rom.)

Patronato: Suore

Emblema: Colomba, Giglio

Martirologio Romano: Memoria della deposizione di santa Scolastica, vergine, che, sorella di san Benedetto, consacrata a Dio fin dall’infanzia, ebbe insieme con il fratello una tale comunione in Dio, da trascorrere una volta all’anno a Montecassino nel Lazio un giorno intero nelle lodi di Dio e in sacra conversazione.

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Il nome di Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia, richiama al femminile gli inizi del monachesimo occidentale, fondato sulla stabilità della vita in comune. Benedetto invita a servire Dio non già "fuggendo dal mondo" verso la solitudine o la penitenza itinerante, ma vivendo in comunità durature e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro o studio e riposo. Da giovanissima, Scolastica si è consacrata al Signore col voto di castità. Più tardi, quando già Benedetto vive a Montecassino con i suoi monaci, in un altro monastero della zona lei fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.
La Chiesa ricorda Scolastica come santa, ma di lei sappiamo ben poco. L’unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all’imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a Benedetto, solo all’ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale.
Ecco la pagina in cui li troviamo insieme. Tra loro è stato convenuto di incontrarsi solo una volta all’anno. E Gregorio ce li mostra appunto nella Quaresima (forse) del 542, fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio che non finirebbe più, su tante cose del cielo e anche della terra. L’Italia del tempo è una preda contesa tra i Bizantini del generale Belisario e i Goti del re Totila, devastata dagli uni e dagli altri. Roma s’è arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio, in Italia centrale gli affamati masticano erbe e radici. A Montecassino passano vincitori e vinti; passa Totila attratto dalla fama di Benedetto, e passano le vittime della violenza, i portatori di tutte le disperazioni, gli assetati di speranza...
Viene l’ora di separarsi. Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiuta: la Regola non s’infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po’ ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori e accompagnatrici si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro.
Tre giorni dopo, leggiamo nei Dialoghi, Benedetto apprende la morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l’alto in forma di colomba. I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino; e dove sarà deposto anche lui, morto in piedi sorretto dai suoi monaci, intorno all’anno 547.





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:38

Beato Alojzije Viktor Stepinac Vescovo e martire

10 febbraio

Brezaric, Krasic, Croazia, 8 maggio 1898 - Krasic, Croazia, 10 febbraio 1960

Nasce l'8 maggio 1898 a Brezaric, nella parrocchia di Krasic presso una famiglia di contadini benestanti. Nel 1919 entra in seminario, e dal suo vescovo è mandato a Roma per gli studi teologici. Qui nel 1930 è ordinato sacerdote. Nel 1934 è consacrato suo vescovo coadiutore con diritto di successione. Pochi anni dopo, nel 1937, egli succede a monsignor. Bauer come arcivescovo di Zagabria. Durante la seconda guerra mondiale fu uno strenuo avversario del Nazi fascismo difendendo famiglie di ebrei e di zingari. Dopo il 1945 Stephinac diventerà uno dei più audaci difensori della libertà religiosa contro il regime di Tito. Il 19 ottobre 1946 è rinchiuso in carcere fino al 1951. Anno nel quale è confinato nel villaggio natio di Krasic dalla polizia locale. Il 12 gennaio del 1953 viene creato cardinale da Pio XII. Il 10 febbraio 1960 muore a causa di una malattia, contratta in carcere. E' beatificato il 3 ottobre 1998 da Giovanni Paolo II. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nella cittadina di Krašić vicino a Zagabria in Croazia, beato Luigi Stepinac, vescovo di Zagabria, che con coraggio si oppose a dottrine che negavano tanto la fede quanto la dignità umana, finché, messo a lungo in carcere per la sua fedeltà alla Chiesa, colpito dalla malattia e consunto dalle privazioni, portò a termine il suo insigne episcopato.


