13 febbraio

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scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:18

Santi Aimo e Vermondo Corio

13 febbraio


Il più antico documento intorno ai santi Aimo e Vermondo è quello conservato in originale alla biblioteca Trivulziana di Milano, che risale all'incirca al 1357, cui si rifecero coloro che ne scrissero, come il Bascapè, il Bugato, il Morigia, il Ferrari e, da ultimo, l'Agrati, che ne ha pubblicato integralmente il testo latino, dando a fianco la traduzione italiana. La tradizione li vuole fratelli, conti di Turbigo sul Ticino, dove fondarono il monastero di S. Vittore. Sospinti da un branco di cinghiali, mentre cacciavano in luogo solitario, ripararono verso levante, nella regione briantea, dove più tardi sorse l'industriosa cittadina di Meda e dove edificarono una chiesa in onore di s. Vittore, alla quale unirono un monastero femminile secondo la regola benedettina.
Sepolti in quella chiesa, la loro tomba fu spesso miracolosa e molti, anche da lontano, ottennero segnalati favori e grazie particolari, onde sorse la fama di santità dei due fondatori, che ancora perdura.
Il 31 maggio 1581 furono venerati da s. Carlo e da Federico Borromeo, mentre il card. Ildefonso Schuster fece una ricognizione delle reliquie dei due santi nel 1932, quando si celebrarono in loro onore dei solenni festeggiamenti.
La loro festa ricorre il 13 febbraio.




scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:18

Beato Angelo Tancredi da Rieti

13 febbraio

Il beato Angelo Tancredi da Rieti fu uno dei primi discepoli di san Francesco, e cioé uno dei primi frati minori. Angelo Tancredi era un nobile cavaliere, fu il primo cavaliere ad unirsi a Francesco. Nel 1223 lavorava a Roma, a servizio del cardinale di "Santa Croce in Gerusalemme" Leone Brancaleone. E proprio in quegli anni Angelo Tancredi conobbe Francesco d'Assisi. Trascorse con il frate serafico gli ultimi due anni della sua vita. Angelo assieme ai compagni Leone e Rufino confortò Francesco, mentre stava morendo, cantandogli il Cantico delle Creature. Con Leone e Rufino egli scrisse la celebre "Leggenda dei tre compagni" e, nel 1246, una lettera da Greccio al ministro generale Crescenzo di Iesi. Tancredi da Rieti è sepolto vicino alla tomba di Francesco nella cripta della basilica di Assisi. E lo stesso san Francesco, volendo delineare l'identikit dell'autentico frate minore, così scriveva: «Sarebbe un buon frate minore colui che avesse la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell'Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà». (Avvenire)


Il Beato Angelo Tancredi da Rieti fu uno dei primi discepoli di San Francesco, e cioè uno dei primi dodici frati minori. Angelo Tancredi era un nobile cavaliere, fu il primo cavaliere ad unirsi a Francesco. Nel 1223 lavorava a Roma, a servizio del cardinale di “Santa Croce in Gerusalemme” Leone Brancaleone. Francesco giunse anch'egli al palazzo del cardinale Leone, pensando di rimanere per alcuni giorni, durante il suo ultimo viaggio a Roma, quando Papa Onorio III diede la sua approvazione alla nuova Regola. Angelo preparò una stanzetta per lui in una torre solitaria, ma Francesco vi rimase solo una notte, perché i demoni lo torturarono. Insieme a Bernardo, Leone e Rufino, Angelo Tancredi rimase accanto a Francesco durante gli ultimi due anni della sua vita.
A quel tempo, Francesco era gravemente ammalato, ed Angelo si prese cura di lui come suo "compagno e guardiano". Una volta cucì un pezzo di pelliccia di volpe all'interno del saio di Francesco, per proteggerne dal freddo intenso lo stomaco e la milza, ma Francesco lo obbligò a cucirne un pezzo anche sul lato esterno della tonaca, affinché tutti sapessero che indossava un pò di pelliccia. Mentre il Poverello d’Assisi stava morendo, Angelo e Leone lo confortarono cantandogli il "Cantico delle Creature".
Insieme a Leone e Rufino egli scrisse la celebre "Leggenda dei tre compagni" e, nel 1246, una lettera da Greccio al Ministro Generale Crescenzo di Iesi. Tancredi da Rieti è sepolto vicino alla tomba di Francesco nella cripta della Basilica di San Francesco.
Nel Santuario di Fonte Colombo (nella Valle Santa reatina), vicino al parcheggio troviamo la Cappella dedicata all’Ascensione, edificata nel 700. All’esterno della Cappella possiamo notare delle terrecotte che rappresentano l’invito rivolto dal Poverello d’Assisi a Tancredi di Rieti perché lo seguisse, e la mensa provvista dal Signore per far desinare il medico venuto a Fonte Colombo a curare il Santo. Un altro monumento che ricorda la vita terrena del Baeto Tancredi si trova a Rieti, nel rione San Francesco. Si tratta del monastero di Santa Chiara, che fu edificato appunto sulla casa del frate Angelo Tancredi. San Francesco, volendo delineare l’identikit dell’autentico frate minore, così scriveva: “sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di Bernardo, la semplicità e purità di Leone…e la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell’Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà”.





scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:19

San Benigno di Todi Martire

13 febbraio

sec. III-IV

Nacque a Todi. La tradizione ci racconta che fu ordinato sacerdote per la sua rettitudine e la sua bontà, e che affrontò coraggiosamente il martirio durante l’ultima persecuzione di Domiziano e Massimiano. Fu seppellito lungo la strada che conduceva al Vicus Martis, una località che oggi si chiama s. Benigno, dove un tempo fu edificato un oratorio e quindi un monastero benedettino.

Etimologia: Benigno = benevolo, disposto al bene, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Todi in Umbria, san Benigno, sacerdote e martire.

Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Tra i 18 santi col nome di Benigno, il martire commemorato oggi appartiene all'incommensurabile stuolo di vittime dell'ultima cruenta persecuzione anticristiana di Diocleziano e Massimiano, all'inizio del secolo IV. Scarsissime sono le notizie su questo santo, nato e vissuto a Todi e ivi ordinato sacerdote per la sua bontà e rettitudine. Affrontò coraggiosamente la tortura e la morte, e il suo corpo, raccolto da mani pietose, ebbe sepoltura lungo la strada che da Todi conduceva al Vicus Martis, in una località che prese il suo nome e dove più tardi sorse un monastero benedettino.
Nel 1904 le sue reliquie vennero collocate nell'altare maggiore della chiesa di S. Silvestro, racchiuse in una preziosa urna d'argento, datata 1679. Pur non essendo molto diffuso il suo culto, il ricordo di S. Benigno di Todi fu costante, almeno nella chiesa tudertina.
Degli altri santi con questo nome, tre furono vescovi (i più celebri sono l'irlandese vescovo di Armagh e il ventesimo vescovo di Milano), sei martiri, sei monaci, un sacerdote scozzese e un eremita.


scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:20

Beato Berengario di Assisi Mercedario

13 febbraio

Predicatore nella città di Granada, Valenza e Murcia, il Beato Berengario di Assisi, spesso visitò gli ergastolani portando loro conforto e la parola del Signore. Liberò dalle mani dei saraceni 358 schiavi ed infine con tante opere e pieno di meriti nel convento di Santa Maria Guardia Pratorum, raggiunse la corona della gloria.
L’Ordine lo festeggia il 13 febbraio.





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00domenica 13 febbraio 2011 09:21

San Castore

13 febbraio

sec. IV

Martirologio Romano: A Karden lungo la Mosella nel territorio di Treviri, in Germania, san Castore di Aquitania, sacerdote ed eremita.



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00domenica 13 febbraio 2011 09:21

Beata Cristina da Spoleto

13 febbraio

c. 1432 - 1458

Incerte sono le sue notizie relative alla famiglia (Visconti, Semenzi o Carrozzi) alle vicende della sua vita negli anni precedenti al 1450, momento in cui, per motivi sempre oscuri, abbandonò i luoghi d’origine (Milano o Brescia) per vestire l’abito delle Agostiniane scalze e dedicarsi ad opere di misericordia verso bisognosi e malati.Morì, forse ventenne, nel 1458 e il suo corpo, sepolto nella chiesa agostiniana di S. Niccolò a Spoleto, divenne subito oggetto di venerazione per le numerose grazie e i miracoli attribuiti alla sua intercessione.

Martirologio Romano: A Spoleto in Umbria, beata Cristina (Agostina) Camozzi, che, dopo la morte del marito, indulse per qualche tempo alla concupiscenza della carne, per abbracciare poi nell’Ordine secolare di Sant’Agostino una vita di penitenza, dedita alla preghiera e al servizio dei malati e dei poveri.


