11 dicembre

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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:13

Beato Arturo Bell Martire

11 dicembre


Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beato Arturo Bell, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori e martire, che per il solo fatto di essere sacerdote fu condannato a morte sotto il re Carlo I e impiccato a Tyburn.


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Aggiunto il 1-Nov-2000
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:15

San Damaso I Papa

11 dicembre - Memoria Facoltativa

Roma, 305? - Roma, 384

(Papa dal 01/10/366 al 11/12/384)
Spagnolo di origine, ma probabilmente nato a Roma, Damaso divenne Papa nel 366, dopo la pace costantiniana. Si adoperò affinché la catacombe non cadessero in rovina e non fosse perduta la memoria dei martiri. Man mano che ne rintracciava le tombe, le ornava di poetiche epigrafi di sua composizione. Ma non fu solo archeologo e letterato. Agì con fermezza di fronte al rappresentante del potere civile, l'imperatore, e commissionò a san Girolamo la traduzione in latino della Bibbia. Morì nel 384.

Patronato: Archeologi

Martirologio Romano: San Damaso I, papa, che, nelle difficoltà dei suoi tempi, convocò molti sinodi per difendere la fede nicena contro gli scismi e le eresie, incaricò san Girolamo di tradurre in latino i libri sacri e onorò i sepolcri dei martiri adornandoli di versi.


Damaso è un nome di origine greca, con una storia antichissima, perché lo troviamo già nell'omerica Iliade. Deriva da un verbo che voleva dire " domare ", ed è probabilmente forma abbreviata di un nome composto, come " domatore di cavalli " o simili.
La familiarità del nome di Damaso è legata alla grande suggestione che da millenni, le Catacombe romane hanno esercitato sui cristiani. Perché Damaso, Papa del IV secolo e Santo della Chiesa, fu il più antico esploratore e archeologo delle catacombe romane.
Spagnolo d'origine, ma probabilmente nato a Roma, Damaso venne eletto Papa, non senza contrasti, nel 366. La pace costantiniana aveva consentito ai Cristiani di costruire liberamente chiese e grandi basiliche. Furono perciò abbandonati gli antichi e nascosti luoghi di culto che, vuotati dalle reliquie dei " Santi " sembravano destinati a cadere in rovina.
Papa Damaso riportò la tradizione verso le Catacombe, facendo eseguire lavori dì consolidamento e di ampliamento. Egli impedì così gli effetti irreparabili del completo abbandono di quei sepolcreti sotterranei.
Via via che rintracciava e identificava le tombe dei Martiri, Papa Damaso, che era buon letterato le contrassegnava con epigrafi poetiche esaltanti le virtù di quegli antichi compagni di fede, noti o ignoti.
Non si pensi però che il Papa se ne stesse quasi nascosto dentro le Catacombe, a comporre le sue elaborate e poetiche epigrafi. Al contrario, fu Pontefice degno del proprio tempo, e tenne alto il prestigio della Chiesa romana, in un'epoca ricca di personaggi altissimi, come Sant'Ambrogio di Milano, San Girolamo e Sant'Agostino.
La passione di archeologo era nutrita, in Damaso, da una profonda pietà, e la sua azione apostolica era guidata da un alto senso di responsabilità. Sotto di lui si consolidò l'autorità della Chiesa romana, e l'eresia ariana venne quasi a spegnersi.
Davanti all'Imperatore, egli affermò sempre, con serena fermezza, l'" autorità della Sede
Apostolica ", secondo l'espressione coniata proprio sotto di lui. Fu lui che ordinò a San Girolamo la traduzione latina e la revisione della Bibbia; fu lui che ottenne, a Roma, la separazione dello Stato dal Paganesimo. Seppe legare alla Sede Apostolica tutte le Chiese e ottenne dal potere civile il massimo rispetto.
Onorando la memoria dei Martiri, nelle Catacombe, egli affermava l'unicità e la continuità di quella Chiesa per la quale i testimoni della fede avevano versato il proprio sangue; ribadiva la sovranità dello spirituale sul temporale, esaltando non i grandi del mondo, ma i campioni di Cristo.
Nella cosiddetta Cripta dei Papi, da lui esplorata nelle Catacombe di San Callisto, egli scrisse, alla fine di una lunga iscrizione: " Qui io, Damaso, desidererei far seppellire i miei resti, ma temo di turbare le pie ceneri dei Santi ". Sì preparò infatti la sepoltura, con umiltà e discrezione, in un luogo solitario, lungo la Via Ardeatina.


Fonte:
Archivio Parrocchia

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Aggiunto il 1-Feb-2001
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:19

San Daniele lo Stilita Sacerdote

11 dicembre

Maratha, Samosata, 409 - Siria, 490 circa

San Daniele lo Stilita, sacerdote, dopo la vita passata in monastero e dopo tante sofferenze sopportate, secondo l’usanza e l’esempio di san Simeone, decise di vivere sopra una colonna e vi rimase per trentatre anni e tre mesi, fino alla morte avvenuta a Costantinopoli, senza farsi spaventare dal freddo, dal caldo e dai venti.

Etimologia: Etimologia: Daniele = Dio è il mio giudice, dall'ebraico

Martirologio Romano: A Costantinopoli, san Daniele, detto Stilita, sacerdote, che, dopo aver condotto vita monastica e superato molte difficoltà, seguendo l’esempio di vita di san Simeone, alloggiò sull’alto di una colonna per trentatré anni e tre mesi fino alla morte, imperterrito davanti all’impeto del freddo, del caldo o dei venti.


