13 luglio

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scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:01

Sant' Enrico II Imperatore

13 luglio - Memoria Facoltativa

973 - Bamberga, Germania, 13 luglio 1024

Enrico II è un esempio di rettitudine nell'arte del governare: per questo oltre che santo è patrono delle teste coronate. Nato nel 973 vicino a Bamberga, in Baviera, crebbe in un ambiente cristiano. Il fratello Bruno divenne vescovo di Augsburg (Augusta), una sorelle si fece monaca e l'altra sposò un futuro santo, il re d'Ungheria Stefano. Enrico venne educato prima dai canonici di Hildesheim e, in seguito, dal vescovo di Regensburg (Ratisbona), san Wolfgang. Si preparò così all'esercizio del potere, cosa che avvenne dapprima quando divenne Duca di Baviera, e poi nel 1014 quando " già re di Germania e d'Italia " Papa Benedetto VIII, lo incoronò a guida del Sacro Romano Impero. Tra i consiglieri ebbe Odilone, abate di Cluny, centro di riforma della Chiesa. Enrico morì nel 1024. Fu lui a sollecitare l'introduzione del Credo nella Messa domenicale. (Avvenire)

Patronato: Oblati benedettini

Etimologia: Enrico = possente in patria, dal tedesco

Emblema: Corona, Globo, Scettro

Martirologio Romano: Sant’Enrico, che imperatore dei Romani, si adoperò insieme alla moglie santa Cunegonda per rinnovare la vita della Chiesa e propagare la fede di Cristo in tutta l’Europa; mosso da zelo missionario, istituì molte sedi episcopali e fondò monasteri. A Grona vicino a Göttingen in Germania lasciò in questo giorno la vita.

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Nella storia della Chiesa riscontriamo non poche coppie di sposi ascese alla gloria degli altari, vicende di santità coniugale sovente purtroppo poco conosciute, come quella di Cunegonda ed Enrico, quest’ultimo singolarmente festeggiato in data odierna nell’anniversario della sua morte. Le notizie sul suo conto ci provengono da due versioni della sua Vita, attribuite ad Adalberto di Utrecht ed Adalberto di Bamberga.
Nato nel 972 dal duca bavarese Enrico il Litigioso e Gisella di Borgogna, Enrico fu istruito dal vescovo di Ratisbona, San Volfango. Enrico ebbe un fratello, Bruno, che rinunciò agli agi della vita di corte per divenire pastore d’anime come vescovo di Augusta, nonché due sorelle: Brigida, che si fece monaca, e Gisella, che andò in sposa al celebre Santo Stefano d’Ungheria. Nel 995 Enrico II succedette al padre quale duca di Baviera e nel 1002 al cugino Otone III come re di Germania. Contro Enrico insorse il celebre Arduino d’Ivrea, che dopo tante fatiche aveva ottenuto la corona d’Italia, ma questi lo sconfisse con un’armata e poi raggiunse Roma con sua moglie Cunegonda per ricevere la corona imperiale da Papa Benedetto VIII, che lo pose così a guida del Sacro Romano Impero.
Enrico si mostrò in vari modi enefattore della Chiesa, restaurando le sedi di Hildeshein, Magdeburgo, Strasburgo e Meersburg. Nel 1006 fondò la diocesi di Bamberga ed in tale città fece edificare la cattedrale ed un monastero, onde rafforzare il suo potere in quella parte della Germania. In questa sua opera fu osteggiato dai vescovi di Wurzburg ed Eichstatt, che perdettero parte del territorio delle loro diocesi. Il sovrano pensò bene di ottenere al riguardo l’approvazione pontificia e lo stesso Benedetto VIII officiò nel 1020 la consacrazione della nuova cattedrale.
Il santo imperatore sostenne la riforma cluniacense, in particolare Sant’Odilone di Cluny e Riccardo di Saint-Vanne, e fu lui inoltre a sollecitare l’introduzione della recita del Credo nella Messa festiva, pur restando un potente sovrano intento ad estendere la sua influenza ed il suo potere. Alcune delle sue azioni politiche appaiono infatti equivoche, se analizzate da un punto di vista del bene del cristianesimo: rovesciò infatti la politica dei suoi predecessori nei confronti dell’Oriente cristiano e, come ebbe ad evidenziare il Dvornik, per la prima volta “il capo dell’impero del cristianesimo occidentale prende le armi contro un paese [la Polonia], il cui carattere cristiano è stato così apertametne e solennemente benedetto dal suo predecessore”.
Pur di perseguire i suoi scopi, strinse alleanze con alcune popolazioni pagane, consentendo loro di praticare le loro religioni apertamente e di portare in battaglia i loro stendardi ed i loro dei. A molti suoi contemporanei tale atteggiamento parve in assoluto contrasto con quello tradizionale dell’imperatore in dovere di convertire i pagani. Fu perciò aspramente criticato da San Bruno di Querfurt, missionario proprio in terra pagana: “E’ giusto perseguitare una nazione cristiana e concedere amicizia ad una nazione pagana? In che modo può Cristo avere relazione con Satana? In che modo possiamo paragonare la luce al buio? Non è meglio combattere i pagani per il bene del cristianesimo, piuttosto che far torto ai cristiani per onori terreni?”.
Queste sono solo alcune delle ragioni per cui pare fu problematico, agli occhi dei suoi primi biografi, dipingere Enrico II come un santo ed a tal fine non restò che creare, forse artificiosamente edificanti leggende che lo descrissero come un governante riluttante ed un monaco sincero, intento a condurre uno stile di vita ascetico, vivendo il matrimonio in castità. Si trattò però in gran parte di esagerazioni volte ad esaltare oltre misura la sua opera pubblica e la sua vita privata.
Enrico tornò nuovamente in Italia nel 1021, per una spedizione in Puglia contro i bizantini, ma si ammalò e sulla via del ritorno fu portato a Montecassino, ove secondo la leggenda guarì miracolosamente pregando sulla tomba di San Benedetto. Restò tuttavia storpio per il resto dei suoi giorni, fino alla morte avvenuta a Bamberga il 13 luglio 1024. Sua moglie Cunegonda si ritirò in un monastero benedettino da lei fondato ed infine fu sepolta accanto al marito nella cattedrale di Bamberga.
L’imperatore Enrico II, forse innanzitutto per il suo aperto appoggio concesso al papato, fu canonizzato nel 1152, o secondo altre fonti autorevoli nel 1146 dal papa Beato Eugenio III, ma solo nel 1200 fu raggiunto nel canone dei santi dalla moglie Cunegonda.


