13 ottobre

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Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:26

Beata Alessandrina Maria da Costa

13 ottobre

Balasar (Portogallo), 3 marzo 1904 - Balasar, 13 ottobre 1955

Laica portoghese, all'età di quattordici anni si gettò da una finestra per difendere la sua verginità. Riportò gravi danni, che un po' alla volta la resero completamente paralizzata. Abbracciò la sua croce e in vari modi partecipò alla passione di Gesù. Dal suo letto svolse un prezioso apostolato di preghiera e di consiglio a favore dei numerosi visitatori, attratti dalle sue virtù e carismi straordinari, che esercitò nella obbedienza alle autorità ecclesiastiche. Il decreto sulle sue virtù eroiche è stato emesso nel 1995.

Etimologia: Alessandrina = piccola protettrice degli uomini, dal greco

Martirologio Romano: Nel villaggio di Balasar vicino a Braga in Portogallo, beata Alessandrina Maria da Costa: rimasta paralizzata in tutto il corpo per sfuggire alle cattive intenzioni di un tale contro di lei, offrì tutti i suoi dolori al Signore per amore di Dio e dei fratelli bisognosi nella contemplazione dell’Eucaristia.

Alessandrina Maria da Costa nacque a Balasar, in provincia di Oporto e Arcidiocesi di Braga il 30 marzo 1904, e fu battezzata il 2 aprile seguente, sabato santo.Venne educata cristianamente dalla mamma, insieme alla sorella Deolinda. Alessandrina rimase in famiglia fino a sette anni, poi fu inviata a Pòvoa do Varzim in pensione presso la famiglia di un falegname, per poter frequentare la scuola elementare che a Balasar mancava. Qui fece la prima comunione nel 1911, e l’anno successivo ricevette il sacramento della Confermazione dal Vescovo di Oporto.
Dopo diciotto mesi tornò a Balasar e andò ad abitare con la mamma e la sorella nella località “Calvario”, dove resterà fino alla morte.
Cominciò a lavorare nei campi, avendo una costituzione robusta: teneva fronte agli uomini e guadagnava quanto loro. La sua fu una fanciullezza molto vivace: dotata di un temperamento felice e comunicativo, era molto amata dalle compagne. A dodici anni però si ammalò: una grave infezione (forse una febbre intestinale tifoidea) la portò ad un passo dalla morte. Superò il pericolo, ma il fisico resterà segnato per sempre da questo episodio.
Fu all’età di quattordici anni che avvenne un fatto decisivo per la sua vita. Era il sabato santo del 1918. Quel giorno lei, la sorella Deolinda e una ragazza apprendista erano intente nel loro lavoro di cucito, quando si accorsero che tre uomini tentavano di entrare nella loro stanza. Nonostante le porte fossero chiuse, i tre riuscirono a forzare le porte ed entrarono. Alessandrina, per salvare la sua purezza minacciata, non esitò a gettarsi dalla finestra, da un’altezza di quattro metri. Le conseguenze furono terribili, anche se non immediate. Infatti le varie visite mediche a cui fu sottoposta successivamente diagnosticarono con sempre maggiore chiarezza un fatto irreversibile.
Fino a diciannove anni poté ancora trascinarsi in chiesa, dove, tutta rattrappita, sostava volentieri, con grande meraviglia della gente. Poi la paralisi andò progredendo sempre di più, finché i dolori divennero orribili, le articolazioni persero i loro movimenti ed essa restò completamente paralizzata. Era il 14 aprile 1925, quando Alessandrina si mise a letto per non rialzarsi più, per i restanti trent’anni della sua vita.
Fino al 1928 essa non smise di chiedere al Signore, mediante l’intercessione della Madonna, la grazia della guarigione, promettendo che, se fosse guarita, sarebbe andata missionaria. Ma, appena capì che la sofferenza era la sua vocazione, l’abbracciò con prontezza. Diceva: “Nostra Signora mi ha fatto una grazia ancora maggiore. Prima la rassegnazione, poi la conformità completa alla volontà di Dio, ed infine il desiderio di soffrire”.