Testimoni estremi della fede, la cui vita di penitenza era sempre sotto gli occhi di tutti, gli stiliti incarnarono una forma originale di ascetismo cui stenteremmo a credere se non avessimo fonti storiche documentate. Nati nel V secolo in Oriente (si diffusero poi anche in Russia), questi anacoreti vivevano presso un villaggio o un monastero, su una colonna alta dai dieci ai venti metri. Su di essa predicavano, guarivano malati e celebravano l’Eucaristia, trasformando così un simbolo pagano (solitamente sulle colonne si innalzavano gli idoli) in luogo di elevazione cristiana. La piattaforma garantiva la sopravvivenza grazie ad una tettoia, mentre dal balcone vi era il contatto con i fedeli. Alcuni seguaci provvedevano al sostentamento dello stilita innalzando il cibo con una carrucola o una scala. Alla sommità accedevano quanti necessitavano di conforto spirituale o cercavano soluzioni a controversie. Il primo e il più celebre stilita fu S. Simeone detto “il vecchio” (390-459) che visse in Siria a Qal’At Sem’An, nei pressi di Antiochia, e fu famoso per i miracoli e per aver convertito anche alcuni arabi. Daniele fu un suo discepolo, come apprendiamo dalla dettagliata biografia scritta, con diversi particolari storici, da un giovane seguace.
Daniele nacque a Maratha (vicino a Samosata) nel 409 da pii genitori che lo consacrarono subito al Signore. Crebbe buono e a soli dodici anni chiese di essere accolto in un vicino monastero. Alle resistenze dell’abate rispose che era sì giovane ma, con la sua grande fede, avrebbe sopportato la dura vita del cenobio. Pochi anni dopo godeva già della sua fiducia, tanto da accompagnarlo in un viaggio ad Antiochia. Ospiti del monastero di Telanissos (Dair Sem’an), conobbero S. Simeone che aveva da poco iniziato a vivere da asceta in cima ad una colonna, incompreso dai compagni e accusato di vanagloria. Nonostante la grande calura, il santo li accolse e li benedisse facendo breccia nel cuore del giovane, cui però predisse molte sofferenze. Qualche tempo dopo l’abate morì e Daniele venne scelto come suo successore. Egli però, rifiutato l’incarico, tornò a far visita a Simeone con l’intento di raggiungere successivamente la Terra Santa. Ripiegò su Costantinopoli a causa delle guerre, per poi ritirarsi a Filempora, in un tempio abbandonato, sotto la protezione del patriarca S. Anatolio. Nel 459 Simeone morì e il suo mantello, destinato inizialmente all’Imperatore Sergio I, venne dato a Daniele che, ormai cinquantenne, decise di seguire l’esempio del maestro. Alcuni compagni lo aiutarono a stabilirsi su una colonna dove iniziò la sua vita di meditazione e preghiera. All’ordine iniziale dell’Imperatore Leone di lasciare il luogo, la guarigione di un ragazzo posseduto dal demonio convinse il messo imperiale a tornare dall’imperatore per raccontare l’accaduto. Questi chiese a Daniele di pregare affinché l’imperatrice Verena concepisse un figlio. A grazia ottenuta l’imperatore andò di persona a ringraziarlo, salendo sulla colonna e toccandogli i piedi. Fece poi costruire un’altra colonna collegata con un ponte alla precedente, mentre il luogo era ormai meta di pellegrinaggi. Durante una tempesta la struttura corse il pericolo di crollare, ma Daniele non l’abbandonò e, a pericolo scampato, fece graziare il costruttore condannato dall’imperatore per la sua imperizia.
Il santo stilita era continuamente esposto alle intemperie e durante un inverno particolarmente rigido fu salvato in extremis dall’assideramento. L’imperatore fece allora costruire una stanza in cui fosse maggiormente riparato. Purtroppo a Daniele non mancarono gli attriti col Patriarca di Costantinopoli Gennadio e solo dietro ordine imperiale questi andò a trovarlo. All’incontro, nonostante la giornata caldissima, assistette una grande folla e il presule, dopo aver celebrato le preghiere d’ordinazione, salì sulla colonna dove si diedero vicendevolmente la comunione.
Daniele era ormai famoso in tutto l’impero. Si narra che predisse un incendio nella capitale (465) e che davanti alla sua colonna furono siglati patti di alleanza tra principi. Le visite più gradite erano però quelle dei malati che, dopo aver ascoltato la sua sapiente parola, ricevevano i sacramenti. Scese dalla colonna solo quando, morto l’imperatore, gli eretici monofisiti usurpavano il trono. Portato a spalle dalla folla ottenne il riconoscimento del nuovo Imperatore Zenone che, da lì a poco, con gratitudine, andò a onorarlo sulla colonna. Lo stesso successivamente promulgò il decreto detto Henoticon, diretto a vescovi, chierici e monaci della chiesa orientale, relativo all’approvazione del Simbolo Niceno.
Daniele morì ultraottantenne nel 490 (o 493) dopo aver incontrato il Patriarca Eufemio e aver celebrato la Messa. Fu sepolto in un oratorio ai piedi di quella colonna su cui era vissuto trentatre anni e tre mesi.


Autore:
Daniele Bolognini

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Aggiunto il 2-Apr-2006
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:23

Beato Davide di Himmerod Monaco

11 dicembre


Martirologio Romano: Nel monastero di Himmerod vicino a Treviri in Germania, beato Davide, monaco, che, debole nel corpo, fu accolto a Chiaravalle da san Bernardo, che lo mandò poi con dei confratelli in Germania a fondare un nuovo monastero, dove giorno e notte attese alla preghiera e alle opere buone.


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Aggiunto il 1-Nov-2000
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:27

Beato Franco da Siena Eremita carmelitano

11 dicembre

Grotti, Siena, secolo XIII - Siena, 11 dicembre 1291

Martirologio Romano: A Siena, beato Franco Lippi, eremita dell’Ordine dei Carmelitani, insigne per la grande austerità di vita.