La Chiesa compie la missione affidatale dal Divin Maestro, di essere strumento di santità attraverso le vie dell’evangelizzazione, dei sacramenti e della pratica della carità. Tale missione riceve un notevole contributo di contenuti e di stimoli spirituali anche dalla proclamazione dei beati e santi, perché essi mostrano che la santità è accessibile alle moltitudini, che la santità è imitabile.
Con la loro concretezza personale e storica fanno sperimentare che il Vangelo e la vita nuova in Cristo non sono un’utopia o un sistema di valori, ma sono ‘lievito’ e ‘sale’ capaci di far vivere la fede cristiana all’interno e dall’interno delle diverse culture, aree geografiche ed epoche storiche.
E in questa ottica, si inserisce la fulgida e sofferta testimonianza della fede del cardinale Alojzije Viktor Stepinac a Zagabria, vittima del comunismo ateo del dopoguerra nei Balcani.
Egli nacque a Brezaric, nella parrocchia di Krasic (diocesi di Zagabria) l’8 maggio 1898; dopo gli studi elementari nel natio paese, proseguì quelli liceali nel seminario arcivescovile di Zagabria, capoluogo della Croazia, che a quel tempo faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico; ottenuta la maturità nel 1916, venne poi arruolato nell’esercito austriaco e come ufficiale fu inviato sul fronte italiano, essendo in corso la Prima Guerra Mondiale.
Fu fatto prigioniero dagli italiani nel luglio 1918, fu rilasciato nel dicembre successivo a fine guerra; fu in seguito volontario nella Legione Jugoslava e inviato a Salonicco, rientrando in Croazia nella primavera del 1919, nel frattempo aveva rinunziato all’idea di farsi sacerdote.
Infatti nell’autunno del 1919, prese a frequentare la Facoltà di Agronomia nell’Università di Zagabria, ma nel 1924 a 26 anni, gli ritornò la vocazione sacerdotale, quindi si recò a Roma per studiare nel Collegio Germanico-Ungarico e all’Università Gregoriana, conseguendo le lauree in filosofia nel 1927 e teologia nel 1931.
Fu ordinato sacerdote il 26 ottobre 1930, celebrando la sua prima Messa nella basilica di S. Maria Maggiore. Nel 1931 lasciò Roma per ritornare in Croazia, dove nel frattempo si era instaurata, sin dal gennaio 1929, la dittatura del re Alessandro di Serbia; la situazione era difficilissima, perché i Serbi facevano di tutto per estirpare la religione cattolica a favore di quella ortodossa, che era la loro religione di Stato, in mancanza di concordati con il Vaticano, i cattolici erano considerati cittadini di second’ordine, mentre agli ortodossi erano concessi tutti i privilegi.
Padre Stepinac ebbe incarichi nella Curia, primo presidente della ‘Caritas’ diocesana, istituita per suo consiglio nel novembre 1931, dall’arcivescovo Bauer. Il 29 maggio 1934 papa Pio XI lo nominò a soli 36 anni, vescovo coadiutore con diritto di successione dell’arcivescovo di Zagabria e il 7 dicembre 1937, morto l’arcivescovo Bauer, diventò titolare della diocesi e dopo un po’, presidente della Conferenza Episcopale Jugoslava.
Nel 1941 la Croazia divenne uno Stato indipendente con l’aiuto del nazifascismo, sotto il regime di Ante Pavelic, il quale seguendo l’esempio di Hitler e Mussolini, prese a perseguitare le minoranze (ebrei, zingari, dissidenti, serbi).
I serbi si trovarono in posizione opposta di prima del regime, nei confronti dei croati e quindi dei cattolici; l’arcivescovo Alojzije Stepinac prese subito le difese dei perseguitati, proibendo ogni processo contro gli ortodossi, vietando che venissero ribattezzati nel casi di passaggio al cattolicesimo; intervenne con lettera presso Pavelic, per scongiurare che non venissero uccisi serbi che non avessero una provata colpa di delitto; chiedendo il 20 novembre 1941 il “rispetto totale della persona, senza distinzione di età, sesso, religione, nazionalità e razza”.
Questa sua strenua difesa, specie per gli ebrei ed i zingari, lo portò a predicare pubblicamente i suoi pensieri, al punto che il rappresentante tedesco a Zagabria commentò: “Se un vescovo pronunciasse in Germania tali discorsi, non scenderebbe vivo dal pulpito”; Pavelic inviò un inviato speciale al Vaticano per ottenerne la destituzione.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, ci fu un nuovo ribaltamento politico, infatti l’8 maggio 1945 entrarono a Zagabria i partigiani comunisti di Tito (Josip Broz - 1892-1984), i quali cominciarono una lotta sistematica contro le attività religiose; fu istituita l’OZNA polizia segreta comunista, che arrestò, fece processare e condannare a morte migliaia di cittadini, colpevoli di non simpatizzare con il nuovo regime ateo.
Per questo molti sacerdoti cattolici e alcuni vescovi, furono imprigionati e il 17 maggio 1945, toccò anche all’arcivescovo di Zagabria Stepinac, che però fu liberato il successivo 3 giugno per l’intervento di Tito, il quale aveva uno scopo, chiese al presule di staccarsi da Roma e di creare una Chiesa nazionale croata.
La risposta dell’arcivescovo fu dura e ferma, quindi ripresero le persecuzioni contro la Chiesa Cattolica: furono uccisi i vescovi di Dubrovnik e Krizcevi; condannato a 12 anni di carcere quello di Mostar, arrestati quelli di Krk e Spalato; espulso da Zagabria l’inviato speciale del Vaticano; condannati a morte senza processo 369 sacerdoti; confiscati i beni della Chiesa.
L’arcivescovo Stepinac il 22 settembre 1945 fece pubblicare una lettera collettiva dell’episcopato croato, che denunciava le ingiustizie subite dalla Chiesa, auspicando nel contempo un Concordato tra Stato e Chiesa. Il regime comunista reagì furiosamente, Stepinac fu arrestato il 18 settembre 1946 e subì un processo-farsa messo su con false testimonianze e calunnie, svoltosi a Zagabria fra il 30 settembre ed il 10 ottobre.
L’11 ottobre l’arcivescovo venne condannato a sedici anni di lavori forzati ed alla perdita dei diritti civili, anche per cinque anni dopo la fine della condanna; la sua colpa agli occhi del regime, in realtà fu il rifiuto di organizzare una Chiesa nazionale.
Il 19 ottobre 1946 fu rinchiuso nel carcere di Lepoglava in completo isolamento, fino al 5 dicembre 1951; gli era consentito solo la celebrazione della Messa e la lettura di libri religiosi; poi alla fine del 1951 venne confinato nel villaggio natio di Krasic, sorvegliato dalla polizia, ospitato nella parrocchia, senza esercitare il ministero episcopale.
Il 12 gennaio 1953 papa Pio XII lo creò cardinale, deplorando pubblicamente il regime che gli impediva di recarsi a Roma per la cerimonia, pena il non ritorno in Patria. A seguito di ciò il governo di Tito, ruppe ogni rapporto con la S. Sede, instaurando di fatto anche in Jugoslavia, quella che venne definita “Chiesa del silenzio” dei Paesi comunisti.
Nel 1956 gli venne fatta conoscere la lettera apostolica, con la quale papa Pacelli lodava la fede eroica dei cardinali Mindszenty in Ungheria, Wyszynski in Polonia, Stepinac in Jugoslavia, vittime della persecuzione comunista atea, esortandoli a perseverare nella loro testimonianza.
L’arcivescovo disse al parroco che l’ospitava: ”Se il papa chiede il martirio e rifiuta ogni trattativa col comunismo, allora tutto mi è chiaro”. Intanto già dal 1953 la malattia contratta nel carcere di Lepoglava, esplose in tutta la sua virulenza, con diversi disturbi, sopportati coraggiosamente e pazientemente: trombosi alle gambe, catarro bronchiale, polycitemia rubra vera, infiammazioni, forti dolori causati da un grosso calcolo alla vescica.
Lo stato generale si aggravò e inaspettatamente egli morì il 10 febbraio 1960, pregando per i suoi persecutori; dopo la sua morte, la polizia ordinò che tutti i suoi organi venissero distrutti dopo l’autopsia, per evitare ogni forma di culto.
Con un permesso speciale del governo, il 13 febbraio 1960, vennero solennemente celebrati i suoi funerali, nella cattedrale di Zagabria, presente l’intero episcopato jugoslavo e il clero e da allora iniziò un pellegrinaggio ininterrotto alla sua tomba nella cattedrale, numerose grazie sono attribuite alla sua intercessione.
Il processo per la sua beatificazione fu iniziato a Roma il 9 ottobre 1981, conclusasi con la solenne beatificazione celebrata da papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1998, nel santuario di Marija Bistrica (Zagabria).





