13 dicembre

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00domenica 13 dicembre 2009 14:22

Santa Lucia Vergine e martire

13 dicembre

Siracusa, III secolo - Siracusa, 13 dicembre 304

La vergine e martire Lucia è una delle figure più care alla devozione cristiana. Come ricorda il Messale Romano è una delle sette donne menzionate nel Canone Romano. Vissuta a Siracusa, sarebbe morta martire sotto la persecuzione di Diocleziano (intorno all'anno 304). Gli atti del suo martirio raccontano di torture atroci inflittele dal prefetto Pascasio, che non voleva piegarsi ai segni straordinari che attraverso di lei Dio stava mostrando. Proprio nelle catacombe di Siracusa, le più estese al mondo dopo quelle di Roma, è stata ritrovata un'epigrafe marmorea del IV secolo che è la testimonianza più antica del culto di Lucia. Una devozione diffusasi molto rapidamente: già nel 384 sant'Orso le dedicava una chiesa a Ravenna, papa Onorio I poco dopo un'altra a Roma. Oggi in tutto il mondo si trovano reliquie di Lucia e opere d'arte a lei ispirate. (Avvenire)

Patronato: Siracusa, ciechi, oculisti, elettricisti, contro le malattie degli occhi e le ca

Etimologia: Lucia = luminosa, splendente, dal latino

Emblema: Occhi su un piatto, Giglio, Palma, Libro

Martirologio Romano: Memoria di santa Lucia, vergine e martire, che custodì, finché visse, la lampada accesa per andare incontro allo Sposo e, a Siracusa in Sicilia condotta alla morte per Cristo, meritò di accedere con lui alle nozze del cielo e di possedere la luce che non conosce tramonto.

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Le fonti sulla vita di S.Lucia sono la Passio latina ed il più antico Martyrion greco, detto Codice Papadopulo. S.Lucia nacque a Siracusa sul finire del III secolo da una nobile famiglia cristiana: rimasta orfana di padre sin da bambina, fu educata con dedizione dalla madre Eutichia, dalla quale apprese le verità del cristianesimo. Lucia, fanciulla bella, intelligente e virtuosa, meditava assiduamente le S.Scritture e si recava ai riti cristiani nelle catacombe di Siracusa: spinta dal suo amore per Gesù e dall’esempio delle prime vergini martiri, decise di consacrarsi a Dio con voto di perpetua verginità. La madre soffriva da molti anni di un flusso di sangue ritenuto incurabile dopo innumerevoli e costosi tentativi dei migliori medici. Lucia, che si prendeva cura di lei, un giorno le suggerì d’andare in pellegrinaggio a Catania presso il sepolcro della vergine e martire S.Agata per implorare il miracolo della guarigione. La madre acconsentì e vi si recarono insieme: lì, durante la Messa, fu letto l’episodio del Vangelo in cui un’emorroissa guarì toccando la veste di Gesù. Ispirata da quelle parole, Lucia disse alla madre: “Se credi in ciò che è stato appena proclamato, crederai anche che S.Agata, che ha patito per Cristo, abbia confidente accesso al Suo tribunale. Tocca con fede il suo sepolcro, se vuoi, e sarai guarita”. Allora Lucia ebbe in apparizione S.Agata che le disse: “Sorella mia Lucia, vergine devota a Dio, perché chiedi a me ciò che puoi tu stessa ottenere per tua madre? Ecco che ella è già guarita per la tua fede. Con la tua verginità tu hai costruito un santuario gradito a Dio, ed io ti dico che come grazie a me è sublimata la città di Catania, così per te avrà decoro dal Signore Gesù Cristo la città di Siracusa”. Dopo quella visione, Lucia esclamò alla madre: “Per l’intercessione della Sua Sposa Agata, Gesù ti ha guarita”, e sùbito Eutichia constatò di essere del tutto risanata. Lucia continuò: “A questo punto desidero che tu non mi parli più di sposo terreno, perché da tempo mi sono consacrata a Gesù. Piuttosto dammi quello che avevi pensato come mia dote perché possa distribuirlo ai poveri”. Eutichia: “Se non ti rincresce, farai dei beni miei e di tuo padre l’uso che vorrai dopo la mia morte”. Lucia: “La tua offerta non è la più gradita a Gesù. Dona adesso, a Lui nei poveri, ciò di cui dovrai forzatamente disfarti nella tomba”. Eutichia fu convinta, e da quel momento Lucia donò tutte le sue ricchezze ai poveri e si fece povera per Cristo. Ma un giovane innamorato di lei si vendicò del suo rifiuto alle nozze denunciandola come cristiana: vigeva la feroce persecuzione dell’imperatore Diocleziano. Lucia fu arrestata e condotta dinanzi al prefetto di Siracusa, di nome Pascasio, che le ordinò di sacrificare agli dèi. Ma Lucia disse: “Sacrificio puro presso Dio è curare chi soffre. Ho donato a Dio tutte le mie sostanze, e poiché ora non ho più nulla da offrire, offro in sacrificio me stessa”. Pascasio: “Di’ tali sciocchezze agli stolti come te. Io eseguo gli ordini degli imperatori”. Lucia: “Tu osservi i comandi degli imperatori ed io i comandamenti del mio Dio; tu temi gli imperatori ed io il mio Dio; tu vuoi piacere agli imperatori ed io al mio Dio; tu non disobbedisci agli imperatori ed io come potrei disobbedire al mio Dio? Fai ciò che vuoi: anch’io agirò secondo il mio cuore”. Pascasio: “Tu hai dissipato i tuoi beni con uomini dissoluti”. Lucia: “Io ho riposto al sicuro il mio patrimonio ed il mio corpo non ha conosciuto l’impurità”. Pascasio: “Tu sei la disonestà in persona”. Lucia: “La disonestà siete voi, di cui l’Apostolo dice: corrompete le anime degli uomini affinchè fornifichino contro Dio vivente e servano al diavolo ed ai suoi angeli che sono nella corruzione. Anteponendo i piaceri effimeri ai beni eterni, perdete l’eterna beatitudine”. Pascasio: “Queste parole cesseranno quando inizieranno i tormenti”. Lucia: “E’ impossibile far cessare le parole di Dio”. Pascasio: “Tu dunque sei Dio?”. Lucia: “Io sono serva del Dio eterno, che ha detto: quando sarete condotti davanti ai potenti non preoccupatevi di cosa dire perché non sarete voi a parlare ma lo Spirito Santo che è in voi”. Pascasio: “In te c’è lo Spirito Santo?”. Lucia: “L’Apostolo dice: coloro che vivono castamente sono tempio di Dio e lo Spirito Santo dimora in essi”. Pascasio: “Allora ti farò condurre in un luogo infame dove sarai costretta a vivere nel disonore, così lo Spirito Santo fuggirà da te”. Lucia: “Il corpo non viene deturpato se non dal consenso dell’anima: anche se tu mettessi nelle mie mani l’incenso per un sacrificio, Dio sa la mia intenzione. Egli scruta le coscienze ed aborrisce il violentatore della purezza. Se tu comandi che io subisca violenza contro la mia volontà, la mia castità meriterà una doppia corona”. Pascasio: “Se non mi obbedisci t’infliggerò crudelissime torture”. Lucia: “Tu non potrai mai convincermi a peccare: sono pronta ad ogni tortura”. Allora Pascasio ordinò di farla condurre in un postribolo perché le fosse fatta violenza, ma lo Spirito Santo la rese immobile: invano i soldati la spingevano cadendo sfiniti a terra, invano la trascinavano legata a mani e piedi o trainata da molti buoi. Pensandola una strega, Pascasio la fece cospargere d’urina ed i maghi iniziarono ad invocare gli dèi. Pascasio infuriato le disse: “Lucia, quali sono le tue arti magiche?”. Lucia: “Queste non sono arti magiche: è la potenza di Dio”. Pascasio: “Perché pur tirandoti a forza in mille non ti sei mossa?”. Lucia: “Anche se tu ne aggiungessi altre migliaia, si avvererebbe in me la Parola di Dio: cadranno mille alla tua sinistra e diecimila alla tua destra, ma nessuno potrà accostarsi a te”. Pascasio era disperato, e Lucia gli disse: “Misero Pascasio, perché ti affliggi, impallidisci, ti struggi? Hai avuto la prova che sono tempio di Dio: credi anche tu in Lui”. Pascasio allora le fece accendere attorno un rogo, ma le fiamme la lasciarono illesa. E Lucia: “Ho pregato il mio Signore Gesù Cristo affinchè questo fuoco non mi molestasse, perché dare ai credenti il coraggio del martirio ed i non credenti l’accecamento della loro superbia”. Gli amici di Pascasio, per farla tacere, le conficcarono un pugnale in gola. Ma prima di morire Lucia riuscì a dire questa profezia: “Vi annuncio che presto sarà data pace alla Chiesa di Dio. Diocleziano e Massimiano decadranno. E come la città di Catania venera come protettrice S.Agata, così anche voi onorerete me per grazia del Signore nostro Gesù Cristo osservando di cuore i Suoi comandamenti”. Poi s’inginocchiò, ricevette l’Eucarestia e spirò: era il 13 dicembre 304. Nello stesso luogo dove subì il martirio ebbe sepoltura e nel 313 fu edificato un santuario per accogliere il continuo flusso di pellegrini giunti per venerare le sue reliquie ottenendo numerose grazie per sua intercessione. Nel 1039 il suo corpo fu portato dal generale bizantino Giorgio Maniace a Costantinopoli e nella quarta crociata del 1204 dal doge Enrico Dandolo a Venezia, dove si venera tuttora. Il patrocinio di S.Lucia si è manifestato tante volte sia a Siracusa, salvata in più momenti della sua storia (carestie, terremoti, guerre), che in altre città, come Belpasso (presso Catania) e Brescia: per l’ennesima liberazione attribuita alla sua intercessione da una grave carestia, nel 1646 fu istituita a Siracusa una festa solenne in suo onore che si celebra tuttora la prima domenica di maggio, oltre a quella del 13 dicembre.