L'inizio della vita di questa singolare figura di donna può benissimo collocarsi quando intorno al 1450 decise di cambiare vita e, abbandonando la famiglia e i luoghi nei quali aveva vissuto, vestì l’abito delle Agostiniane secolari.
Da quel momento la sua esistenza fu un pellegrinaggio permanente alla ricerca di un luogo ove vivere nell'oblio. Dimorò presso alcuni monasteri agostiniani non rimanendo mai a lungo in nessuno di essi. La vita di preghiera, le mortificazioni, ma soprattutto le opere di misericordia verso i bisognosi, la costringevano ad allontanarsi ogni qual volta si accorgeva che era oggetto di attenzione.
Desiderosa di poter visitare i luoghi santi di Assisi e di Roma, per potersi poi spingere fino alla Terra Santa, in compagnia di un'altra terziaria, giunse a Spoleto dove soggiornò per un breve periodo, dedicandosi alla cura dei malati nell'ospedale cittadino. Dopo aver vissuto intensamente la sua nuova vita per alcuni anni, forse ancora ventenne, morì nel 1458.
Su queste notizie c'è accordo tra gli agiografi. Non così per il tempo precedente alla sua eroica decisione di fuggire dal mondo restando nel mondo, motivo per cui è conosciuta sotto varie denominazioni. Alcuni la ritengono appartenente alla famiglia dei Visconti di Milano o a quella dei Semenzi di Calvisano in Brescia. Per loro la fuga sarebbe stata motivata dal desiderio di liberarsi di quanti la volevano maritare contro i propri desideri e ideali. Altri la presentano col nome di Agostina, nata nei pressi del lago di Lugano verso il 1432-35, figlia del medico Giovanni Carrozzi e sposata ancora fanciulla con un artigiano del luogo. Rimasta presto vedova, avrebbe avuto una relazione con un cavaliere milanese dalla quale nacque un figlio morto bambino. Risposatasi perse il marito ucciso da un soldato invaghitosi di lei.
Il suo corpo venne sepolto a spese del comune di Spoleto nella chiesa agostiniana di S. Niccolò. Numerose grazie e miracoli attribuiti alla sua intercessione contribuirono ad accrescere e diffondere il culto sorto immediatamente dopo la sua morte, che Gregorio XVI ratificò nel 1834, proclamandola beata.
La sua memoria liturgica ricorre il 13 febbraio.




scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:23

Beata Cristina da Spoleto

13 febbraio

c. 1432 - 1458

Incerte sono le sue notizie relative alla famiglia (Visconti, Semenzi o Carrozzi) alle vicende della sua vita negli anni precedenti al 1450, momento in cui, per motivi sempre oscuri, abbandonò i luoghi d’origine (Milano o Brescia) per vestire l’abito delle Agostiniane scalze e dedicarsi ad opere di misericordia verso bisognosi e malati.Morì, forse ventenne, nel 1458 e il suo corpo, sepolto nella chiesa agostiniana di S. Niccolò a Spoleto, divenne subito oggetto di venerazione per le numerose grazie e i miracoli attribuiti alla sua intercessione.

Martirologio Romano: A Spoleto in Umbria, beata Cristina (Agostina) Camozzi, che, dopo la morte del marito, indulse per qualche tempo alla concupiscenza della carne, per abbracciare poi nell’Ordine secolare di Sant’Agostino una vita di penitenza, dedita alla preghiera e al servizio dei malati e dei poveri.


L'inizio della vita di questa singolare figura di donna può benissimo collocarsi quando intorno al 1450 decise di cambiare vita e, abbandonando la famiglia e i luoghi nei quali aveva vissuto, vestì l’abito delle Agostiniane secolari.
Da quel momento la sua esistenza fu un pellegrinaggio permanente alla ricerca di un luogo ove vivere nell'oblio. Dimorò presso alcuni monasteri agostiniani non rimanendo mai a lungo in nessuno di essi. La vita di preghiera, le mortificazioni, ma soprattutto le opere di misericordia verso i bisognosi, la costringevano ad allontanarsi ogni qual volta si accorgeva che era oggetto di attenzione.
Desiderosa di poter visitare i luoghi santi di Assisi e di Roma, per potersi poi spingere fino alla Terra Santa, in compagnia di un'altra terziaria, giunse a Spoleto dove soggiornò per un breve periodo, dedicandosi alla cura dei malati nell'ospedale cittadino. Dopo aver vissuto intensamente la sua nuova vita per alcuni anni, forse ancora ventenne, morì nel 1458.
Su queste notizie c'è accordo tra gli agiografi. Non così per il tempo precedente alla sua eroica decisione di fuggire dal mondo restando nel mondo, motivo per cui è conosciuta sotto varie denominazioni. Alcuni la ritengono appartenente alla famiglia dei Visconti di Milano o a quella dei Semenzi di Calvisano in Brescia. Per loro la fuga sarebbe stata motivata dal desiderio di liberarsi di quanti la volevano maritare contro i propri desideri e ideali. Altri la presentano col nome di Agostina, nata nei pressi del lago di Lugano verso il 1432-35, figlia del medico Giovanni Carrozzi e sposata ancora fanciulla con un artigiano del luogo. Rimasta presto vedova, avrebbe avuto una relazione con un cavaliere milanese dalla quale nacque un figlio morto bambino. Risposatasi perse il marito ucciso da un soldato invaghitosi di lei.
Il suo corpo venne sepolto a spese del comune di Spoleto nella chiesa agostiniana di S. Niccolò. Numerose grazie e miracoli attribuiti alla sua intercessione contribuirono ad accrescere e diffondere il culto sorto immediatamente dopo la sua morte, che Gregorio XVI ratificò nel 1834, proclamandola beata.
La sua memoria liturgica ricorre il 13 febbraio.