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:39

Santa Austreberta Badessa di Pavilly

10 febbraio

630 - 704

Badessa benedettina. Nasce nel 630 dal conte palatino Badefrido e da santa Framechilde, vicino a Therouanne, nell'antica regione di Artois, oggi nel dipartimento di Pas-de-Calais. Destinata dalla famiglia a un matrimonio da lei avversato, Austreberta si reca da sant'Omero (595 - 670), che le impone il velo da vergine consacrata. In quegli anni il santo, il cui nome latino era Audomarus, era vescovo di Therouanne, dopo aver vissuto per vent'anni nel convento benedettino di Luxeuil. Tornata alla famiglia Austreberta riesce a convincere i genitori della bellezza della strada scelta. Decide così di vivere la propria vocazione entrando nel convento di Abbeville, detto Port-sur-Somme. In poco tempo fu eletta badessa e appoggiò la riforma del convento di Pavilly, dove una leggenda vuole che la santa riesca a domare un lupo affamato e dove tutt'ora esiste una chiesa a lei dedicata. Diventa famosa per le sue visioni e per i miracoli operati. Muore nel 704. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel territorio di Rouen in Neustria, oggi in Francia, sant’Austreberta, vergine e badessa, che resse santamente il monastero di Pavilly da poco fondato da sant’Audoeno vescovo.






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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:40

Santi Caralampo, Porfirio e Bapto Martiri

10 febbraio

m. Magnesia, Tessalia, 202

Il Martyrologium Romanum commemora in data odierna San Calarampo, vescovo di Magnesia in Tessalia, San Porfirio, San Daucto e tre sante donne, martiri sotto l’imperatore Settimio Severo agli inizi del III secolo. Si riporta l’iconografia dei tre santi.

Martirologio Romano: A Magnesia nella provincia d’Asia, nell’odierna Turchia, santi Caralampo, Porfirio, Daucto e tre donne, martiri sotto l’imperatore Settimio Severo.


Se­condo la passio che si legge nei menei greci, du­rante la persecuzione di Settimio Severo, il prefet­to di Magnesia, Luciano, fece arrestare Caralampo e aiutò i carnefici nel tormentarlo con uncini di ferro. Durante il supplizio le sue mani ricaddero inerti, ma Caralampo lo guarì prontamente. Toccati dal prodigio, i littori Porfirio e Bapto e tre donne che assiste­vano al supplizio si professarono cristiani. Il pre­fetto, pervicacemente incredulo, li fece decapitare tutti insieme. La passio è pervenuta in sei redazioni, cinque greche e una georgiana. Il dies natalis di Caralampo è posto negli Auctaria ad Usuardum il 10 febbraio. Secondo il Menologio di Basilio Porfirogenito e il Sinassario Costantinopolitano, il nome del secondo compagno di Caralampo è Daucto, non Bapto. Due sinassari, riportati dal Delehaye per integrare quello Costantinopolitano, uno di Patmos (sec. X, dove Caralampo è persino vescovo di Magnesia) e uno di Gerusalemme (secc. X-XI), aggiungono Teoctisto ai compagni di Caralampo Nel Martirologio di Rabban Sliba il nome di Caralampo compare il 10 sbat (10 febbraio), seguito da quello di « Daucta ».
Alcuni racconti pongono il martirio ad Antio­chia di Pisidia : perciò i Bollandisti riportano anche questo luogo nel titolo della memoria dedicata ai tre santi.
Si ha notizia di una fiera che si teneva in Cipro il 10 febbraio in onore di Caralampo (v. Delehaye, cit. in bibl.) e di un'icona che lo rappresentava (v. Halkin, cit. in bibl).





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:41

Beata Chiara Agolanti da Rimini Clarissa

10 febbraio

1280 - 1326

Chiara Agolanti nacque a Rimini nel 1280 in una famiglia molto ricca. Dopo una giovinezza dissipata, segnata anche da molteplici scandali, Chiara si convertì ed intraprese una vita di carità e di penitenza. Alla morte del secondo marito intensificò le sue penitenze fino alla decisione di formare una comunità di vita claustrale secondo la regola di Chiara di Assisi, con alcune donne che nel frattempo si erano unite a lei. Durante questo ultimo periodo della sua vita il Signore le fece dono di elevatissime grazie spirituali. Chiara Agolanti morì il 10 febbraio 1326. Gode del culto di Beata per antica tradizione.

Martirologio Romano: A Rimini, beata Chiara, vedova, che espiò con la penitenza, la mortificazione della carne e i digiuni la precedente vita dissoluta e, radunate delle compagne in un monastero, servì il Signore in spirito di umiltà.


Nel corso dei secoli, la vita di s. Maria Maddalena, come libertina e poi convertita e penitente, ha sempre avuto delle anime che si sono ritrovate, nel loro tempo, quasi nella stessa situazione, fra queste annoveriamo Chiara Agolanti.
Nata nel 1280 fu educata dal padre Onosdeo in modo molto forte nell’agire, quasi maschile e insofferente di ogni sottomissione. Passò la sua adolescenza cavalcando e giostrando, ribelle alle pratiche religiose che la madre Gaudiana cercava di inculcarle.
Morta la madre, il padre si risposò e lei divenne ancora più indipendente. Giovanissima sposò il figlio della matrigna ma rimase vedova dopo tre anni ereditando immense ricchezze. Per otto anni continuò a darsi alle feste, alle giostre cavalleresche, a conviti, con una vita frivola e mondana, dando adito in città a scandali e pessime dicerie.
Il padre e il fratello morirono lo stesso giorno mentre erano in guerra contro i Malatesta, per rivalità di dominio del territorio riminese, così che tutte le ricchezze della famiglia Agolanti si accentrarono nelle mani della giovane vedova.
Fu richiesta in sposa da un nobile che faceva anche lui una vita dissipata e lei acconsentì a patto che potesse continuare lo stesso modo di vivere. Un giorno per curiosità, entrò nella chiesa dei Padri Conventuali, s. Maria in Tribio e si sentì dentro di sé per la prima volta turbata e agitata, tornata a casa si rinchiuse nella sua stanza, dove gettatosi a terra ebbe un pianto dirotto di pentimento e decise allora di mutare vita.
Il giorno dopo si recò nella stessa chiesa ove si confessò in generale, da quel momento ricominciò un’esistenza di pietà, di opere buone, di penitenza, convertendo anche lo sposo, che due anni dopo morì in modo cristiano. A quel punto Chiara non pose più limiti alle sue penitenze che divennero terribili, animata da un fuoco d’espiazione che la divorava.
Con le sue immense ricchezze, prese ad aiutare tutte le miserie materiali e morali, dotò di dote ed assistenza tutte le ragazze povere da sposare. Alcune donne di grande fervore si riunirono intorno a lei disposte a fare una vita di clausura e di penitenza, Chiara fondò così un piccolo convento detto di s. Maria degli Angeli, poi successivamente detto di s. Chiara; ottenne la benedizione del vescovo di Rimini Guido Abasio, recandosi poi alla Chiesa Cattedrale per emettere i voti religiosi, secondo la Regola di s. Chiara.
Visse una decina d’anni come superiora, intensificando i sacrifici e la contemplazione della Passione di Cristo. Il Signore le concesse il dono di grazie mistiche elevatissime, con estasi così profonde che nessuna forza umana riusciva a farle sospendere e solo se le si portava davanti il ss. Sacramento si riprendeva.
Morì a 46 anni il 10 febbraio 1236, consumata dalle penitenze e dalla contemplazione; il suo corpo riposa nella chiesa del monastero.
Per antica tradizione gode del culto di Beata. Ricorrenza liturgica il 10 febbraio.