Da una «Vita antica» di sant'Enrico.

Questo santo servo di Dio, ricevuta l'unzione regale, non fu contento delle ristrettezze di un regno terreno, ma, per conseguire la corona della vita immortale, si propose di militare sotto le insegne del sommo Re. Servire lui è regnare! Perciò usò grandissima diligenza nel diffondere l'amore alla religione, nell'assicurare alle chiese benefici e suppellettili preziose. Stabilì nel suo stesso palazzo la sede episcopale di Bamberga sotto i titoli dei principi degli apostoli Pietro e Paolo e del glorioso martire Giorgio. Ne fece omaggio con diritti particolari alla santa Chiesa di Roma, per rendere alla prima Sede l'onore dovutole per diritto divino. Con questo alto patronato diede solide basi alla sua fondazione.
Perché poi a tutti sia noto con quale vigilanza quest'uomo santo abbia provveduto la sua nuova chiesa dei beni della pace e della tranquillità anche per i tempi futuri, inseriamo qui, a conferma, una sua lettera: «Enrico per divina Provvidenza re, a tutti i figli della Chiesa presenti e futuri. Siamo invitati e ammoniti dai salutari insegnamenti della Sacra Scrittura di abbandonare i beni temporali e le comodità di questa terra e cercare con ogni mezzo di conseguire le dimore eterne dei cieli. Infatti il godimento della gloria presente è transitorio e vano, a meno che non sia orientato all'eternità celeste. E la misericordia di Dio provvide al genere umano un utile rimedio quando stabilì che i beni della terra fossero il prezzo della patria celeste.
Perciò a noi, memori di questa clemenza e ben sapendo di essere stati innalzati alla dignità regale per una gratuita disposizione della misericordia di Dio, è parsa cosa buona non solo di ampliare le chiese costruite dai nostri predecessori, ma di costruirne delle nuove a maggior gloria di Dio e dotarle di benefici e favori in segno della nostra devozione. Perciò, porgendo vigile ascolto ai comandamenti del Signore e osservando i divini consigli, desideriamo mettere in serbo in cielo i tesori elargiti dalla generosa liberalità divina; in cielo dove i ladri non sfondano né rubano, né il tarlo o la tignola li consumano; in cielo dove, mentre ora ci diamo premura di raccogliervi tutte le nostre cose, anche il nostro cuore possa rivolgersi più spesso con desiderio e con amore.
Pertanto vogliamo che tutti i fedeli sappiano che noi abbiamo innalzato alla dignità di prima sede episcopale una località che si chiama Bamberga, lasciataci in eredità dal nostro padre, perché là si mantenga un solenne ricordo di noi e dei nostri genitori e si offra continuamente il sacrificio di salvezza per tutti i fedeli».


ORAZIONE

O Dio, che hai colmato dei tuoi doni Sant’Enrico
e dalla regalità terrena lo hai innalzato alla corona eterna,
assisti e proteggi i tuoi fedeli, perchè tra le vicende del mondo
corrano incontro a te nella giustizia e nella santità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.





scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:01

Santi Alessandro e trenta soldati Martiri

13 luglio

Etimologia: Alessandro = protettore di uomini, dal greco

Martirologio Romano: A Filomelio in Frigia, nell’odierna Turchia, santi Alessandro e trenta soldati, martiri, che si dice abbiano subito il martirio sotto Magno prefetto di Antiochia di Pisidia.



scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:02

Beato Carlos Manuel Rodríguez Santiago Laico portoricano

13 luglio

Caguas (Portorico), 22 novembre 1918 – San Juan de Portorico, 13 luglio 1963

Martirologio Romano: A San Juan in Portorico, beato Carlo Emanuele Rodríguez Santiago, che si consacrò instancabilmente al rinnovamento della sacra liturgia e alla diffusione della fede tra i giovani.


Il primo beato portoricano, nacque a Caguas (Portorico) il 22 novembre 1918, in una famiglia umile e profondamente cristiana; dei cinque figli, due sorelle si sposarono, un fratello divenne benedettino e una sorella carmelitana.
Carlos Manuel Rodríguez Santiago visse la sua fanciullezza ed adolescenza, nell’ambiente cristiano della famiglia e frequentando la sua parrocchia, dove era chierichetto.
A seguito di una grande paura, presa durante la lotta con un cane lupo, che aveva aggredito un bimbo di un anno, Carlos dall’età di nove anni si ammalò di dissenteria, che lo tormenterà per tutti gli anni della sua vita.
Completati gli studi liceali, lavorò come segretario in diverse ditte; nel 1946 iniziò gli studi universitari ma non poté terminarli a causa della malattia.
Vero amante della liturgia, seguì con passione il rinnovamento liturgico della Chiesa, che sarà poi sancito dal Concilio Ecumenico Vaticano II; si dedicò a letture specializzate in materia, pubblicando anche degli articoli inerenti; ma non si fermò a questo, per poter divulgare la conoscenza della liturgia, creò un Centro universitario cattolico presso l’Ateneo di San Juan di Portorico.
Nel 1960 lasciò il suo lavoro per dedicarsi completamente al Centro, diventando così un autentico apostolo fra i giovani. Ma la fulgida parabola della sua vita di fervente cristiano e apostolo della Chiesa, volgeva al termine, nel marzo 1963 venne sottoposto ad un intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore maligno, ma tutto fu inutile, dopo alcuni mesi di sofferenze, aggiunte ad un’oscurità spirituale che lo tormentò, morì a soli 45 anni, il 13 luglio 1963 a San Juan de Portorico, sorridente e rasserenato, assistito da suo fratello da poco ordinato sacerdote.
L’iter per la sua beatificazione è stato veloce, la causa fu introdotta il 26 giugno 1992, il decreto sulle virtù con il titolo di venerabile si ebbe il 30 maggio 1995, l’approvazione di un miracolo avvenuto per sua intercessione, il 20 dicembre 1999; è stato beatificato in Piazza San Pietro a Roma il 29 aprile 2001, da papa Giovanni Paolo II.





scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:03

Santa Clelia Barbieri

13 luglio

S. Giovanni in Persiceto, Bologna, 13 febbraio 1847 - 13 luglio 1870

Clelia Barbieri nasce il 13 febbraio 1847 a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna. I sacramenti dell'iniziazione rappresentano i punti nodali della sua crescita. L'Eucaristia è il centro della sua esperienza mistica e del carisma di fondazione da lei promosso. La prima Comunione, il 24 giugno 1858, le dà un'impronta indelebile: diventa nel senso più autentico «anima da comunione». Nel 1862 entra nel nucleo degli «operai della dottrina cristiana» e si fa sempre più attenta e sensibile alla situazione della Chiesa. Ormai ventenne, sotto la guida lungimirante del parroco don Gaetano Guidi, elabora con un gruppo di amiche (Teodora, Orsola, Violante) un progetto di vita consacrata e di diaconia, in cui si può ravvisare un vero risorgimento al femminile. La presenza instancabile accanto ai piccoli, ai poveri, ai malati, agli emarginati, le merita da parte della gente l'appellativo di Madre. Nel 1878 il cardinale Lucido M. Parocchi, arcivescovo di Bologna, chiamerà «Minime dell'Addolorata» le eredi spirituali di Madre Clelia, morta nel 1870. (Avvenire)

Patronato: Patrona dei catechisti dell’Emilia-Romagna

Etimologia: Clelia = figlia del cliente, dal latino; gloria, dal greco

Martirologio Romano: A Budrie in Romagna, santa Clelia Barbieri, vergine, che si adoperò per il bene spirituale della gioventù femminile e fondò la Congregazione delle Minime della Vergine Addolorata per la formazione umana e cristiana specialmente delle ragazze povere e bisognose.