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00domenica 13 febbraio 2011 09:24

Beata Eustochio (Lucrezia) Bellini di Padova Vergine

13 febbraio

Martirologio Romano: A Padova, beata Eustochio (Lucrezia) Bellini, vergine dell’Ordine di San Benedetto.


La sua nascita non fu proprio legittima, Lucrezia Bellini nacque a Padova nel 1444, da una monaca del monastero benedettino di S. Prosdocimo e da Bartolomeo Bellini; a quattro anni il demonio s’impadronì del suo corpo, senza toglierle l’uso della ragione, tormentandola praticamente per tutta la vita.
A sette anni fu affidata alle monache di San Prosdocimo che gestivano nel monastero una forma di educandato; la condotta della comunità non era proprio esemplare, ma Lucrezia agli svaghi mondani, preferiva il ritiro, il lavoro e la preghiera, era molto devota alla Madonna, a s. Girolamo e a s. Luca.
Nel 1460 il vescovo Jacopo Zeno, alla morte della badessa, tentò d’imporre al monastero una maggiore disciplina, ma sia le monache, sia le educande, se ne ritornarono alle proprie case, rimase solo Lucrezia Bellini.
Giunsero allora in sostituzione nel monastero, le Benedettine provenienti dal convento di S. Maria della Misericordia, sotto la guida della badessa Giustina da Lazzara. Lucrezia ormai diciottenne, chiese di entrare nel loro Ordine e il 15 gennaio 1461, ebbe il nero abito benedettino, prendendo il nome di Eustochio; il demonio che da qualche tempo la lasciava in pace, si riaffacciò nel suo corpo, costringendola a fare atti contrari alla Regola, facendola addirittura esplodere in atti così chiassosi e violenti, che le consorelle ne furono terrorizzate e dovettero legarla per molti giorni ad una colonna.
Ma la quiete durò poco, dopo che Eustochio fu liberata, la badessa si ammalò di una strana malattia, fu incolpata lei, quasi considerandola un’ipocrita strega; fu chiusa in una prigione per tre mesi a pane ed acqua.
Ma tutte queste prove non avvilirono la novizia e a chi gli diceva di ritornare nel mondo o cambiare monastero, rispose che tutte quelle tribolazioni erano bene accette e che intendeva espiare la colpa da cui era nata, proprio là dov’era stata commessa; nella sua solitudine si confortava con la recita di un rosario o corona di salmi e preghiere, da lei stessa composte.
Una volta liberata, tornò ad essere tormentata dal demonio, con flagellazioni sanguinose, incontrollabili vomiti e altri strani patimenti che lei sopportava con inossidabile pazienza, ciò convinse le consorelle delle sue virtù e finalmente il 25 marzo 1465 fu ammessa alla professione solenne e come era usanza dell’epoca, due anni dopo gli fu imposto il velo nero delle benedettine.
La sua vita non fu lunga, era stata di grande bellezza ma le possessioni diaboliche, le malattie e le penitenze, l’avevano ormai ridotta ad uno scheletro vivente; gli ultimi anni di vita li trascorse quasi sempre a letto ammalata, assorta nella preghiera e nella meditazione della Passione di Gesù.
Morì il 13 febbraio 1469 a soli 25 anni, la sua fine fu così serena che il suo volto poté riacquistare l’antica bellezza; il demonio poche ore prima l’aveva lasciata finalmente in pace.
Eustochio è l’unico esempio che si conosca di una fedele arrivata alla santità, anche se per tutta la vita fu posseduta dal demonio.
Quattro anni dopo la sua morte, il corpo fu riesumato dal primitivo sepolcro, il quale cominciò a riempirsi d’acqua purissima e miracolosa, che cessò di sorgere solo quando fu soppresso il monastero.
Nel 1475 il corpo fu portato nella chiesa e dal 1720 fu collocato, visibile in un’arca di cristallo. Il monastero di S. Prosdocimo fu soppresso nel 1806 e il corpo della beata benedettina fu traslato nella chiesa di San Pietro sempre in Padova; sopra il marmoreo altare che contiene il suo corpo, sovrasta la pala dipinta del Guglielmi che rappresenta la beata, mentre calpesta il demonio.
Papa Clemente XIII, già vescovo di Padova, confermò il suo culto nel 1760, prima alla città patavina e poi esteso nel 1767 a tutti gli Stati della Repubblica Veneta.
La sua festa religiosa, ancora oggi officiata in tutta la diocesi di Padova, è al 13 febbraio.





scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:25

Beata Eustochio (Lucrezia) Bellini di Padova Vergine

13 febbraio

Martirologio Romano: A Padova, beata Eustochio (Lucrezia) Bellini, vergine dell’Ordine di San Benedetto.