Autore: Antonio Borrelli





Se qualcuno avesse ancora dei dubbi che per il Signore nulla è perduto e che per ciascuno c’è la possibilità di ricominciare una vita nuova, segua la vicenda singolare della beata Chiara Agolanti, che con l’omonima santa di Assisi ha ben poco da spartire, almeno per i primi tre quarti della sua vita. Di famiglia fiorentina, nata nella seconda metà del 1200 a Rimini, dove la famiglia è stata esiliata, è una bambina ribelle, anzi una scavezzacollo che la mamma fatica a controllare e ad educare a più civili modi di vivere. La morte della mamma, quando lei ha appena sette anni, le concede ancora più indipendenza, mentre il padre cerca inutilmente di educarla con uno stile marziale e rigoroso che aumenta ancor più il suo senso di ribellione. Poco più che bambina viene promessa al figlio della matrigna, che sposa appena adolescente. Il giovane marito muore appena tre anni dopo, lasciandola erede di un’immensa ricchezza, che Chiara non fatica a sperperare. Il lutto, infatti, non l’ha certo addolorata né depressa, se riesce subito a darsi alla pazza gioia, alle feste mondane, ai banchetti e alle giostre. Un comportamento il suo, che finisce sulla bocca di tutti i riminesi, scandalizzati dal suo peccaminoso stile di vita. Nemmeno la morte tragica, in combattimento e nello stesso giorno, del papà e del fratello riesce a scuoterla. Anzi, questo ulteriore lutto concentra nelle sue mani tutto l’ingente patrimonio di famiglia, permettendole di condurre una vita ancora più trasgressiva e facendola diventare uno dei migliori “partiti” della città. Incapace di ogni solido legame, accetta di sposare uno dei compagni delle sue quotidiane bravate, un discusso e chiacchierato “gentiluomo”, a patto di poter continuare la sua vita sregolata. A 34 anni un fatto insolito nello squallore della sua vita morale: una forza misteriosa ma irresistibile la obbliga un giorno ad entrare in una chiesa e a recitare un “Padre nostro” che ha il potere di cambiarle la vita. Dopo una notte insonne, ritorna il giorno dopo nella stessa chiesa, questa volta per confessarsi e per fare il proposito di cambiare vita. Tanto sregolata e trasgressiva prima, quanto risoluta e tenace adesso nel tener fede ai propositi fatti, coinvolge nella conversione anche il marito libertino, che cambia vita e muore due anni dopo, in pace con Dio e con se stesso. Chiara, adesso, ha tutto un suo mondo di poveri da aiutare, affamati da sfamare e malati da curare, cui dona tutti i suoi beni. Da ricchissima che era sceglie di bussare di casa in casa per elemosinare quelle che serve alla vita di un convento di clausura. Addirittura fonda un convento tutto suo, nel quale vive esperienze mistiche molto intense, a volte appena turbate dal rimorso dei peccati giovanili, cui cerca di rimediare con rigorosissime penitenze. Alla sua morte è subito circondata dalla venerazione e dalla simpatia della gente, che la sente vicina non solo nel comune sforzo di fedeltà a Dio, ma anche nell’umana debolezza che ha contraddistinto la sua vita. E’ festeggiata il 10 febbraio.





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:41

Beata Eusebia Palomino Yenes Religiosa

10 febbraio

Cantalpino (Salamanca, Spagna), 15 dicembre 1899 - 10 febbraio 1933

Spagnola, nacque e visse nella umiltà. Nella prima giovinezza fu a servizio di diverse famiglie. Entrata nella Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, venne addetta al cucina e ad altri lavori casalinghi. Contemporaneamente svolse un fruttuoso apostolato tra la gioventù. Nel 1931, prevedendo la guerra civile spagnola, si offrì vittima al Signore, che la chiamò a sé dopo lunga malattia. Il decreto sulle virtù eroiche è stato promulgato nel 1996.

Martirologio Romano: A Valverde del Camino presso Huelva nell’Andalusia in Spagna, beata Eusebia Palomino Yenes, vergine dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che offrendo un insigne esempio di umiltà, senza alcuna ostentazione, ma con spirito di abnegazione raggiunse nei lavori più umili i vertici della grazia.


Ho scritto il profilo di diversi santi o di candidati alla santità, ma i miei prediletti sono i “piccoli”, gli umili, quelli che hanno patito e che sono stati considerati dei buoni a nulla, da coloro che la sanno lunga. Penso a S. Bernardette Soubirous, a S. Teresina di Lisieux, al Suddiacono Girard, al piccolo (grandissimo!) Silvio Dissegna (1967-1979) di 12 anni, la cui causa di beatificazione ora procede a Roma.
Dio è il primo a prediligerli. È il suo stile: Dio sceglie quelli che sono nulla per confondere i forti (1 Cor 1,27). Una di questi piccoli è quella che stiamo per presentare.

Nata in un tugurio
Spagna, Cantalpino, un povero paese di contadini e di pastori. Nel 1899, in una famiglia poverissima, cui mancava spesso il pane, nasce Eusebia Palomino. La sua casetta – l’ho vista in una foto – è uno squallido tugurio, più povera dell’abitazione di Giovannino Bosco ai Becchi di Castelnuovo d’Asti.
Eppure Eusebia e i suoi familiari sono sereni, persino felici: mentre la mamma prepara la frugale cena, papà spiega il catechismo alle bambine. Pregano insieme il Signore e la Madonna. Vivono nell’abbandono fiducioso in Dio: Lui sa che ci sono pur loro al mondo.
A sei anni, Eusebia comincia a frequentare le prime classi elementari del villaggio. Sovente a scuola non è preparata, anche perché è spesso assente: i suoi hanno bisogno di lei nei lavori. Ma è intelligente e sa tante cose che le compagne più fortunate non sanno.
Non ancora decenne, un giorno segue il papà che lascia la casa e va a chiedere l’elemosina per sopravvivere nei paesi dove non è conosciuto. Per strada, Eusebia canta, prega la Madonna, come si parla con la mamma. Ritorna a Cantalpino e trova lavoro come “baby sitter” e domestica.
Il primo incontro con Gesù nella Comunione la rapisce di felicità. Possiede Lui, è posseduta da Lui. Per vivere fa anche la pastorella: le affidano pecore, mucche, vitellini cui accudire. È grande la pace nei pascoli: Eusebia, in silenzio, prega il dolce Ospite della sua anima.