Il suo culto fu approvato nel 1670, da papa Clemente X per la diocesi di Siena e per l’Ordine Carmelitano. Francesco Lippi nacque a Grotti – Siena in un anno imprecisato del secolo XIII in una famiglia nobile; trascorse la sua gioventù nella carriera delle armi e dandosi ad una sfrenata vita libertina.
Avendo conquistato Sartiano dagli Orvietani, in quella spedizione perse la vista (si dice che si aveva giocato gli occhi e per questo punito da Dio con la cecità), per ottenere di nuovo la facoltà di vedere, fece voto di cambiare vita e di pellegrinare a Compostella.
Ottenuta la grazia, sciolse il voto, recandosi in pellegrinaggio anche a Roma, a s. Nicola di Bari ed a Loreto. Ritornato a Siena ebbe l’occasione di ascoltare la predicazione del domenicano beato Ambrogio Sansedoni, colpito dalle sue parole, si ritirò come eremita in una piccola cella, dove rimase per cinque anni facendo grandi penitenze.
In seguito si fece converso carmelitano, vivendo in una cella solitaria presso la cappella della Madonna. Ebbe doni profetici, frequenti apparizioni di Gesù, della Vergine e degli Angeli e anche varie tentazioni diaboliche; a Siena si conservano vari strumenti ferrei da lui usati per la rigida penitenza; una maglia metallica, un collare, un cerchio per la testa, parte della catena con cui si flagellava, una piccola palla che teneva in bocca.
Il beato eremita Franco (il cui vero nome era come già detto Francesco Lippi) morì a Siena l’11 dicembre 1291; parte delle reliquie furono portate nel convento carmelitano di Cremona.
Questo ha determinato nei racconti successivi della sua vita, un po’ di confusione, in quanto esistono a Cremona alcune reliquie di un altro beato, Francesco di Siena dell’Ordine dei Servi di Maria, morto nel 1328.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 18-Mar-2003
Letto da 2585 persone



Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:33

Beato Girolamo (Ranuzzi) da Sant’Angelo in Vado Servo di Maria

11 dicembre

Sant’Angelo in Vado (Pesaro-Urbino), 1410 ca. – 1468 ca.

Martirologio Romano: A Sant’Angelo in Vado sempre nelle Marche, beato Girolamo, sacerdote dell’Ordine dei Servi di Maria, che nella solitudine e nel silenzio raggiunse la sapienza della santità.


Divenire santi è vocazione di ogni uomo e donna che viene a questo mondo. I Servi di Maria hanno vissuto questa nobile fatica in seno alla Chiesa di Cristo; gli esiti di tale avventura sono variopinti quanto mai, proprio perché lo Spirito Santo tutto rinnova senza mai ripetersi. I santi si somigliano, ma nessuno è uguale all’altro (Il cammino dei Servi di Maria, Servitium editrice, 2001).
E nella lunga e variopinta galleria dei santi e beati dell’Ordine dei Servi di Maria, fondato nel 1233 dai laici fiorentini Santi Sette Fondatori, Bonfiglio, Amadio, Bonagiunta, Manetto, Sostegno, Uguccione, Alessio, è da ricordare la figura del Beato Girolamo Ranuzzi, che nacque verso il 1410 a Sant’Angelo in Vado, attuale provincia di Pesaro-Urbino; la famiglia Ranuzzi (o Ranucci, secondo la grafia dei documenti contemporanei) era benestante ma non facoltosa come lo divenne più tardi, quando passò al rango della nobiltà; suo padre Antonio era dal 1404 guardia del Comune per la parrocchia di S. Eusebio, distante due km da S. Angelo in Vado.
Ancora adolescente entrò nel convento dei Servi di Maria di S. Angelo in Vado, da dove poi si trasferì per il periodo degli studi si crede a Bologna, dove si applicò alla filosofia e teologia, conseguendo il grado di baccelliere e dopo essere stato ordinato sacerdote, ritornò al suo convento d’origine.
La prima notizia documentata della sua presenza a Sant’Angelo tra i Servi di Maria, è del 1449, riguardante il capitolo del suddetto convento, convocato dal ‘teologo baccelliere fra’ Girolamo’, vicario del padre provinciale fra’ Michele Ambrosi.
Altro documento attestante la sua presenza nel convento di S. Angelo in Vado, è una sua sottoscrizione ad un contratto del 20 novembre 1454. Ambedue questi documenti, citati nei processi canonici del 1774, finirono smarriti durante i trasferimenti degli archivi conventuali, a seguito della soppressione napoleonica.
Fra’ Girolamo da Sant’Angelo in Vado, fu senz’altro uomo di dottrina, infatti vari suoi celebri contemporanei lo citano nelle loro opere storiche come il “baccelliere”, dal titolo conseguito per i suoi studi nelle Università ecclesiastiche del tempo.
Il celebre duca Federico d’Urbino, ricorreva ai suoi consigli per gli affari più importanti e ne venerò poi sempre la memoria, quando, come risulta da successivi documenti del 1471 e 1478, il duca Federico sostava in detto convento, rendendo omaggio alla tomba del beato.
I suoi confratelli contemporanei e successivi al beato Girolamo, ne narrarono la fama di asceta, di rigoroso penitente, di consigliere persuasivo, che era molto viva a S. Angelo in Vado; una locale tradizione indica la grotta dove fra’ Girolamo Ranuzzi, viveva i suoi periodi di eremitaggio, posta lungo la strada che porta alla Montata, proprio dove sorge l’edicola della Vergine detta “Madonnina di Pagnignò”.
Sotto il generalato di fra’ Nicolò da Perugia (1427-1461), le monache presero a svilupparsi con rinnovato fervore anche nell’Ordine dei Servi di Maria; e proprio nel 1462 il “beato baceliere” iniziò la fondazione del monastero femminile di S. Maria delle Grazie in S. Angelo in Vado.
L’8 marzo 1466, il suo nome compare col titolo di “baccelliere”, in testa ad una lista dei frati del convento di Sant’Angelo, in un documento del Comune, che chiedeva loro la vendita di un appezzamento di terreno, per riparare una strada dissestata completamente dall’alluvione del vicino fiume Metauro.
Questo fa posizionare la data della sua morte nel 1468 ca. e d’allora una folla di popolo si recò al suo sepolcro per raccomandarsi alla sua intercessione.
Poco dopo la sua morte, crescendo la fama dei miracoli, fra’ Girolamo fu acclamato santo a voce di popolo; il suo corpo incorrotto, si conserva sotto l’altare maggiore della Chiesa di S. Maria dei Servi, ove ancora oggi è venerato dai fedeli.
Dopo un lungo iter processuale, il suo culto fu confermato il 1° aprile 1775 da papa Pio VI con il titolo di beato; il Martirologio Romano lo celebra l’11 dicembre.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 27-Jul-2006
Letto da 974 persone



Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:37

Beata Maria della Colonna (Pilar) Villalonga Villalba Vergine e martire

11 dicembre

Valenza, Spagna, 22 gennaio 1891 – Saler, Spanga, 11 dicembre 1936

Martirologio Romano: In località detta El Saler vicino a Valencia in Spagna, beata Maria del Pilar Villalonga Villalba, vergine e martire, che, durante la persecuzione religiosa, seguì con il suo martirio le orme di Cristo.


Maria Pilar Villalonga Villalba nacque il 22 gennaio 1891 a Valencia e venne battezzata il 23 gennaio 1891 nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano. Ricevette la Prima Comunione il 5 marzo 1901 nella cappella del Collegio Gesù e Maria. Essendo la maggiore di sei figli, aiutò perciò la madre nei lavori domestici. La sua vita fu sempre caratterizzata da una pietà intensa e dalla quotidiana partecipazione all’Eucaristia. Aderì sin da giovane all’Azione Cattolica e fu dedita ad opere di carattere sociale volte alla difesa dei diritti della Chiesa.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, accompagnata da una violenta persecuzione anticristiana, Maria Pilar non esitò ad offrire la sua vita per la causa di Dio ed intensificò quindi il suo apostolato, trasformando la sua casa in un centro di accoglienza per i sacerdoti ricercati. Nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1936 venne scoperta ed imprigionata. Quando seppe di essere stata condannata alla fucilazione indossò il migliore abito in suo possesso per andare incontro al suo Signore nel sacrificio del martirio. Era l’11 dicembre 1936: l’eccidio si consumò presso Saler, vicino a Valencia. La donna venne fucilata mentre era in preghiera.
Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001 elevò agli onori degli altari ben 233 vittime della medesima persecuzione, tra le quali la Beata Maria Pilar Villalonga Villalba, che viene commemorata dal Martyrologium Romanum all'11 dicembre.


Autore:
Fabio Arduino

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Aggiunto il 24-Sep-2006
Letto da 854 persone



Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:40

Santa Maria Maravillas de Jesus Religiosa, fondatrice

11 dicembre

Madrid, 4 novembre 1891 - Aldehuela (Madrid), 11 dicembre 1974

Carmelitana scalza, nata a Madrid nel 1891, Maria Maravillas de Jesus è stata una delle sante vissute in anni più recenti tra quelle proclamate da Giovanni Paolo II: la sua canonizzazione risale infatti al 4 maggio 2003, appena 29 anni dopo la sua morte. Maravillas Pidal, come si chiamava prima di abbracciare la vita religiosa, era la figlia dell'ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede. Entrò giovanissima tra le Carmelitane scalze al celebre monastero di El Escorial, a Madrid. Quando ancora professava i voti temporanei avvertì che il Signore la chiamava a fondare un monastero al Cerro de los Angeles, la località nei pressi di Getafe dove il re Alfonso XIII aveva fatto costruire un monumento al sacro Cuore di Gesù. Fu la prima di una lunga serie di fondazioni, che si spinsero fino a Kottayam in India. Ma anche le Carmelitane scalze dovettero fare i conti con la guerra civile: madre Maria Maravillas e le sue religiose nel luglio 1936 furono costrette a lasciare il monastero, dove poterono far ritorno solo tre anni dopo. Da qui lo spirito contemplativo delle Carmelitane tornò a diffondersi presto per tutta la Spagna. Madre Maria Maravillas morì l'11 dicembre 1974. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nella cittadina La Aldehuela nella regione di Madrid sempre in Spagna, santa Mirabilia di Gesù Pidal y Chico de Guzmán, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze, che fondò molti monasteri in Spagna e in India, unendo la vita contemplativa a una operosa carità.