Culto

Fin dall’antichità il suo culto si è diffuso universalmente e si è tramandato sino ad oggi. La testimonianza più antica è un’epigrafe marmorea in greco risalente al IV sec., rinvenuta nel 1894 nelle catacombe di Siracusa, le più estese al mondo dopo quelle di Roma. Nel 384 S.Orso le dedicò una chiesa a Ravenna. Papa Onorio I ne dedicò una a Roma. S. Gregorio Magno compose l’Ufficio e la Messa di S.Lucia, inserì il suo nome nel Canone Romano e le consacrò una cappella nella basilica di S.Pietro. Compare nel Martirologio Gerominiano, nel Sacramentario Gelasiano di S.Gallo, nel Breviario Gallo-Siculo, nel Canone di Milano e Ravenna. S.Adelmo le dedicò un poema. S.Tommaso d’Aquino la citò nella Summa Teologiae. S.Giovanni Damasceno compose l’Ufficio greco in suo onore. Tra i suoi devoti vi sono pure S. Caterina da Siena, S.Leone Magno, S.Ambrogio e Dante, che la elogiò nella Divina Commedia. In tutto il mondo le sono dedicate numerose chiese, si venerano sue reliquie, vi si ispirano opere d’arte. Nel nord Italia è popolarissima la tradizione di S.Lucia che ogni anno porta i doni natalizi ai bambini. In Svezia è molto venerata persino dalla Chiesa luterana, che le riserva un grande onore ed addirittura un rito liturgico.





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00domenica 13 dicembre 2009 14:23

Beati 7 Cavalieri Mercedari

13 dicembre

XIII secolo

Questi 7 Beati: Bernardo de Podio, Pietro Ricart, Pietro Boguer, Guglielmo de Sa, Giovanni de Bruquera, Giacomo de Copons e Raimondo de Frexa, cavalieri laici dell’Ordine Mercedario, lottarono estremamente contro i nemici della fede cattolica. Difesero onorevolmente la Chiesa nel XIII° secolo ed il loro Ordine nel suo primo secolo di vita, finché famosi per la loro fortezza e costanza raggiunsero la pace del Signore. L’Ordine li festeggia il 13 dicembre.