Risalgono a questo periodo i primi fenomeni mistici, quando Alessandrina iniziò una vita di grande unione con Gesù nei Tabernacoli, per mezzo di Maria Santissima. Un giorno in cui si trovava sola, le venne improvvisamente questo pensiero: “Gesù, tu sei prigioniero nel Tabernacolo ed io nel mio letto per la tua volontà. Ci faremo compagnia”. Da allora cominciò la prima missione: essere come la lampada del Tabernacolo. Passava le sue notti come pellegrinando di Tabernacolo in Tabernacolo. In ogni Messa si offriva all'Eterno Padre come vittima per i peccatori, insieme a Gesù e secondo le Sue intenzioni.
Cresceva in lei sempre più l’amore alla sofferenza, a mano a mano che la vocazione di vittima si faceva sentire in maniera più chiara. Emise il voto di fare sempre quello che fosse più perfetto.
Dal venerdì 3 ottobre 1938 al 24 marzo 1942, ossia per 182 volte, visse ogni venerdì le sofferenze della Passione. Alessandrina, superando lo stato abituale di paralisi, scendeva dal letto e con movimenti e gesti accompagnati da angosciosi dolori, riproduceva i diversi momenti della Via Crucis, per tre ore e mezzo.
“Amare, soffrire, riparare” fu il programma che le indicò il Signore. Dal 1934 - su invito del padre gesuita Mariano Pinho, che la diresse spiritualmente fino al 1941 - Alessandrina metteva per iscritto quanto volta per volta le diceva Gesù.
Nel 1936, per ordine di Gesù, essa chiese al Santo Padre, per mezzo del padre Pinho, la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria. Questa supplica fu più volte rinnovata fino al 1941, per cui la Santa Sede interrogò tre volte l'Arcivescovo di Braga su Alessandrina. Il 31 ottobre 1942 Pio XII consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria con un messaggio trasmesso a Fatima in lingua portoghese. Questo atto lo rinnovò a Roma nella Basilica di San Pietro l’8 dicembre dello stesso anno.
Dal 27 marzo 1942 in poi Alessandrina cessò di alimentarsi, vivendo solo di Eucaristia. Nel 1943 per quaranta giorni e quaranta notti furono strettamente controllati da valenti medici il digiuno assoluto e l'anuria, nell'ospedale della Foce del Duro presso Oporto.
Nel 1944 il nuovo direttore spirituale, il salesiano don Umberto Pasquale, incoraggiò Alessandrina, perché continuasse a dettare il suo diario, dopo aver constatato le altezze spirituali a cui era pervenuta; ciò che essa fece con spirito di obbedienza fino alla morte. Nello stesso anno 1944 Alessandrina si iscrisse all’Unione dei Cooperatori Salesiani. Volle collocare il suo diploma di Cooperatrice “in luogo da poterlo avere sempre sotto gli occhi”, per collaborare col suo dolore e con le sue preghiere alla salvezza delle anime, soprattutto giovanili. Pregò e soffrì per la santificazione dei Cooperatori di tutto il mondo.
Nonostante le sue sofferenze, ella continuava inoltre ad interessarsi ed ingegnarsi a favore dei poveri, del bene spirituale dei parrocchiani e di molte altre persone che a lei ricorrevano. Promosse tridui, quarant'ore e quaresimali nella sua parrocchia.
Specialmente negli ultimi anni di vita, molte persone accorrevano a lei anche da lontano, attratte dalla fama di santità; e parecchie attribuivano ai suoi consigli la loro conversione.
Nel 1950 Alessandrina festeggia il XXV della sua immobilità. Il 7 gennaio 1955 le viene preannunciato che quello sarebbe stato l’anno della sua morte. Il 12 ottobre volle ricevere l’unzione degli infermi. Il 13 ottobre, anniversario dell’ultima apparizione della Madonna a Fatima, la si sentì esclamare: “Sono felice, perché vado in cielo”. Alle 19,30 spirò.
Sulla sua tomba si leggono queste parole da lei volute: “Peccatori, se le ceneri del mio corpo possono essere utili per salvarvi, avvicinatevi, passatevi sopra, calpestatele fino a che spariscano. Ma non peccate più; non offendete più il nostro Gesù!”. E’ la sintesi della sua vita spesa esclusivamente per salvare le anime.
A Oporto nel pomeriggio del giorno 15 ottobre i fiorai rimasero privi di rose bianche: tutte vendute. Un omaggio floreale ad Alessandrina, che era stata la rosa bianca di Gesù.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:39