Maravillas Pidal y Chico de Guzmán, questo il suo nome da laica, nacque a Madrid il 4 novembre 1891 da una famiglia profondamente cristiana; il padre Luis Pidal y Mon, secondo marchese di Pidal, a quel tempo era ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede.
Sentì la chiamata alla vita religiosa sin dalla fanciullezza, pertanto Maravillas mise in pratica tutte le virtù cristiane, che coronò con la sua entrata nel 1919, nel monastero delle Carmelitane Scalze di El Escorial (Madrid), dove pronunciò i voti il 7 maggio 1921.
Nei primi anni della sua vita religiosa nel monastero, vide realizzato il suo ardente desiderio di una vita umile e appartata.
Nel 1923 quando ancora era professa di voti temporanei, si sentì ispirata in diverse occasioni dal Signore, a fondare un monastero carmelitano nel Cerro de los Angeles (Getafe) luogo dove nel 1919, il re Alfonso XIII aveva inaugurato un monumento al Cuore di Gesù e aveva fatto la consacrazione della Spagna al Sacro Cuore di Gesù.
Il 19 maggio 1924 lasciava l’Escorial, trasferendosi con tre religiose e per ubbidienza ai superiori, fondò il monastero a Getafe, territorio allora ricadente nell’archidiocesi di Madrid, attualmente sede di nuova diocesi.
Nominata prima priora della nuova Comunità dal vescovo di Madrid, il 31 ottobre del 1926, poté vedere inaugurato il monastero sorto accanto al monumento di Cristo Re, che seppe animare con fortezza e dolcezza, instaurando una fedeltà teresiana totale, un grande spirito apostolico, un senso profondo dell’ideale contemplativo.
Pur rispettando la clausura, visse la sua vita contemplativa interessandosi delle necessità dei bisognosi; inoltre grande era il suo amore per la Croce che rasentava l’eroismo, per penitenza dormì per più di 35 anni per sole tre ore al giorno, vestita e seduta per terra con la testa appoggiata al letto.
Nel 1933 otto sue suore fondarono un monastero di clausura a Kottayam in India, dove vorrebbe recarsi lei stessa, ma ne viene impedita dai superiori.
A causa della rivoluzione spagnola, che tanto insanguinò la Spagna, con la persecuzione e l’odio contro chiunque avesse a che fare con la religione, madre Maria Maravillas de Jesus, il 22 luglio 1936, è costretta a lasciare il monastero con tutte le religiose.
Accolte dapprima dalle Orsoline francesi di Getafe, nell’agosto seguente ripara in una casa di Madrid e poi attraverso Valencia, Barcellona, Port-Bou, Lourdes, rientrano dall’altra parte della Spagna, stabilendosi nell’antico eremo dell’Ordine Carmelitano a Las Batuecas (Salamanca).
Nel maggio 1939 viene riaperto il monastero del Cerro de los Angeles e da lì partiranno le suore da lei guidate, che grazie alla meravigliosa fioritura di vocazioni carmelitane, apriranno varie Case a Mancera (1944), Duruelo (Avila) nel 1947, Cabrera (1950), Arenas de San Pedro (1954), Cordova (1956), Aravaca - Madrid (1958), La Aldehuela (1961), Malaga (1964); infine restaurò e potenziò nel 1966, il monastero dell’Incarnazione di Avila e la casa di s. Teresa.
Grazie alle molte vocazioni, attirate dalla sua forte personalità, poté mandare nel 1954, tre sue suore al monastero di Cuenca (Ecuador) bisognoso di rinforzo. Fece costruire un convento e chiesa per i Carmelitani Scalzi in provincia di Toledo; la gente la chiamò “la santa Teresa de Jesus del XX secolo”.
Si ritirò nel 1961 nel convento di La Aldehuela (Madrid) da dove in grande povertà, dirigeva il movimento e la vita regolare dei tanti monasteri, con la sua parola materna ed il suo esempio; nel 1972 la Santa Sede approvò l’Associazione di S. Teresa, da lei costituita per i suoi monasteri, di cui fu eletta presidente, associazione impegnata in iniziative sociali.
Nel 1967 aveva promosso la fondazione a Ventorro di collegi per bambini privi di scuole; nel 1969 poté consegnare 16 case prefabbricate ad altrettante famiglie di baraccati.
Tra il 1972 ed il 1974 aiuta e sostiene la costruzione di un rione di 200 abitazioni, con la chiesa e le opere sociali, a Perales del Rio, collaborando con il parroco locale. Con la bontà di coloro che si fidavano di lei e della sua opera, aiutò la costruzione della nuova clinica per religiose e monache a Pozuelo di Alarcón (Madrid).
Fu colpita da una polmonite il Venerdì Santo del 1967 e da allora andò sempre più indebolendosi, anche se non si risparmiava nella fedeltà alla Regola ed alle Costituzioni.
Morì santamente dopo breve malattia l’11 dicembre 1974 nel monastero della Aldehuela (Madrid); donna notissima per le sue virtù e le sue capacità umane, Madre Maravillas lasciò una traccia notevole con il suo spirito di orazione contemplativa, con il desiderio di aiutare la Chiesa e con l’anelito di salvare gli uomini, che la resero fedelissima alla sua vocazione e autrice coraggiosa di grandi opere per la gloria di Dio.
La sua spiritualità si esprimeva nella preghiera continua, nell’eccezionale povertà sua e dei suoi monasteri, nella vita austera sostenuta dal lavoro, che permetteva di mantenersi e di aiutare così, anche grandi iniziative ecclesiali, sociali e benefiche, che ancora parlano di lei.
La sua salma riposa nella poverissima cappella del monastero di La Aldehuela, la causa canonica fu introdotta il 19 giugno 1980, è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II il 10 maggio 1998, in Piazza S. Pietro a Roma.
Il 4 maggio 2003, lo stesso pontefice l’ha canonizzata proclamandola santa a Madrid, con la partecipazione di una immensa folla.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 14-May-2003
Letto da 2877 persone



Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:43

Beato Martino Lumbreras Peralta e Melchiorre Sanchez Perez Sacerdote e martire

11 dicembre

m. Nagasaki, Giappone, 11 dicembre 1632

Il beato spagnolo Martino di San Nicola Lumbreras Peralta, sacerdote professo dell’Ordine degli Agostiniani Recolletti, subì il martirio con il confratello Melchiorre di Sant’Agostino Sanchez: appena entrati presso la città giapponese di Nagasaki, furono rinchiusi in una buia cella e poi bruciati. Giovanni Paolo II li beatificatò il 23 aprile 1989.

Emblema: Palma, Croce, Palo, Cintura, Corona del Rosario

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, beati Martino Lumbreras Peralta e Melchiorre Sánchez Pérez, sacerdoti dell’Ordine di Sant’Agostino e martiri, che appena entrati in questa città furono arrestati e gettati in una oscura cella e, infine, mandati al rogo.


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Aggiunto il 15-Oct-2005
Letto da 1256 persone



Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:48

San Masona di Merida Vescovo

11 dicembre

† Mérida, 606 ca.