Clelia Barbieri nacque il 13 febbraio 1847 nella contrada volgarmente chiamata le "Budrie", appartenente civilmente al comune di S. Giovanni in Persiceto (BO), ecclesiasticamente alla Archidiocesi di Bologna, da Giuseppe Barbieri e Giacinta Nannetti.
I genitori erano di censo diverso: Giuseppe Barbieri proveniva dalla famiglia quasi più povera delle " Budrie ", mentre Giacinta dalla famiglia più in vista; lui garzone dello zio di Giacinta, medico condotto del luogo, lei la figlia di Pietro Nannetti benestante.
Per il matrimonio contro corrente, Giacinta benestante sposò la povertà di un bracciante e da una casa agiata passò ad abitare nella umilissima casetta di Sante Barbieri, papà di Giuseppe; tuttavia si costituì una famiglia cementata sulla roccia della fede e della pratica cristiana.
Al battesimo amministratole lo stesso giorno della nascita, per espresso volere della mamma, la neonata ricevette i nomi di Clelia, Rachele, Maria.
La mamma insegnò precocemente alla piccola Clelia ad amare Dio fino a farle desiderare di essere santa. Un giorno Clelia le domandò: " Mamma, come posso essere santa "? Per tempo la Clelia imparò pure l'arte del cucire, di filare e tessere la canapa, il prodotto caratteristico della campagna persicetese.
All'età di 8 anni, durante l'epidemia colerica del 1855 Clelia perdette il babbo. Con la morte del babbo, per generosità dello zio medico, la mamma, Clelia e la piccola sorellina Ernestina passarono ad abitare in una casa più accogliente vicino alla chiesa parrocchiale.
Per Clelia le giornate divennero più santificate. Chiunque avesse voluto incontrarla poteva trovarla immancabilmente o a casa, a filare o cucire, o in chiesa a pregare.
Sebbene era nell'uso del tempo accostarsi per la prima volta alla Comunione quasi adulti, Clelia per la sua precoce preparazione catechistica e spirituale vi fu ammessa il 17 giugno 1858, a soli undici anni.
Fu un giorno decisivo per il suo futuro, perché visse la sua prima esperienza mistica: contrizione eccezionale dei peccati propri e altrui.
Premette su di lei l'angoscia del peccato che crocifigge Gesù e addolora la Madonna.
Dal giorno della prima Comunione, il Crocifisso e la Madonna Addolorata ispireranno la sua spiritualità.
In pari tempo ebbe una intuizione interiore del suo futuro nella duplice linea contemplativa e attiva.
In adorazione dinanzi al Tabernacolo appariva come una statua immobile, assorta in preghiera; a casa era la compagna maggiore delle ragazze costrette al lavoro. Con maturità precoce all'età trovava nel lavoro il suo primo modo di rapporto con le ragazze, poiché alle " Budrie " il lavorare, specialmente la canapa, era l'unica fonte per tirare avanti la vita.
Ma Clelia vi aggiungeva qualcosa che nell'ambiente era particolarmente suo: lavorare con gioia, con amore, pregando, pensando a Dio e addirittura parlando di Dio.
Clelia non è Marta che si affaccenda tutta presa dal servizio per le cose del mondo, tuttavia si prodiga compiutamente, appassionatamente al servizio delle creature più amate da Gesù, i poveri, tanto che le sue tenere mani portano i segni della più dura fatica.
Clelia non è Maria che tutto lascia, esclude e abbandona per immobilizzarsi estatica nel gesto di devozione e di amore. Eppure non ha altro pensiero, non ha altri affetti e si muove e cammina immersa in Lui, come una sonnambula.
Cammina nell'amore, si dà tutta all'Amore, senza risparmio. Dimentica il suo corpo, anzi lo ignora. È felice di appartenere al Signore e la sua felicità sta appunto nel non avere altro pensiero che Lui. Qualcosa però la spinge ad andare verso gli uomini, quelli più miseri e bisognosi, che aspettano una testimonianza di carità.
Una fede ardente la consuma e sente che " deve andare " dividere e distribuire se stessa alle creature del suo Signore. Adora la solitudine che le consente di concentrarsi alla ricerca del pieno possesso di Dio, ma esce dalla sua casa, si lancia nel mondo, forzata dalla carità.
Nella Chiesa bolognese, per combattere la noncuranza religiosa, specialmente degli uomini, vi erano gli " Operai della dottrina cristiana". Alle " Budrie " il gruppo era animato da un maestro molto anziano.
Clelia volle essere e fu Operaia della dottrina cristiana. Alle " Budrie " la catechesi si rinnovò col suo inserimento che trascinò pure altre compagne di uguali sentimenti.
Al principio Clelia fu ammessa come sottomaestra e era l'ultima ruota del carro, ma ben presto rivelò insospettate capacità tanto che gli stessi anziani si facevano suoi discepoli.
Respinte non poche lusinghiere proposte di matrimonio, la comitiva di ragazze che facevano capo a Clelia concepì la prima idea di un nucleo di giovinette votate alla vita contemplativa e apostolica; un servizio che doveva scaturire dall'Eucarestia, doveva consumarsi nella Comunione quotidiana e sublimarsi nella istruzione dei contadini e dei braccianti del luogo.
L'idea non poté realizzarsi subito per le vicende politiche dopo l'unità d'Italia del 1866-67.
Si poté attuare il 1° maggio 1868 allorché, sopite le questioni ambientali e burocratiche, Clelia con le sue amiche poterono ritirarsi nella casa cosiddetta del maestro, ove cioè fino allora si erano radunati gli Operai della dottrina cristiana.
Fu l'inizio umile della famiglia religiosa di Clelia Barbieri che i superiori in seguito chiameranno " Suore Minime dell'Addolorata ".
Minime per la grande devozione che la Beata Clelia ebbe al santo Minimo Romito di Paola, S. Francesco, patrono e provvido protettore della nascente comunità; dell'Addolorata, perché la Madonna Addolorata era veneratissima alle " Budrie " e perché era il titolo della Madonna preferito dalla Beata.
Dopo il ritiro delle ragazze nella " Casa del maestro " cominciarono fatti straordinari, come altrettanti attestati della Provvidenza a favore della piccola comunità che altrimenti non avrebbe potuto perseverare. Essi venivano propiziati dalle sofferenze fisiche e morali di Clelia nella notte oscura dello spirito e nelle umiliazioni più incomprensibili da parte di persone che avrebbero dovuto invece comprenderla.
La sua fede però era sempre proverbiale come pure il suo raccoglimento nella preghiera.
Nel ritiro delle " Budrie " si respirava un clima di fede, una vera fame e sete di Dio, un istinto missionario pieno di creatività e di fantasia, affatto poggiato sopra i mezzi organizzativi che mancavano. Clelia ne era l'anima.
Il gruppo iniziale lievitò e attorno a esso anche il numero dei poveri, dei malati, dei ragazzi e ragazze da catechizzare e istruire.
A poco a poco la gente vide Clelia in un ruolo di guida, di maestra nella fede. Cominciarono così, nonostante i suoi 22 anni, a chiamarla " Madre ".
La chiameranno così fino alla morte che avverrà prestissimo.
La tisi che l'accompagnava subdolamente, esplose violenta appena due anni dopo la fondazione.
Clelia morì profetizzando a colei che la sostituirà: " Io me ne vado ma non vi abbandonerò mai ... Vedi, quando là in quel campo d'erba medica accanto alla chiesa, sorgerà la nuova casa, io non ci sarò più... Crescerete di numero e vi espanderete per il piano e per il monte a lavorare la vigna del Signore. Verrà giorno che qui alle " Budrie " accorrerà tanta gente, con carrozze e cavalli... ".
E aggiunse: " Me ne vado in paradiso e tutte le sorelle che moriranno nella nostra famiglia avranno la vita eterna ... ". La morte la colse nella soddisfazione di andare incontro allo Sposo verginale, il 13 luglio 1870.
La profezia di Clelia in morte si è avverata.
La Congregazione delle Suore Minime dell'Addolorata si è sviluppata e si sviluppa. E' diffusa in Italia, in India, in Tanzania. Oggi le suore nell'imitazione della Beata Clelia, in umiltà nel proficuo loro lavoro assistenziale sono intorno alle trecento, divise in 35 case.
Con i suoi 23 anni, al giorno della morte, Clelia Barbieri può dirsi la fondatrice più giovane della Chiesa.


 



scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:03

Sant' Emanuele Le Van Phung Padre di famiglia, martire

13 luglio

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+ Chau Doc, Vietnam, 13 luglio 1859

Canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 19 giugno 1988.

Martirologio Romano: Nella città di Châu Đốc in Cocincina, ora Viet Nam, sant’Emanuele Lê Văn Phụng, martire, che padre di famiglia, sebbene detenuto in carcere, non cessò di esortare figli e familiari alla carità verso i persecutori e morì infine decapitato per ordine dell’imperatore Tự Đức.