San Benedetto Martire

13 ottobre

Patronato: San Benedetto al Tronto


Scarse sono le notizie biografiche sul patrono di S. Benedetto al Tronto.
S. Benedetto potrebbe essere stato un soldato, forse di origini friuliane come dicono alcuni storici, dell’esercito imperiale di stanza a Cupra, convertitosi al cristianesimo durante il servizio militare. La tradizione dice che S. Benedetto fu martirizzato sul ponte del torrente Menocchia nei pressi dell’antica Civita di Cupra. Era il 13 ottobre dell’anno 304, quando era imperatore Diocleziano.
Dopo il martirio, i cristiani del luogo provvidero a dare sepoltura al martire, costruendo un sepolcro nascosto, quasi una catacomba a cui accedervi senza esser visti dai pagani. Sulla tomba del martire fu murata una lapide, che in parte ancora oggi si conserva.
Dopo l’editto di Costantino, sulla tomba del santo fu ben presto costruito un piccolo sacrario (oratorio), presso il quale venivano a pregare molti del luogo richiamati dalla fama taumaturgica del santo, soprattutto contro le malattie della testa. Più tardi, nei pressi del piccolo oratorio fu costruita una pieve. La pieve divenne poi chiesa abazziale. Nel 1698, con i rifacimenti della chiesa, l’altare del santo fu incluso all’interno della pieve. Così la tomba del santo non fu mai spostata dal luogo primitivo.
Nella chiesa abbazziale di S. Benedetto, situata nella parte alta della città di S. Benedetto del Tronto, vicino all’ingresso, vi è murata la lapide che la tradizione locale dice essere parte della lapide del sepolcro di S. Benedetto martire. La lapide dice che Benedetto fu deposto in pace all’età di 28 anni, il 13 ottobre sotto Diocleziano e Massimiano consoli. La lapide dice inoltre che nella stessa tomba fu poi sepolta anche la sorella di S. Benedetto, Frutta, morta all’età di 58 anni.
Solenni sono i festeggiamenti che gli abitanti di S. Benedetto del Tronto dedicano al loro santo patrono nel giorno della festa del 13 ottobre.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:39

Santa Chelidonia di Subiaco Solitaria

13 ottobre

Cicoli, Abruzzo, 1077 ca. - Subiaco, 13 ottobre 1152

Chelidonia in greco significa «rondine». E, proprio come nel celebre detto, questa giovane santa dell’XI secolo visse la sua esperienza religiosa proprio «migrando» sotto un «tetto» di Subiaco, nei luoghi dei santi Benedetto e Scolastica. Abruzzese di origine, si era spinta pellegrina a Roma. Sulla via del ritorno prese il velo monacale nel monastero di Santa Scolastica, la più antica comunità femminile dell’Occidente. Visse per 60 anni nella solitudine dei monti Simbruini che circondano la valle dell’Aniene. Morì intorno al 1152. È patrona di Subiaco. (Avvenire)

Martirologio Romano: Presso Subiaco nel Lazio, santa Chelidona, vergine: si tramanda che per cinquantadue anni abbia condotto vita solitaria e di estrema austerità servendo Dio solo.


