10 novembre

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Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:27

Beato Acisclo Pina Piazuelo Martire

10 novembre

Martirologio Romano: A Barcellona in Spagna, beato Acisclo Pina Piazuelo, religioso dell’Ordine di San Giovanni di Dio e martire, che, durante la persecuzione, fu ucciso in odio alla religione.


Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:28

Sant' Andrea Avellino Sacerdote

10 novembre

Castronuovo, Potenza, 1521 - Napoli, 10 novembre 1608

Nacque a Castronuovo (Pz) nel 1521 e fu chiamato Lancellotto. Ordinato sacerdote nel 1545, nell'ottobre 1547 si trasferì a Napoli per frequentare la facoltà di diritto di quella Università. Ebbe come direttore spirituale il teatino, futuro beato, padre Giovanni Marinonio. Nel 1556 vestì l'abito dei Teatini di San Paolo Maggiore di Napoli, cambiando il suo nome di battesimo con quello dell'Apostolo della croce. Dal 1560 al 1570 fu maestro dei novizi della casa di San Paolo Maggiore. Preposto della stessa casa dal 1566 al 1569 vi istituì il primo studio teologico dell'Ordine, che volle informato dal pensiero di San Tommaso. Tra il 1570 e il 1582 operò tra Milano e Piacenza presso le case dei Teatini nei due centri. Andrea fu poi a Napoli dove si fece conoscere per la sua saggezza e il suo ruolo di mediatore nei conflitti che dividevano la città. Morì nel 1608. (Avvenire)

Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco

Martirologio Romano: A Napoli, sant’Andrea Avellino, sacerdote della Congregazione dei Chierici regolari, che, insigne per la sua santità di vita e la sollecitudine per la salvezza del prossimo, si impegnò in un arduo voto di perfezionamento quotidiano nelle virtù e, ricco di meriti, morì santamente ai piedi dell’altare.


