13 maggio

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Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:44

Sant' Agnese di Poitiers Badessa

13 maggio

m. 588

Etimologia: Agnese = pura, casta, dal greco

Martirologio Romano: A Poitiers nella regione dell’Aquitania, in Francia, santa Agnese, badessa, che, consacrata dalla benedizione di san Germano di Parigi, governò con grande spirito di carità il monastero della Santa Croce.



Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:45

Sant' Andrea Uberto Fournet

13 maggio

Maille, Francia, 6 dicembre 1752 - 13 maggio 1834

Nacque a Poitiers, nel villaggio di Saint-Pierre de Maillé nel 1752. Ordinato sacerdote, fu nominato prima vicario del villaggio di Haims, dove era parroco uno dei suoi zii paterni, poi a Saint-Phele de Maillé. Poco tempo dopo successe a un altro zio nella parrocchia di San Pietro di Maillé. Colpito e turbato dalla voce di un povero visse una conversione interiore. Durante la rivoluzione francese, avendo rifiutato il giuramento scismatico, fu parecchie volte sul punto di essere messo a morte. Privato del beneficio parrocchiale, e cacciato dal suolo francese, rifugiò in Spagna. Mentre la persecuzione infieriva ancora nella sua patria egli ritornò segretamente e si tenne nascosto celebrando i sacramenti per i fedeli. Ridata la pace alla Chiesa ritornò nella sua parrocchia in cui era tutto da rifare e là con gli esempi mirabili della sua santità acquistò il titolo di «Buon Padre». Durante questo tempo, per provvedere all'educazione cristiana delle fanciulle, specialmente delle più povere, fondò la congregazione delle Figlie della Croce, con Elisabetta Bichier. Nel 1820 il santo si dimise da parroco e si trasferì nella borgata di La Puye, dove era stabilita la Casa principale della nuova Congregazione. Morì nel 1834. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Puy-en-Vélay nella regione di Poitiers in Francia, sant’Andrea Uberto Fournet, sacerdote, che, parroco al tempo della rivoluzione francese, benché diffidato, confortò i fedeli nella fede; in seguito, restituita la pace alla Chiesa, fondò insieme a santa Elisabetta Bichier des Âges l’Istituto delle Figlie della Croce.


Santità, giustizia, pietà. Queste tre virtù risplendono mirabilmente in S. Andrea Fournet. Egli nacque a Poitiers, nel villaggio di Saint-Pierre de Maillé l’anno 1752 da pii e agiati genitori. Giunto all’adolescenza, benché propenso per inclinazione naturale ai divertimenti, non mancò mai troppo al suo dovere. Toccato dalla grazia, risolse di consacrarsi a Dio.
Ordinato sacerdote, fu nominato prima vicario del villaggio di Haims, dove era parroco uno dei suoi zii paterni, poi a Saint-Phele de Maillé. Poco tempo dopo successe a un altro zio nella parrocchia di S. Pietro di Maillé.
Conduceva una vita virtuosa, ma comoda, con la madre e la sorella. All’improvviso fu fortemente turbato dalla voce di un povero: elevando da quel momento la sua anima a cose più eccelse, entrò generosamente nella via d’una vita più perfetta, adempiendo più santamente i suoi doveri di parroco, portando ogni cura agli interessi di Dio e delle anime.
Durante la rivoluzione francese, avendo rifiutato coraggiosamente il giuramento scismatico, fu parecchie volte sul punto di essere messo a morte. Privato del beneficio parrocchiale, e cacciato dal suolo francese, rifugiò in Spagna.
Mentre la persecuzione infieriva ancora nella sua patria egli ritornò segretamente e si tenne nascosto celebrando i Ss. Misteri, e sempre in segreto amministrando i Sacramenti ai fedeli. Ridata la pace alla Chiesa ritornò nella sua parrocchia in cui era tutto da rifare e là con gli esempi mirabili della sua santità si acquistò il titolo di “Buon Padre”. Durante questo tempo, per provvedere all’educazione cristiana delle fanciulle, specialmente delle più povere, si occupò della fondazione della congregazione delle Figlie della Croce, con il concorso di Santa Elisabetta Bichier des Âges (canonizzata il 6 luglio 1947).
Per meglio occuparsi ancora di tale opera, nel 1820 il Santo si dimise da parroco e si trasferì nella borgata di La Puye, dove era stabilita la Casa principale della nuova Congregazione.
La fortificò mediante sagge regole, molto atte a favorire ogni virtù nelle sue figlie spirituali, lasciando in retaggio al suo istituto, così benemerito per l’educazione cristiana delle giovani, lo spirito del suo zelo apostolico. Compiuta in tutto la volontà di Dio, si spense serenamente nell’anno 1834.


Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:46

Beata Vergine Maria di Fatima

13 maggio - Memoria Facoltativa

Oggi si celebrano le apparizioni della Vergine Maria a Fatima, in Portogallo nel 1917. A tre pastorelli, Lucia di Gesù, Francesco e Giacinta, apparve per sei volte la Madonna che lasciò loro un messaggio per tutta l’umanità. Il vescovo di Leiria, nella sua lettera pastorale a chiusura del cinquantenario, ha affermato che messaggio di Fatima "racchiude un contenuto dottrinale tanto vasto da poter certamente affermare che non gli sfugge alcuno dei temi fondamentali della nostra fede cristiana...".

Martirologio Romano: Beata Maria Vergine di Fatima in Portogallo, la cui contemplazione nella località di Aljustrel come Madre clementissima secondo la grazia, sempre sollecita per le difficoltà degli uomini, richiama folle di fedeli alla preghiera per i peccatori e all’intima conversione dei cuori.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Dopo tre apparizioni di rilievo della Vergine Maria, verificatesi durante il XIX secolo, a La Salette nel 1846, a Lourdes nel 1858, a Castelpetroso nel 1888, la Madonna apparve nel 1917, la prima nel XX secolo, a Fatima in Portogallo.
In tutte queste apparizioni, come pure nel 1432 a Caravaggio e nel 1531 a Guadalupe in Messico, la Vergine si rivolse a ragazzi o giovani di umili condizioni sociali, per lo più dediti alla pastorizia; indicando così la sua predilezione per le anime semplici e innocenti, a cui affidare i suoi messaggi all’umanità peccatrice, invocandone il pentimento, esortandola alla preghiera, chiedendone la consacrazione al suo Cuore e la riparazione alle offese fatte al divin Figlio.

I luoghi – I veggenti
Fatima era allora un villaggio della zona centrale del Portogallo (Distretto di Santarém) sugli altipiani calcarei dell’Estremadura a 20 km a SE di Leìria, (il nome Fatima, prima degli avvenimenti delle apparizioni, era conosciuto esclusivamente come quello della figlia di Maometto, morta nel 633).
Ad un km e mezzo da Fatima, vi era una frazione chiamata Aljustrel e qui nacquero e vissero i tre protagonisti della storia di Fatima; Lucia Dos Santos nata nel 1907 e i suoi due cugini Francesco Marto nato nel 1908 e Giacinta Marto nata nel 1910; le due famiglie erano numerose, i Dos Santos avevano 5 figli ed i Marto 10 figli.
Come molti ragazzi del luogo, i tre cuginetti-amici, portavano a pascolare i piccoli greggi delle rispettive famiglie, verso i luoghi di pascolo dei dintorni ogni volta a loro scelta e con le pecore trascorrevano l’intera giornata; a mezzogiorno consumavano la colazione preparata dalle loro mamme e dopo recitavano il rosario.
Nel 1916 fra aprile ed ottobre, i tre ragazzi stupiti, furono testimoni di un fenomeno prodigioso; apparve loro un angelo sfavillante di luce, che si qualificò come l’Angelo della Pace e che li invitò alla preghiera; le apparizioni furono in tutto tre, due volte alla “Loca do Cabeço” e una volta al pozzo nell’orto della casa paterna. Queste apparizioni, narrate da Lucia, vengono classificate come ‘Il ciclo angelico’.