Nacque a Cicoli, nell’Abruzzo, verso il 1077 da famiglia del popolo. Il suo nome di battesimo pare fosse Cleridona (“dono della sorte”), come risulta anche da un affresco del Sacro Speco di Subiaco, opera del Magister Conxolus (inizi del sec. XIII); quello di Chelidonia (“rondinella”) si cominciò a usare dopo il Rinascimento. Verso il 1092, desiderosa di dedicarsi a Dio, abbandonò la casa paterna e si ritirò a vita eremitica in una spelonca dei monti Simbruini, due miglia a nord-est di Subiaco.
Il luogo era ed è noto col nome di Mora Ferogna che, secondo alcuni, conserverebbe il ricordo di un santuario della dea Feronia. Lì visse per quasi cinquantanove anni sola al cospetto di Dio, nel digiuno e nella preghiera, sopportando eroicamente le inclemenze delle stagioni, dormendo sulla nuda roccia, sfidando la ferocia dei lupi, nutrendosi delle offerte dei fedeli, ben presto attratti dalla fama delle sue virtù e dei suoi miracoli, e, talvolta, sostentata miracolosamente da Dio. Una sola volta interruppe la lunghissima solitudine compiendo, tra il 1111 e il 1122, un pellegrinaggio a Roma. Tornata a Subiaco, nella basilica di S. Scolastica, il 12 febbraio, giorno sacro alla santa sorella di s. Benedetto, ricevette dal cardinale Conone, vescovo di Palestrina, l’abito benedettino. Riprese quindi la vita eremitica, che non abbandonò più fino alla morte, avvenuta nel 1152, la notte tra il 12 e il 13 ottobre Dalla spelonca si innalzò allora fino al cielo una colonna luminosa che fu vista da innumerevoli testimoni in tutto il territorio sublacense e oltre. Anche a Segni, dove si trovava il papa Eugenio III, fu osservato il fenomeno: fu forse proprio Eugenio III che decretò a Chelidonia gli onori degli altari.
Il corpo della santa fu trasferito subito dall’abate Simone in S. Scolastica e sepolto nella cappella di S. Maria Nuova. Ma nove anni dopo (per espresso ordine della santa, si disse), le spoglie furono riportate alla spelonca, presso la quale l’abate Simone edificò poi un monastero di religione e una cappella dedicata a Chelidonia e a s. Maria Maddalena. Il monastero è ricordato già in un documento del 4 ottobre 1187. Nel 1578, ormai abbandonato il monastero, il corpo della santa fu definitivamente trasferito in S. Scolastica dall’abate Cirillo di Montefiascone, con solennissime feste, e collocato nella cappella del braccio destro del transetto. Il monaco Guglielmo Capisacchi, che fu testimone dell’avvenimento, ne stese una minuziosa relazione e riscrisse anche la biografia della santa, dando forma più elegante a una Vita manoscritta, redatta da un anonimo contemporaneo di Chelidonia e andata più tardi perduta.
I festeggiamenti per la traslazione risvegliarono il culto di s. Chelidonia in tutta l’abbazia sublacense, cosicché la Sacra Congregazione dei Riti il 21 ottobre 1695 la proclamava patrona principale di Subiaco. Fu sempre la solenne traslazione del 1578 a richiamare sulla santa l’attenzione del Baronio che la introdusse nel Martirologio Romano. In onore di Chelidonia si celebrano due feste in Subiaco: il 13 luglio per la traslazione, e il 13 ottobre per il transito.
Interessante dal punto di vista folkloristico è la processione del 13 ottobre: dalla basilica di S. Scolastica essa, recando un’ampolla contenente il cuore della santa, raggiunge un punto da cui si domina Subiaco. Di lì con la reliquia si benedice la città e il territorio abbaziale; a notte poi, i contadini che abitano ai piedi del monte, dove la santa visse e morì, accendono falò attorno alla spelonca, quasi a rinnovare la meravigliosa luce che illuminò il luogo alla sua morte.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:40

San Comgano Abate

13 ottobre

VII secolo

La tradizione vuole Comgan principe irlandese, uno dei numerosi fiori di santità sbocciati nell’isola, ma il cui ricordo affiora appena dalla nebbia della storia. Succedette a suo padre Kelly nel governo della provincia di Leinster, finché non venne attaccato dai principi limitrofi. Sconfitto e ferito in battaglia, non gli restò che fuggire in Scozia, portando in esilio anche sua sorella e suo nipote, il futuro abate san Fillian. Giunti a Lochalsh, dinnanzi all’isola di Skye, Comgan fece edificare un monastero di cui divenne abate, conducendovi per parecchi anni una vita esemplare per l’austerità e lo spirito di penitenza. I sette uomini che lo avevano seguito divennero i primi monaci. Alla sua morte il nipote seppellì il corpo nell’isola di Iona, dove dedicò una chiesa alla sua memoria. Questo non fu che il primo di numerosi edifici sacri a lui intitolati in tutta la Scozia, presentando il suo nome sotto diverse forme: Cowan, Coan e Congan. Anche i nomi delle località di Kilchoan e Kilcongen potrebbero ricollegarsi al culto del santo ancora oggi venerato. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nell’isola di Iona in Scozia, desposizione di san Comgano, abate, che, venne dall’Irlanda in questa regione insieme alla sorella santa Chentigerna, ai figli di lei e ad alcuni missionari.