Nacque da Giovanni Avellino e da Margherita Apelli, e fu chiamato Lancellotto. Avviato agli studi da uno zio arciprete, li compì nella vicina Senise, esercitandosi fin d'allora nell'apostolato catechistico fra i giovani del luogo. Ordinato sacerdote nel 1545, nell'ottobre 1547 si trasferì a Napoli per frequentare la facoltà di diritto di quella Università, dove si laureò in utroque iure. Avendo nel 1548 praticato gli esercizi spirituali sotto la direzione del gesuita p. Laínez, si diede a una vita di più intensa spiritualità, nella quale fu saggiamente diretto dal teatino, futuro beato p. Giovanni Marinonio (1490- 1562). Avvocato ecclesiastico presso quella curia arcivescovile, abbandonò il foro in seguito a una menzogna sfuggitagli durante una arringa, fatto questo che lo amareggiò profondamente.
Nel 1551 gli fu affidata da mons. Scipione Rebiba, vicario generale di Napoli, la riforma del tristemente noto monastero femminile di S. Arcangelo di Baiano: egli intraprese tale missione con zelo e fermezza, imponendovi severa clausura e tenendovi il quaresimale e le omelie negli anni 1553 e 1554. Essendo, però, mal sopportata la sua opera riformatrice da chi aveva loschi interessi nel monastero, fu ripetutamente aggredito e, nel 1556, gravemente ferito da un sicario. Guarito quasi miracolosamente, chiese e ottenne, nel novembre di quello stesso anno, di vestire l'abito tra i Teatini di S. Paolo Maggiore di Napoli, cambiando allora il suo nome di battesimo con quello dell'Apostolo della croce. Maestro di noviziato fu lo stesso p. Marinonio e suo compagno il futuro cardinale e beato Paolo Burali d'Arezzo. Professò solennemente il 25 gennaio 1558, aggiungendo in seguito ai tre voti della vita religiosa altri due, cioè, di contrariare sempre la propria volontà e di progredire incessantemente, nella misura delle proprie forze, verso la perfezione.
Nel 1559 fece un pio pellegrinaggio a Roma, dove fu ricevuto da Paolo IV, fondatore, insieme con s. Gaetano Thiene, dei Chierici Regolari (1524). Nel 1560 fu nominato rnaestro dei novizi della casa di S. Paolo Maggiore, carica che tenne per dieci anni. Furono suoi discepoli spirituali alcuni dei più illustri Teatini del suo tempo, fra i quali va ricordato il ven. Lorenzo Scupoli, autore del trattato Il combattimento spirituale. Preposto della stessa casa dal 1566 al 1569 vi istituì il primo studio teologico dell'Ordine, che volle informato alle dottrine dell'Aquinate.
Nel 1570 fu eletto vicario della casa che i Teatini avevano aperto a Milano, presso S. Calimero,dietro invito di s. Carlo Borromeo, il quale, come ricorda il Martirologio di p. P. Bosco `(3 febb.), accolse amorevolmente A., uscendogli incontro fuori Porta Romana. In breve egli divenne il direttore spirituale preferito dalla migliore nobiltà milanese nel nuovo assetto dato dal Borromeo alla Chiesa ambrosiana, secondo lo spirito del Concilio Tridentino. Nel magg. 1571 fu trasferito a Piacenza come preposto della nuova casa che in S. Vincenzo aveva fondato in quello stesso mese il vescovo Paolo Burali d'Arezzo.
Essendosi incontrato a Genova con la mistica agostiniana suor Battistina Vernazza, figlia di Ettore, l'ispiratore degli Ospedali degli Incurabili, e avendole esposto il desiderio di ritirarsi dall'attività apostolica, ne fu da lei dissuaso. Nell'apr. di quello stesso anno A. fu eletto preposto di S. Antonio di Milano e nel 1581 ancora di S. Vincenzo di Piacenza.
Nel magg. 1582, dopo dieci anni di apostolato nella Lombardia, egli ritornò a Napoli, dove visse fino alla morte. Qui riprese la sua instancabile attività predicando, scrivendo e guidando quanti fiduciosi a lui si rivolgevano.
Eletto nel 1584 e riconfermato nell'anno successivo, A. fu preposto contemporaneamente delle due case che l'Ordine aveva allora in Napoli, quella di S. Paolo Maggiore e quella dei SS. Apostoli. Nei tumulti avvenuti nel magg. 1585, in cui fu trucidato G. V. Starace, « eletto della plebe », ritenuto responsabile della carestia che affliggeva allora la città, A. fece opera di pacificazione e mise anche a disposizione dei più bisognosi le risorse della sua famiglia religiosa. Essendo stato nel 1593 assassinato suo nipote Francesco, A. non solo perdonò l'uccisore, ma volle che altrettanto facessero i suoi familiari.
Dotto nelle scienze ecclesiastiche, ricco di doni straordinari e di celesti carismi, quali la profezia e i miracoli, che gli conciliarono l'ammirazione e la devozione di nobili e di plebei, A. scrisse circa tremila lettere spirituali, e numerosi trattatí e opuscoli di ascetica, di esegesi biblica e di argomenti vari. Il 10 nov. 1608, mentre nella chiesa di S. Paolo Maggiore si accingeva a celebrare la Messa, A. cadde colpito da un attacco di apoplessia ai piedi dell'altare; moriva, rasserenato da una celeste visione, la sera dello stesso giorno.
Iniziatisi i processi informativi nel dic. del 1614, fu beatificato da Urbano VIII il 14 ott. 1624 e canonizzato da Clemente XI il 22 magg. 1712. Il suo corpo si venera nella chiesa di S. Paolo Maggiore. La festa di A., invocato quale celeste protettore contro la morte improvvisa, si celebra il 10 novembre.



Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:29

San Baudolino di Alessandria Eremita

10 novembre

Foro (Villa del Foro) Alessandria, 700 ca. - † 740 ca.

Baudolino, eremita e patrono di Alessandria, è vissuto al tempo di Liutprando, re dei Longobardi dal 712 al 744. Tra i tanti che si rivolsero a lui per una guarigione si narra ci fosse lo stesso sovrano, rimasto gravemente ferito dopo un incidente di caccia. Abitava sulla riva destra del Tanaro, figlio di famiglia ricca e nobile. Stanco di quella vita, donò tutto ai poveri e iniziò a vivere in una misera capanna vicino al fiume. Morì presso Forum Fulvii presso il quale si trova il suo eremo. Per la festa si svolge in città un'importante fiera. A lui si è ispirato l'alessandrino Umberto Eco per dare il nome al protagonista del suo ultimo romanzo. (Avvenire)

Patronato: Alessandria

Martirologio Romano: Nel villaggio di Villa del Foro in Piemonte, san Baudolino, eremita.