La prima apparizione, 13 maggio 1917
Era la domenica 13 maggio 1917; i tre cuginetti dopo aver assistito alla Santa Messa nella chiesa parrocchiale di Fatima, tornarono ad Aljustrel per prepararsi a condurre al pascolo le loro pecore.
Il tempo primaverile era splendido e quindi decisero di andare questa volta fino alla Cova da Iria, una grande radura a forma di anfiteatro, delimitata verso nord da una piccola altura.
Mentre allegri giocavano, nel cielo apparve un bagliore come lampi di fulmini, per cui preoccupati per un possibile temporale in arrivo, decisero di ridiscendere la collina per portare il gregge al riparo.
A metà strada dal pendio, vicino ad un leccio, la luce sfolgorò ancora e pochi passi più avanti videro una bella Signora vestita di bianco ritta sopra il leccio, era tutta luminosa, emanante una luce sfolgorante; si trovavano a poco più di un metro e i tre ragazzi rimasero stupiti a contemplarla; mentre per la prima volta la dolce Signora parlò rassicurandoli: “Non abbiate paura, non vi farò del male”.
Il suo vestito fatto di luce e bianco come la neve, aveva per cintura un cordone d’oro; un velo merlettato d’oro le copriva il capo e le spalle, scendendo fino ai piedi come un vestito; dalle sue dita portate sul petto in un atteggiamento di preghiera, penzolava il Rosario luccicante con una croce d’argento, sui piedi erano poggiate due rose.
A questo punto la più grande di loro, Lucia, chiese alla Signora “Da dove venite?” “Vengo dal Cielo” e Lucia “Dal cielo! E perché è venuta Lei fin qui?”, “Per chiedervi che veniate qui durante i prossimi sei mesi ogni giorno 13 a questa stessa ora; in seguito vi dirò chi sono e cosa desidero, ritornerò poi ancora qui una settima volta”.
E Lucia, “E anch’io andrò in cielo?”, “Si”, e “Giacinta?”, “anche lei”, “e Francesco?”, “anche lui, ma dovrà dire il suo rosario”.
La Vergine poi chiese: “Volete offrire a Dio tutte le sofferenze che Egli desidera mandarvi, in riparazione dei peccati dai quali Egli è offeso, e per domandare la conversione dei peccatori?”. “Si lo vogliamo” rispose Lucia, “Allora dovrete soffrire molto, ma la Grazia di Dio sarà il vostro conforto”.
E dopo avere raccomandato ai bambini di recitare il rosario tutti i giorni, per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra, la Signora cominciò ad elevarsi e sparì nel cielo.
Lucia durante tutte le apparizioni, sarà quella che converserà con la Signora, Giacinta la vedrà e udirà le sue parole ma senza parlarle, Francesco non l’udirà, ma la vedrà solamente, accettando di sapere dalle due bambine, quello che la Signora diceva.

La seconda e terza apparizione e le vicende dei tre veggenti
Al ritorno da Conca da Iria, Lucia raccomandò ai due piccoli cugini di non dire nulla a casa, ma Giacinta si lasciò sfuggire il segreto e da allora la loro vita quotidiana cambiò.
Si era in un tempo di affermazione di un diffuso materialismo, sia ideologico, sia politico, il cui maggior filone era il bolscevismo sovietico; inoltre il 5 maggio 1917, quindi otto giorni prima, papa Benedetto XV, visto il perdurare della sanguinosa Prima Guerra Mondiale, scoppiata nel 1914 in Europa, aveva invitato i cattolici di tutto il mondo ad unirsi in una crociata di preghiera, per ottenere la pace per intercessione della Madonna e l’apparizione di Fatima sembrò la risposta della Vergine a tale iniziativa.
Nell’alternarsi delle notizie e delle relative valutazioni, i tre ragazzi subirono sgridate, opposizioni, incredulità e prese in giro, prima dagli spaventati genitori, poi dalle autorità ecclesiastiche e politiche.
Comunque all’appuntamento del 13 giugno i tre veggenti non erano soli, già una sessantina di persone curiose l’avevano accompagnati.
Dopo aver recitato il rosario, la Signora apparve di nuovo, e fra l’altro raccomandò di recitare il rosario tutti i giorni, chiese a Lucia d’imparare a leggere e scrivere, per essere così in grado di trasmettere i suoi messaggi.
Rivelò le sofferenze del suo Cuore Immacolato per gli oltraggi subiti dai peccati dell’umanità; disse che Giacinta e Francesco sarebbero andati in cielo a breve, mentre Lucia sarebbe restata nel mondo per far conoscere e amare il suo Cuore Immacolato.
Il 13 luglio 1917, dopo avere affrontato ogni tipo di disprezzo e scherno da parte dei loro concittadini, Lucia, Francesco e Giacinta ritornarono alla Cova da Iria per il terzo incontro con la Signora, e questa volta erano in compagnia di più di duemila persone, desiderose di vedere i veggenti che dicevano di vedere la Signora.
Dopo la recita del rosario, ella apparve di nuovo e questa volta Lucia le chiese di dire chi era e di fare un miracolo affinché tutti potessero credere. La Signora assicurò: “Continuate a venir qui tutti i mesi: Ad ottobre dirò chi sono, quel che voglio, e farò un miracolo che tutti potranno vedere bene per credere”.
E in quest’occasione la Celeste Visione aprì le mani come le altre volte, da dove uscì un raggio di luce, che penetrò nella profondità della terra e per un attimo i tre veggenti ebbero la visione spaventosa dell’inferno o meglio dire della condanna delle anime peccatrici.
In questa terza importante apparizione, vi furono anche messaggi basilari, che la Signora trasmise ai veggenti con la consegna del silenzio e che Lucia svelerà per obbedienza nel 1941 le prime due parti, che riguardano “La salvezza delle anime” e “La devozione al Cuore Immacolato di Maria”, mentre la terza parte rimase avvolta nel mistero per 83 anni, solo ai Sommi Pontefici fu svelata, finché il ‘Terzo Segreto di Fatima’ non è stato rivelato dalla Chiesa nel 2000.
Ancora la Bianca Signora disse, che era necessario la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato e la comunione riparatrice dei primi sabati di cinque mesi, se si voleva la pace nel mondo; la guerra stava per finire ma un’altra peggiore poteva cominciare con fame, miseria e persecuzioni contro la Chiesa e il Papa.
Concluse dicendo: “Quando recitate il rosario, dite alla fine di ogni diecina: O Gesù mio, perdonate le nostre colpe; preservateci dal fuoco dell’inferno; portate in cielo tutte le anime e soccorrete specialmente le più bisognose della Vostra misericordia”.

La quarta e quinta apparizione
Il 13 di agosto 1917 non ci fu l’apparizione, nonostante che un gran numero di fedeli si fossero radunati alla Cova da Iria, perché i tre ragazzi furono impediti di andarci dal sindaco del paese, fortemente anticlericale, il quale con un inganno le aveva trasferiti da Aljustrel alla Casa Comunale di Fatima e poi visto che non volevano ritrattare nulla sulle apparizioni, né svelare eventuali trucchi, li fece mettere in prigione per intimorirli.
La domenica successiva 19 agosto, i tre ebbero la bella sorpresa di vedere la Madonna nel luogo chiamato Valinhos, Ella volle placare la loro angoscia per aver saltato l’appuntamento del 13 alla Cova.
In quest’occasione, la Vergine fra l’altro, chiese che fosse eretta una cappella sul luogo delle apparizioni con le offerte lasciate dai pellegrini.
Il 13 settembre la Signora apparve di nuovo ai tre pastorelli, che erano circondati da una folla di circa 30.000 persone; anche questa volta la Celeste Signora promise che il 13 ottobre avrebbe fatto un miracolo per tutti, poi sparì in un globo luminoso che partendo dal leccio si elevò verso il cielo.