Serva di Gesù Servo
Ma la povertà e la miseria sono sempre grandi. Così verso i 13 anni, trova lavoro a Salamanca. Il distacco dai suoi è doloroso. È assunta come serva in una casa di signori: come “criada”, cioè serva tutto-fare. Un’esperienza nuova che non la intimidisce.
Quando va a far la spesa, per strada avvicina i poveri e dà loro il poco che possiede. Non riesce a tenersi dal fermarsi con i bambini per parlare loro di Gesù, della Madonna, del loro amore per noi. I soldati che incontra, soli, spesso sbandati, le fanno tenerezza: con una semplicità disarmante, da vera bambina, dà loro una medaglietta della Madonna, ricorda loro i doveri cristiani. Quelli la guardano, la ascoltano incantati. Forse è un angelo disceso dal cielo?
Vede che le altre ragazze vanno a divertirsi: i balli, le compagnie rumorose. Prova il desiderio di fare le stesse cose, ma una Voce interiore le dice: “Questo non è per te”. Da fanciulla aveva avuto dei sogni e ora continua a averli. Una notte aveva sognato Gesù Crocifisso: le sue piaghe erano splendide e illuminavano il mondo. Un’altra volta sogna la Madonna con tanta gente ai suoi piedi. Poco tempo dopo, incontra una ragazza che la invita all’oratorio tenuto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Eusebia va, scopre un mondo nuovo: le pare d’essere nata proprio per vivere in quel mondo. Le Salesiane la assumono come collaboratrice, per lavorare in cucina, nell’orto, dove c’è da sfaccendare. Notano che ha qualcosa di eccezionale, sotto i suoi modi dimessi e schivi.
Le alunne dell’oratorio, dopo qualche giorno, fanno amicizia con Eusebia: è giovane come loro, parla con dolcezza, con una naturalezza da stupire. In breve tutte la cercano e commentano: “Dice cose meravigliose sulla Madonna”. Le ragazze vorrebbero stare sempre con lei. Ha su di loro un ascendente straordinario.
Un giorno passa l’Ispettore (il superiore della “provincia”salesiana) e le dice: “Tu vuoi diventare Figlia di Maria Ausiliatrice?”. Eusebia risponde: “Sì”. Non aveva mai avuto altro desiderio. Il 31 gennaio 1921, inizia il suo cammino formativo come postulante. Continua a lavorare come tuttofare. È un’innamorata di Gesù. I suoi scritti traboccano di espressioni ardenti. Davanti al tabernacolo, esclama: “Adiòs, mio Prigioniero, che te ne stai lì, pazzo di amore per me. Perché non mi fai tua prigioniera e pazza di amore per Te?”.
Il 5 maggio 1922, veste l’abito religioso: è novizia. Incarico: ortolana, con tutte le mansioni che capitano. È devotissima della Madonna e si fa sua “schiava d’amore” secondo l’insegnamento di S. Luigi de Montfort. Ama “il rosario delle Sante Piaghe” rivelato da Gesù stesso all’umile visitandina suor Marta Chambon.
Alla vigilia dei voti, si ammala gravemente e non è ammessa alla professione. Quando sta per essere rimandata a casa, le superiore la ammettono ai voti. Diventata finalmente Figlia di Maria Ausiliatrice, spiega: “Facciamoci sante, il resto è solo perder tempo”. Vive da serva, come Gesù, Servo di Dio, con un “sì” pieno, totale.

I fioretti di suor Eusebia
È destinata alla casa salesiana di Valverde del Camino. È l’agosto del 1924. Gli incarichi sono ancora quelli di un’umile “criada”: cucina, orto, guardaroba, qualche volta in oratorio. Ha un temperamento forte, ma è umile, dolcissima, mortificata, sempre pronta a spezzarsi dalla fatica. L’intimità con Gesù è sempre più profonda. Trova Dio dappertutto: nella preghiera, nella natura, nelle bambine che vengono all’oratorio. Vive alla sua presenza ma diventa estatica davanti al Tabernacolo, soprattutto quando Gesù Eucaristico è esposto solennemente sull’altare.
Le fanciulle la ascoltano e non si staccherebbero mai da lei: ella parla loro di Gesù Crocifisso, della Madonna, delle missioni, del Paradiso. Tutte la vogliono e la cercano e sentono in lei il fascino della santità. Uno dopo l’altro succedono tanti piccoli grandi episodi che stupiscono. Un giorno, tranquillizza con dati precisi e sconcertanti una madre che ha il figlio in guerra in Marocco. Un’altra volta fa scaturire l’acqua da un pozzo asciutto; un altro giorno, “non permette” che piova su una povera casa in costruzione, perché il proprietario non sia danneggiato. Un’altra volta, trova uova nel pollaio quando le altre suore, un istante prima, non ne avevano trovato neppure uno.
È sempre più innamorata della Madonna – che invoca con i titoli di Immacolata e di Ausiliatrice, come don Bosco, e diffonde, senza tregua la “schiavitù” d’amore a Lei, come aveva insegnato il Montfort. A Valverde, a Cantalupo, in altri paesi che riesce a raggiungere, moltissimi fanno “la consacrazione” alla Madonna. Così diffonde, per la salvezza della Spagna, alla vigilia della terribile rivoluzione comunista, il “rosario delle sante Piaghe di Gesù”.
Nel 1930, suor Eusebia emette i suoi voti perpetui. Invitata dalla maestra delle novizie, tiene uno stupendo discorso sull’amore di Dio. Chi l’ascolta, non comprende da dove possa venire quella sua sapienza così semplice e alta. A Valverde, molti, compresi sacerdoti e seminaristi, vengono a consigliarsi con lei su cose importanti, decisive. Intanto la rivoluzione avanza: bruciano i conventi, sacerdoti e credenti hanno vita sempre più grama.
Illuminata da Dio, suor Eusebia vede nel futuro e parla chiaro: “Ci saranno dei martiri”. Le sue profezie si avvereranno tutte. Si offre vittima per la salvezza della Spagna. Qualche tempo dopo, si ammala. Tutti la vogliono vedere: attorno al suo letto giungono i sacerdoti, i seminaristi, i bambini con le mamme. È serena, abbandonata al Signore, anche se comprende che verranno fatti terribili: “Ora il re dovrà andarsene. Ma tornerà e si chiamerà Juan Carlos”. La storia, 40 anni dopo, le darà ragione.
Il 10 febbraio 1935, suor Eusebia, a soli 36 anni, va incontro a Dio. “Durante la mia sepoltura – aveva detto – le campane suoneranno a gloria”. Capita così che all’uscita dalla chiesa, le campane da sole si mettono a suonare l’alleluja pasquale. Presto si parla di grazie e di miracoli.
Ma il miracolo più bello è lei, la piccola povera “mendicante” di Cantalpino, diventata un capolavoro dell’amore di Dio. Oggi attende la gloria degli altari: “Dio ha deposto i potenti dai troni e ha innalzato gli umili”.
La Famiglia Salesiana ne fa memoria il giorno precedente, il 9 febbraio.