Nacque a Dau-Nuoe, nell'isola di Cu-laogieng. Cristiano di profonde convinzioni e cavaliere senza paura — attesta mons. Lefebvre, provicario della Cocincina occidentale — spiegò come catechista uno zelo per la cristianità in cui viveva, che ha del meraviglioso: eresse infatti a Dau-Nuoc una chiesa, un convento di Figlie di Maria, la casa del missionario e un collegio. Si era guadagnato la benevolenza del sottoprefetto con forti somme, per cui qualsiasi perquisizione nella sua casa finiva sempre senza alcun risultato.
Ma un giorno due individui, volendo vendicarsi di non aver ricevuto da lui una somma di danaro, lo accusarono non più al sottoprefetto, ma allo stesso governatore, di albergare in casa un prete europeo, Claudio Pernot. Compiuta una perquisizione da trecento soldati, non fu trovato il sacerdote europeo, perché partito da poco; si consegnò invece ai soldati il sacerdote annamita Pietro Qui, che si proclamò capo della missione. Bastò questo per arrestare sia Le-Van-Phung, sia il sacerdote e trentadue altri cristiani e condurli a Chau-Doc (7 genn. 1859).
Nella prigione dove Le-Van-Phung riceveva i suoi figli e gli amici, continuò il suo apostolato, esercitandoli nella carità, anche verso i nemici. Riusciti vani e inviti e promesse e minacce per provocarne l'apostasia, fu condannato allo strangolamento. Sul luogo dell'esecuzione a Cay-Met, inginocchiato di fronte al p. Qui, ne ricevette l'assoluzione e dopo aver pregato i figli presenti di portare il suo corpo a Dau-Nuoc e dare ad esso una sepoltura modesta accanto al missionario, offerse il collo alla fune che gli troncò il respiro e la vita (13 lugl. 1859). Fu beatificato da s. Pio X il 2 magg. 1909.





scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:04

Sant' Esdra Sacerdote dell’Antico Testamento

13 luglio

V secolo a.C.

A lui sono intitolati il 15° e 16° libro della Bibbia, i due libri si presentano con i caratteri di un'opera unica, forse dello stesso autore, pubblicati nel III sec. a.C. Esdra di stirpe sacerdotale, viene presentato come «scriba esperto nella legge di Mosè». Nei primi capitoli del Libro di Esdra viene riportato il celebre editto di Ciro (538 a.C.) che concesse agli Ebrei di poter rientrare in patria, dopo l'esilio e ricostruire il tempio di Gerusalemme, distrutto dai Babilonesi nel 586 a.C. Vari decenni dopo entra in scena Esdra, sacerdote, ispettore religioso inviato dal re di Persia, che giunse a Gerusalemme per rinvigorire la fede d'Israele, che si era affievolita in quegli ultimi anni. Egli e il governatore Neemia, che lo raggiunse nel 445 a.C., cercarono di riportare il popolo di Gerusalemme e della Palestina al più rigoroso rispetto della legge di Dio e dei Padri. Esdra con molta fermezza impedì ogni cedimento della purezza religiosa. (Avvenire)

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Esdra, sacerdote e scriba, che, al tempo del re persiano Artaserse, tornato da Babilonia in Giudea, radunò il popolo disperso e si adoperò con grande impegno per studiare, mettere in pratica e insegnare la legge del Signore in Israele.


A lui sono intitolati il 15° e 16° libro della Bibbia, per la verità il 16° ha il titolo di Neemia, ma i due libri si presentano con i caratteri di un’opera unica, in continuazione delle Cronache; forse dello stesso autore, pubblicati nel III sec. a.C.
Esdra di stirpe sacerdotale, come testimonia la lunga genealogia che lo presenta, e a partire dal capitolo 7 del I° libro e proseguendo in quello di Neemia; egli viene presentato come “scriba esperto nella legge di Mosè”.
Bisogna specificare che la funzione degli scribi ebbe grande importanza nella storia d’Israele; vennero dapprima impiegati come segretari, nell’amministrazione reale degli ultimi tempi della monarchia e soprattutto dopo l’esilio, si erano specializzati nella trascrizione e spiegazione della Legge, divenendone gli interpreti ufficiali.
Nei primi capitoli del Libro di Esdra viene riportato il celebre editto di Ciro (538 a.C.) che concesse agli Ebrei di poter rientrare in patria, dopo l’esilio e ricostruire il tempio di Gerusalemme, distrutto dai Babilonesi nel 586 a.C.
La ricostruzione avvenne in mezzo a mille difficoltà interne e fra l’ostilità della popolazione del luogo; il suo completamento finì nel 515 a.C. e venne chiamato il “secondo Tempio”.
Vari decenni dopo entra in scena Esdra, sacerdote, ispettore religioso inviato dal re di Persia, che giunse a Gerusalemme per rinvigorire la fede d’Israele, che si era affievolita in quegli ultimi anni.
Il suo intervento è variamente inquadrato nel tempo, perché se il re di Persia fu Artaserse I (465-424 a.C.) oppure Artaserse II (404-358 a.C.), le date sono diverse, comunque si pensa tradizionalmente che sia Artaserse I, datando così il suo arrivo in Palestina nel 458 a.C.
Egli e il governatore Neemia, che lo raggiunse nel 445 a.C., cercarono di riportare il popolo di Gerusalemme e della Palestina al più rigoroso rispetto della legge di Dio e dei Padri. Esdra con molta fermezza impedì ogni cedimento della purezza religiosa, introdusse una rigorosa riforma dei matrimoni misti.
Questo perché gli Ebrei di quel periodo, erano venuti in contatto e convivenza, con altre popolazioni deportate in Palestina dall’impero Babilonese affinché la colonizzassero; da ciò erano scaturiti molti matrimoni fra gli Ebrei e queste altre popolazioni, abbracciandone in molti casi anche la loro religione.
Anche parecchi sacerdoti, anch’essi non deportati dai Babilonesi e rimasti quindi in Palestina, come una parte degli Ebrei, avevano sposato donne straniere, rendendo impuri se stessi ed i loro discendenti, secondo la Legge divina professata dagli Ebrei.
Affinché questi sacerdoti potessero ritornare a celebrare nel Tempio ricostruito, Esdra dispose che venissero ripudiate le mogli pagane, così pure vennero spezzate tutte le famiglie anche del popolo, che avevano al loro interno mogli e madri straniere; così da dare origine ad una nazione sacra, retta solo dalla Legge divina, chiusa e compatta al suo interno.
Tutta la società ebraica, la cultura e la tradizione vennero nuovamente impostate secondo le leggi dell’Alleanza; il valore più importante per gli Ebrei divenne allora l’impegno a rispettare la legge del Signore.
La sinagoga, già utilizzata all’epoca della permanenza a Babilonia, venne introdotta anche in Israele e divenne il luogo dove durante la settimana, si studiavano le Scritture, i testi sacri e le leggi di Dio; dove si faceva un poco di scuola e le assemblee più importanti della Comunità; in particolare il sabato, quando gli Ebrei si riunivano, leggevano i testi sacri, commentavano, cantavano e pregavano Dio.
In definitiva con Esdra la comunità ebraica, svanita la speranza e la possibilità di un’autonomia politica, si impegnò nella vita religiosa, diventando la “chiesa” del “santo resto” d’Israele, sul quale si erano appuntate le più rosee previsioni dei profeti.
Ed è in quest’epoca che nacque il cosiddetto Giudaismo, iniziato, curato e sostenuto da Esdra, con l’apporto determinante del politico Neemia.





scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:04

Sant' Eugenio di Cartagine Vescovo

13 luglio

Eugenio, vescovo di Cartagine, lega il suo nome all'isola di Bergeggi e al vicino comune ligure di Noli. Secondo la tradizione, il santo si rifugiò nell'isola, insieme con Vendemiale, per sfuggire alle persecuzioni dei Vandali ariani e qui morì nel 505. Poi l'isola stessa sarebbe arrivata di fronte alla costa ligure «traghettando» su di sé Eugenio e Vendemiale. Le spoglie del santo vennero allora traslate a Noli dove divenne il patrono della città. La tradizione vuole che alcuni anni dopo il corpo del santo sia ritornato da solo sull'isola. Nel 992 Bernardo, vescovo di Savona, fece costruire sull'isola un monastero, i cui resti sono ancora visibili, che fu donato ai monaci benedettini di Lérins perché ne custodissero le spoglie. Sull'isola di Bergeggi il culto di Eugenio sarebbe fiorito fin dal quinto secolo, cioè immediatamente dopo la sua morte, e la chiesa coeva ne sarebbe la testimonianza.

Martirologio Romano: Ad Albi in Aquitania, in Francia, transito di sant’Eugenio, vescovo di Cartagine, che, insigne per fede e virtù, fu mandato in esilio durante la persecuzione dei Vandali.




scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:06

Beato Ferdinando Maria Baccilieri sacerdote

13 luglio

Campodoso di Reno Finalese, Modena, 14 maggio 1821 - 13 luglio 1893

Ferdinando Maria Baccilieri, nato a Campodoso di Reno Finalese (Modena) il 14 maggio 1821, fin dagli anni dell’adolescenza sentì fortemente il desiderio di andare ad annunciare il Vangelo in terra di missione. La cagionevole salute e le necessità contingenti, gradualmente, fecero comprendere che nei piani di Dio la terra di missione per don Baccilieri sarebbe stata Galeazza Pepoli. Nominato Parroco, nel 1852, per 41 anni guidò con abnegazione e generosità pastorale questa Comunità, rinunciando anche a più elevati incarichi ecclesiastici. Per rispondere alle urgenze del suo popolo si trovò, quasi inaspettatamente, a fondare la Congregazione delle Suore Serve di Maria di Galeazza. Ripieno dello Spirito del Signore, fu apprezzata e illuminata guida spirituale di anime e coscienze per ogni categoria di persone. Logorato nel fisico, Ferdinando Maria morì il 13 luglio 1893, circondato da stima e fama di santità. Il Santo Padre Giovanni Paolo II l’ha annoverato fra i Beati il 3 ottobre 1999. Il suo corpo è conservato nella Chiesa parrocchiale di Galeazza Pepoli.

Martirologio Romano: A Galeazza vicino a Bologna, beato Ferdinando Maria Baccillieri, sacerdote, che attese con cura al popolo affidatogli e fondò la Congregazione delle Serve di Maria per l’assistenza alle famiglie povere e in particolare per l’istruzione della gioventù femminile.