La tradizione vuole Comgan principe irlandese, uno dei numerosi fiori di santità sbocciati in tale isola ma il cui ricordo affiora appena dalla nebbia della storia. Succedette a suo padre Kelly nel governo della provincia di Leinster, finché non venne attaccato dai principi limitrofi. Sconfitto e ferito in battaglia, non gli restò che fuggire in Scozia, portando in esilio anche sua sorella e suo nipote, il futuro abate San Fillian.
Giunti a Lochalsh, dinnanzi all’isola di Skye, Comgan fece edificare un monastero di cui divenne abate, conducendovi per parecchi anni una vita esemplare per l’austerità e lo spirito di penitenza che la contraddistinse. I sette uomini che lo avevano seguito divennero dunque i primi monaci.
Alla sua porte il nipote seppellì il suo corpo nell’isola di Iona, ove dedicò una chiesa alla sua memoria. Questo non fu che il primo di numerosi altri edifici sacri a lui intitolati in tutta la Scozia, talvolta presentando il suo nome sotto diverse forme: Cowan, Coan e Congan. Anche i nomi delle località di Kilchoan e Kilcongen potrebbero ricollegarsi al culto del santo abate ancora oggi venerato.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:41

Santi Fausto, Gennaro e Marziale Martiri

13 ottobre

+ Cordoba, Spagna, 304 circa

Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, santi Fausto, Gennaro e Marziale, martiri, che adornano la città come tre corone.

Come per tutti i martiri dei primi secoli, è purtroppo assai difficile reperire notizie certe sulle loro vite. Aurelio Prudenzio, poeta-storico del IV secolo, soprannominò i santi Fausto, Gennaro e Marziale come le “Tre Corone di Cordova”, aggiungendo che la città spagnola sarebbe stata bel lieta di poterli offrire quali proprie offerte a Cristo nel giorno del giudizio.
La “passio” scritta sul loro conto, purtroppo apparentemente priva di fondamento storico, i tre santi rifiutarono fermamente di sacrificare agli idoli pagani e perciò vennero crudelmente torturati. Professarono dunque esplicitamente la loro fede: Fausto disse “C’è un unico Dio, che ha creato tutti noi” e Marziale soggiunse “Gesù Cristo è il mio conforto. C’è un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, a cui si devono lode e onore!.
Infine furono tutti condannati al rogo e subirono coraggiosamente il martirio presso Cordova verso l’anno 304, durante la persecuzione perpetrata dall’imperatore Diocleziano.
E’ comunque fuori discussione la veridicità dell’evento e del luogo dell’evento, vista anche l’antichità del loro culto, che si fonda sulla presenza dei loro nomi in iscrizioni del V e VI secolo e sulla loro citazione da parte del Martirologio Geronimiano.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:42

San Fiorenzo di Tessalonica Martire

13 ottobre

Martirologio Romano: A Salonicco in Macedonia, ora in Grecia, san Fiorenzo, martire, che dopo vari supplizi si tramanda sia stato ucciso nel fuoco.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:42

Beati Francesco da Torquemada e Alfonso de Ossorio Mercedari

13 ottobre

Missionari dell'Ordine Mercedario, i Beati Francesco da Torquemada e Alfonso de Osso rio, furono inviati ad evangelizzare in terra Brasiliana.Famosissimi per la santità e la gloria dei miracoli, condussero, a Cristo Pastore delle anime, molti infedeli e gloriosamente resero l'anima a Dio nella città di Belem.
L'Ordine lo festeggia il 13 ottobre.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:43

San Geraldo D'Aurillac

13 ottobre

Aurillac (Francia), ca. 856 - St. Cirgues-Quercy (Francia), 13 ottobre 909

Martirologio Romano: A Saint-Ciergues nella regione dell’Auvergne in Francia, san Gerardo, che, conte di Aurillac, con grande profitto per i suoi possedimenti condusse segretamente vita monastica sotto l’abito secolare, divenendo modello di riferimento per i potenti.