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:42

San Guglielmo d'Aquitania Duca

10 febbraio

XII secolo

San Guglielmo divenne nel 1126 conte di Poitou e duca d’Aquitania. Fu un grande guerriero sempre in lotta contro il re di Francia ma anche conto gli stessi propri vassalli. Appoggiò l’antipapa Anacleto II a detrimento del legittimo pontefice Innocenzo II. Ma San Bernardo, per ricondurlo sulla retta via, durante la Messa gli andò incontro con l’ostia sulla porta della chiesa, ove stava essendo scomunicato, e lo scongiurò di non resistere a Dio. Il duca cadde perdendo i sensi. Quando si riprese si schierò con il Papa. Morì infine nel 1137 presso Santiago di Compostella, in Spagna, nel corso di un pellegrinaggio. Una versione leggendaria vuole che in realtà sopravvisse ancora per vent’anni e morì a Malavalle, presso Grosseto. Ma questa è la storia di un santo omonimo. La festa di qntrambi cade al 10 febbraio e questo ha contribuito a creare confusione.





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:43

San Guglielmo il Grande (di Malavalle) Eremita

10 febbraio

m. Malavalle, Castiglione della Pescaia (Grosseto), 10 febbraio 1157

S. Guglielmo, chiamato anche s. Guglielmo il grande o di Malavalle, nacque in Francia. Dopo la conversione si diede alla vita eremitica dimorando in vari luoghi della Toscana. Morì a Malavalle, presso Castiglione della Pescaia (Grosseto), il 10 febbraio 1157. Amò intensamente la contemplazione. I suoi due ultimi discepoli, seguendo la sua inclinazione, diedero origine all'Ordine di San Guglielmo che, in occasione della Grande Unione del 1256, aderì all'Ordine agostiniano. Poco dopo però se ne distaccò, pur restando alcuni membri uniti agli Agostiniani. Già nel secolo XIII l'Ordine rendeva culto a s. Guglielmo.

Martirologio Romano: Nella grotta di Stabulum Rhodis presso Grosseto, san Guglielmo, eremita di Malavalle, dal cui modello sorsero molte comunità di eremiti.


Poco si conosce di questo santo eremita; è certo però che nacque in Francia, che andò pellegrinando come penitente verso molti santuari e che, al ritorno dalla Terra Santa, trovò in Toscana ,nella solitudine di Malavalle, vicino a Castiglione della Pescaia nella provincia di Grosseto, il luogo in cui trascorrere nella preghiera, nel silenzio, nel digiuno e nelle penitenze gli ultimi anni della sua vita.
Non fondò un ordine religioso, né scrisse una Regola; ma l'uno e l'altra si ebbero per merito di Alberto, colui che si autodefinisce il “suo servo”. Questi lo ebbe in cura negli ultimi mesi e compose quelle che presto si intitolarono Consuetudines e Regula sancti Guillelmi.
Dopo la sua morte, avvenuta nel 1157, il suo sepolcro fu presto meta di molti devoti pellegrini provenienti dalla Toscana, dal Lazio e dall'Umbria, alcuni dei quali restavano a Malavalle per imitare la vita eremitica e penitente di colui che veneravano come santo protettore. Il suo culto crebbe fino ad essere approvato dal papa Alessandro III tra il 1174 e il 1181, ed ebbe nuovo impulso quando fu confermato da Innocenzo III nel 1202.
Con la devozione al santo eremita aumentarono le fondazioni dei suoi discepoli, che si estesero prima in Toscana, poi nel Lazio e nella Marca di Ancona, valicando le Alpi con il nome di “Ordine di S. Guglielmo” già nel 1244. Quando i suoi discepoli undici anni dopo furono chiamati a far parte dell'Ordine agostiniano, avevano già vari conventi nel nord della Francia, nell’attuale Belgio, nella Boemia e nell’Ungheria.





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:44

Beato José Sanchez Del Rio Martire

10 febbraio

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Sahuayo, Messico, 28 marzo 1913 - 10 febbraio 1928

Il quattordicenne messicano José Sanchez Del Rio, visitando la tomba del beato martire Anacleto González Flores, chiese a Dio di poter morire in difesa della fede. Fu ucciso il 10 febbraio 1928, gridando: “Viva Cristo Re! Viva la Vergine di Guadalupe!”. Il martirio di questa vittima della persecuzione religiosa provocata dalla nuova costituzione messicana del 1917, fu riconosciuto il 22 giugno 2004 da Giovanni Paolo II ed è stato beatificato il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI.