Nasce a Campodoso di Reno Finalese in provincia di Modena il 14 maggio 1821, ed è battezzato il giorno seguente. La sua è una famiglia agiata e molto numerosa. Vive la sua infanzia alla scuola dei suoi buoni genitori, che lo educano alla fede e alla carità. Ha ricevuto una formazione culturale molto qualificata presso dei collegi rinomati sul piano educativo e didattico quali quello dei barnabiti in Bologna e poi dei Gesuiti in Ferrara.
Mentre frequenta la scuola dei gesuiti sente forte nel cuore la vocazione alla vita religiosa, decide di farsi missionario nella “Compagnia di Gesù” e poter predicare il Vangelo nel lontano oriente.
Ma altri sono i progetti di Dio nella vita del Baccilieri, e a causa dei diversi problemi di salute deve ritornare in famiglia.
Qui capisce che la via del vangelo si può percorrere solo attraverso la via della croce e della rinuncia. Frequenta gli studi filosofici e teologici a Ferrara e il 2 marzo 1844 è consacrato sacerdote, ha appena 22 anni.Subito è chiamato a svolgere la missione di predicatore, dedicando quei suoi primi anni alle missioni popolari e alla confessione. Nel 1851 è chiamato dall’Arcivescovo alla parrocchia di Galeazza Pepoli, in diocesi di Bologna, come vicario parrocchiale. In poco tempo le sue capacità umani e apostoliche cambiano la situazione di quella parrocchia e ne diventa il parroco, nomina che ha conservato per 41 anni, fino alla morte. La sua attività non si concentra alle sole pecorelle del suo ovile, ma uomo dagli orizzonti estesi e dal cuore grande ovunque instancabilmente opera il bene. Per la sua vasta e benefica opera pastorale è stato definito dal cardinale Parocchi “il Curato d’Ars in compendio”. Proprio a questo egli ha voluto modellare il suo sacerdozio, spendendo al sua vita al servizio dell’umanità peccatrice e debole, svolgendo una zelante opera di direttore di anime e confessore.
In questa parrocchia ha costituito ben 14 associazioni, con oltre 3000 iscritti, provenienti anche dalle limitrofe parrocchie. Al servizio della predicazione e delle diverse attività pastorali si accompagnano le molteplici opere di carità. Sempre ha tenuto aperto il suo cuore e la sua casa alle necessità dei poveri e la sua voce è sempre pronta a difendere i deboli.
Devoto della Vergine Santa, specialmente sotto il titolo di Addolorata, ha voluto farsi Terziario dei Servi di Maria nel 1855. Estende questa sua profonda devozione all’intera parrocchia e fonda due istituzioni dedicate alla Vergine Addolorata, una Confraternita Servitana ed una Fraternità del Terz’Ordine (oggi Ordine Secolare) dei Servi di Maria. Alla fiorente Fraternità del Terz’Ordine ascrive diverse ragazze del luogo, tra cui le quattro sorelle Busi. Tra queste Albina e Maria Luigia diventano le due principali attiviste e, guidate dalla santità del loro parroco, le prime collaboratrici nella Fondazione della Congregazione delle Serve di Maria di Galeazza. Esse nascono per l’istruzione al popolo e la catechesi, nonché per la cura dei poveri e l’assistenza ai bisognosi.
Don Ferdinando e le sue figlie, modellati sull’esempio e la carità dei Sette Santi del Senario, accendono un fuoco di grande speranza per la gente di galeazza, per la Chiesa bolognese e per l’intera umanità.
Uomo di grande cultura e di profonda intelligenza, guardando profeticamente al futuro, ha voluto che le sue suore dessero vita a scuole di formazione, perché tanti bambini, ragazzi e giovani potessero trovare luoghi dove istruirsi per il domani, delle vere cattedrali di cultura ed educazione. Animato poi da una grande carità, ha voluto che esse istituissero anche case dove potere accogliere i bisognosi, gli orfani, i diseredati ed emarginati, dove poter curare gli ammalati, perché ovunque si potesse operare il bene. Non rinuncia mai a fare il bene a costo di grandi sacrifici. Di lui è stato detto: <>.
Egli fece il bene con profonda coscienza di compiere in tutto e per tutto la volontà di dio, non accontentandosi di farlo in maniera egregia, ma sforzandosi di farlo nella più perfetta condizione, avendo a suo modello il bene altissimo di Gesù che volle amare i suoi fino alla fine, e l’esempio della Vergine Addolorata che amò Gesù, e per lui tutti i salvati, fino all’estremo strazio del suo Cuore Immacolato.<>,questo il suo ideale che mantiene costante e fedele fino alla morte avvenuta il 13 luglio 1893.
È stato Beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1999. La sua tomba si conserva nella Casa Madre delle Suore in Galeazza e continua ad essere per le sue suore ed i suoi devoti un messaggio vivente di carità, ripetendo con la sua memoria il suo testamento spirituale: <>.





scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:07

Beato Francesco da Casale Agostiniano

13 luglio

+ 1452

Francesco nacque a Casale. Fu detto anche Franceschino, per la piccola statura.Entrò giovane tra i Canonici Regolari di sant’Agostino in Santa Croce a Mortara.Fatto diacono, non volle mai essere sacerdote, per umiltà. Trascorse tutta la sualunga vita come portinaio del convento.Uomo di grande preghiera, lasciò un chiaro esempio di umiltà, affabilità,generosità; virtù unite ai doni di profezia, estasi, altri miracoli. Si ricorda chemoltiplicò anche il vino per i poveri.Morì nel 1452 e si narra che prima di morire ebbe una visione della Madonna conil Bambino Gesù.La sua festa cadeva il 13 luglio.



scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:08

Beato Giacomo (Iacopo) da Varazze Arcivescovo di Genova

13 luglio

Varazze, 1226/30 - Genova, 13 luglio 1298

Nel 1244 entrò nell’Ordine Domenicano a Genova, portandovi un’intelligenza eletta e un cuore di santo e d’artista. Acquistò ben presto fama di santo e di dotto, ma sua unica ambizione fu di porgere al maggior numero di anime il pane della celeste dottrina. Ebbe il dono di conquistare i cuori, e le antiche cronache ci affermano che fu uno dei più famosi e fruttuosi predicatori che avesse allora l’Italia. Fu religioso perfetto, amante della Regola, per questo, due volte, fu chiamato a reggere la Provincia di Lombardia. I Sommi Pontefici fecero gran conto di lui e gli affidarono delicatissimi incarichi. Inviato da Papa Nicolò IV a Genova per riconciliare la città, colpita da Interdetto, con la Santa Sede, si comportò con tanta soddisfazione dei genovesi, che clero e popolo, chiesero in grazia, nel 1292 di averlo come loro Arcivescovo, dignità che egli già un’altra volta aveva rifiutato. Costretto dall’obbedienza ad accettare, si dimostrò specchio di pastore. Le sue predilezioni furono per i poveri. Compose la pace fra i cittadini, che da oltre cinquant’anni si distruggevano con guerre fratricide. Nonostante le fatiche della predicazione, e le molteplici cure dell’episcopato, trovò tempo per scrivere moltissime opere, tra cui la più famosa e la più popolare è la “Leggenda aurea”, dove narra la storia dei santi, seguendo l’anno liturgico di cui illustra le maggiori festività. Fu definito capolavoro di pietà e di sapienza. Tradotto in tutte le lingue, per secoli ha nutrito la fede d’intere popolazioni.

Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Genova, beato Giacomo da Varazze, vescovo, dell’Ordine dei Predicatori, che per promuovere la vita cristiana nel popolo presentò nei suoi scritti esempi numerosi di virtù.