Il giorno più importante, l’apparizione del 13 ottobre 1917
La notizia di un miracolo visibile a tutti, fece il giro del Portogallo; all’appuntamento di ottobre ci fu così una folla valutata sulle 70.000 persone provenienti da tutto il Paese, con giornalisti e fotografi della stampa nazionale ed internazionale inviati per registrare l’avvenimento.
Non mancavano fra loro gli scettici ed i beffardi, pronti ad assaporare la cocente delusione di quanti erano in preghiera, se non fosse avvenuto nulla. Il tempo da parte sua, non prometteva niente di buono, quel giorno era scuro e freddo, la pioggia cadde copiosamente, mentre la gran folla di pellegrini cercava di ripararsi alla meglio.
Anche questa volta, appena apparsa la Signora, Lucia domandò “Signora chi siete e cosa volete da me?”; e Lei subito rispose: “Io sono la Signora del Rosario; voglio una cappella costruita qui in mio omaggio; che continuino a recitare il rosario tutti i giorni. La guerra finirà e i soldati torneranno presto alle loro case; gli uomini non devono offendere il Signore che è già troppo offeso”.
La Vergine a questo punto aprì di nuovo le mani e lanciò un raggio di luce in direzione del sole e mentre Lei si elevava verso il cielo, i tre veggenti poterono così vedere accanto al sole i tre membri della Sacra Famiglia, Gesù Bambino, S. Giuseppe e la Madonna; in pochi attimi ebbero anche la visione di un uomo adulto che benediceva il mondo e la Madonna che a Lucia parve essere la Madonna Addolorata, e infine una terza scena in cui vi era la Madonna del Carmelo con lo scapolare in mano.
Alla fine avvenne lo strepitoso prodigio del sole; riportiamo qui la descrizione fatta dal giornalista, libero pensatore Avelino d’Almeida, direttore del giornale di Lisbona “O Seculo”, presente al fenomeno e che pubblicò nell’edizione del mattino di lunedì 15 ottobre 1917.
“Abbiamo assistito ad uno spettacolo unico ed incredibile, per chi non era presente… il sole sembrava un disco d’argento opaco… non riscaldava, non offuscava. Si poteva dire che fosse un’eclissi. Si sentì allora un grido:
‘Miracolo, Miracolo!’. Di fronte agli occhi sbalorditi della gente, il cui atteggiamento ci riportava ai tempi Biblici, e che, pallidi di paura e con le teste scoperte, guardavano il cielo azzurro, il sole che tremava, che faceva movimenti rapidi, mai visti prima, estranei alle leggi cosmiche, il sole ‘cominciò a ballare’ come dicono i contadini…
C’era solo una cosa da fare, cioè che gli scienziati spiegassero con tutta la loro sapienz,a il fantastico ballo del sole che oggi, a Fatima, ha levato un ‘Osanna’ dal cuore dei fedeli e che, secondo testimoni affidabili, ha impressionato perfino i liberi pensatori ed altri senza convinzioni religiose, che sono venuti a questo luogo d’ora in poi celebre”.
Quando tutto ciò finì, gli abiti di tutti prima bagnati dall’insistente pioggia, erano perfettamente asciutti; alla Cova da Iria la Madonna era veramente apparsa e si era manifestata con un miracolo visto dai presenti stupiti e terrorizzati.

Il messaggio della Vergine – La conferma della Chiesa
I tre veggenti con la loro semplicità e tenacia, raccontarono la sollecitudine di questa tenera Mamma per le sorti dell’umanità, minacciata da diversi flagelli e che per impedirli occorreva: Penitenza – Recita del Rosario – Consacrazione al suo Cuore Immacolato, specie da parte di una Nazione europea potente ma travagliata dal materialismo – La costruzione di una Cappella in suo onore per trasformarla in meta di pellegrinaggi di poveri, sofferenti e penitenti
Naturalmente, per un lungo periodo la vicenda e il messaggio restarono nell’oblio e nel ristretto orizzonte di un semisconosciuto ambiente di poveri pastori e contadini.
Il 28 aprile 1919 si diede inizio alla costruzione della Cappellina delle Apparizioni; il 13 ottobre 1930 il vescovo di Leira dichiarò “degne di fede le visioni dei bambini alla Cova da Iria”, autorizzando il culto alla Madonna di Fatima; il 13 maggio 1931 l’episcopato portoghese, secondo il messaggio di Fatima, fece la prima consacrazione del Portogallo al Cuore Immacolato di Maria.
Il 31 ottobre 1942 papa Pio XII, in un radiomessaggio consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria e il 7 luglio 1952 consacrò a Maria i popoli della Russia, come aveva chiesto la Celeste Signora a Fatima.
L’avverarsi della minaccia con la Seconda Guerra Mondiale, fece ricordare ai cristiani il messaggio di Fatima; il 13 maggio 1946 con la presenza del legato pontificio, cardinale Benedetto Aloisi Masella, davanti ad una folla di ottocentomila pellegrini, ci fu l’incoronazione della statua della Vergine di Fatima.
I papi attraverso loro delegati, come fece Pio XII, o recandosi personalmente in pellegrinaggio, come fece Paolo VI il 13 maggio 1967, in occasione del 50° anniversario delle Apparizioni e Giovanni Paolo II il 13 maggio 1982, un anno esatto dopo l’attentato subito in Piazza S. Pietro, il cui proiettile è incastonato nella corona della statua in segno di riconoscenza, hanno additato Fatima come un faro che ancora oggi continua a gettare la sua luce, per richiamare il mondo disorientato verso l’unico porto di salvezza; Fatima dunque non vuole essere uno spauracchio per l’umanità, né un’occasione forte per gente morbosamente curiosa e assetata di catastrofi, vuole essere invece un invito alla speranza che nasce dalla certezza che Dio vuole il nostro bene ad ogni costo.
Il santuario mariano di Fatima è uno dei luoghi più venerati dal Cattolicesimo e in questo luogo, sacro per l’apparizione di Maria, papa Giovanni Paolo II volle recarsi di nuovo il 13 maggio 2000, per procedere alla beatificazione dei fratelli Marto, al termine della celebrazione il cardinale Segretario di Stato, Angelo Sodano diede lettura della comunicazione in lingua portoghese, sul terzo segreto di Fatima; ed appena un mese dopo, il 26 giugno 2000, il papa ne autorizzò la divulgazione pubblica da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, accompagnata da opportuno commento teologico del Prefetto, cardinale Joseph Ratzinger.

Il “Terzo segreto di Fatima”
Questa terza parte del messaggio ricevuto, fu messo per iscritto da suor Lucia, allora ancora suora di Santa Dorotea, il 3 gennaio 1944, il documento inviato in Vaticano, è stato letto da tutti i pontefici succedutisi e da pochissimi altri stretti collaboratori e conservato presso la Congregazione per la Dottrina della Fede.
L’intero messaggio della Vergine è stato a lungo oggetto di congetture ed esegesi da parte di teologi e studiosi, cattolici e non. Ma la terza parte, tenuta segreta dalla Chiesa, è stata quella che ha fatto credere a catastrofi, che avrebbero sconvolto la vita della Chiesa stessa, cosicché i pontefici preferirono non divulgarla, rimandando dopo la lettura, la busta sigillata alla suddetta Congregazione, dove è stata custodita sin dal 1957.

Riportiamo il testo di suor Lucia: “Dopo le due parti che ho già esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto, un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui; l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza!
E vedemmo una luce immensa che è Dio: “qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un vescovo vestito di bianco ”abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”.
Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni.
Sotto i due bracci della Croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”. Tuy, 3-1-1944.