Patrono di Alessandria; visse al tempo del re Longobardo Liutprando (712-744) e la più antica testimonianza che parla di lui ci è data dallo storico Paolo Diacono monaco benedettino longobardo (720-799 ca.), praticamente contemporaneo del santo.
Baudolino (Baudilio) è chiamato dallo storico “uomo di mirabile santità”, era un eremita dotato del dono dei miracoli e delle profezie e vissuto a Foro (l’attuale Villa del Foro, località sulla sponda del Tanaro, nei pressi di Alessandria).
Paolo Diacono, nella sua “Historia Langobardorum” riporta fra l’altro un episodio quale testimonianza dei doni soprannaturali cui era dotato; durante una battuta di caccia, un conte nel cercare di colpire con l’arco un cervo, fallì il colpo colpendo invece Anfuso, nipote del re Liutprando; la ferita era grave e il re inviò un messaggero da Baudolino, affinché impetrasse dal Signore la guarigione del giovane nipote.
Nel frattempo Anfuso morì e quando il messo raggiunse Baudolino nel suo eremo, questi prima che parlasse, gli disse di sapere tutto quello che voleva chiedergli, ma era rammaricato perché non poteva far nulla, in quanto il giovane era già morto.
Il santo eremita morì verso il 740 e sepolto a Villa del Foro; quando nel 1168 fu fondata Alessandria, gli abitanti di Villa del Foro vi si trasferirono portando anche le reliquie del santo, divenuto loro patrono.
Il suo patrocinio continuò, secondo la tradizione, quando nel 1174 apparve sui bastioni di difesa della città, mettendo in fuga gli assedianti ghibellini.
Nel 1189 fu costruita una chiesa in suo onore, che fu affidata agli Umiliati ed alla soppressione di questi, passò ai Domenicani nel 1571; questi monaci volendo aumentare la popolarità già grande di s. Baudolino, elaborarono le scarse notizie su di lui, cosicché progressivamente si formò la leggenda della sua vita in cui sono frammisti dati reali o verosimili, con altri decisamente fantastici e assurdi.
Gli Umiliati, il cui Movimento sorse fra il 1170 e il 1178 a Milano, costituivano una società religiosa di artigiani della lana, votati alla povertà evangelica, al lavoro, continenza, penitenza e predicazione; dopo varie vicende e scissioni, furono una parte di essi approvati come Ordine religioso maschile e femminile; il ramo maschile fu soppresso nel 1571 mentre il ramo femminile durò fino alla fine del secolo XVIII; essi vollero annoverarlo tra i santi del loro Ordine (ma i periodi, come già detto, erano diversi).
Inoltre si disse che i vescovi di Tortona e di Acqui, visto la grande popolarità goduta dal santo eremita, lo considerarono un vescovo, non mancò chi lo definì vescovo di Alessandria, per questo è raffigurato anche in abiti vescovili.
Nel 1803 quando la chiesa dei Domenicani fu chiusa, le reliquie del santo furono portate nella chiesa di S. Alessandro e poi nel 1810 trasferite nella cattedrale e deposte in una cappella a lui dedicata.
Esiste la devozione e il voto dell’offerta della cera da parte della città in suo onore a partire dal 1189, voto rinnovato nel 1599 e ratificato dal Sinodo diocesano del 1602. La leggenda racconta che oche, cervi ed altri animali si sarebbero radunati attorno a lui per ascoltarlo nel suo eremitaggio, perciò a volte è raffigurato circondato da questi animali.
Nel 1786 s. Baudolino fu proclamato patrono principale della città e della diocesi di Alessandria; la sua festa è celebrata il 10 novembre.



Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:29

San Demetriano di Antiochia Vescovo

10 novembre

Martirologio Romano: In Persia, transito di san Demetriano, vescovo di Antiochia, mandato in esilio dal re Sabor I.