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00domenica 13 dicembre 2009 14:24

Sant' Antioco di Sulcis Martire

13 dicembre

Sec. II

Nel giorno della festa di santa Lucia la Sardegna ricorda anche un altro martire, sant’Antioco. Una figura legata alle miniere di questa regione, ai cui lavori forzati durante le persecuzioni i romani destinarono anche molti cristiani. Tra di essi si ricorda appunto Antioco, che fu inviato in esilio nella splendida isola che porta il suo nome (oggi congiunta alla terraferma con un ponte). La tradizione vuole che fosse un medico orientale che, nella prima metà del II secolo, ai tempi dell’imperatore Adriano, percorreva la Galazia e la Cappadocia prendendosi cura non solo dei corpi ma anche delle anime di quanti incontrava. Le conversioni da lui suscitate lo portarono all’arresto e all’esilio in Sardegna. Ma, anche prigioniero, la sua testimonianza cristiana fu talmente forte da aprire alla fede il cuore del soldato Ciriaco, che avrebbe dovuto essere il suo carceriere. La notizia fece infuriare le autorità imperiali che lo condannarono a morte. Prima di morire, comunque, Antioco invocò la protezione di Dio sulla Sardegna e sul suo popolo, che ancora oggi lo venera. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nel promontorio di Sulcis in Sardegna, sant’Antioco, martire.


Lungo le coste meridionali della Sardegna, doppiato il Capo Spartivento e la Punta Teulada, s'incontrano due grandi isole rocciose: la più vasta è l'Isola di Sant’Antico, la più piccola, quella di San Pietro.
Il nome di San Pietro, Apostolo, anzi, Principe degli Apostoli, non ha bisogno di essere illustrato. Non tutti però, almeno fuori della Sardegna, conoscono il Santo che ha l'onore di stargli accanto, e quasi alla pari, al largo delle coste sarde.
Fin dai tempi antichi la Sardegna fu solcata da miniere, dalle quali si estraevano metalli e minerali pregiati. Al pesante lavoro delle miniere venivano addetti schiavi o prigionieri di guerra; e durante le persecuzioni imperiali, molti cristiani furono esiliati in Sardegna e costretti ai lavori forzati. Si ricordano ancora molti Santi e diversi Papi che soffrirono nelle miniere il loro lungo martirio.
L'Isola di Sant'Antioco è oggi congiunta alla terraferma con un ponte che la collega alla strada di Carbonia e di Iglesias. Ma un tempo, isolata e inospitale in mezzo alle acque, doveva servire egregiamente come luogo dì deportazione. Oggi, la zona del Sulcis, prospiciente alle due isole, è nota per l'estrazione del carbone fossile. Un tempo, vi si scavavano metalli, e l'isola dì Sant'Antioco si chiamava Plumbaria, proprio per le miniere di piombo. In questo luogo di lavoro e di deportazione sarebbe finito Sant'Antioco, il quale, secondo la tradizione, era un medico orientale, che, al tempo dell'Imperatore Adriano, cioè nella prima metà del Il secolo, percorreva la Galazia e la Cappadocia, ai confini orientali dell'Impero.
Egli non solo curava i corpi, ma vaccinava le anime col Battesimo, ed era ben noto per le innumerevoli conversioni di pagani. Quando l'Imperatore emise un Editto di persecuzione, lo zelante medico e missionario fu tra i primi ad essere arrestato. Si voleva far di lui un apostata, ma egli non piegò né alle torture né alle minacce. L'Imperatore allora lo inviò esule in Sardegna, nell'Isola Plumbaria, perché avesse tempo di pentirsi della sua ostinazione e di raffreddarsi nel suo entusiasmo di credente.
Giunse nell'isola condotto da un soldato di nome Ciriaco, che doveva essere suo custode ed aguzzino. Non pare però che fosse condannato ai lavori forzati, se è vero che si stabilì in una grotta presso le coste dell'isola, trasformandola in un piccolo oratorio sotterraneo. Qui passò i suoi giorni di esilio, pregando, meditando, digiunando.
Il suo esempio convertì il soldato Ciriaco, e quando la notizia di quel cristiano irriducibile giunse alle orecchie delle autorità imperiali di Cagliari, venne decisa una punizione esemplare. L'esule Antioco fu così colpito a morte, ma prima di morire egli pronunziò una accorata preghiera al Signore, invocandone la protezione sulla Sardegna e sul suo fiero popolo.
Per quanto incerta possa essere la Passione di questo antico Martire, certa e antichissima è la devozione dei Sardi per Sant'Antioco, ricordato con affetto e gratitudine in tutta l'isola, e specialmente nella regione del Sulcis. L'antica diocesi di Iglesias sì onora infatti di avere come Patrono l’esiliato di Cristo, il medico e Martire venuto d'oltremare.




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00domenica 13 dicembre 2009 14:25

Beato Antonio Grassi

13 dicembre

Fermo, Ascoli Piceno, 13 novembre 1592 - 13 dicembre 1671

Martirologio Romano: A Fermo nelle Marche, beato Antonio Grassi, sacerdote della Congregazione dell’Oratorio, uomo umile e pacifico, che con il suo esempio spinse fortemente molti confratelli all’osservanza della regola.