La sua nascita non fu proprio legittima, Lucrezia Bellini nacque a Padova nel 1444, da una monaca del monastero benedettino di S. Prosdocimo e da Bartolomeo Bellini; a quattro anni il demonio s’impadronì del suo corpo, senza toglierle l’uso della ragione, tormentandola praticamente per tutta la vita.
A sette anni fu affidata alle monache di San Prosdocimo che gestivano nel monastero una forma di educandato; la condotta della comunità non era proprio esemplare, ma Lucrezia agli svaghi mondani, preferiva il ritiro, il lavoro e la preghiera, era molto devota alla Madonna, a s. Girolamo e a s. Luca.
Nel 1460 il vescovo Jacopo Zeno, alla morte della badessa, tentò d’imporre al monastero una maggiore disciplina, ma sia le monache, sia le educande, se ne ritornarono alle proprie case, rimase solo Lucrezia Bellini.
Giunsero allora in sostituzione nel monastero, le Benedettine provenienti dal convento di S. Maria della Misericordia, sotto la guida della badessa Giustina da Lazzara. Lucrezia ormai diciottenne, chiese di entrare nel loro Ordine e il 15 gennaio 1461, ebbe il nero abito benedettino, prendendo il nome di Eustochio; il demonio che da qualche tempo la lasciava in pace, si riaffacciò nel suo corpo, costringendola a fare atti contrari alla Regola, facendola addirittura esplodere in atti così chiassosi e violenti, che le consorelle ne furono terrorizzate e dovettero legarla per molti giorni ad una colonna.
Ma la quiete durò poco, dopo che Eustochio fu liberata, la badessa si ammalò di una strana malattia, fu incolpata lei, quasi considerandola un’ipocrita strega; fu chiusa in una prigione per tre mesi a pane ed acqua.
Ma tutte queste prove non avvilirono la novizia e a chi gli diceva di ritornare nel mondo o cambiare monastero, rispose che tutte quelle tribolazioni erano bene accette e che intendeva espiare la colpa da cui era nata, proprio là dov’era stata commessa; nella sua solitudine si confortava con la recita di un rosario o corona di salmi e preghiere, da lei stessa composte.
Una volta liberata, tornò ad essere tormentata dal demonio, con flagellazioni sanguinose, incontrollabili vomiti e altri strani patimenti che lei sopportava con inossidabile pazienza, ciò convinse le consorelle delle sue virtù e finalmente il 25 marzo 1465 fu ammessa alla professione solenne e come era usanza dell’epoca, due anni dopo gli fu imposto il velo nero delle benedettine.
La sua vita non fu lunga, era stata di grande bellezza ma le possessioni diaboliche, le malattie e le penitenze, l’avevano ormai ridotta ad uno scheletro vivente; gli ultimi anni di vita li trascorse quasi sempre a letto ammalata, assorta nella preghiera e nella meditazione della Passione di Gesù.
Morì il 13 febbraio 1469 a soli 25 anni, la sua fine fu così serena che il suo volto poté riacquistare l’antica bellezza; il demonio poche ore prima l’aveva lasciata finalmente in pace.
Eustochio è l’unico esempio che si conosca di una fedele arrivata alla santità, anche se per tutta la vita fu posseduta dal demonio.
Quattro anni dopo la sua morte, il corpo fu riesumato dal primitivo sepolcro, il quale cominciò a riempirsi d’acqua purissima e miracolosa, che cessò di sorgere solo quando fu soppresso il monastero.
Nel 1475 il corpo fu portato nella chiesa e dal 1720 fu collocato, visibile in un’arca di cristallo. Il monastero di S. Prosdocimo fu soppresso nel 1806 e il corpo della beata benedettina fu traslato nella chiesa di San Pietro sempre in Padova; sopra il marmoreo altare che contiene il suo corpo, sovrasta la pala dipinta del Guglielmi che rappresenta la beata, mentre calpesta il demonio.
Papa Clemente XIII, già vescovo di Padova, confermò il suo culto nel 1760, prima alla città patavina e poi esteso nel 1767 a tutti gli Stati della Repubblica Veneta.
La sua festa religiosa, ancora oggi officiata in tutta la diocesi di Padova, è al 13 febbraio.





scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:25

Sante Fosca e Maura Martiri

13 febbraio

La storia delle martiri Fosca e Maura, secondo gli agiografi, va collocata durante la persecuzione di Decio, nel III secolo. Secondo la narrazione di un'antica «passio», la giovane Fosca, figlia di genitori pagani di Ravenna, a quindici anni confidò alla nutrice Maura il desiderio di divenire cristiana. Insieme si recarono dal sacerdote Ermolao che le educò alla fede e le battezzò. A nulla valsero i tentativi del padre di far recedere la figlia da questo passo. Fosca fu denunciata al prefetto Quinziano, ma gli uomini inviati ad arrestarla la trovarono con un angelo e non riuscirono nel loro intento. Quindi Fosca e Maura, presentatesi spontaneamente a Quinziano, vennero processate, crudelmente torturate e infine decapitate il 13 febbraio. I loro corpi furono gettati in mare o, secondo altre versioni, rapiti da marinai e trasportati in Tripolitania dove ebbero sepoltura nelle grotte presso Sabratha (oggi Saqratha). Molti anni più tardi, occupata la regione dagli Arabi, un cristiano di nome Vitale per divina ispirazione riportò le reliquie in Italia, nell'isola di Torcello, nella laguna veneta, dove venne eretta una chiesa in onore delle due martiri. (Avv.)

Etimologia: Fosca = scura, bruna, dal latino

Emblema: Palma


La passio di queste due sante racconta che Fosca, nata da una famiglia pagana di Ravenna, quindicenne si sentì spinta a farsi cristiana. Ne parlò con la nutrice Maura ed insieme si recarono dal prete Ermolao che le istruì e le battezzò. A nulla valsero i tentativi del padre Siroi per indurre la figlia a ritornare alla religione dei padri. Fosca fu denunziata al prefetto Quinziano, ma gli sgherri inviati ad arrestarla la trovarono con un angelo e non riuscirono nel loro intento. Quindi Fosca e Maura, presentatesi spontaneamente a Quinziano, vennero processate, crudelmente torturate e infine decapitate il 13 febbraio. I loro corpi furono gettati in mare o rapiti da marinai e trasportati in Tripolitania dove ebbero sepoltura nelle grotte presso Sabratha (od. Saqratha). Molti anni più tardi, occupata la regione da "Derfidi pagani" (gli Arabi), un cristiano di nome Vitale per divina ispirazione riportò le reliquie in Italia, nell'isola di Torcello, nella laguna veneta, dove venne eretta una chiesa in onore delle due martiri. La passio non offre elementi cronologici, ma gli agiografi posteriori, ratificati dal Martirologio Romano, ritengono che il martirio sia avvenuto durante la persecuzione deciana, supponendo che il prefetto Quinziano sia lo stesso "consularis provinciae Siciliae" da cui fu martirizzata s. Agata.
Il Lanzoni ritiene tali Atti non anteriori al sec. XIV e privi di ogni attendibilità: essi ricalcano motivi della passio di s. Agata e di quella dei ss. Fermo e Rustico, e non hanno altro scopo che quello di dare un nome ed una storia a delle reliquie di presunti martiri rapite e portate in patria dai naviganti veneziani. Ad ogni modo è assolutamente da escludersi che queste presunte sante possano essere state martirizzate a Ravenna, dove le fonti antiche non conoscono altro martire che Apollinare. Alcune osservazioni su queste conclusioni del Lanzoni: anzitutto detta passio è sicuramente anteriore al sec. XIV: infatti la riportano due codd. del sec. XIII e, più brevemente, uno addirittura del sec. XII. Che le reliquie poi siano venute a Torcello dall'Africa è confermato anche dai due nomi, Fosca e Maura, usati allora in Italia come aggettivi per indicare individui africani: e questo ci assicura una volta di più che le martiri di cui si credette di trovare le reliquie erano anonime in un primo tempo, e quindi sconosciute.
Per quanto riguarda il rapporto con Ravenna, ritengo che esso abbia un'origine semplicemente "architettonica": la chiesetta di S. Fosca, che costituisce un gruppo unitario con la basilica e col battistero di Torcello, è il più antico monumento veneto che si ispiri così visibilmente al gusto bizantinoravennate (che divenne poi una delle determinanti di quello veneziano) da potere far pensare con grande probabilità ad un suo architetto proveniente dall'Esarcato. La somiglianza (seppure in scala ridotta) di quel monumento col S. Vitale di Ravenna e la comparsa appunto del nome Vitale nella passio come quello di colui che portò sulla laguna i corpi santi non fa che confermare questa ipotesi. Ora, tale chiesetta è appunto del sec. XII, come la più antica copia della passio.





scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:26

San Fulcranno (Fulcrano) di Lodeve Vescovo

13 febbraio

Martirologio Romano: A Lodève sempre nella Gallia Narbonense, nell’odierna Francia, san Fulcrano, vescovo, insigne nell’amore verso i poveri e nello zelo per il culto divino.





scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:27

San Gilberto di Meaux Vescovo

13 febbraio

m. 13 febbraio 1009 (o 1015?)

Martirologio Romano: A Meaux nel territorio di Brie in Francia, san Gilberto, vescovo.