Due calendari di Qennesre (cod. ms. del Museo Britannico Add. 17134 e Add. 14504) menzionano un s. Demetrino o Demetriano vescovo, festeggiato col re Onorio il 20 o meglio il 21 tesrin (nov.). Il Martirologio Geronimiano al 10 nov. ricorda un s. Demetrio di Antiochia; inoltre un s. Demetrio è nominato in una lista di santi e vescovi di Antiochia, in un panegirico siriaco, tradot­to dal greco ed attribuito ad Eusebio di Cesarea.
Chi sia questo Demetrio o Demetriano lo appren­diamo da testimonianze storiche soprattutto orienta­li, che parlano di un Demetriano, vescovo di Antiochia, pa­dre del vescovo Domno, eletto nella prima metà del 253 e morto prima del 261, data in cui fu eletto vescovo di Antiochia Paolo di Samosata. Egli si adoperò per combattere l'eresia di Novato. La data di elezione ci è nota da una lettera di Dionigi d'Alessandria al papa Cornelio e dal Chronicon di Eusebio. Dalle fonti orientali invece veniamo a co­noscere i particolari della sua fine.
Una cronaca ritrovata a Seert, basata sulle noti­zie fornite da Daniele bar Maria, storico siriaco del sec. VII, racconta che il re Sapore I, dopo avere de­vastato la Siria nel 256, deportò in massa gli abi­tanti di Antiochia in alcune città recentemente fondate nel suo regno : Sadsabur (corrispondente a Sadhsabur), Sapor (Sabur in Persia) e Bendo-sabora (Gundaisabur). I cristiani di Antiochia, de­portati a Bendosabora, elessero come successore del loro vescovo Demetriano, morto di dolore in esilio, un antiocheno di nome Azdaq.
Altri autori arabi, tra i quali At-Tabari, confer­mano queste notizie sull'opera di Sapore I e ci for­niscono validi confronti con l'operato di altri re persiani. Inoltre cronografi più recenti, Mari ibn-Sulayman, Amr ben Matta e Saliba ben Iohanna, raccontano, sebbene in forma non attendibile, il mo­do in cui avvenne l'elezione di Demetriano a vescovo di Bendosabora.
È probabile che la notizia della sua morte non sia giunta subito ad Antiochia e che quindi solo nel 261 gli abitanti della città abbiano pensato ad eleggergli un successore. È facile capire come possa essere stato considerato martire un pio vescovo de­portato da un re pagano e morto in esilio nell'adempiere al suo ministero. Il silenzio delle fonti occidentali non è facilmente spiegabile; possiamo però notare che questo è solo uno dei molti avve­nimenti importanti, quali ad esempio la cattura e la morte in esilio dell'imperatore Valeriano, che Euse­bio tace. In seguito troviamo che alcune diocesi per­siane si dicevano dipendenti da Antiochia ed i loro vescovi avevano nome greco. Il Martirologio Ro­mano celebra al 10 nov. Demetrio vescovo di Antio­chia, col suo diacono Aniano, con Eustosio e venti compagni. Si tratta in realtà di Demetriano sdoppiato in Demetrio e Aniano. Eustosio è sconosciuto e i venti compagni non hanno alcun rapporto con Demetriano.



Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:30

San Giusto di Canterbury Vescovo

10 novembre

Sec. VII

Monaco benedettino romano, fu missionario fra gli anglosassoni con sant'Agostino. Fu vescovo di Rochester e poi arcivescovo di Canterbury.

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Canterbury in Inghilterra, san Giusto, vescovo, che fu mandato dal papa san Gregorio Magno insieme con altri monaci per aiutare sant’Agostino nell’evangelizzazione dell’Inghilterra e divenne infine vescovo di questa sede.