Antonio Grassi nacque in una distinta famiglia di Fermo (Ascoli Piceno) il 13 novembre 1592. La sua fanciullezza fu semplice e religiosa: studiò presso il curato di S. Pietro, frequentando la chiesa di S. Spirito dei Padri dell’Oratorio. Incarnò presto lo spirito filippino ed entrò nella congregazione l’11 ottobre 1609. L’Oratorio di Fermo, uno dei più antichi, era nato nel 1586, mentre era ancora in vita S. Filippo Neri (morì nove anni più tardi). Il 17 dicembre 1617, nel Duomo cittadino, il Vescovo Alessandro Strozzi lo ordinò sacerdote. Mansueto e sorridente, Padre Antonio si distinse per l’impegno catechistico, soprattutto nel preparare i ragazzi a ricevere i sacramenti, e per la carità verso gli infermi e i carcerati. Trascorreva molte ore nel confessionale, affermando che il compito principale del sacerdote era compatire, aiutare e consolare.
Nel 1625 andò pellegrino a Roma per lucrare le indulgenze del Giubileo: visitò molte basiliche e i luoghi del Fondatore. Il suo misticismo destò l’ammirazione di tutti. Nel 1635 fu eletto Preposito dei Filippini della sua città, carica che mantenne fino alla morte.
Aveva un carisma eccezionale e tutti, popolani e nobili, vedevano in lui un padre. In quegli anni, nelle Marche, nacquero diverse case di Oratoriani. In una di queste, a Monte S. Giusto, guarì istantaneamente il ginocchio di una donna, Giacoma Pupilli. Eccezionale fu la sua missione di “pacere”, tante le rivalità che riuscì a ripianare, tra persone importanti come tra gli umili. Quest’apostolato fu tanto provvidenziale che il Governatore fece mettere un suo ritratto nel Palazzo di Città. Padre dei poveri, la sua carità era smisurata. In un anno di carestia eccezionale donò ai bisognosi anche le proprie coperte, il soprabito e stese la mano per chiedere l’elemosina che poi distribuì. La sua generosità divenne proverbiale e si raccontano diversi fioretti: Padre Antonio Raccamadoro vide alcune monete di rame tramutarsi nelle sue mani in monete d’argento, nel Conservatorio delle Orfane moltiplicò in abbondanza il vino. Visitava di notte coloro che si vergognavano di ricevere il suo aiuto. Ai confratelli, che alcune volte lo rimproverarono per l’eccessiva generosità, diceva che la Provvidenza non avrebbe fatto mai mancare nulla. Per le elemosine ridusse al minimo le spese della casa.
Devotissimo della Vergine Maria, annuale era il suo pellegrinaggio, finché poté a piedi, alla Santa Casa di Loreto. Qui fu protagonista di un fatto eccezionale: colpito da un fulmine restò illeso sebbene le vesti si bruciarono, era il 4 settembre 1621. Ogni sabato si recava nella chiesa di S. Maria a Mare per celebrarvi la Santa Messa, contribuendo a far rinascere quel Santuario all’epoca quasi abbandonato.
La sua fama di santità arrivò a Roma, conquistando la stima del Papa e dei confratelli. Tra gli altri il Cardinale Colloredo, subito dopo la sua morte, ne istruì il processo di beatificazione. Il Beato Antonio predisse la propria salita al cielo quattro anni prima che avvenisse. Assistito spiritualmente anche dall’arcivescovo di Fermo, che durante i giorni dell’agonia non si allontanò dal suo capezzale, spirò alle ore 22 del 13 dicembre 1671. Immediata fu la fama di santità in tutta Italia e anche in Germania, numerose le grazie e i miracoli a lui attribuiti. Durante l’Anno Santo del 1900, il 30 settembre, Papa Leone XIII lo beatificò. Il suo corpo è custodito, in un’artistica urna di cristallo, sotto la mensa dell’altare maggiore della Chiesa del Carmine di Fermo. Il complesso conventuale in cui visse tutta la vita di sacerdote, per cinquantacinque anni, è oggi sede del tribunale.





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00domenica 13 dicembre 2009 14:25

Sant' Aristone Martire

13 dicembre


Martirologio Romano: Presso l’odierna Fiumicino, sant’Aristone, martire.





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00domenica 13 dicembre 2009 14:26

Sant' Arsenio Monaco e taumaturgo

13 dicembre

Etimologia: Arsenio = virile, forte, dal greco


I menei greci celebrano il 13 dicembre la memoria di Arsenio, che fu monaco sul monte Latro presso Mileto, nella Caria. Il santo si sarebbe trasferito nel monastero da Costantinopoli. In mancanza di altre notizie, è impossibile determinare l'epoca in cui Arsenio visse.




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00domenica 13 dicembre 2009 14:27

Sant' Autberto Vescovo

13 dicembre


Martirologio Romano: A Cambrai nell’Austrasia, in Francia, sant’Autbero, vescovo.



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00domenica 13 dicembre 2009 14:28

Santi Eustrazio, Aussenzio, Eugenio, Mardario ed Oreste Martiri

13 dicembre

+ Sebaste, Armenia, fine III secolo

Martirologio Romano: In Armenia, santi Eustrazio, Aussenzio, Eugenio, Mardario e Oreste, martiri.


Eustrazio, Aussenzio, Eugenio, Mardario ed Oreste subirono il martirio presso Sebaste, in Armenia, sul finire del III secolo durante la persecuzione indetta dall’imperatore Diocleziano. Poche notizie ci sono state tramandate sul loro conto: pare che Eustrazio fosse armeno e provenisse da una celebre famiglia, Eugenio sarebbe stato il suo servo, Mardario ed Aussenzio due amici che intercedettero per lui, ed Oreste un soldato che si convertì colpito dalla fermezza di Eustrazio durante la tortura. Tutti vennero dunque torturati ed uccisi in odio alla fede cristiana. Le loro spoglie mortali furono poi trasportate a Roma, ove trovarono sepoltura nella chiesa di Sant’Apollinare. Qui ancora oggi queste reliquie sono oggetto della venerazione dei fedeli.
La “passio” di questi gloriosi martiri costituisce un emblematico esempio di come documenti simili fossere interpolati e talvolta addirittura riscritti successivamente a scopo didattico: Eustrazio viene infatti descritto intento a discutere con il magistrato brani di Platone e di poeti classici. La storia prende in parte spunto da quella dei celebri Quaranta Martiri di Sebaste. I santi Eustrazio, Aussenzio, Eugenio, Mardario ed Oreste, pur essendo menzionati anche dal Martyrologium Romanum, sono venerati principalmente presso le Chiese orientali cattoliche ed ortodosse.





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00domenica 13 dicembre 2009 14:29

Beato Giovanni Marinoni

13 dicembre

Venezia, 25 dicembre 1490 - Napoli, 13 dicembre 1562

Martirologio Romano: A Napoli, beato Giovanni (Francesco) Marinoni, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari detti Teatini, che si dedicò insieme a san Gaetano alla riforma del clero e alla salvezza delle anime e diede impulso al Monte di Pietà per l’aiuto ai bisognosi.