Con il titolo di Santi Emeritensi, sono conosciuti cinque vescovi dei secoli VI-VII della città di Mérida (prov. Badajoz) nell’Estremadura, la cui vita fu descritta verso il 640 da un diacono della stessa diocesi, in un opera dal titolo “Vita SS. Patrum Emeritensium”; i loro nomi sono Pablo, Fedele, Masona, Innocenzo, Renovato.
I loro corpi erano sepolti tutti in una sola tomba nella chiesa di S. Eulalia, vicino al sepolcro della santa, ed erano invocati da molti fedeli che riacquistavano la salute.
Non c’è un culto ufficiale, anche se più tardi i loro nomi compaiono in messali, calendari, elenchi di reliquie, breviari, orazioni, ecc. dei monasteri di S. Millán de la Cogolla e S. Domingo de Silos, dove venivano celebrati insieme o a gruppi.
Masona o Mausona è stato classificato un “pilastro della Chiesa di Spagna” e certamente è un personaggio molto rappresentativo della sua epoca.
Di origine gota, venne educato presso la chiesa di S. Eulalia di Mérida; nel 573 fu eletto vescovo della città succedendo a s. Fedele.
Fin dall’inizio del suo episcopato, favorì il sorgere di monasteri e chiese, costruì un ospedale ben fornito con medici e infermieri, che avevano l’incarico di girare in città ricoverando ogni ammalato; fu famoso per la sua generosità nelle elemosine.
Durante la persecuzione scatenata dal re ariano Leovigildo contro i cattolici, il vescovo Masona fu incrollabile nel difendere la fede; gli fu contrapposto a Mérida un vescovo ariano Sunna, che non riuscì a scalfire il prestigio del vescovo cattolico, anzi diede l’occasione di mostrare tutta la profondità della sua scienza e virtù.
Masona fu in seguito mandato in esilio, che sopportò e soffrì coraggiosamente, finché il re Leovigildo punito da s. Eulalia, gli permise di ritornare alla sua sede, nel frattempo occupata dallo pseudo-vescovo Nepopis poi fatto fuggire.
Morto il re, poté partecipare al terzo Concilio di Toledo del 589, dove venne ufficialmente proclamata la conversione dei Visigoti al cattolicesimo.
Partecipò anche al Sinodo di Toledo del 597; scampò a due attentati ispirati da Sunna. Ormai vecchio e stanco, delegò alcune funzioni all’arcidiacono Eleuterio per il governo della diocesi, ma dopo un po’ fu costretto a riprendersi le deleghe, visto le prevaricazioni dell’arcidiacono che ambiva alla successione.
Morì verso il 606, anno in cui s. Isidoro gli scrisse una lettera considerata certa.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 22-Jan-2005
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:54

San Pablo di Merida Vescovo

11 dicembre

Grecia ? – Mérida, 560 ca.


Con il titolo di Santi Emeritensi, sono conosciuti cinque vescovi dei secoli VI-VII della città di Mérida (prov. Badajoz) nell’Estremadura, la cui vita fu descritta verso il 640 da un diacono della stessa diocesi in un opera dal titolo “Vita SS. Patrum Emeritensium”; i loro nomi sono Pablo, Fedele, Masona, Innocenzo, Renovato.
I loro corpi erano sepolti tutti in una sola tomba nella chiesa di S. Eulalia, vicino al sepolcro della santa, ed erano invocati da molti fedeli che riacquistavano la salute.
Non c’è un culto ufficiale, anche se più tardi i loro nomi compaiono in messali, calendari, elenchi di reliquie, breviari, orazioni, ecc. dei monasteri di S. Millán de la Cogolla e S. Domingo de Silos, dove venivano celebrati insieme o a gruppi.
S. Pablo o Paolo era un medico di origine greca, arrivato in Spagna aggregato ad un gruppo di commercianti greci, che effettuavano frequenti viaggi nella Penisola Iberica.
Si stabilì ad Emerita (Mérida) e qui per molti anni forse esercitò la sua professione di medico, sempre virtuoso e caritatevole, tanto da meritarsi l’elezione a vescovo della città, probabilmente tra il 530 e il 540.
Come vescovo riportò la pace e la tranquillità nella diocesi, perduta al tempo del suo predecessore; ci è noto attraverso il racconto del già citato diacono, che dovette praticare un taglio cesareo su una nobile signora alla quale era morto il figlio in grembo, lo fece controvoglia pensando di contravvenire al suo carattere sacerdotale, ma il marito prima e il clero poi insistettero tanto che acconsentì.
I ricchissimi coniugi riconoscenti del suo operato medico, gli donarono la metà dei loro beni e dopo la loro morte ne divenne erede universale.
Usò questi beni per intensificare le opere di carità per i bisognosi; governò la diocesi per molti anni, che poi lasciò al suo successore, il nipote Fedele da lui nominato.
Si ritirò presso la basilica di S. Eulalia di Mérida dove si dedicò alla preghiera e alla penitenza; morì verso il 560.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 22-Jan-2005
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 17:59

San Savino (Sabino) di Piacenza Vescovo

11 dicembre

Sec. V

Savino, vescovo di Piacenza, pare fosse di Milano, diacono di quella comunità. Papa Damaso I - oggi unito a lui nella memoria della Chiesa - lo inviò nel 372 ad Antiochia per il Concilio d'Oriente, nel quale vennero discusse le dottrine ariane. Amico di sant'Ambrogio, scambiò con lui diverse lettere proprio sul tema della difesa della fede da quell'eresia. Fu pastore di Piacenza per ben 45 anni. La tradizione gli attribuisce, infatti, una lunghissima vita: 110 anni. Morì l'11 dicembre del 420, ma la sua festa si celebra a Piacenza con maggior solennità il 17 gennaio, giorno in cui le sue reliquie furono portate nella chiesa degli Apostoli, che da allora ha preso il suo nome. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Piacenza, san Sabino, vescovo, che chiamò folle intere alla fede in Cristo, istituì monateri per le vergini e lottò coraggiosamente per la verità nicena.