San Giusto (?-627) è uno dei compagni di Sant’Agostino di Canterbury (?-604) nel suo grande lavoro di conversione dell’Inghilterra. In risposta a una sua richiesta, il Papa San Gregorio Magno (ca. 540-604) gli scrive: “Quando sarai con il nostro fratello Agostino, ricordati di dirgli che dopo lunga considerazione e attento esame della questione inglese abbiamo giudicato che non dovete distruggere i templi pagani, ma solo gli idoli al loro interno. Dovete purificarli con l’acqua santa, rimuovere gli idoli dall’altare e mettere al loro posto le reliquie dei santi. Perché, se questi templi sono ben costruiti, meritano che li facciamo passare dall’adorazione del Diavolo al servizio del vero Dio. Se il popolo vede che i luoghi sacri cui è abituato sono conservati, sarà più disposto a frequentarli. E, giacché sono abituati a sacrificare tori al Diavolo in quei luoghi, qualche solenne cerimonia relativa ai martiri le cui reliquie vi saranno venerate potrà sostituire i sacrifici. Dovete erigere tende intorno ai templi trasformati in chiese e lì organizzare feste dove si offra anche da mangiare. Anziché sacrificare animali al Diavolo, curate che siano macellati per il popolo, perché li mangi e renda grazie a Dio. In questo modo, attraverso le gioie sensibili, saranno introdotti alle gioie spirituali della fede. Perché è impossibile rimuovere insieme tutte le abitudini da spiriti induriti. È avanzando lentamente che si va lontano”.
Questa lettera è molto interessante: c’è anzitutto l’affermazione – che non è nuova e che possiamo trovare in molti scritti di padre e dottori della Chiesa – che tutti gli dei antichi sono demoni. Lo afferma la Sacra Scrittura: Omnes dii gentium daemonia (Salmo 95, 5), con riferimento alle divinità dei popoli pagani. Un’espressione molto forte, che si oppone a quanti molti oggi intendono per ecumenismo.
Vi si oppone anche la lettera di Papa San Gregorio Magno. È molto flessibile e ragionevole nelle cose che non sono fondamentali, e molto severa nelle cose davvero importanti. C’è una differenza fra i templi di queste nazioni pagani e l’arte e l’architettura moderna. L’arte moderna è spesso una negazione violenta e blasfema della verità e del bene. In questi casi, impone arbitrariamente stili artistici che nella maggior parte dei casi celebrano il disordine e la bruttezza. Evidentemente quest’arte non è adeguata per una chiesa cattolica. Ma questi templi pagani inglesi erano costruiti con criteri artistici diversi. Certo, mancava loro l’elevazione che sarà dell’arte gotica ma seguivano principi artistici che avevano una loro dignità, includevano veri elementi di bellezza e potevano servire adeguatamente il culto cattolico.
Così in Cina, se ci troviamo davanti a una pagoda cinese particolarmente nobile e aggraziata possiamo anche concludere che ha in sé gli elementi necessari per accogliere un culto cattolico adatto a fedeli cinesi. Naturalmente se dobbiamo costruire una nuova chiesa non costruiremo una pagoda, perché abbiamo l’obbligo di costruire il meglio per Dio. Ma qualche volta si deve accettare quello che si riceve da altri, se è adeguato.
Quando gli eroi della Reconquista spagnola conquistarono le città dove I Mori avevano costruito splendide moschee – come Cordoba e Granada – le purificarono, rimossero tutti i riferimenti all’islam e vi instaurarono il culto cattolico. Ancora oggi la liturgia cattolica continua a essere celebrata in queste che un tempo furono moschee. Quando il suo esercito conquistò Granada, una delle prime preoccupazioni della regina Isabella la Cattolica (1451-1504) fu di celebrare lì una Messa cattolica. Fu il principale simbolo della sua vittoria sull’islam.
Questo precisamente è lo stesso consiglio che San Gregorio Magno dà a San Giusto e a Sant’Agostino di Canterbury. Se i templi pagani erano ben costruiti e adeguati per il culto, i cattolici potevano approfittarne. Il Papa dava anche una ragione psicologica: la gente era abituata ad andarci. L’abitudine di frequentare un luogo di culto aiuta a superare le difficoltà che comunque sorgono quando si passa da una religione a un’altra.
Potete vedere la sana intransigenza di San Gregorio sull’essenziale e insieme la sua grande duttilità su cose secondarie che non compromettono i principi. Attenzione: questo non significa che si debba essere intransigenti sui principi primari e accomodanti sui principi secondari. Questo sarebbe sbagliato. Nessuna concessione sui principi. Ma c’è una parte della realtà che non fa parte dei principi e che dev’essere affrontata con uno spirito aperto.
Vediamo che San Gregorio consiglia anche di erigere tende intorno alle chiese, dove la gente possa mangiare insieme in allegria. A questo punto si potrà insegnare loro a ringraziare Dio per queste cose. Era un modo per attirare le persone semplici. Amavano mangiare in compagnia. In Germania si dice che Dio ha creato la mela e il tedesco ne ha fatto lo strudel di mele, che ama mangiare con i suoi amici. Per uno spirito cattolico, è una gioia legittima. Anche l’inglese amava mangiare in compagnia. Era nato in mezzo alle feste popolari.
Chiediamo a San Giusto, a Sant’Agostino di Canterbury e a San Gregorio Magno di concederci la comprensione e l’amore per l’equilibrio cattolico fra intransigenza e flessibilità che hanno applicato nel loro apostolato. Senza intransigenza non possiamo mantenere la purezza dei principi; senza flessibilità non possiamo applicarli e rendere il nostro apostolato fiorente. Questo equilibrio è un frutto meraviglioso dello spirito cattolico che dobbiamo acquistare.



Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:31

San Leone I, detto Magno Papa e dottore della Chiesa

10 novembre

Papa

(Papa dal 29/09/440 al 10/11/461)
Arcidiacono (430), consigliere di Celestino I e di Sisto III, inviato da Valentino a pacificare le Gallie, venne eletto papa nel 440 circa. Fu un papa energico, avversò le sopravvivenze del paganesimo; combatté manichei e priscillanisti. Intervenne d’autorità nella polemica cristologica che infiammava l’Oriente, convocando il concilio ecumenico di Calcedonia, nel quale si proclamava l’esistenza in Cristo di due nature, nell’unica persona del Verbo. Nel 452 fu designato dal debole imperatore Valentiniano III a guidare l’ambasceria romana inviata ad Attila. I particolari della missione furono oscuri: è solo che il re degli Unni, dopo l’incontro con la delegazione abbandonò l’Italia. Quando Genserico nel 455 entrò in Roma, Leone ottenne dai Vandali il rispetto della vita degli abitanti, ma non poté impedire l’atroce saccheggio dell’Urbe. Dotato di un alto concetto del pontificato romano, fece rispettare ovunque la primazia del vescovo di Roma. Compose anche preghiere contenute nel “Sacramentario Veronese”. Benedetto XIV, nel 1754 lo proclamò dottore della Chiesa, E’ il primo papa che ebbe il titolo di Magno (Grande).

Etimologia: Leone = leone, dal latino

Martirologio Romano: Memoria di san Leone I, papa e dottore della Chiesa: nato in Toscana, fu dapprima a Roma solerte diacono e poi, elevato alla cattedra di Pietro, meritò a buon diritto l’appellativo di Magno sia per aver nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola raffinata e saggia, sia per aver sostenuto strenuamente attraverso i suoi legati nel Concilio Ecumenico di Calcedonia la retta dottrina sull’incarnazione di Dio. Riposò nel Signore a Roma, dove in questo giorno fu deposto presso san Pietro.

Ascolta da RadioVaticana:
  