È chiamato il maestro dei santi teatini; nacque a Venezia il 25 dicembre 1490 da genitori oriundi bergamaschi, al battesimo ebbe il nome di Francesco che cambiò in seguito alla sua professione religiosa.
Allievo diligente negli studi fu chierico nella Collegiata di s. Pantaleo, universitario a Padova, sacerdote di vita e pietà esemplare, divenne prima sacrista poi canonico della Basilica di S. Marco, cappellano dell’Ospedale degli Incurabili e infine divenne teatino il 9 dicembre 1528, prendendo l’abito dalle mani di Giampietro Carafa che diverrà poi papa con il nome di Paolo IV e facendo la sua professione in quelle di s. Gaetano da Thiene il 29 maggio 1530.
Nell’agosto 1533 Giovanni Marinoni e Gaetano da Thiene, obbedendo alla richiesta di papa Clemente VII, lasciarono Venezia diretti a Napoli; qui dimorò presso gli Incurabili per un certo tempo, finché nel 1538 si fermò alla Basilica di S. Paolo Maggiore nel centro antico di Napoli.
La sua grande spiritualità diede frutti eccellenti, in stretta collaborazione con il fondatore s. Gaetano; ispirò nel 1539 i nobili Aurelio Paparo, Gian Domenico di Lega e Leonardo Palma suoi figli spirituali, nel dare inizio al Monte di Pietà da cui derivò in seguito il Banco di Napoli.
Altre figlie spirituali si prodigarono in opere meritorie, Giovanna Scorziata, fondava il pio luogo “Il Tempio” per l’educazione delle giovinette, le quattro sorelle Palescandolo fondarono il monastero di S. Andrea delle Dame. Lavorò alacremente insieme a s. Gaetano per preservare la Fede, in parte avvelenata da movimenti non ortodossi sorti in quel periodo.
Fu nominato nell’aprile 1540 superiore della casa di S. Paolo Maggiore e direttore spirituale del monastero delle monache domenicane della Sapienza. Con la sua mitezza e forza guidò e formò le prime leve del nuovo Ordine teatino ad una vita interiore intensa, apostolica attività, distacco dai beni terreni e fiducioso abbandono in Dio. Fu maestro di santi come s. Andrea Avellino, beato Paolo Burali cardinale, venerabili Giacomo Torno e Salvatore Caracciolo e altri insigni vescovi e uomini di Dio che tennero alta la spiritualità teatina di cui Giovanni fu insigne guida spirituale.
S. Andrea Avellino fu il primo biografo del beato Marinoni e di lui dice: “Era sempre di natura amabile, che da tutti i secolari buoni e cattivi, era amato, riverito, honorato e stimato. Il che con gl’occhi proprij ho visto, perché spesso l’accompagnava per Napoli e vedeva l’honore che da tutti gli era fatto; che lo tenevano per santo”.
Ottimo predicatore fu seguito ed ascoltato da folte e anche dotte schiere di fedeli fra cui alcuni, divenuti vescovi e partecipanti al Concilio di Trento lo additarono come esempio di autentica predicazione evangelica. Rifiutò la sede arcivescovile di Napoli che il papa teatino Paolo IV voleva affidargli; nel 1558 iniziò dalle fondamenta la costruzione del nuovo convento di S. Paolo Maggiore che sotto la direzione del dotto padre Gerolamo Ferro terminò nel 1565, tre anni dopo la morte del Marinoni.
L’età avanzata e le malattie ne avevano minato la salute, mentre lui continuava intensamente il lavoro e lo zelo per la salute del prossimo, in quel tempo di epidemie di colera che funestavano la città di Napoli e fu una epidemia che lo stroncò in pochi giorni, il 13 dicembre 1562.
Le sue spoglie si venerano nella cripta della basilica di S. Paolo Maggiore che è poi diventata una vera e propria chiesa con ingresso diretto nella piazza antistante e dove sono anche le spoglie di s. Gaetano da Thiene, del beato Paolo Burali e altri venerabili confratelli, quelle di s. Andrea Avellino sono invece nella sovrastante basilica.
Papa Clemente XIII, l’11 settembre 1762 ne confermava il culto che già da due secoli gli veniva tributato. Viene raffigurato con in mano il Crocifisso per la sua grande devozione alla Passione di Cristo.

Autore: Antonio Borrelli




Giorno di nascita: il Natale. Nome dibattesimo: Francesco. I suoi genitoriprovengono dal Bergamasco, all’epocadominio veneziano. Si orienta senzaproblemi verso la vita ecclesiastica, va aPadova per gli studi universitari e, di ritorno,arriva al sacerdozio, prestandopoi servizio nella basilica di san Marco.Giorno della “seconda nascita”:29 maggio 1528. Nuovonome: Giovanni. A 38 anni,lo accoglie l’Ordine dei Chiericiregolari, che è nato pocotempo prima, nel 1524, peropera di Gaetano da Thiene,del vescovo di Chieti GianPietro Carafa (poi papa PaoloIV) e dei sacerdoti BonifacioColli e Paolo Consiglieri.(Saranno chiamati Teatini inonore di “Theates”, Chieti, sede vescoviledel Carafa).
Nati nello stesso anno in cui MartinLutero abbandonava la sua tonaca di frateagostiniano, i Teatini vogliono lavorarealla riforma della Chiesa dall’interno,senza rivolte; e incominciando dal clero,che in troppi casi rinnega con la suacondotta il Vangelo che predica (quandolo predica). Giovanni Marinoni ritrovanella comunità teatina lo stile di vitacristiano modellato sulla prima comunitàdi Gerusalemme, descritta negli Attidegli Apostoli. Nel 1533, papa ClementeVII manda Gaetano da Thiene e GiovanniMarinoni a Napoli, la grande capitaledel Sud, la città dei viceré spagnoli, deivivaci fermenti riformatori, anti-romani,dei molti poveri, delle rivolte. Il fondatoredei Teatini deve peròassentarsi più volte da Napoli,per le sue responsabilitàdi capo dell’Ordine. E GiovanniMarinoni lo sostituisce,fino a succedergli dopola morte (1547).
Uno dei suoi compiti fondamentaliè la formazioneculturale e spirituale di unanuova generazione teatinanel Sud. A questi giovani egliriesce a trasmettere il contagio del viverepoveri – senza il “beneficio”, le rendite,le terre, le eredità – e insieme allegridentro e fuori, secondo il detto evangelico:"Non prendete mai un’aria melanconicacome gli ipocriti, i quali sfigurano laloro faccia, per far vedere agli altri che digiunano" (Matteo 6,16). Dice di lui unodi questi discepoli e futuro santo, AndreaAvellino: "Era sempre di naturaamabile che da tutti i secolari, buoni ecattivi, era amato e riverito, onorato e stimato". E molto aiutato per le iniziativeche intraprende o incoraggia, nella metropolimalata di indigenza.
È amabile, è colto, piace. Ma a tuttoquesto si accompagna un rigore personaledi vita che incute rispetto, e certocontribuisce ai suoi successi di predicatorein difesa della fede cattolica, e nell’incoraggiamentoa iniziative contro lapovertà e contro l’analfabetismo, specialmentefemminile. (Si ritiene che anchela nascita del Monte di Pietà in Napoliabbia avuto il primo impulso da Gaetanoda Thiene e da lui).
Al concilio di Trento si parla spessodi lui, tra vescovi che lo conoscono oche l’hanno avuto per maestro. Il papateatino Paolo IV pensa di nominarlo arcivescovodi Napoli. Ma lui dice di no.Prete e basta, fino alla morte. Una morteanch’essa da povero: di colera, duranteuna delle tante epidemie che flagellanoNapoli. Papa Clemente XIII nel 1762ha confermato il culto per lui come beato.I resti si trovano in San Paolo Maggioredi Napoli, accanto a quelli di Gaetanoda Thiene, di sant’Andrea Avellinoe del beato Paolo Burali.