C'è da credere che la Sabina, cioè la regione a Nord-Est di Roma, attorno a Rieti, sia stata feconda nutripe di molti cristiani esemplari, perché bisogna percorrere diverse volte le dieci dita delle mani per contare tutti i Santi di nome Sabino o Sabina, e quelli di nome Sabiniano.
Santi, a stare al significato del nome, originari della Sabina, anche se in realtà nati in altre regioni o in altri paesi, in Lombardia come in Sicilia, in Egitto come in Spagna.
Il nome di questi Santi è spesso mutato in quello di Savino, perché la " b " latina tende ad addolcirsi nella " v " italiana, così che per esempio il nome latino di Bibiana è diventato in italiano Viviana. Ed è per questo che, in Italia, le località che ripetono il nome di San Savino sono più numerose di quelle con il nome originario di San Sabino.
C'è un San Sabino venerato in Puglia, come Vescovo dell'antica diocesi di Canosa, tra Bari e Foggia, e come legato pontificio a Costantinopoli, al tempo del grande Imperatore Giustiniano, nel VI secolo.
C'è poi un San Sabino di Brescia, Martire insieme con un fratello, San Cipriano. Catania onora un San Savino Vescovo delI’VIII secolo, ritiratosi poi a vivere in solitudine e seguito da un gruppo di discepoli.
Celebre è il San Sabino Martire di Spoleto, festeggiato in mezzo a un gruppetto di antichi Martiri spoletani, e che viene detto Vescovo dell'antica città umbra. La passione di questo San Sabino e dei suoi compagni, al tempo di Diocleziano, fu assai drammatica e conquistò a questi Martiri fama presso scrittori, come San Gregorio Magno, e presso artisti, così che per esempio San Sabino è raffigurato nei celebri mosaici bizantini di Sant'Apollinare Nuovo, a Ravenna, nel corteo dei Martiri biancovestiti.
Varie città, nell'Italia centrale, si contendono questo San Sabino come loro Vescovo: non soltanto Spoleto, ma anche Assisi, Chiusi, Faenza, Sulmona e Fermo. Ma non è affatto certo che egli sia stato davvero Vescovo, come vorrebbe la tradizione, senza però fornirne dati degni di fede.
Certamente Vescovo fu invece il San Savino oggi festeggiato, e la cui figura storica è un po' più precisa. Pare che fosse milanese, uno dei Diaconi di quella Chiesa. Il Papa San Damaso, proprio oggi festeggiato tra i Santi, lo inviò nel 372 al Concilio di Oriente, nel quale vennero discusse le dottrine ariane.
Egli ritornò in Italia con lettere per i Vescovi di Occidente, e poco dopo venne insignito egli stesso con la mitria vescovile e col pastorale. Fu Vescovo di Piacenza per ben 45 anni, e visse lunghissimamente - secondo la tradizione ben 110 anni. Anch'egli fu amico di Sant'Ambrogio, scambiando con lui varie lettere, e naturalmente fu zelante nel difendere la dottrina cattolica contro gli errori degli ariani.
Morto l’11 dicembre del 420, la sua festa si celebra a Piacenza con maggiore solennità il 17 gennaio, perché in quella data le sue reliquie vennero trasferite nella chiesa degli Apostoli, che da allora prese il nome di San Savino.


Fonte:
Archivio Parrocchia

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Aggiunto il 31-Oct-2001
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 18:03

Beato Ugolino Magalotti da Fiegni

11 dicembre

sec. XIV

Martirologio Romano: Nel territorio di Camerino nelle Marche, beato Ugolino Magalotti, eremita del Terz’Ordine di san Francesco.


Il Beato Ugolino, l’anacoreta dei monti Sibillini, nacque a Fiegni, a sei chilometri da Fiastra, in provincia di Macerata, intorno ai primi anni del XIV sec. Il padre fu Malagotto III, discendente di quella nobile famiglia dei conti Malagotti, Signori di ben quattro feudi: Appennino, Poggio, Cerreto, Fiastra. Al tempo in cui venne alla luce Ugolino, i feudi erano già stati dati in cessione al comune di Camerino. Il castello di Fiegni, che pure apparteneva al feudo di Fiastra, non rientrò subito nella cessione e rimase residenza dei Malagotti, ed in questo il Beato nacque. La madre, Lucia, non sopravvisse al parto e lo lasciò orfano. Ugolino fin dall’infanzia ebbe una salda formazione spirituale, che lo portò a proseguire da solo, senza tentennamenti, il cammino della vita anche quando a tredici anni gli morì il padre. Da quel momento il giovane, libero di disporre della sua volontà, maturò l’idea di vendere la proprietà lasciatagli dal genitore in ossequio al precetto della perfezione evangelica. Così a vent’anni vendette la proprietà e si ritirò in un eremitaggio. Decisione che si era venuta maturando sempre più dallo studio delle sacre scritture, dalle quali avrebbe colto ed applicato a sé l’invito alla perfezione estraniandosi dal mondo. Non lontano da Fiegni, in un luogo fatto per la contemplazione solitaria, c’era un antico monastero benedettino, là Ugolino avrebbe potuto scegliere la sua dimora di asceta. Preferì invece ritirarsi in solitaria meditazione in una grotta presso Fiegni. Qui sarebbe rimasto fino alla sua morte, vivendo in unione di preghiera e di meditazione con Dio, macerandosi il corpo i cui istinti domava con astinenze e digiuni; contento di nutrirsi con poco pane, che forse riceveva in elemosina, con erbe e radici. Lo ristorava una sorgente, che la tradizione vuole fatta scaturire da lui stesso. Si dice che una temporanea dimora il Beato l’abbia avuta a S. Liberato, un eremo fatto costruire probabilmente da S. Francesco d’Assisi, sito sul pendio del monte Ragnolo, non lontano da Fiegni. Per questo alcuni credono che il Beato abbia professato la regola di San Francesco o fosse almeno terziario. Ma Ugolino fu piuttosto un precorritore del Terz’ Ordine francescano monastico.
Nella solitudine dell’eremo subì tentazioni ed ebbe allucinanti visioni. Si parla di apparizioni demoniache, che gli levavano il sonno e gli strappavano perfino il poco e miserabile nutrimento. Riuscì sempre vincitore da queste prove. Operò meravigliosi interventi a favore di quanti, attratti dalla fama della sua santità, ricorrevano a lui fiduciosi. Guarì un certo Pietro, zoppo fin dalla nascita e impossibilitato a camminare; restituì la vista a un tale Antonio che aveva perso un occhio nel tagliare la legna; guarì gli indemoniati.
Il Beato Ugolino rimase nell’eremo per circa trent’anni e morì nel mese di dicembre del 1373. Il trapasso avvenne nello stesso luogo dell’eremitaggio. Dopo la morte, il corpo del Beato venne portato nel vicino castello di Fiegni e collocato nella chiesa dedicata a S. Giovanni Battista.