Ascolta da RadioRai:
  

Nato nel Vermandois, forse ad Ham, Gilberto era arcidiacono del vescovo di Meaux, Archanrad, quando fu chiamato a sostituirlo nel 995. Egli controfirmò due documenti del re Roberto il Pio: nel 998 in favore di St. Denys e nel 1003 in favore di St. Père di Melun. Nel 1005 donò al suo capitolo i redditi dell'abbazia di St.-Rigomer, vicino Meaux, partecipando cosI, da parte sua, a questa importante evoluzione dello statuto canonicale, la cui mensa era ormai sempre più separata da quella del vescovo; nel 1008 prese parte al concilio di Chelles.
Morì il 13 febbraio 1009 (o forse 1015), confortato dalla presenza di due vescovi amici: Leoterico di Sens e Fulberto di Chartres. Divenne oggetto di culto nella sua cattedrale e le sue reliquie subirono almeno due traslazioni nel 1491 e nel 1545. Nel 1562 esse furono profanate dagli Ugonotti durante le guerre di religione e ne furono recuperati solo pochi frammenti.
La sua festa si celebra il 13 febbraio nelle diocesi di Soissons e di Meaux.
 


scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:28

Beato Giordano di Sassonia Domenicano

13 febbraio

Westfalia, 1175/1185 - Attalia, 13 febbraio 1237

Giordano di Sassonia, nato dai Conti di Ebernstein, fu l’immediato successore del glorioso Patriarca Domenico, dal quale ereditò la parola eloquente, la tenerezza del cuore e lo zelo appassionato per portare tutti gli uomini alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo. Nel 1219, trovandosi a Parigi, già laureato nelle scienze sacre, fu conquistato dalla parola del Beato Padre Domenico, decidendo di vestire l’Abito di Frate Predicatore, il 12 febbraio 1220, mercoledì delle Ceneri, nel Convento di Saint Jacques. Ma presto Dio chiamò a se il Santo Patriarca Domenico e Padre Giordano, senza più il suo padre e maestro venerato, nel Capitolo del 1222, per l’unanime consenso dei suoi confratelli domenicani, fu chiamato a succedergli.

Martirologio Romano: Vicino a Tolemaide, oggi Akko in Palestina, transito del beato Giordano di Sassonia, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, successore di san Domenico e suo imitatore, propagò con grandissimo impegno l’Ordine e morì in un naufragio.

Ascolta da RadioVaticana:
  