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00domenica 13 dicembre 2009 14:30

Beato Giovanni Marinoni

13 dicembre

Venezia, 25 dicembre 1490 - Napoli, 13 dicembre 1562

Martirologio Romano: A Napoli, beato Giovanni (Francesco) Marinoni, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari detti Teatini, che si dedicò insieme a san Gaetano alla riforma del clero e alla salvezza delle anime e diede impulso al Monte di Pietà per l’aiuto ai bisognosi.


È chiamato il maestro dei santi teatini; nacque a Venezia il 25 dicembre 1490 da genitori oriundi bergamaschi, al battesimo ebbe il nome di Francesco che cambiò in seguito alla sua professione religiosa.
Allievo diligente negli studi fu chierico nella Collegiata di s. Pantaleo, universitario a Padova, sacerdote di vita e pietà esemplare, divenne prima sacrista poi canonico della Basilica di S. Marco, cappellano dell’Ospedale degli Incurabili e infine divenne teatino il 9 dicembre 1528, prendendo l’abito dalle mani di Giampietro Carafa che diverrà poi papa con il nome di Paolo IV e facendo la sua professione in quelle di s. Gaetano da Thiene il 29 maggio 1530.
Nell’agosto 1533 Giovanni Marinoni e Gaetano da Thiene, obbedendo alla richiesta di papa Clemente VII, lasciarono Venezia diretti a Napoli; qui dimorò presso gli Incurabili per un certo tempo, finché nel 1538 si fermò alla Basilica di S. Paolo Maggiore nel centro antico di Napoli.
La sua grande spiritualità diede frutti eccellenti, in stretta collaborazione con il fondatore s. Gaetano; ispirò nel 1539 i nobili Aurelio Paparo, Gian Domenico di Lega e Leonardo Palma suoi figli spirituali, nel dare inizio al Monte di Pietà da cui derivò in seguito il Banco di Napoli.
Altre figlie spirituali si prodigarono in opere meritorie, Giovanna Scorziata, fondava il pio luogo “Il Tempio” per l’educazione delle giovinette, le quattro sorelle Palescandolo fondarono il monastero di S. Andrea delle Dame. Lavorò alacremente insieme a s. Gaetano per preservare la Fede, in parte avvelenata da movimenti non ortodossi sorti in quel periodo.
Fu nominato nell’aprile 1540 superiore della casa di S. Paolo Maggiore e direttore spirituale del monastero delle monache domenicane della Sapienza. Con la sua mitezza e forza guidò e formò le prime leve del nuovo Ordine teatino ad una vita interiore intensa, apostolica attività, distacco dai beni terreni e fiducioso abbandono in Dio. Fu maestro di santi come s. Andrea Avellino, beato Paolo Burali cardinale, venerabili Giacomo Torno e Salvatore Caracciolo e altri insigni vescovi e uomini di Dio che tennero alta la spiritualità teatina di cui Giovanni fu insigne guida spirituale.
S. Andrea Avellino fu il primo biografo del beato Marinoni e di lui dice: “Era sempre di natura amabile, che da tutti i secolari buoni e cattivi, era amato, riverito, honorato e stimato. Il che con gl’occhi proprij ho visto, perché spesso l’accompagnava per Napoli e vedeva l’honore che da tutti gli era fatto; che lo tenevano per santo”.
Ottimo predicatore fu seguito ed ascoltato da folte e anche dotte schiere di fedeli fra cui alcuni, divenuti vescovi e partecipanti al Concilio di Trento lo additarono come esempio di autentica predicazione evangelica. Rifiutò la sede arcivescovile di Napoli che il papa teatino Paolo IV voleva affidargli; nel 1558 iniziò dalle fondamenta la costruzione del nuovo convento di S. Paolo Maggiore che sotto la direzione del dotto padre Gerolamo Ferro terminò nel 1565, tre anni dopo la morte del Marinoni.
L’età avanzata e le malattie ne avevano minato la salute, mentre lui continuava intensamente il lavoro e lo zelo per la salute del prossimo, in quel tempo di epidemie di colera che funestavano la città di Napoli e fu una epidemia che lo stroncò in pochi giorni, il 13 dicembre 1562.
Le sue spoglie si venerano nella cripta della basilica di S. Paolo Maggiore che è poi diventata una vera e propria chiesa con ingresso diretto nella piazza antistante e dove sono anche le spoglie di s. Gaetano da Thiene, del beato Paolo Burali e altri venerabili confratelli, quelle di s. Andrea Avellino sono invece nella sovrastante basilica.
Papa Clemente XIII, l’11 settembre 1762 ne confermava il culto che già da due secoli gli veniva tributato. Viene raffigurato con in mano il Crocifisso per la sua grande devozione alla Passione di Cristo.