Il Beato Jacopo nacque a Varazze, da un’antica famiglia genovese, in un anno compreso tra il 1226 e il 1230. Accolto giovanissimo, a soli quattordici anni, nel convento domenicano di Genova, fu ordinato sacerdote e, per le eccellenti doti, destinato ad insegnare teologia e Sacra Scrittura in diverse case dell’Ordine. A soli trentasette anni fu eletto priore e, due anni dopo, superiore provinciale della Lombardia. A quel tempo la provincia del nord Italia era unica e comprendeva oltre quaranta conventi in cui vivevano un migliaio di frati. Jacopo rimase eccezionalmente in carica per quasi quindici anni e fu sollevato solo per le sue ripetute richieste. Nel 1285 tornò un semplice frate, l’anno dopo gli fu proposto di assumere la carica di vescovo che non accettò. Ebbe però un incarico molto delicato: Genova era colpita da interdetto papale per il sostegno dato durante la rivolta siciliana contro il Regno di Napoli e Jacopo dovette mediare. Fu un successo, tanto che, su richiesta della popolazione e del clero cittadino, Papa Niccolò IV nel 1292 lo nominò arcivescovo. Accettò per obbedienza. Dopo la consacrazione avvenuta a Roma, il beato diede inizio ad un’intensa attività pastorale. Indisse un sinodo nel 1293 e si occupò della quanto mai necessaria riforma del clero. Fu molto attento ai bisogni dei suoi fedeli, fece donazioni a ospedali e monasteri, restaurò diverse chiese. Importante fu il ruolo di mediatore tra guelfi e ghibellini, nel 1295 riuscì a riconciliarli, almeno temporaneamente, dopo oltre cinquant’anni di lotta. Ebbe una grande venerazione per le reliquie e fece un'accurata ricognizione di quelle di San Siro. Diceva che le sacre spoglie erano state uno straordinario tempio dello Spirito Santo. Erano gli anni in cui la Repubblica di Genova giunse a dominare buona parte del Tirreno. Alle antiche casate di origine feudale si aggiungevano uomini d’affari arricchiti con i commerci in Oriente. Il beato, nei lunghi anni del suo prezioso ministero, entrò in contatto con protagonisti di grandi avvenimenti, ma quotidianamente si trovò a confortare, spiritualmente e materialmente, fedeli di ogni condizione economica.
Jacopo fu un uomo di studio, preparò sempre con diligenza i sermoni, alcuni dei quali sono giunti fino a noi. Insegnava la teologia sapendo che i precetti, per essere compresi, devono essere accompagnati da esempi. Studiò la Bibbia, i Padri della Chiesa, gli Atti dei martiri e i leggendari dei santi. Si può affermare che l’agiografia sia stata la sua grande passione. Scrisse tra il 1255 e il 1266 la “Leggenda Aurea” o “Legenda Sanctorum”, attingendo anche da fonti orali. Per secoli fu il libro più stampato dopo la bibbia, educò molte generazioni, fu fonte d’ispirazione di predicatori e artisti, come Pomarancio e il Carpaccio. Fu scritto in latino e in seguito tradotto in volgare. Oggi possediamo più di 1.400 preziosi manoscritti, a testimonianza della sua grande importanza e della sua enorme diffusione. Ebbe oltre cento edizioni nel solo primo trentennio dalla invenzione della stampa, la prima pubblicazione fu a Basilea nel 1470. Seguirono versioni in tedesco, francese, inglese nel 1483. Nel 1530 le versioni erano già un centinaio. Era stata pensata per il clero, ma non è giudicabile secondo gli odierni criteri storici. I santi, seguendo l’anno liturgico, sono presentati come modelli familiari. Sono narrate una grande varietà di vicende, dall’epoca delle persecuzioni romane, che si concludevano con il martirio, al medioevo. Tra i santi di cui il beato Jacopo scrisse troviamo: Orsola, Apollonia, Alessio, Apollinare di Ravenna, Cosma e Damiano, Donato, Eustachio, Lorenzo, Petronilla, Nereo e Achilleo, Giorgio, Margherita, Gervasio e Protasio, gli apostoli Bartolomeo e Giacomo il Maggiore, Giuliano l’ospedaliere, Maria Maddalena, Martino, Romolo e Siro vescovi di Genova e l’evangelista Marco.
La Leggenda fu una delle letture preferite da Santa Caterina da Genova e fu importante per la conversione del beato Giovanni Colombini nel Trecento e di Ignazio di Loyola due secoli dopo. Il fondatore della Compagnia di Gesù, convalescente, la lesse, in un momento cruciale della sua vita, insieme alla “Vita di Cristo” di Cartesiano. Jacopo scrisse inoltre la storia di Genova, intitolata “Chronica Civitatis Ianuensis”, dalle origini fino al 1297, una difesa dell’Ordine domenicano e una “Summa” delle virtù del frate lionese Guglielmo Peraldo. Stando a una tradizione non accertata avrebbe anche fatto una delle prime traduzioni in volgare della bibbia.
Jacopo morì nella notte fra il 13 e il 14 luglio 1298, aveva regolato con atti notarili l'intera amministrazione episcopale. Fu sepolto nel coro di S. Domenico, le sue reliquie vennero poi poste nel 1582 sotto l'altare maggiore. Nel 1798 furono trasferite in S. Maria di Castello. Oggi parte di esse è venerata nella chiesa del convento di San Domenico a Varazze. Il culto fu approvato nel 1816 da Pio VII. Un’antica cappella, di epoca incerta, sorge in posizione isolata su una collina nella frazione Casanova di Varazze, dove si ritiene sorgesse la casa natale.

PREGHIERA
Oh Dio, che facesti del Beato Jacopo da Varazze
un esimio ricercatore della verità
e un instancabile operatore di pace,
per sua intercessione,
concedi a noi di amare la pace e la verità
in modo da poter giungere a te,
nel quale vi è pace somma e verità pura, amen.





scri789
00mercoledì 13 luglio 2011 10:09

13 luglio


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