Autore:
Elisabetta Nardi

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Aggiunto il 26-Mar-2004
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 18:06

Santi Vittorico e Fusciano Martire

11 dicembre


Martirologio Romano: Nel territorio di Amiens nella Gallia belgica, ora in Francia, santi Vittoríco e Fusciano, martiri.


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Aggiunto il 1-Nov-2000
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Stellina788
00giovedì 11 dicembre 2008 18:09

Beata Wilbirg (Vilburga) Reclusa di S. Florian

11 dicembre

S. Florian (Austria), sec. XIII - † 11 dicembre 1289


La figura di questa reclusa ci porta alla mente, forme di penitenza estrema, che la mentalità moderna stenta a capire, anzi non le capisce affatto, riservandole solo un interesse di studiosi. Così nell’antichità abbiamo gli stiliti che vivevano (si fa per dire) su una colonna; altri in grotte inaccessibili e umide; alcuni nel deserto e seminudi, ecc. invece la nostra beata Wilbirg nel secolo XIII, che nacque nel territorio dell’Austria di oggi, visse per quarant’anni in una cella, da qui la definizione di ‘reclusa’.
Nata nei pressi di San Florian, divenne orfana del padre Enrico, il quale morì durante un pellegrinaggio a Gerusalemme e fu allevata e educata sotto la cura della governante e di sua madre. A 16 anni insieme all’amica Matilde fece un pellegrinaggio, lungo e coraggioso per quei tempi, soprattutto per una donna giovane e sola, a S. Giacomo di Compostella in Spagna, una delle mete dei grandi pellegrinaggi del Medioevo.
Ritornata nel suo paese, l’amica Matilde voleva farne un altro insieme a lei a Roma, ma Wilbirg (Vilburga) decise invece per una scelta più definitiva e completa della sua vita, quindi rinunciando al mondo, il giorno dell’Ascensione del 1248 si chiuse solennemente in una cella presso la chiesa dei Canonici Regolari di S. Agostino di San Florian.
Gli eremiti di quei secoli, sceglievano questa forma d’isolamento, posta all’esterno di conventi, ma abbastanza vicino per usufruire della guida spirituale dei monaci del convento stesso; a volte sceglieva questa forma di penitenza qualche monaco dello stesso convento, per un periodo di maggiore mortificazione e dedizione all’ascesi.
Wilbirg attraverso una finestra, che affacciava nella chiesa conventuale, partecipava alla liturgia dei monaci; la stessa amica Matilde prese una cella a lei vicina, così in regime, diremmo di semilibertà, poteva approvvigionarsi di cibo e fornirlo anche a Wilbirg.
Questa vita di eremita-reclusa, durò 40 anni fino alla morte; solo una volta lasciò per breve tempo il suo ritiro, quando nel 1275 per sfuggire ai soldati di Rodolfo d’Asburgo (1218-1291), dal 1273 imperatore del Sacro Romano Impero, dovette fuggire insieme ai monaci Agostiniani dentro le mura della città di Enns che prende il nome dal fiume che l’attraversa, affluente di destra del Danubio.
Per i meriti della sua unione con Dio, ebbe doni soprannaturali, come la visione degli avvenimenti contemporanei; era tale la sua fama di spiritualità e vita interiore, che laici e religiosi, peccatori e persone pie, gente di alto e basso rango, venivano davanti alla finestra della sua cella per chiedere consiglio e preghiere a lei, donna di esempio di alta penitenza.
La fama di Wilbirg superò i confini dell’Austria, venendo invitata dalla beata Agnese di Praga († 1282 ca.), poi da Caterina nipote del beato papa Gregorio X, che l’invitò a fondare un convento in Italia; ma in entrambi i casi Wilbirg non volle abbandonare la sua cella e il silenzio e raccoglimento.
Fu in corrispondenza epistolare spirituale con il celebre monaco cistercense Gustolfo di Vienna. A circa 56 anni morì nella sua cella l’11 dicembre 1289 e venne sepolta nella chiesa del convento attiguo di San Florian, dove ancora riposa in un sarcofago della cripta.
In tutti questi secoli il suo culto è stato ininterrotto, pellegrini dell’Austria e della Germania, continuano ad affluire per venerarla. Già in vita fu considerata una santa e nell’anniversario della sua morte si celebra una Messa solenne; anche se non è mai stata ufficialmente beatificata dalla Chiesa.
La sua vicenda terrena è stata ispirazione letteraria di alcuni scrittori tedeschi.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 6-Nov-2003
Letto da 2870 persone



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