Autore: Antonio Borrelli




Giorno di nascita: il Natale. Nome dibattesimo: Francesco. I suoi genitoriprovengono dal Bergamasco, all’epocadominio veneziano. Si orienta senzaproblemi verso la vita ecclesiastica, va aPadova per gli studi universitari e, di ritorno,arriva al sacerdozio, prestandopoi servizio nella basilica di san Marco.Giorno della “seconda nascita”:29 maggio 1528. Nuovonome: Giovanni. A 38 anni,lo accoglie l’Ordine dei Chiericiregolari, che è nato pocotempo prima, nel 1524, peropera di Gaetano da Thiene,del vescovo di Chieti GianPietro Carafa (poi papa PaoloIV) e dei sacerdoti BonifacioColli e Paolo Consiglieri.(Saranno chiamati Teatini inonore di “Theates”, Chieti, sede vescoviledel Carafa).
Nati nello stesso anno in cui MartinLutero abbandonava la sua tonaca di frateagostiniano, i Teatini vogliono lavorarealla riforma della Chiesa dall’interno,senza rivolte; e incominciando dal clero,che in troppi casi rinnega con la suacondotta il Vangelo che predica (quandolo predica). Giovanni Marinoni ritrovanella comunità teatina lo stile di vitacristiano modellato sulla prima comunitàdi Gerusalemme, descritta negli Attidegli Apostoli. Nel 1533, papa ClementeVII manda Gaetano da Thiene e GiovanniMarinoni a Napoli, la grande capitaledel Sud, la città dei viceré spagnoli, deivivaci fermenti riformatori, anti-romani,dei molti poveri, delle rivolte. Il fondatoredei Teatini deve peròassentarsi più volte da Napoli,per le sue responsabilitàdi capo dell’Ordine. E GiovanniMarinoni lo sostituisce,fino a succedergli dopola morte (1547).
Uno dei suoi compiti fondamentaliè la formazioneculturale e spirituale di unanuova generazione teatinanel Sud. A questi giovani egliriesce a trasmettere il contagio del viverepoveri – senza il “beneficio”, le rendite,le terre, le eredità – e insieme allegridentro e fuori, secondo il detto evangelico:"Non prendete mai un’aria melanconicacome gli ipocriti, i quali sfigurano laloro faccia, per far vedere agli altri che digiunano" (Matteo 6,16). Dice di lui unodi questi discepoli e futuro santo, AndreaAvellino: "Era sempre di naturaamabile che da tutti i secolari, buoni ecattivi, era amato e riverito, onorato e stimato". E molto aiutato per le iniziativeche intraprende o incoraggia, nella metropolimalata di indigenza.
È amabile, è colto, piace. Ma a tuttoquesto si accompagna un rigore personaledi vita che incute rispetto, e certocontribuisce ai suoi successi di predicatorein difesa della fede cattolica, e nell’incoraggiamentoa iniziative contro lapovertà e contro l’analfabetismo, specialmentefemminile. (Si ritiene che anchela nascita del Monte di Pietà in Napoliabbia avuto il primo impulso da Gaetanoda Thiene e da lui).
Al concilio di Trento si parla spessodi lui, tra vescovi che lo conoscono oche l’hanno avuto per maestro. Il papateatino Paolo IV pensa di nominarlo arcivescovodi Napoli. Ma lui dice di no.Prete e basta, fino alla morte. Una morteanch’essa da povero: di colera, duranteuna delle tante epidemie che flagellanoNapoli. Papa Clemente XIII nel 1762ha confermato il culto per lui come beato.I resti si trovano in San Paolo Maggioredi Napoli, accanto a quelli di Gaetanoda Thiene, di sant’Andrea Avellinoe del beato Paolo Burali.





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00domenica 13 dicembre 2009 14:31

San Giudoco (Giudioco) di Piccardia Prete ed eremita

13 dicembre

m. 13 dicembre 669

Nato in Bretagna all'inizio del VII secolo compì gli studi presso i monaci di Lan Mae-Imon. Divenne tra il 636 e 637 cappellano di Aimone del duca di Pointhieu. Sette anni dopo decise di condurre una vita eremitica, cambiando di volta in volta i luoghi di soggiorno, sostando per un lungo periodo a Ruinac. Costruì nei pressi della futura abbazia di Saint'-Jossé-sur-mer due piccoli oratori in legno, l'uno in onore di San Pietro e l'altro in onore di San Paolo. Morì il 13 dicembre 669. I suoi resti furono deposti nella chiesa del suo eremitaggio fino al 903, data in cui per timore dei Normanni furono trasportati in Inghilterra. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nella Neustria settentrionale, ora in Francia, san Giudoco, sacerdote ed eremita, che, figlio di Giutaele, re della Bretagna, e fratello di san Giudicaele, per non essere costretto a succedere al padre, lasciò la patria e si ritirò a vita eremitica.


Il nome di questo santo conosce forme differenti secondo le regioni e i paesi. Il suo nome latino è Iudocus. In Bretagna è chiamato Judoce o anche Huec o Judec o Uzec. Il suo nome francese tradizionale è Josse. In Germania e nei paesi circonvicini si trovano le forme Jobst o Jodok o Judok.
Quasi tutte le nostre informazioni su questo santo provengono da una Vita anonima composta nel sec. IX. Nel sec. XI questa narrazione fu ripresa e ampliata da Isembardo di Fleury e da Florenzio abate di Saint-Josse.
Nato in Bretagna all'inizio del sec. VII, Giudoco era il secondo figlio di Giutaele, re della Domnonea, che gli fece compiere dei buoni studi presso i monaci di Lan-Mae-lmon, vicino a Dinan. Fatto adulto, dopo aver rinunciato alla corona che gli offriva il fratello maggiore Giudicaele, allora in difficoltà col re Dagoberto I, partí per Roma, nel 636 o 637, con un gruppo di undici pellegrini. Appena ebbero attraversato il Cousnon, piccolo fiume che separa la Bretagna dalla Normandia, Giudoco domandò ai suoi compagni di tonsurarlo per mostrare chiaramente la sua appartenenza definitiva a Dio.
Dopo essersi fermati ad Avranches, poi a Chartres, i dodici pellegrini arrivarono a Parigi, dove trascorsero parecchi giorni. Di là invece di prendere direttamente la strada d'Italia, risalirono verso il nord, fecero sosta ad Amiens, infine arrivarono sulle rive dell'Authie, in un luogo chiamato Villa sancii Petri, che si deve senza dubbio identificare con Dompierre-sur-Authie, presso Crécy (Somme). Essi furono accolti da Aimone, duca di Ponthieu, che divenne cosí amico di Giudoco, al punto di non volerlo lasciar partire quando gli altri pellegrini si rimisero in cammino e, chiesto al vescovo di Amiens di ordinarlo prete, lo tenne presso di sé come cappellano.
Dopo sette anni, Giudoco pregò Aimone di lasciarlo libero e di indicargli un luogo tranquillo dove poter condurre vita eremitica come desiderava. Il duca lo guidò sulle rive dell'Authie, in un luogo chiamato Brahic, il cui nome sembra conservato in quello dei due villaggi di Raye e di Labroye. Come molti eremiti Giudoco cambiò piú volte il luogo del ritiro: dopo otto anni passati a Brahic si stabilí a Runiac, sulle rive della Canche, dove Aimone fece innalzare per lui una cappella dedicata a s. Martino. Tredici anni piú tardi l'eremita essendo stato morso al piede da un serpente in cui credette di riconoscere il diavolo, lasciò Runiac e andò a risiedere su una collina prossima al mare, là dove si leverà un giorno l'abbazia di Saint-Jossé-sur-mer. Quivi costruí due piccoli oratori in legno, l'uno in onore di s. Pietro, l'altro di s. Paolo.
Realizzò infine il progetto che gli aveva fatto lasciare la sua Bretagna compiendo allora il pellegrinaggio a Roma, sul quale però non possediamo disgraziatamente nessuna notizia sicura. Morí qualche anno dopo il suo ritorno, un 13 dicembre. La data del 669, sovente indicata come quella della sua morte, non è attestata da alcun documento. I suoi resti furono deposti nella chiesa del suo eremitaggio e vi restarono fino al 903, data in cui per timore dei Normanni furono trasportati in Inghilterra, ad Hyde, presso Winchester.