Si riporta uno stralcio della comunicazione letta il 13 maggio 2000 a Fatima, presente il papa:
“Tale testo costituisce una visione profetica paragonabile a quelle della Sacra Scrittura, che non descrivono in senso fotografico i dettagli degli avvenimenti futuri, ma sintetizzano e condensano su un medesimo sfondo fatti che si distendono nel tempo in una successione e in una durata non precisate. Di conseguenza la chiave di lettura del testo non può che essere di carattere simbolico.
La visione di Fatima riguarda soprattutto la lotta dei sistemi atei contro la Chiesa e i cristiani e descrive l’immane sofferenza dei testimoni della fede dell’ultimo secolo del secondo millennio. È una interminabile Via Crucis guidata dai Papi del ventesimo secolo.
Secondo l’interpretazione dei pastorelli, interpretazione confermata anche recentemente da suor Lucia, il “Vescovo vestito di bianco” che prega per tutti i fedeli è il Papa. Anch’egli, camminando faticosamente verso la Croce tra i cadaveri dei martirizzati (vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e numerosi laici) cade a terra come morto, sotto i colpi di arma da fuoco.
Dopo l’attentato del 13 maggio 1981, a Sua Santità apparve chiaro che era stata “una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola”, permettendo al “papa agonizzante” di fermarsi “sulla soglia della morte”. In occasione di un passaggio da Roma dell’allora vescovo di Leiria - Fatima, il papa decise di consegnargli la pallottola, che era rimasta nella jeep dopo l’attentato, perché fosse custodita nel Santuario.
Per iniziativa del vescovo essa fu poi incastonata nella corona della statua della Madonna di Fatima.
I successivi avvenimenti del 1989 hanno portato, sia in Unione Sovietica che in numerosi Paesi dell’Est, alla caduta del regime comunista che propugnava l’ateismo. Anche per questo il Sommo Pontefice ringrazia dal profondo del cuore la Vergine Santissima. Tuttavia, in altre parti del mondo gli attacchi contro la Chiesa e i cristiani, con il peso di sofferenza che portano con sé, non sono purtroppo cessati. Anche se le vicende a cui fa riferimento la terza parte del ‘segreto’ di Fatima sembrano ormai appartenenti al passato, la chiamata della Madonna alla conversione e alla penitenza, pronunciata all’inizio del ventesimo secolo, conserva ancora oggi una sua stimolante attualità…”

A conclusione si riportano alcuni stralci del commento teologico dell’allora Prefetto della Congregazione della Fede, card. Joseph Ratzinger: Nella relazione del Card. Ratzinger, si ribadisce che il Terzo Segreto non aggiunge nulla a quella che è la Rivelazione di Cristo.
“Si chiama ‘Rivelazione’, perché in essa Dio si è dato a conoscere progressivamente agli uomini, fino al punto di divenire egli stesso uomo, per attirare a sé e a sé riunire tutto quanto il mondo per mezzo del Figlio incarnato Gesù Cristo”
“In Cristo, Dio, ha detto tutto, cioè sé stesso, e pertanto la rivelazione si è conclusa con la realizzazione del mistero di Cristo, che ha trovato espressione nel Nuovo Testamento… La rivelazione privata (come i messaggi trasmessi dalla Madonna ai tre pastorelli di Fatima) è un aiuto per questa fede in Cristo”.
“La parola chiave di questo ‘Segreto’, è il triplice grido: ‘Penitenza, Penitenza, Penitenza!… A suor Lucia appariva sempre più chiaramente come lo scopo di tutte quante le apparizioni sia stato quello di far crescere sempre più nella fede, nella speranza e nella carità – tutto il resto intendeva portare solo a questo….”.

I tre veggenti dopo le apparizioni
Purtroppo, prima Francesco Marto, poi la sorellina Giacinta Marto, morirono prestissimo come aveva predetto la Vergine; ambedue vittime della terribile epidemia di febbri influenzali detta “la spagnola”, che desolò l’Europa negli anni 1917-20, con numerosissimi morti di tutte le età, in prosieguo alla catastrofe appena terminata della Prima Guerra Mondiale.
Francesco morì il 4 aprile 1919 nella sua casa di Aljustrel (Fatima) a quasi 11 anni, mentre Giacinta morì il 20 febbraio 1920 in un ospedale di Lisbona a quasi 10 anni.
Ambedue riposano nella grande Basilica della Vergine di Fatima e sono stati proclamati Beati il 13 maggio 2000 da papa Giovanni Paolo II.
Lucia Dos Santos invece proseguì la sua missione di veggente-confidente della Vergine e custode del suo messaggio al mondo; fu per anni Suora di Santa Dorotea e poi passò a 41 anni, come carmelitana scalza nel Carmelo di Coimbra; ritornò varie volte per brevi visite a Fatima sul luogo delle Apparizioni.
La sua vita fu lunghissima, è morta il 13 febbraio 2005 a 98 anni nel convento di Coimbra e dal 19 febbraio 2006, riposa accanto ai cuginetti i Beati Francesco e Giacinta Marto nella Basilica di Fatima (per notizie più approfondite su di loro, vedere le singole schede presenti nel sito).



Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:47

Santa Gemma Reclusa

13 maggio

San Sebastiano di Bisegna, Abruzzo, 1375 (?) - Goriano Sicoli, 13 maggio 1439

Martirologio Romano: In località Goriano Sicoli in Abruzzo, beata Gemma, vergine, che visse rinchiusa in una piccola cella accanto alla chiesa, da dove poteva vedere soltanto l’altare.


Santa Gemma nacque intorno all’anno 1375 a San Sebastiano di Bisegna, in Abruzzo. I suoi genitori, di povera condizione sociale e dediti soprattutto alla pastorizia, per migliorare il loro tenore di vita, pensarono di trasferirsi a Goriano Sicoli, nell’odierna provincia dell’Aquila. La fanciulla per causa di un’epidemia rimase orfana di entrambi i genitori. Lei comunque non si scoraggiò e protetta dalla comare continuò ad accudire il suo piccolo gregge, conducendo una vita tutta lavoro e preghiera. Secondo altre fonti invece Santa Gemma si trasferì a Goriano accolta dalla comare solo dopo la morte dei genitori. La storia del suo arrivo nel piccolo paese della Valle Subequana è alla base del pellegrinaggio che gli abitanti di San Sebastiano compiono l’11 Maggio di ogni anno proprio a Goriano Sicoli. La casa della comare (nella quale abitò anche Santa Gemma) oggi ospita la confraternita a Lei dedicata. La sua straordinaria bellezza invaghì il conte Ruggero di Celano. La pastorella però reagì, costringendo il nobile a pentirsi del suo comportamento. Colpito da tanta determinazione, il conte ordinò che si costruisse una comoda stanza adiacente alla chiesa di San Giovanni , affinché la fanciulla potesse vivere più degnamente e dedicarsi alle preghiere. Da quell’epoca la fanciulla condusse una vita ascetica, dedicandosi allo studio della Bibbia e prodigandosi nell’ assistenza spirituale nei confronti di tanta gente che a lei ricorreva. Secondo altre fonti invece la pastorella visse per 42 anni in clausura assoluta proprio a Goriano Sicoli, appartenente alla Diocesi di Sulmona. Morì il 13 Maggio 1439. Subito dopo la morte cominciarono a verificarsi numerosi miracoli. Gli abitanti di Goriano allora indussero il vescovo di Sulmona a far riesumare al sua salma che risultò completamente intatta. I gorianesi allora fecero costruire un’urna in legno ed il suo corpo venne collocato sotto l’altare maggiore della chiesa di San Giovanni (poi intitolata a Santa Gemma).
Secondo altri l'anno della morte è più probabile che sia il 1426 in virtù del fatto che Corsignani, vescovo di Venosa, in un'opera, riporta di una visita del Vescovo Benedetto Guidalotti alla tomba di S. Gemma l'anno successivo alla morte; Guidalotti fu Vescovo di Valva-Sulmona nel 1426/27 e morì nel 1429, quindi l'anno della morte 1439 appare impropabile.
Tanti furono i miracoli che si verificarono in diversi luoghi d’Abruzzo, regolarmente annotati nel registro parrocchiale di Goriano e riconosciuti dalle autorità ecclesiastiche, per cui fu innalzata presto agli onori degli altari. Il culto è approvato dal 1890. La Santa è venerata non solo in Abruzzo, ma anche nelle tante comunità di abruzzesi sparse per il mondo.



Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:48

Beata Giuliana di Norwich

13 maggio

m. 1423 c.


Di questa beata si ignorano il nome di Battesimo e quello della sua famiglia. Oltre al libro delle Rivelazioni, sulla sua esistenza ci è giunta solo un'altra testimonianza coeva, che è stata recentemente scoperta nella singolare autobiografia di Margery Kempe, altra santa donna del tempo. Ella, nel 1413, si era recata, nel romitaggio di Norwich, a visitare "Madonna Giuliana" per averne consigli e direttive spirituali. "Madonna Giuliana" o "signora Giuliana", è il nome sotto il quale la beata era conosciuta in vita e che poi le è rimasto; potrebbe averlo adottato in onore di s. Giuliano, patrono della chiesa presso cui trascorse gran parte della sua vita, chiesa che apparteneva al monastero di Benedettine dei SS. Maria e Giovanni a Carrow, dentro la città di Norwich. Si è avanzata l'ipotesi, ma senza prove valide, che Giuliana fosse una monaca di quel priorato.
Tutto ciò che realmente è noto su Giuliana, che si dice "una semplice creatura che non conosce le lettere", simile in ciò a s. Caterina da Siena, pure illetterata, sono le notizie che si possono trarre dal suo notevole libro, pervenuto in due distinte versioni: "testo lungo" e "testo breve". Attualmente si concorda generalmente nel considerare la versione "breve" come la piú antica, sebbene sia stata la "lunga" ad essere edita per prima, nel 1670, a cura del benedettino Serenus Cressy, dal ms. di Parigi. Tra le numerose riedizioni, seguiamo qui quella del 1901, annotata da Grace Warrack. Il "testo breve" è stato edito per la prima volta da D. Harford nel 1911, da un ms. del British Museum, ed è stato riedito da A. M. Reynolds nel 1958. In questo secolo sono stati scoperti altri due mss., uno per ogni versione.
In tempi recenti sono stati pubblicati molti studi sulle Rivelazioni di Giuliana, alla quale si riconosce universalmente una personalità fuori del comune.
Ella è la prima scrittrice che usi il volgare, cosa questa che aggiunge uno speciale interesse linguistico al suo libro e, come mistica, Giuliana occupa davvero un posto eminente. Preliminarmente meritano di essere ricordate le sue continue dichiarazioni di lealtà verso l'insegnamento della Chiesa. Per misurare adeguatamente ]a sua statura, è fondamentale la conoscenza degli autori che hanno scritto di lei in questi ultimi tempi, soprattutto il gesuita Paolo Molinari (1958).
La data cruciale nella vita di Giuliana fu l'8 o il 13 maggio 1373: i mss. non concordano sul giorno del mese. Della sua vita precedente, sappiamo solo che ella era teneramente devota alla madre e che era una donna molto pia. Questa seconda caratteristica si delinea in rapporto alle affermazioni della beata secondo cui, in un tempo non specificato, ma anteriore alle sue "visioni", ella aveva chiesto a Dio tre doni e cioè: una "veduta materiale" della Passione di Cristo, cosí da partecipare alle sue sofferenze come Maria e l'esperienza di una "malattia del corpo", perché fosse purificata da ogni amore per le cose terrene. La terza grazia concerneva tre "ferite" (wounds): di dolore per il peccato, di sofferenza con Cristo e di brama di Dio. Le prime due grazie erano chieste con la condizione "se questa è la volontà di Dio", ma la terza senza alcuna riserva. Tutto ciò presuppone una insolita disposizione dell'anima, preparata a ricevere straordinarie grazie mistiche.
La malattia che aveva chiesta la colpí quasi all'improvviso nel giorno cui si è già accennato. Non è detta l'esatta natura del male, ma che fosse molto grave lo prova il fatto che giunse in punto di morte. "Io giacqui tre giorni e tre notti e la quarta presi tutti i sacramenti della Santa Chiesa e pensai che non avrei vissuto fino all'alba. E dopo ciò, io languii per due giorni e due notti e la terza notte pensai di essere per morire e cosí pensarono quelli che erano con me...E essendo ancora giovane, pensai esser molto doloroso morire...ma consentii in pieno, con tutta la volontà del mio cuore ad essere alla mercè di Dio...Si mandò a cercare il mio curato perché assistesse alla mia fine. Egli mise la croce dinanzi al mio volto e disse: "Ti ho portato l'immagine del tuo Creatore e Salvatore; guardala e siine confortata"". Giuliana si sforzò di assecondarlo e vi riuscí, ma "non seppe come". L'immagine sembrò diventare viva, col sangue che gocciava giú dal volto del Salvatore. Poco dopo, quando ella pensava di essere proprio morta "tutto ad un tratto la mia pena fu rimossa da me e io fui cosí come ero prima". Quindi Giuliana ricordò il desiderio di sperimentare sul suo corpo le sofferenze della Passione di Nostro Signore (cap. XVII) "la quale visione delle pene di Cristo mi empí di pena. Perché io sapevo bene che Egli aveva sofferto una sola volta, ma era come se Egli volesse mostrarmelo e riempirmi col pensiero, come avevo prima richiesto. Cosí pensai: io sapevo ben poco che pene fossero quelle che io chiesi, e, come una disgraziata, mi pentii, pensando: se io avessi saputo ciò che era stato, ci avrei pensato a chiederlo. Perché mi parve che le mie pene avessero oltrepassata la pena corporea. Io pensai: c'è qualche pena come questa? E mi risposi nella mia ragione: l'Inferno è un'altra pena, perché non c'è speranza.
Ma di tutte le pene che guidano alla salvezza, questa è la maggiore, vedere il tuo Amore soffrire...".
Questa fu la prima delle quindici Rivelazioni, riferita quella mattina dopo la sua mi steriosa malattia e improvvisa guarigione. "La prima cominaò la mattina presto, circa le quattro, e continuò la visione con processo pieno, chiaro e netto, una di seguito all'altra fino a oltre le nove del giorno". L'ultima manifestazione ebbe luogo la notte successiva, e quando finí le tornarono i sintomi della malattia, e Giuliana cominciò a nutrire dubbi sulla realtà della sua esperienza e spesso desiderò "di conoscere che significato desse il Nostro Signore a tutto quello". Ella dovette aspettare quindici anni e piú prima di ricevere una risposta diretta: "Volevi conoscere il disegno del tuo Signore in questa cosa? Amore. Imparalo bene: Amore era il Suo disegno. Cosa ti mostrò? Amore. Perché te lo mostrò? Per Amore. Tienilo dentro e imparerai e conoscerai di piú insieme...Cosí fu che pensai che Amore era il disegno di Nostro Signore".
Queste visioni dovevano essere per Giuliana come semi celesti piantati da Nostro Signore stesso nella sua anima e essi si svilupparono interiormente nel corso della vita. Tutto il libro non è altro che un commentario su ciò che le fu mostrato durante quelle poche ore nel suo letto di malata, nel trentunesimo anno della vita. Ella visse a lungo, chiusa nel suo romitorio presso la chiesa di S. Giuliano a Norwich, curata negli ultimi anni da due donne che provvedevano alle sue necessità. Là Giuliana fu visitata da molte persone di ogni rango e grado, che venivano a lei per aver un consiglio nelle loro pene. Il suo amore per Nostro Signore ispirò quello per i suoi evenchristians, come li chiamava.
Il libro deve essere stato dettato a qualche chierico competente che, nel frattempo, deve averle reso familiari i migliori scritti spirituali dei santi Padri e Dottori cattolici. Ci sono anche ragioni per pensare che le lettere della sua piú giovane contemporanea, s. Caterina da Siena, debbano esserle state portate a conoscenza, ma nessuna influenza esterna adulterò l'originalità della sua sapienza "data da Dio" (God-given): il libro che alla fine ella scrisse, rimane la piú dolce esposizione clel. l'amore divino che sia mai stata scritta nella lingua inglese. Alcuni dei suoi capitoli possono essere descritti solo come "sublimi", con un messaggio per ogni generazione di devoti cristiani, in tutto il mondo.
Non c'è alcuna traccia cdi una eventuale beatificazione di Giuliana, e nemmeno di culto pubblico: tuttavia ella è talvolta chiamata beata e ricordata il 13 o il 14 maggio.



Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:49

Beata Maddalena Albrici Vergine

13 maggio

Como, 1415 - maggio 1465

La beata Maddalena nacque a Como verso il 1415. Entrò a Brunate in una casa religiosa, istituita sotto la regola di sant'Agostino che fu da lei trasformata in monastero sotto il titolo di sant'Andrea, ma sempre obbediente alla regola agostiniana. Innamorata della spiritualità del santo le stava a cuore appartenere all'Ordine e stare nella sua giurisdizione. Nel 1455 la Congregazione agostiniana di Lombardia accolse la comunità sotto la sua giurisdizione. Pio II, il 16 luglio 1549, approvò in modo definitivo tale aggregazione. La beata fu una propagatrice della vita agostiniana e ricondusse all'Ordine molte giovani, che vivevano da sole nelle proprie case, e alcuni terziari, accolti nei pressi di Como. Sempre desiderosa di ubbidire più che di comandare infervorava le consorelle a lei soggette alla perfezione delle virtù. Morì nel maggio del 1465. Il papa Pio X confermò il suo culto nel 1907. Le sue reliquie sono custodite nella chiesa di Brunate. (Avvenire)

Etimologia: Maddalena = di Magdala, villaggio della Galilea

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: A Como, beata Maddalena Albrici, badessa dell’Ordine di Sant’Agostino, che suscitò molto il fervore di perfezione delle sue consorelle.


La beata Maddalena nacque a Como verso il 1415. Ardente di amore verso il Signore, a Brunate entrò in una casa religiosa, istituita sotto la Regola di s. Agostino che fu da lei trasformata in monastero sotto il titolo di s. Andrea, ma sempre obbediente alla Regola di s. Agostino.
Innamorata della spiritualità del santo le stava sommamente a cuore appartenere all'Ordine e stare nella sua giurisdizione. Nel 1455 la Congregazione agostiniana di Lombardia accolse la comunità sotto la sua giurisdizione.
Pio II, il 16 luglio 1549, approvò in modo definitivo tale aggregazione. La beata fu una meravigliosa propagatrice della vita agostiniana e ricondusse all'Ordine molte giovani, che vivevano da sole nelle proprie case, e alcuni terziari, accolti nei pressi di Como. In verità pian piano molti monasteri di monache furono guadagnati all'Ordine agostiniano. Sempre più desiderosa di ubbidire più che di comandare infervorava le consorelle a lei soggette alla perfezione delle virtù.
Eminente per purezza di vita e per carità verso tutti, morì nel maggio del 1465. Il papa s. Pio X confermò il suo culto nel 1907. Le sue reliquie sono custodite nella chiesa di Brunate.



Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:49

San Natale di Milano Vescovo

13 maggio

Milano, † 14 maggio 747 ca.

Etimologia: Natale = nascita, dal latino

Emblema: Bastone pastorale


Secondo gli antichi cataloghi episcopali della archidiocesi milanese, s. Natale fu il quarantatreesimo vescovo di Milano, governò sulla cattedra di s. Ambrogio per soli quattordici mesi, negli anni 746-47, morendo a Milano il 14 maggio del 747 ca.
Venne sepolto nella chiesa di S. Giorgio al Palazzo, chiesa da lui fatta costruire, questo ci è noto grazie ad una epigrafe posta sul suo sepolcro, ancora leggibile nel secolo XVI.
Detta iscrizione, confermava che Natale aveva governato per soli quattordici mesi e diceva che era morto all’età di 72 anni, esaltandone le qualità di buon pastore.
Notizie successive, lo classificano come uomo di grande cultura; aveva in particolare una profonda conoscenza del latino, del greco e dell’ebraico, che è quanto dire per quei tempi.
Fu un tenace oppositore dell’eresia ariana, diffusa da Ario (320), secondo la quale, il Verbo incarnato in Gesù, non è della stessa sostanza del Padre, ma rappresenta la prima delle sue creature; condannata dai Concili di Alessandria (321) e di Nicea (325).
San Natale è celebrato in particolare a Milano il 13 maggio.

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All’origine del nome Natale, vi è l’aggettivo latino ‘natalis’ che significa ‘nascita’ e ‘natus’ che significa ‘nato’. È un antico nome cristiano adottato sin dagli inizi e imposto ai bambini che avevano l’opportunità di nascere cristiani, e aspirare alla vita eterna. Dal IV-V secolo, fu dato ai figli nati il giorno di Natale. Abbastanza diffuso in Italia, anche nella forma alterata di Natalino, al femminile è usato come Natalia, Natascia, Natalina.



Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:50

Servi di Dio Sei Martiri Cistercensi di Casamari

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Casamari, Frosinone, † 13 maggio 1799


Si tratta di un gruppo di monaci cistercensi (quattro di origine francese, un italiano, un cecoslovacco), che in buona parte, fuggiti dagli orrori della Rivoluzione Francese e confluiti singolarmente nell’Abbazia di Casamari, trovarono qui, tutti insieme il martirio, per mano degli stessi soldati dell’esercito rivoluzionario francese, in ritirata da Napoli.

Il contesto storico
Il 23 gennaio 1799, le truppe francesi del generale Championnet, occuparono Napoli, mentre il re Ferdinando IV, si rifugiava a Palermo; i patrioti fautori della repubblica, avevano occupato il 22, Castel Sant’Elmo che sovrasta la città, proclamando la Repubblica Partenopea, chiedendo il giorno dopo, al generale francese di riconoscerla e di nominare un governo provvisorio, al quale presero parte i più noti nomi dell’intellettualità napoletana.
Mentre a Napoli si sviluppava nei primi mesi dell’anno 1799, una vivace attività di governo, nella provincia del Regno delle Due Sicilie, le cose precipitavano; il 7 febbraio il cardinale Fabrizio Ruffo (1744-1827), con l’assenso del re, sbarcò nella sua Calabria con pochi uomini, per tentare un’opposizione armata e popolare, contro i francesi e i cosiddetti giacobini, cioè i patrioti del regno che l’appoggiavano.
Facendo leva sulle folle contadine che nutrivano odio contro i loro padroni, che a loro volta nutrivano in buona parte, simpatie giacobine contro l’assolutismo borbonico e appoggiandosi alle bande di briganti che imperversavano con la loro guerriglia, l’”esercito sanfedista” del cardinale, conquistò man mano la Calabria, la Puglia, la Basilicata, saccheggiando con le sue orde disordinate e feroci, tutte quelle cittadine simpatizzanti per la Repubblica che si opponevano, come Altamura, Crotone, ecc.
Dal mare il generale inglese Orazio Nelson, con la sua flotta e le truppe turche e russe, inviate dai loro sovrani in soccorso del re Ferdinando IV, sostenevano la marcia del cardinale Fabrizio Ruffo, verso Napoli, la capitale del Regno.
Intanto nell’aprile 1799, le truppe francesi subivano delle sconfitte in Lombardia, nella guerra contro l’Austria, pertanto ciò determinò l’abbandono, di Napoli prima, e del Regno delle Due Sicilie poi, delle truppe francesi del generale Championnet, che presero a risalire la Penisola, lasciando soli i patrioti della Repubblica Partenopea, che oltre le preponderanti forze nemiche, dovettero affrontare anche l’insurrezione interna dei cosiddetti “lazzaroni”.
La Repubblica cadde definitivamente il 19-23 giugno, dopo un’eroica ma impari resistenza; nonostante le promesse fatte loro dal cardinale Ruffo di aver salva la vita, il re ritornato a Napoli, tramite le Giunte di Stato, condannò a morte per impiccagione o decapitazione, più di cento patrioti e fra questi i più bei nomi della cultura napoletana, compreso l’ammiraglio Francesco Caracciolo, odiato da Nelson.