Si fa più presto a dire quello che nonè. Sul versante laico, non è amantedella guerra né della caccia né dei tornei,pur appartenendo al ceto che di tuttoquesto campa. E nella Chiesa non èprete né vescovo, né monaco né abate.Ha fatto buoni studi, e anche questo fadi lui una mosca bianca tra la nobiltàdel tempo. È uno dei primi laici veneraticome santi, e vive mentrel’Impero di Carlo Magno sisbriciola nelle guerre tra isuoi discendenti, che riportanoviolenza e miseria.
I vescovi d’Europa, poi,nei loro sinodi lamentanocome in troppi monasterinon c’è più disciplina; alcunisono addirittura vuoti; altriancora sono diventaticondomini per monaci conmogli e figli. Sta andando a picco l’interaistituzione monastica, con tutti i suoi meritiverso la Chiesa e verso la società.
Uno dei più pronti a reagire è lui, Geraldo,figlio del conte di Aurillac, che loha incoraggiato negli studi, ma non lovuole prete né monaco, perché è il suounico erede. Morto poi il padre, lo distoglieda quel proposito il vescovo Gozbertodi Rodez: sono importantissimianche i laici, specialmente quelli colticome lui, in un tempo di fede raramenteilluminata. Tra i battezzati c’è chi daun lato prega il Signore con speranza, edall’altra venera impaurito il diavolo,anche con riti e sacrifici notturni. Questagente ha bisogno non soltanto diprediche in chiesa, ma soprattutto diesempi quotidiani, in casa e per strada.Così Geraldo comincia a vivere “nelmondo” con l’austerità deipiù esemplari religiosi. Lagente scopre in lui un nobiledel tutto diverso dagli altri.Non solo aiuta i poveri,ma vive come loro. Esortaalla preghiera e la pratica;si può davvero obbedire aquello che dice, semplicementeosservando quelloche fa. Non sembra che abbiagrande fama di parlatore,con tutti i suoi studi. La voce dellasua santità si ispira alle opere e ai comportamenti.
Geraldo è anche un pellegrino instancabile.Visita le tombe dei grandi santidi Francia: Martino a Tours, Marziale aLimoges... Ma soprattutto lo attira Roma:ci va sette volte nella sua vita. Nell’anno894 nasce ad Aurillac un nuovomonastero, fondato da lui sulle sue terre.Lo dedica a san Pietro e lo pone sottola dipendenza diretta del Pontefice. Neè l’ispiratore, ma non l’abate. Geraldo rimanesempre laico, anche se osserva intutto e per tutto le regole monastiche.Che sono rigorose, secondo la più rigidatradizione: silenzio, preghiera, moltolavoro manuale, confessione pubblicadelle colpe, aiuto ai malati e ai pellegrini,scuola. Nel 910, questa comunitàandrà ad unirsi al grande movimento diriforma monastica, iniziato a Cluny dall’abateBernone.
Ma, nell’anno 902, Geraldo deve chiuderecon i pellegrinaggi, perché è diventatocieco. Si ritira allora nel territoriodel Quercy, in un possedimento dellasua famiglia a St. Cirgues, rimanendovifino alla morte. Il suo corpo viene poi riportatoad Aurillac, per essere sepoltonella chiesa del monastero da lui fondato.Ed è sempre in questo monastero, alcunidecenni dopo, che prenderà l’abitobenedettino il giovane Gerberto, anchelui di Aurillac, che diventerà poi SilvestroII, il Papa dell’Anno Mille.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:44

Beato Gerardo Fondatore dell'Ordine di Malta

13 ottobre

ca. 1040 – Gerusalemme, 3 settembre 1120

Per alcuni storici Gerardo e' originario di Scala, piccolo borgo nobiliare in collina sulla costiera amalfitana, all'epoca ricadente nel territorio della Repubblica marinara di Amalfi; per altri era francese, mentre, secondo lo storico G.G. Napione, il "Gerard du Tunc" citato come primo Gran Maestro dell'ordine degli Ospitalieri sarebbe identificabile con Gerardo da Tonco, feudatario astigiano partito per la prima crociata. Nel monastero benedettino di Santa Maria Latina in Gerusalemme egli aveva l'incarico di dirigere la foresteria, detta anche hospitale, in cui venivano accolti i numerosi pellegrini in visita ai luoghi santi. Per meglio gestire e organizzare la loro accoglienza, il Beato Gerardo fondò nel 1113 con l'approvazione di Papa Pasquale II la Confraternita di San Giovanni, che nel corso dei secoli divenne Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme. La sua eredità è oggi raccolta dal Sovrano Militare Ordine di Malta che lo venera quale "beato" e fondatore.