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Nel 440 c’è in Gallia quasi una guerra civile tra le due più alte autorità romane: il generale Ezio e il prefetto del pretorio Albino. Il potere imperiale è così debole, che per pacificarli si manda un uomo di Chiesa: il diacono romano Leone. Questi va e riconcilia i due. Poi apprende che papa Sisto III è morto e che è stato già eletto lui, Leone. Nei suoi 21 anni di pontificato passano 4 imperatori: uno cacciato subito (Avito) e gli altri ammazzati: Valentiniano III, Petronio Massimo e Maggioriano. L’Impero è in agonia e la giovane Chiesa è travagliata da scontri dottrinali e discordie.
Con l’energia e la persuasione, Leone rafforza in Occidente l’autorità della Sede di Pietro, e affronta duri contrasti in dottrina. L’abate orientale Eutiche, influente a Costantinopoli, sostiene che in Cristo esiste una sola natura (monofisismo), contro la dottrina della Chiesa sulle due nature, distinte ma non separate, nella stessa persona. E ottiene che l’imperatore Teodosio convochi nel 449 un concilio a Efeso (Asia Minore). Ma qui parlano solo gli “eutichiani”, senza ascoltare i legati di Leone, e acquistando nuovi proseliti. Negando validità a questo concilio, il Papa persuade il nuovo imperatore Marciano a indirne un altro nel 451. E questo è il grande concilio di Calcedonia (presso Bisanzio), quarto ecumenico, che approva solennemente la dottrina delle due nature. Non tutti però ne accettano le decisioni, e ci sono gravi disordini, soprattutto in Palestina.
Intanto l’Occidente vive tempi di terrore. L’Impero non ha più un vero esercito; e gli Unni di Attila, già battuti da Ezio nel 451, si riorganizzano in fretta, piombano sull’Alta Italia nel 452. Lo Stato impotente chiede a papa Leone di andare da Attila con una delegazione del Senato. S’incontrano presso Mantova, e Leone convince il capo unno a lasciare l’Italia, anche col pagamento di un tributo (la leggenda parlerà poi di una visione celeste che terrorizza Attila). Tre anni dopo, i Vandali d’Africa sono davanti a Roma col re Genserico. A difendere gli inermi c’è solo Leone, che non può impedire il saccheggio; ma ottiene l’incolumità dei cittadini ed evita l’incendio dell’Urbe. E' un romano antico (forse anche di nascita) che ha incontrato Cristo, e che sente fortemente la responsabilità di successore di Pietro. Arricchisce la Chiesa col suo insegnamento (specie sull’Incarnazione); chiede obbedienza ai vescovi, ma li sostiene col consiglio personale, li orienta in dottrina, nello splendido latino dei suoi scritti, per "tenere con costanza la giustizia" e "offrire amorosamente la clemenza", poiché "senza Cristo non possiamo nulla, ma con Lui possiamo tutto". Non si hanno notizie sugli ultimi tempi della sua vita. Il Liber pontificalis dice che governò 21 anni, un mese e 13 giorni. I suoi romani lo chiamano “Leone Magno”, il Grande.



Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:31

San Narsete e Giuseppe Martiri in Persia

10 novembre

Decapitati, in Persia, per essersi rifiutati di adorare il Sole.

Martirologio Romano: In Persia, santi martiri Narsete, vescovo, di veneranda età, e Giuseppe, suo discepolo, giovane, che furono decapitati con la spada per essersi rifiutati di obbedire all’ordine del re Sabor II di adorare il sole.



Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:32

Sant' Oreste di Tiana in Cappadocia Martire

10 novembre

Etimologia: Oreste = abitatore dei monti, dal greco

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Tiana in Cappadocia, nell’odierna Turchia, sant’Oreste, martire.


Oreste significa " uomo del monte ", " montanaro ", ed è nome famoso nella letteratura greca perché portato dal figlio di Agamennone, vendicatore del padre sull'adultera madre Clitemnestra, e a sua volta perseguitato dalle furie infernali. Un nome di rude origine e di tragica risonanza, ma ancora largamente diffuso nel mondo cristiano.
Eppure, di Santi con il nome di Oreste se ne incontra, nel Calendario, soltanto uno, quello di oggi.
Di lui sappiamo con certezza soltanto una cosa: che fin dall'antichità si venerava un Martire con quel nome. Qualche monastero importante era a lui dedicato: per esempio quello che, nel IV secolo, si trovò conteso tra la giurisdizione di due Vescovi, in Cappadocia.
Più tardi, nel secondo Concilio di Nicea, nel quale vennero condannati gli Iconoclasti, cioè gli spezzatori e gli spregiatori delle sacre immagini, si ha notizia di un monaco partecipante al Concilio e appartenente al monastero di Sant'Oreste.
Era forse lo stesso monastero di Cappadocia, costruito sopra un monte, sulle reliquie di un Martire chia-mato Oreste.
Come le reliquie del Martire fossero giunte lassù, e chi poi fosse Sant'Oreste, nessuno molto probabilmente lo sapeva. L'indiscriminata persecuzione di Diocleziano aveva disseminato di Martiri tutta la Cappadocia. li monastero non doveva essere sorto certamente a caso. E se era dedicato a Sant'Oreste, si poteva esser certi che il suo era nome di Martire. Si intessé perciò un racconto che, cominciando dove e quando si credette opportuno, terminava però lì, nella " confessione " della chiesa monastica di Sant'Oreste. E così nacque la passione leggendaria dello sconosciuto Martire, caduto probabilmente nell'ultima persecuzione.
Sant'Oreste venne detto medico, accusato di stornare il popolo dalla idolatria. Un medico, infatti, può molto sull'animo dei malati, bisognosi di aiuti materiali ma anche di conforti spirituali.
Denunziato come cristiano e diffusore della nuova fede, egli non negò e chiese al cielo un prodigio capace di far presa sul popolo, che egli voleva trarre alla verità del Cristianesimo. Infatti, con un soffio della sua bocca, le statue degli idoli volarono come foglie morte, e le colonne del tempio furono mulinate come fili di paglia.
Martoriato con i chiodi, trascinato da un indomito cavallo, alla fine il suo cadavere trasfigurato venne gettato in un fiume, dal quale lo trasse un misterioso personaggio, rivestito da una magnifica dalmatica. Fu così che le reliquie del Martire giunsero fino al luogo dove doveva trovarsi il punto fisso e obbligato di tutta la leggendaria Passione, cioè l'antico e anticamente famoso monastero di Sant'Oreste, in Cappadocia.