La ritirata delle truppe francesi
Le truppe francesi, costrette dall’avanzare del riorganizzato esercito borbonico e dalla presenza della flotta inglese, ancorata nelle isole d’Ischia e di Procida, prese la via del ritorno risalendo la penisola per la strada litoranea, attraverso Gaeta e Terracina.
Lo Stato Pontificio era anch’esso invaso dai Francesi e lo stesso papa Pio VI (1717-1799), si trovava prigioniero di Napoleone Bonaparte in Francia, dove morirà il 29 agosto 1799; un distaccamento di circa 15.000 soldati al comando dei generali Vetrin e Olivier, prese però la strada interna, giungendo il 10 maggio a Cassino, spopolata dagli abitanti rifugiatosi sui monti.
Anche la millenaria abbazia benedettina di Montecassino fu devastata, saccheggiata e profanata, dai circa 1500 uomini della colonna del generale Olivier, saliti fin lassù; fortunatamente i monaci si erano messi in salvo a Terelle, portando con loro le cose più preziose e artistiche.
La ritirata continuò nella provincia di Frosinone e cittadine come Aquino, Roccasecca, Arce, l’11 maggio 1799 furono saccheggiate e alcuni abitanti uccisi; poi i francesi anziché deviare per Ceprano, si diressero a Isola del Liri, dove il 12 maggio perpetrarono ogni sorta di violenza, saccheggio, profanazione di chiese e distruzioni e questa volta con un efferato eccidio di oltre 500 abitanti, che avevano cercato di opporre una debole resistenza; gli oltre cinquecento nomi, sono annotati nel registro dei defunti della Chiesa di San Lorenzo, tutti uccisi il 12 maggio 1799, giorno di Pentecoste.
Poi mentre la truppa riprendeva la strada per il Nord, un drappello di venti soldati sbandati, della formazione “leopardi”, il 13 maggio penetrò all’interno dell’Abbazia di Calamari, alla ricerca di altro bottino; secondo le consuetudini di quei tempi, quando scarseggiando la paga governativa, lo stesso generale Bonaparte, autorizzò il saccheggio per sostenersi da parte dei suoi soldati; cosa sempre successa anche in epoca recente in tutte le guerre, che hanno comportato invasioni, occupazioni, ritirate più o meno disastrose.

Il martirio dei sei monaci cistercensi
L’Abbazia di Casamari, posta in una frazione del Comune di Veroli (Frosinone), appartiene all’Ordine Cistercense, fondato da s. Roberto di Molesmes nel 1098, a Citeaux (Francia), il cui nome latino era Cistercium; Ordine che ebbe il più grande sviluppo e regolamentazione nel 1109, con il terzo abate generale s. Stefano Harding (1060-1134).
L’Abbazia di Casamari sorse sul luogo di un’antica fondazione benedettina, passata poi nel 1150 ai Cistercensi; la chiesa del 1217 e il grandioso complesso delle costruzioni conventuali, sono opera di un’unica mente direttiva che guidò l’opera delle abili maestranze.
Il complesso edilizio, concepito secondo un chiaro e unitario piano cistercense, ricorda l’architettura borgognona per le proporzioni, la purezza delle forme e i prevalenti caratteri del primo gotico francese.
In questo gioiello dell’arte cistercense e cenobio insigne di spiritualità, viveva la comunità dei monaci cistercensi sotto la guida del priore padre Simeone Cardon; il 13 maggio 1799 il clima era di paura, per le notizie degli eccidi e devastazioni perpetrati dalla soldataglia francese e quando alle otto di sera, mentre la comunità si accingeva al canto della ‘compieta’, che precede il grande silenzio della notte del monastero, il gruppo di una ventina di soldati francesi sbandati, irruppe all’interno dell’abbazia, arrecando agli indifesi monaci, spavento, disperazione, sangue e morte.
Mentre la maggior parte di essi, scappavano spaventati e inermi cercando un possibile rifugio, sei monaci coraggiosamente ed eroicamente, restarono a difesa dell’Eucaristia, cercando di nascondere le sacre pissidi o riparando alla profanazione, raccogliendo le particole consacrate disperse sull’altare e per terra.
La soldataglia atea sfogò su di loro la rabbia di non trovare denaro ed oggetti preziosi, tranne i calici sacri difesi dai monaci e a colpi di sciabola, baionetta, archibugio, uccise i sei cistercensi prima di lasciare l’abbazia.
I corpi dei sei martiri, furono poi sepolti dai confratelli ritornati dopo il gran pericolo; attualmente le loro reliquie riposano nella chiesa abbaziale; una serie di bei dipinti, opera di Mario Barberis, custoditi nel Museo dell’Abbazia, illustrano alcune fasi del martirio; di seguito si elencano i loro nomi e brevi cenni biografici per ognuno:
Priore, padre Simeone Cardon; padre Domenico Zawrel, fra Maturino Pitri, fra Albertino Maisonade, fra Modesto Burgen, fra Zosimo Brambat.

Padre Simeone Cardon
Priore e cellerario, nacque a Cambrai, fu monaco benedettino a Parigi, durante la Rivoluzione fuggì dalla Francia e raggiunse rocambolescamente Casamari il 5 maggio 1795, dove vestì l’abito cistercense e, poi, emise la professione di stabilità.
Per bontà ed esemplarità di vita fu nominato, prima economo e successivamente, priore dell’abbazia. All’approssimarsi dell’esercito francese in ritirata, dapprima decise di fuggire con i monaci, ma poi, li esortò a rimanere.
Il 13 maggio egli accolse il drappello degli sbandati e distribuì loro cibo e bevande; davanti alla loro furia distruttiva, dapprima si nascose nell’orto, ma rientrato in sé, ritornò nella sua cella dove fu assalito dai soldati che reclamavano i tesori del monastero. Con la sciabola fu ferito alla testa ed alle mani mentre cercava di parare i colpi.
Morì verso le sette del mattino seguente; aveva cinque ferite, due colpi di baionetta nel corpo, un colpo di sciabola nella testa, uno sul braccio destro e uno sulla coscia sinistra.

Padre Domenico Zawrel
Maestro dei novizi, nato a Codovio in diocesi di Praga, fu dapprima religioso domenicano della Congregazione di Santa Sabina di Praga. Venne a Casamari nel maggio 1776, il mese seguente ricevette l’abito di novizio e, l’anno dopo, professò i voti solenni.
Nella tragica notte del 13 maggio, raccolse per due volte le sacre specie sparse, prima nella chiesa, poi nella cappella dell’infermeria, dove rimase in adorazione con due altri confratelli, fra Albertino e fra Desideo.
Furono sorpresi da tre soldati che gettarono per terra le particole, uccisero con due colpi di sciabola fra Albertino, ferirono gravemente fra Desidero, “e infine lasciarono morto ai loro piedi anche il padre Domenico, dopo avergli tirati più colpi di spada sul capo ed in altre parti del corpo; subito spirò nella medesima cappella dicendo: Jesus Maria”.

Fra Maturino Pitri
Oblato di Fontaineblau, figlio di uno dei giardinieri del re di Francia, fu arruolato e, poi, destinato alla campagna in Italia.
Nel gennaio del 1799 fu colpito da una terribile asma di petto e da febbre e fu ricoverato, con altri undici commilitoni, nell’ospedale “La Passione” di Veroli.
Dichiarato prossimo a morte, si confessò al Padre Simeone Cardon che era capitato nell’ospedale e gli dichiarò di voler vestire, se fosse guarito, l’abito cistercense.
Tre giorni dopo, perfettamente guarito, fu nascosto per una notte nell’appartamento del curato dell’ospedale, don Giuseppe Viti, e di buon mattino, fu poi accompagnato a Casamari.
Il 13 maggio, raggiunto da un colpo di fucile nel corridoio del noviziato, si trascinò e morì nella sua cella.