scri30
00domenica 13 dicembre 2009 14:31

Beato Martino de Pomar Mercedario

13 dicembre

Il Beato Martino de Pomar, consumò la sua vita nel convento mercedario di Santa Maria a Bilbao in Spagna. Commendatore dello stesso convento lo governò con grandissima santità fino alla morte.Fu insigne per la dottrina, lo zelo per la verità cattolica e immerso nell'amore divino si addormentò nel bacio del Signore.
L'Ordine lo festeggia il 13 dicembre.





scri30
00domenica 13 dicembre 2009 14:32

Sant' Odilia (Ottilia) di Hohenbourg Badessa

13 dicembre

† Hohenbourg, Alsazia, VII sec.

Guarita dalla cecità, si fece monaca benedettina e governò l'abbazia di Hohenburg che ora porta il suo nome: Odilienberg. Morì nel 720.

Patronato: Alsazia, Malattie degli occhi

Martirologio Romano: Nel territorio di Strasburgo nell’antica Burgundia in Francia, santa Ottilia, vergine e prima badessa del monastero di Hohenbourg fondato da suo padre, il duca Adalríco.


Le notizie cronologiche sono scarse; Odilia o Ottilia, figlia del duca Adalrico di Alsazia, regione della Francia orientale, ma che nei secoli passati fu più volte della Francia o della Germania; nacque dunque in Alsazia nel secolo VII, cieca dalla nascita e secondo la leggenda, il padre l’affidò ad una domestica.
Costei condusse la bambina al monastero di Balma (Baume-les-Dames) e si racconta che nel momento in cui il vescovo s. Erardo la battezzava, riacquistò la vista. Restò a Balma per un certo tempo, poi Odilia fu ricondotta a casa da suo fratello Ugo; il padre Alderico fondò per lei il monastero di Hohenbourg in Alsazia di cui divenne la prima badessa e lì visse santamente.
Sempre secondo la leggenda, lei stessa fondò il monastero di Niedemunster. Morì il 13 dicembre di un anno della fine del secolo VII. La badessa e il monastero di Hohenbourg sono menzionati in una donazione fatta alla badessa Adela nel 783; la prima ‘Vita’ di s. Odilia fu scritta agli inizi del secolo X da un cappellano di Hohenbourg, per la maggior parte leggendaria.
La regola osservata nel monastero fu quella benedettina, integrata da altre particolarità, questo sembra dipendere dalla parentela fra Adalrico e sua figlia Odilia con Leodegaro, il grande diffusore del monachesimo benedettino.
La santa badessa fu sepolta ad Hohenbourg nella chiesa di S. Giovanni, questa chiesa e la tomba furono nominate per la prima volta da papa Leone IX il 17 dicembre 1050. Le reliquie hanno una storia a sé, alcune vennero trasferite in altri posti, l’imperatore Carlo IV il 4 maggio 1353 ricevette il braccio destro, oggi conservato a Praga.
Altre che erano ad Odilienberg furono salvate dalla rivoluzione francese nel 1795, anche se il sarcofago perse allora il suo rivestimento di marmo, nel 1842 furono deposte in un cofano sotto l’altare.
Le reliquie invece che furono portate ad Einsiedeln nel sec. XVII, furono distrutte dai rivoluzionari nel 1798. Il culto per s. Odilia fu molto diffuso per tutto il Medioevo, in tutte le abbazie germaniche e in alcune regioni francesi; ancora oggi è molto venerata nelle diocesi di Monaco, Meissen, Strasburgo e nelle abbazie benedettine femminili austriache.
Il Martirologio Romano seguendo l’antica celebrazione del sec. XII a San Gallo, la ricorda al 13 dicembre.
S. Odilia dal 1807 è patrona dell’Alsazia, dove riceve un grande culto popolare, il Mont-Sainte-Odile è un luogo di pellegrinaggio assai frequentato, dove viene celebrata il giorno dell’anniversario della traslazione, avvenuta il 7 luglio 1842.
Cappelle in suo onore sono costruite su colline e montagne, è invocata specialmente per la guarigione degli occhi, delle orecchie o dei mali di testa, infatti essa è rappresentata in vesti di badessa, con un libro aperto su cui posano due occhi.
A volte è raffigurata mentre libera dal Purgatorio l’anima di suo padre Alderico, inoltre a volte porta in mano un calice, che si riferisce ad un episodio della ‘Vita’ per cui Odilia gravemente malata e poi morta senza aver ricevuto il Viatico, grazie alle preghiere delle sue consorelle addolorate, risuscitò e fattosi portare il calice con le particole, si comunicò da se stessa, morendo subito dopo.
Il suo nome è Odilia ma dal sec. XV in Baviera e poi in Alsazia fu adottata la versione Ottilia.





scri30
00domenica 13 dicembre 2009 14:33

Santi Pietro Cho Hwa-so e cinque compagni Martiri

13 dicembre


Martirologio Romano: Nel territorio di Tiyen-Tiyou in Corea, santi Pietro Cho Hwa-sŏ, padre di famiglia, e cinque compagni, martiri, che, sebbene tentati dal mandarino con promesse e torture a rinnegare la religione cristiana, resistettero fino alla decapitazione.



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