Il coraggio non è da tutti, ma chi non ce l’ha può anche chiederlo, come grazia particolare, a chi di coraggio ne ha avuto da vendere. Coraggioso, nonostante sia poco più che un bambino, José Luis Sanchez Del Rio lo è sempre stato, ma a 14 anni, visitando la tomba di Anacleto Gonzalez Flores, ucciso per la sua ferma professione di fede ed ora proclamato beato, gli chiede il suo stesso coraggio per testimoniare Gesù anche fino alla morte. L’occasione non gli manca di certo, perché quelli sono gli anni della “guerra cristera”, combattuta dai cattolici messicani come reazione alle leggi antireligiose instaurate dal governo che dapprima umiliano e poi perseguitano apertamente la Chiesa. Josè, nato il 28 marzo 1913, a poco più di dieci anni già svolge un apostolato spicciolo in mezzo ai suoi compagni, insegnando loro a pregare e accompagnandoli in chiesa per adorare l’Eucaristia. Allo scoppio della “guerra cristera” nel 1926 i suoi due fratelli maggiori si arruolano in quella sorta di esercito popolare che cerca di ridonare al Messico la sua libertà religiosa: lui no, perché con i suoi 13 anni è poco più di un bambino. Tanto fa e tanto dice, però, che l’anno dopo riesce a farsi arruolare come aiutante da campo e, poco dopo, come portabandiera e clarinettista del generale Luis Guizar Morfin. Proprio a quest’ultimo, nel corso della cruenta battaglia del 6 febbraio 1928 durante la quale il cavallo del graduato viene ucciso, il piccolo Josè cede la propria cavalcatura per consentirgli di mettersi in salvo, perché, dice, “la vostra vita è più utile della mia”. Non solo: con il suo fucile copre le spalle al generale fino a che gli restano colpi in canna. Scontato che, poco dopo, sul quel ragazzino, disarmato e appiedato, le truppe federali riescano facilmente a mettere le mani. Per colmo dello scherno lo rinchiudono nel battistero della sua chiesa, ormai ridotta a stalla ed a carcere dei “cristeros”. Dall’esterno lo sentono cantare e pregare ad alta voce, anche quando lo percuotono, lo seviziano e lo insultano. Non gli fanno alcun processo, perché sarebbe imbarazzante per i suoi carcerieri processare un ragazzo; tentano piuttosto di fargli rinnegare la fede promettendogli, oltre alla libertà, denaro a profusione, una brillante carriera militare, addirittura l’espatrio negli Stati Uniti: tutte offerte respinte con sdegno al grido di “Viva Cristo Re, viva la Madonna di Guadalupe”. Il 10 febbraio, dopo che il piccolo Josè è riuscito a convincere i genitori a non pagare il riscatto chiesto loro dal governo e dopo essere riuscito a ricevere di nascosto la comunione come viatico dalle mani della zia Magdalena, i soldati sfogano su di lui tutta la loro ferocia, spellandogli lentamente le piante dei piedi, facendolo camminare sul sale e trascinandolo senza scarpe su una strada selciata fino al cimitero, mentre il piccolo Josè, spintonato come Gesù sulla strada del calvario e ormai ridotto ad una maschera di sangue, continua a gridare la sua fede. Giunti al cimitero vorrebbero ucciderlo a pugnalate per non far rumore, ma esasperato dalla sua continua invocazione a Cristo Re, il capo delle guardie lo finisce con un colpo di pistola. La memoria del “bambino cristiano” è rimasta inalterata in Messico in questi 80 anni e la Chiesa lo ha proclamato beato insieme ad altri 12 compagni di fede il 20 novembre 2005.

Autore: Gianpiero Pettiti





José Luis Sanchez Del Rio nacque a Sahuayo, Michoacán (Messico), il 28 marzo 1913 dai genitori Macario Sánchez e María del Río. Visitando la tomba del beato martire Anacleto González Flores, chiese a Dio di poter morire in difesa della fede. Appena quattordicenne, José Luis fu assassinato il 10 febbraio 1928, durante la persecuzione religiosa messicana, in quanto appartenente ai “cristeros”, folto gruppo cattolico che si opponeva all’oppressione operata dal regime del presidente Plutarco Elías Calles.Un anno prima del martirio José Luis si era unito alle forze “cristeras” del generale Prudencio Mendoza, la cui base era presso il villaggio di Cotija.Al tragico evento assistettero due bambini, rispettivamente di sette e nove anni, che in futuro avrebbero fondato delle congregazioni religiose. Uno di loro era padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, nato a Cotija, che nel libro-intervista “Mi Vida es Cristo” (“La mia vita è Cristo”) rivelò il decisivo ruolo che ebe per la sua vocazione la testimonianza del suo piccolo amico martire. “Fu catturato dalle forze del governo, che vollero dare un castigo esemplare alla popolazione civile che appoggiava i ‘cristeros’”: ha ricordato il fondatore che allora aveva appena sette anni. “Gli chiesero di rinnegare la sua fede in Cristo sotto la minaccia della pena di morte. José non accettò l’apostasia. Sua madre era straziata dalla pena e dall’angoscia, ma sosteneva suo figlio. Allora gli spellarono le piante dei piedi e l’obbligarono a camminare per il paese, sulla strada verso il cimitero. Lui piangeva e gemeva di dolore, ma non cedeva. Di tanto in tanto si fermavano e gli dicevano: Se gridi, ‘muoia Cristo Re’ ti salviamo la vita. Dì ‘muoia Cristo Re’. Ma lui rispondeva: ‘Viva Cristo Re’. Giunti al cimitero, prima di sparargli, gli chiesero per l’ultima volta se voleva rinnegare la sua fede. Non lo fece e lo ammazzarono proprio lì. Morì dunque gridando, come molti altri martiri messicani: ‘viva Cristo Re!’. Queste sono immagini incancellabili dalla mia memoria e dalla memoria del popolo messicano, anche se spesso non si parla di esse nella storia ufficiale”.L’altro testimone oculare fu un bambino di nove anni, Enrique Amezcua Medina, che in seguito fondò la Confraternita Sacerdotale degli Operai del Regno di Cristo, oggi presente con case di formazione sia in Messico, in Spagna ed in vari altri paesi del mondo. Nella biografia della Confraternita da lui fondata, padre Amezcua ricordò il suo provvidenziale incontro con José Luis Sanchez Del Rio. Secondo quanto affermò in tale testimonianza, aver conosciuto il bambino martire di Sahuayo si rivelò determinante per la sua scelta sacerdotale. Diede poi vita al “Seminario di Cristo Re” a Salvatierra per la formazione degli Operai, il cui internato fu intitolato a “José Luis”.I resti mortali di José Luis Sanchez Del Rio riposano ancora oggi nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù nel suo paese natale, divenuta meta di pellegrinaggi.
Il martirio di questa vittima della persecuzione religiosa provocata dalla nuova costituzione messicana del 1917, fu riconosciuto il 22 giugno 2004 da Giovanni Paolo II ed è stato beatificato il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI, con cerimonia presieduta dal Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi cardinale José Saraiva Martins a Guadalajara in Messico.





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:45

Beati Pietro Fremond e 5 compagne Martiri

10 febbraio

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+ Avrillé, Francia, 10 febbraio 1794

Il 10 febbraio 1794, nel pieno della Rivoluzione francese, subirono il martirio sei laici della diocese di Angers:
- Pierre Frémond (nato a Chaudefonds il 16 settembre 1754);
- Louise Bessay de la Voute (nata a Saint-Mars-des-Prés il 22 agosto 1721);
- Catherine du Verdier de la Sorinière (Saint-Pierre de Chemillé il 29 giugno 1758);
- Marie-Louise du Verdier de la Sorinière (nata a Saint-Pierre de Chemillé il 27 giugno 1765, sorella della precedente);
- Marie-Anne Hacher du Bois (nata a Jallais il 3 aprile 1765);
- Louise Poirier épouse Barré (nata a Le Longeron il 22 febbraio 1754, coniugata).
Papa Giovanni Paolo II ha beatificato questi martiri il 19 febbraio 1984.