Nato ca. l'a. 1175 (Aron) o verso il 1185 (Scheeben) a Burgherg presso Dassel (Westfalia), probabilmente da contadini, per le sue eccellenti doti si recò ancor giovane allo Studio parigino. Nel 1218 o prima era magister artium. Nell'estate 1219 incontrò s. Domenico, di passaggio per Parigi, si confessò da lui e fu da lui esortato a ricevere il diaconato (Liloellus, n. 3). Dopo qualche mese Giordano decise di farsi domenicano con il suo amico Enrico di Colonia. Già diacono e baccelliere in teologia, chiese l'abito domenicano il 12 febbraio 1220. Qualche mese piú tardi fu scelto quale delegato principale, dopo Matteo di Francia, del convento di Parigi, per assistere al primo capitolo generale dell'Ordine, -da celebrarsi nel maggio 1220 a Bologna.
Rientrato a Parigi riprese l'insegnamento e il ministero. Nel capitolo generale di Bologna del giugno 1221 fu nominato quantunque assente, pro vinciale della Lombardia, la piú rigogliosa provincia del giovane Ordine dei Predicatori. Questo ufficio affidato a Giordano è il piú eloquente riconoscimento delle sue qualità personali e religiose. Da Parigi si mise in viaggio, via Besancon e Losanna, per giungere in Lombardia ove arrivò, come sembra, dopo la morte di s. Domenico, avvenuta il 6 agosto 1221. Giordano risiedeva a Bologna, predicava e vigilava su conventi e frati. Lo spiacevole episodio dell'ossessione di un certo fra Bernardo, a Bologna, mosse Giordano ad introdurre il canto della Salve Regina dopo la Compieta; l'episodio risale all'anno 1221 e diede inizio a questa usanza liturgica quotidiana presso i Domenicani.
Nel capitolo tenutosi a Parigi per l'elezione del secondo maestro generale dell'Ordine ed al quale sembra sia stato presente, Giordano fu eletto il 23 maggio 1222.
Nel giugno 1223 installò nel monastero di S. Agnese a Bologna Diana d'Andalò e le sue compagne e le vestí dell'abito domenicano.
La rete dei viaggi del beato si estese anche oltre; luoghi dei capitoli generali celebrati sotto di lui, ora a Bologna ora a Parigi, per visite a varie province. Cosí Giordano presiedette il primo capitolo della provincia di Germania a Magdeburgo nel sett. del 1227; fu presente alla morte di Enrico di Colonia nell'ottobre 1229; nel gennaio 1230 si trovava a Oxford e forse nel 1232 a Napoli. Nel maggio 1233 eseguí la traslazione delle spoglie del fondatore dell'Ordine a Bologna. Ma non poté intervenire, per infermità, ai successivi capitoli del 1234 e 1235. Diresse però i capitoli generalissimi di Parigi (1228) e di Bologna (1236). Dopo queste assise visitò la provincia di Terra Santa. Tornando in Europa, per il naufragio della nave dinanzi alla costa di Pamphilia, presso Attalia, Giordano con i compagni fra Gerardo e fra Giovanni, trovò la morte il 13 febbraio 1237, morte comunicata dal provinciale di Terra Santa, p. Filippo di Reims, ai penitenzieri della curia papale, fra Godefrido e fra Reginaldo, i quali la diffusero per l'Europa. Le tre salme, recuperate e trasportate nella chiesa domenicana ad Acri, furono ivi seppellite. S. Ludgarda ebbe una visione di Giordano in gloria in mezzo agli Apostoli e ai Profeti.
Di intelligenza viva, volontà nobile, cuore generoso e sempre pronto all'aiuto, Giordano ebbe l'arte perfetta di trattare uomini e affari. Egli plasmò piú di ogni altro, dopo il fondatore, lo spirito e la legislazione dei Predicatori. Inoltre fu propagatore felicissimo del suo Ordine, portando le case da trenta a trecento e il numero dei frati da ca. trecento a quattromila. Simpatia e successo particolari incontrò tra gli universitari, sia maestri, sia scolari. A Parigi, una volta, diede l'abito a sessanta studenti e ad altri ancora a Vercelli, a Padova (Giovanni Buoncambi, Alberto Magno), a Bologna, ecc. Pubblicò le prime costituzioni domenicane; diede impulso al ministero della predicazione in Europa e nelle missioni e all'amministrazione dei sacramenti e tutelò il diritto di sepoltura nelle chiese domenicane. Per ordine di Gregorio IX dovette accettare dal 1231 le nomine di domenicani a inquisitori in Francia, Germania, Lombardia, Toscana, nel regno di Sicilia e in Spagna. Rapporti spirituali e amministrativi lo legarono ai papi, alla regina Bianca di Francia, a vescovi e pastori d'anime, a dotti come Roberto Grosseteste ed i maestri di Parigi e Bologna, nonché ad anime elette come Enrico di Colonia, le beate Diana e compagne domenicane a Bologna, s. Ludgarda cistercense in Aywières, le benedettine di Oeren-Treviri ed altre.
Il beato Giordano fu il primo autore domenicano di notevole importanza. Anteriore al suo ingresso nell'Ordine è il Commentarius in Priscianum minorem e la Postilla super Apocalypsim, di quando era ancora baccelliere di teologia. V. inoltre i Sermones. Con il Li/Dellus Monumenta de principiis Ordinis Praedicatorum, Giordano divenne il primo storiografo di s. Domenico e del suo Ordine. Le epistole dirette a conventi e anime elette, come alla b. Diana d'Andalò e compagne e alle benedettine di Oeren eccellono per stile chiaro ed espressivo senza ricercatezza, per notizie sui viaggi, di carattere amministrativo, religioso, personale e culturale. La dottrina spirituale prende lo spunto dalla salda fede nella vita eterna, attraverso la conformità con Cristo, la prudenza delle mortificazioni, con cenni a Maria, a s. Domenico, alla Chiesa e al papa. L'Oratio ad s. Dominicum, la riafferma.
Dopo la sepoltura nella chiesa d'Acri, Giordano ebbe venerazione anche da parte musulmana. Gerardo di Frachet nelle Vitae fratrum (1259-60), dopo il libro su s. Domenico, consacra un libro intero al "santo e degno di memoria padre nostro frate Jordano". Tommaso da Modena a Treviso (1352 ca.) e Giovanni da Fiesole dipingono la bella figura del b. Giordano, quest'ultimo nella Crocifissione delicapitolo di S. Marco a Firenze, seguiti dagli alberi genealogici dei secoli XV, XVI e XVII, dal, l'affresco di Federico Pacher (m. 1494) a Bolzano e dalle immagini del Klauber, Danzas, Bioller, van Bergen. Grande lode gli dedica il cronista Giovanni Meyer (1466) terminante nella frase: "pater gloriosis coruscat miraculis et multis multa beneficia praestat". Leone XII, il 10 maggio 1826, ne confermò il culto. La festa si celebra nell'Ordine Dominicano il 14 febbraio, nell'Ordine Teutonico il 13 febbraio.




scri789
00domenica 13 febbraio 2011 09:29

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