Fra Albertino Maisonade
Corista, francese di Bordeaux, dopo lo scoppio della Rivoluzione fuggì e si portò a Casamari, dove fu ricevuto ed ammesso fra i monaci del coro.
Nel novembre del 1792 vestì l’abito di novizio e, nell’anno successivo, emise la professione semplice secondo un privilegio, allora specialissimo, concesso alla Comunità di Casamari.
Esemplare negli atti di vita comunitaria, manifestò sempre una devozione profonda per l’adorazione del Sacramento dell’altare. Il 13 maggio, all’arrivo dei francesi, invece di fuggire si ritirò in adorazione davanti al Santissimo Sacramento che era stato profanato nuovamente nella cappella dell’infermeria.
Raggiunto dai soldati francesi, fu colpito e finito a colpi di sciabola sul posto, con padre Domenico Zawrel.

Fra Modesto Burgen
Converso, francese di Borgogna, fu dapprima religioso nell’abbazia cistercense di Settefonti. Durante la Rivoluzione fuggì e si portò a Casamari dove fu accolto fraternamente. Nel gennaio 1796 fu ammesso al noviziato e, nell’anno seguente, emise i voti semplici.
Anch’egli religioso di vita esemplare, in quell’infausto 13 maggio fu inseguito nel corridoio del noviziato, fu raggiunto da un colpo di archibugio e poi finito a colpi di sciabola.

Fra Zosimo Brambat
Converso, milanese di nascita, chiese alla fine del 1792, di essere ricevuto in Casamari. Trascorse due anni, secondo la consuetudine, con l’abito di oblato, poi, nel novembre 1794, fu ammesso al noviziato e, nell’anno successivo, emise la professione semplice nelle mani dell’abate Pirelli.
In quel terribile 13 maggio 1799, fu dapprima raggiunto da un colpo di archibugio e, poi, da colpi di sciabola mentre, nel disbrigo di un’obbedienza, “passava per la saletta per andare in refettorio e avanti la scala della farmacia”.
Riuscì tuttavia a nascondersi, ma tre giorni dopo, il 16 maggio, morì poco fuori delle mura del monastero, dopo essersi incamminato alla volta di Boville per ricevere il sacramento dell’Unzione degli infermi.



Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:51

San Servazio Vescovo

13 maggio

+ 384

San Servazio, probabilmente di origine armena, passò alla storia quale una dei più costanti sostenitori di Sant'Atanasio durante la lunga controversia per l'ortodossia nicena. Nei concili di Sardica e Rimini, tenutisi rispettivamente nel 343 e nel 359, sostenne infatti l'ortodossia. Venne tuttavia poi ingannato e firmò un'ambigua formula che fece sostenere a Girolamo che tutto il mondo fosse «divenuto ariano». In seguito, il celebre Sant'Ilario di Poitiers poté chiarire a Servazio il reale significato di tale formula e questi non esitò a disconoscerla. Eletto vescovo di Tongres, in Belgio, non si conosce però la data della sua consacrazione. Negli ultimi tempi della sua vita intraprese, secondo quanto riferisce San Gregorio di Tours, un pellegrinaggio a carattere penitenziale da Tongres sino a Roma in relazione a una presunta profezia secondo la quale Attila, re degli unni, avrebbe invaso la Gallia. La città fu infatti oggetto di saccheggi e di una parziale distruzione proprio nello stesso anno della morte di Servizio, cioè nel 384, mentre è incerto se la sede episcopale sia stata trasferita presso Maastricht prima o subito dopo tale evento. (Avvenire)

Martirologio Romano: Presso Maastricht nella Gallia belgica, nel territorio dell’odierna Olanda, anniversario della morte di san Servazio, vescovo di Tongeren, che in molti concili convocati per disputare intorno alla natura di Cristo combattè in difesa della retta fede nicena.


San Servazio, probabilmente di origine armena, passò alla storia quale una dei più costanti sostenitori di Sant’Atanasio durante la lunga controversia per l’ortodossia nicena. Nei concili di Sardica e Rimini, tenutisi rispettivamente nel 343 e nel 359, sostenne infatti con grande coraggio la causa dell’ortodossia. Venne tuttavia poi ingannato e firmò un’ambigua formula che fece sostenere a Girolamo che tutto il mondo fosse “divenuto ariano”. In seguito, il celebre Sant’Ilario di Poitiers poté chiarire a Servazio il reale significato di tale formula e questi non esitò a disconoscerla.
Eletto vescovo di Tongres, in Belgio, non si conosce però la data della sua consacrazione, che precedette comunque quasi certamente la sua attiva partecipazione ai concili suddetti. Negli ultimi tempi della sua vita intraprese, secondo quanto riferisce San Gregorio di Tours, un pellegrinaggio a carattere penitenziale da Tongres sino a Roma in relazione ad una presunta profezia secondo la quale Attila, re degli unni, avrebbe invaso la Gallia.
La città fu infatti oggetto di saccheggi e di una parziale distruzione proprio nello stesso anno della morte di Servizio, cioè nel 384, mentre è incerto se la sede episcopale sia stata trasferita presso Maastricht prima o subito dopo tale evento. In quest’ultima città, infatti, i suoi resti mortali sono conservati all’interno di un antico reliquiario finemente cesellato, unitamente al pastorale. Al calice e ad una chiave d’argento, dono papale contenente limature delle catene di San Pietro.
A questo calice si attribuiva il potere di allontanare la febbre, ma il santo era inoltre invocato contro le malattie delle gambe e delle ossa, come protettore di fabbri, falegnami e vignaioli e per il buon successo delle iniziative intraprese. Il culto di San Servizio si diffuse e perdura tuttora, come testimonia la sua citazione da parte del Martyrologium Romanum in data 13 maggio. Numerose leggende firiorono al suo riguardo, ma poche sono purtroppo le fonti storicamente attendibili.



Stellina788
00venerdì 13 maggio 2011 09:52

Santi Vittore e compagni Martiri a Pollenzo

13 maggio

 


La loro leggenda fu oggetto di una dissertazione di F. Savio, letta al congresso cattolico di Friburgo nell’agosto 1897 e inserita nel volume del medesimo sugli antichi vescovi del Piemonte.
Egli osservò che i nomi contenuti in due delle più antiche recensioni del Martirologio Geronimiano al 13 maggio, oltre quello di Vittore, derivano da errate trascrizioni dei copisti, escluso forse quello di Saturnino, che rimane peraltro completamente ignoto.
Eliminati così i compagni di martirio, il Savio esaminò l’opinione che Vittore fosse un martire locale e la respinse per diverse ragioni, fra le quali sono da rilevare le seguenti: non se ne possiede la salma né a Pollenzo né in altri luoghi della zona.; non si conosce qualsiasi tradizione circa la vita e la morte del martire; nessun culto liturgico fu mai tributato in suo onore nella diocesi di Torino. L’autore ritiene probabile che questo Vittore non sia altro che l’omonimo martire di Milano venerato anche il alcuni borghi nei pressi di Pollenzo, rilevando che la chiesa a lui dedicata in questo borgo possiede come reliquia un frammento del cranio di modestissime proporzioni, forse parte di quel frammento che manca nel cranio del santo di Milano. Esso poté giungere a Pollenzo quando vi fu eretta la chiesa plebana e si volle ricordare il memorabile evento bellico locale, quando l’imperatore Onorio fu liberato dalla grave minaccia dell’esercito visigoto di Alarico per l’intervento tempestivo delle forze di Stilicone, il giorno di Pasqua del 402 o 403.
Il Lanzoni osserva tuttavia che nella Vita di s. Dalmazio di Pedona, composta nel sec. VII o VIII, si ricorda Pollenzo protetta dal suo martire Vittore, come Asti e Tortona protette dai propri, ed è propenso ad ammettere Vittore come martire locale, quantunque il Savio sia di opinione contraria.


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