Martirologio Romano: Ad Avrillé vicino ad Angers in Francia, beati Pietro Fremond e cinque compagne, martiri, fucilati durante la rivoluzione francese per la loro fedeltà alla Chiesa cattolica.






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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:45

San Protadio di Besancon Vescovo

10 febbraio

Martirologio Romano: A Besançon in Burgundia, nell’odierna Francia, san Protadio, vescovo.





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:46

San Silvano di Terracina Vescovo

10 febbraio

Etimologia: Silvano = abitatore delle selve, uomo dei boschi, selvaggio, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Presso Terracina, oggi nel Lazio, san Silvano, vescovo.


La leggenda racconta che Silvano fuggì dall’Africa del Nord assieme al padre Eleuterio, a causa della persecuzione dei Vandali, stabilendosi a Terracina, l’antica ‘Anxur’ dei Volsci.
Nel 443, morto il vescovo Giovanni, Silvano (Silviano) fu chiamato a succedergli, ma rimase in vita solo nove mesi e dopo di lui fu eletto il padre Eleuterio.
Un latercolo del ‘Martirologio Geronimiano’ al 10 febbraio, porta “In Terracina il natale (cioè la morte) di s. Silvano vescovo e confessore”; questo titolo di ‘confessore’ inizialmente era dato ai confessori della fede, cioè ai martiri, questo ci fa pensare che s. Silvano sia morto martire, tenuto conto anche della brevità del suo episcopato e la sua ancora giovane età.
Unico ricordo del santo sono i resti di un’antichissima chiesa e monastero, molto famosi nel secolo X, intitolati a S. Silvano, che si trovano fuori Terracina, alle falde del monte Leano di fronte alla via Appia Nuova.
La tradizione manoscritta dei testi e l’uso popolare di essi, hanno trasformato di volta in volta il nome in Silvino, Salviano, Salviniano, Silviano; tanto è vero che la località dove sorge la chiesa dedicata a s. Silvano, posta poco distante da Terracina, si chiama Silviano.

Il nome Silvano deriva dal latino ‘Silvanus’ e significa ‘abitante del bosco’; era chiamata così l’antica divinità romana, parallela al greco Pan, protettrice delle selve, delle greggi e dei campi; di solito raffigurato con una lunga barba e una folta chioma coronata di pino.




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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:52

San Troiano Vescovo

10 febbraio

m. 500 circa

Martirologio Romano: Presso Saintes in Aquitania, in Francia, san Troiano, vescovo.





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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:53

Beato Ugo di Fosses Abate

10 febbraio

Martirologio Romano: Nel monastero premostratense di Fosses vicino a Namur in Lotaringia, nell’odierno Belgio, beato Ugo, abate, a cui il maestro san Norberto, divenuto vescovo di Magdeburgo, affidò la rifondazione dell’Ordine, che egli resse con grande saggezza per trentacinque anni.



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00mercoledì 10 febbraio 2010 09:54

Santi Zotico e compagni Martiri di Roma

10 febbraio

† Roma, inizio IV secolo

Martirologio Romano: A Roma sulla via Labicana al decimo miglio, santi Zótico e Amanzio, martiri.


Santi ZOTICO, GIACINTO, IRENEO, AMANZIO Martiri di Roma

Nella lingua italiana, il termine zotico identifica una persona grossolana, rozza nei modi, incivile; ma al tempo dell’Impero Romano, era un nome di persona molto diffuso, prova che non aveva il significato attribuitogli in seguito; portano il nome di Zotico ben dieci santi, tutti martiri dell’epoca delle persecuzioni anticristiane.
Il gruppo di cui si parla in questa scheda, è celebrato nel ‘Martirologio Romano’ il 10 febbraio, senza alcuna precisa indicazione topografica cimiteriale.
Essi subirono il martirio a Roma, fra la fine del III secolo e l’inizio del IV, probabilmente sotto l’Impero di Diocleziano, che emise il decreto persecutorio nel 303 e sepolti sulla Via Labicana.
Chi fossero veramente non si sa, di loro non esiste alcuna ‘Passio’, comunque sin dall’VIII secolo, i quattro martiri erano considerati dei semplici fedeli cristiani.
Un errore di traduzione portò a credere a torto, che fossero dei soldati (milites), ma l’indicazione latina riportata dal Martirologio Geronimiano, dice “Via Labicana mil. X hirene”, dove ‘mil.’ deve essere inteso come abbreviazione di ‘miliare’, quindi i loro corpi furono sepolti al X miglio della Via Labicana.
Su questo punto occorre ancora specificare, giacché le indicazioni del luogo dove furono sepolti, sono diverse nei vari Martirologi e codici, che pur li nominano, come il Martirologio Geronimiano, il Martirologio Romano, il Sacramentario Gelasiano, i codici Bernense, Wisseburgense, Eptermacense, di Reichenau, queste fonti portano i quattro martiri Zotico, Ireneo, Giacinto e Amanzio, a volte uniti tutti e quattro, a volte accoppiati a due, a tre o singolarmente e celebrati in giorni diversi, perché ritrovati anche in luoghi diversi.
Comparando tutte queste divergenti indicazioni, gli studiosi più recenti hanno tratto la conclusione, che i martiri erano sepolti in due diversi cimiteri posti nella stessa Via Labicana, Zotico, Ireneo e Amanzio al X miglio e Giacinto al XIV miglio; quindi i primi agiografi li unirono in un’unica celebrazione al 10 febbraio, sebbene morti in diverse date.
Dei due cimiteri non esiste più nulla, tranne delle misere rovine di quello del X miglio; papa Leone III (795-816) fece dei restauri proprio in questo cimitero, segno che nel IX secolo la venerazione dei fedeli locali per questi martiri, era ancora viva.
Ma il suo successore papa Pasquale I (817-824), se ne ignora i motivi, fece trasportare il loro corpi dal cimitero o dai cimiteri di Via Labicana, nella rinnovata Basilica di Santa Prassede a Roma.
San Zotico martire, è raffigurato in una superstite immagine con il nome identificativo, nella conca absidale della Chiesa di S. Maria in Pallara a Roma, ed è mostrato come un uomo di mezza età e di aspetto devoto.
L’immagine faceva parte di un interessante ciclo di affreschi del X secolo, composto da 14 episodi, inerenti alla prigionia e al martirio di Zotico e compagni, andati distrutti nell’originale e di cui esiste una copia in un codice vaticano.


 


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