Stellina788
00mercoledì 10 novembre 2010 11:33

San Probo di Ravenna Vescovo

10 novembre

Sec. IV

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Ravenna, san Probo, vescovo, in onore del quale il vescovo san Massimiano dedicò la celebre basilica di Classe.


Probo: un bell'aggettivo, usato, almeno una volta, anche come nome, nella maniera in cui ancor oggi sono usati i nomi di Modesto, di Pio, di Clemente, di Benigno e di Benedetto. Probo significa onesto, integerrimo, dabbene: Anche oggi, per ogni professione, ci sono i cosiddetti probi viri, cioè gli uomini onesti, che giudicano della correttezza dei colleghi nella vita professionale.
La letteratura registra un famoso grammatico, Marco Valerio Probo. La politica, un Imperatore romano, Marco Aurelio Probo, sotto il quale i cristiani, almeno ufficialmente, non furono perseguitati. E i cristiani dovevano aver caro quel nome che prometteva la correttezza e l'onestà, anche nelle donne, che assumevano il nome di Proba.
Così, il calendario cristiano registra una Santa Proba Vergine e Martire, il 28 aprile; un'altra Santa Proba, anch'essa Vergine e Martire, il 30 aprile. Tra i Santi Probi è venerato un Vescovo di Verona, del IV secolo, il 12 gennaio; un Vescovo di Rieti citato nei Dialoghi da San Gregorio Magno, il 15 marzo.
Il 5 aprile sono ricordati due sposi cristiani esemplari anche nel nome, Probo e Grazia. Infine, oggi è festa di San Probo Vescovo di Ravenna, o meglio di Classe, poiché a Classe, porto militare di Ravenna, giunsero i primi cristiani, che vi ebbero il primo cimitero nel quale fu sepolto Sant'Apollinare, inviato da San Pietro, secondo la tradizione, ad evangelizzare il litorale adriatico.
Sulla tomba del primo Vescovo ravennate sorse poi la basilica di Sant'Apollinare in Classe, splendida di mosaici che ancora destano stupita ammirazione. E nei mosaici spiccano le immagini degli immediati suc-cessori di Sant'Apollinare: Ecclesio, Severo, Orso e Ursicino. Se la serie fosse stata protratta, dopo gli Orsi sarebbero venuti gli Agnelli. Ed è proprio il Vescovo Agnello, dei IX secolo, che parlando della tradizione apostolica ravennate, cita due Vescovi di nome Probo. Il primo sarebbe stato il settimo della serie; il secondo il quattordicesimo.
" La santa anima di Probo - dice il Vescovo Agnello - lasciò il corpo il 10 novembre ".
E dietro alla indicazione del Vescovo Agnello, che la critica storica non può né negare né confermare, è ricordato ancora, oggi, quel Vescovo, probo di nome e di vita, e quindi Santo, perché probità e santità si confondono nelle figure dei pastori che sono stati esempio di correttezza e di virtù a tutto il gregge affidato alle loro cure.

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