Gerardo nacque tra il 1035 e il 1040 da famiglia nobile,secondo alcuni di origine provenzale, secondo altri e conmaggior probabilità di Amalfi, città alla quale appartenevanodelle potenti famiglie patrizie che avevano stretti legamicon la Terra Santa, avendo fondato in Gerusalemmemonasteri e piccole case per l’accoglienza di pellegrini.
Forse il giovane Gerardo si incamminò verso la sua futuravocazione a causa delle terribili aggressioni dei normanniin Terra Santa. Sembra, comunque, quasi certo che Gerardosi recò a Gerusalemme per dare assistenza ai pellegrinifortemente influenzato da un mercante, certo Mauro.
Sotto il califfato di Egitto la sua opera di misericordia nonpresentò difficoltà.
Nel 1071, invece, si svolse la battaglia di Manzikert a seguitodella quale Gerusalemme venne sottratta all’Egittoper passare sotto i turchi selgiuchi.
Trentamila chiese (fra le quali quella del Santo Sepolcroa Gerusalemme) furono distrutte durante il regno del califfopazzo Hakim.
Questo doloroso stato di cose provocò la prima Crociatache, guidata da Goffredo de Bouillon, conquistò il 15 Luglio1099 Gerusalemme.
Gerardo si distinse fornendo ai Crociati cibo ed informazioni.
La leggenda narra che Gerardo gettava dalle mura dellacittà pane ai Cristiani che l’assediavano.
Quando fu scoperto, il pane si trasformò in pietre.Gerardo possedeva uno straordinario talento organizzativo:costruì una casa per i pellegrini e la chiesa in onoredi San Giovanni Battista; gestì l’organizzazione, l’accoglienza,il vitto e l’assistenza pastorale per i molti pellegrini;si occupò della cura dei malati e degli indigenti; fu,come già allora lo definirono, “il Signore degli infermi”.Sembra, inoltre, che Gerardo abbia reclutato dei crociati,
per la difesa dei pellegrini.
Punto di partenza della sua comunità sembrano essere statele sedi in Italia e nella Francia del sud, che dettero, giàa quel tempo, dimensione europea alla comunità stessa.
Il 15 febbraio 1113 Papa Pasquale pose “l’Ospedale di Gerusalemme”sotto la protezione della Santa Sede.
Anche i regnanti di Gerusalemme, Portogallo, di Castigliae Leon aiutarono Gerardo, nonché molti altri Principi eVescovi.
Gerardo morì il 3 Settembre 1120.
Le sue indicazioni ed il suo esempio costituirono la basedella prima Regola scritta dell’Ordine della Casa dell’Ospedaledi Gerusalemme, emanata da Raymond de Puytra il 1145 ed il 1153.
Onoriamo e veneriamo il Beato Gerardo come Fondatoredell’Ordine di S. Giovanni di Malta sebbene su di luisi disponga di scarse notizie. Comunque, le sue azioniprincipali sono ampiamente documentate.
Grazie a Gerardo - ne è testimone l’Ordine dei Cavalieridi Malta - l’Ospedale della Santa Gerusalemme da oltrenovecento anni è attivo nel mondo sia nella tuitio fidei sianell’obsequium pauperum.
La tradizione attribuisce a Gerardo questa profezia:“la nostra confraternità sarà eterna, perché il terreno nelquale questa pianta affonda le sue radici, è la miseria delmondo; la nostra confraternità durerà finchè piacerà aDio che vi siano degli uomini disposti ed impegnati a ridurrequesta miseria e a rendere più sopportabile la sofferenza”.
Queste parole dovranno restare ben fisse nella mente enel cuore dei Giovanniti per continuare a realizzare consempre maggior sollecitudine i loro fini istituzionali nell’ambito,quindi, di “una vera strategia dell’amore”.


ORAZIONE

O Dio, che hai mirabilmente esaltato il Beato Gerardo
per l’amorevole servizio ai poveri e agli infermi
e che, per il suo tramite, hai fatto sorgere in Gerusalemme
l’Ordine di S. Giovanni Battista,
Ti preghiamo di concederci di scoprire sempre, nel suo esempio,
l’immagine del Tuo Figlio nel volto dei nostri fratelli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo Tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.


PREGHIERA DELL'ORDINE

Signore Gesù, che vi siete degnato farmi partecipare allaMilizia dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, visupplico umilmente, per la intercessione della BeataVergine di Fileremo, di San Giovanni Battista, del BeatoGerardo e di tutti i Santi e Beati dell’Ordine, di aiutarmia restare fedele alle tradizioni del nostro Ordine, praticandoe difendendo la Religione cattolica, apostolica,romana contro le empietà, esercitando la carità verso ilprossimo e specialmente verso i poveri e gli infermi.Datemi infine le virtù necessarie per realizzare secondolo spiri to del Va n g e l o, con animo disinte ressato eprofondamente cristiano, questi santi desideri per lamaggior gloria di Dio, la pace del mondo ed il benedell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Amen.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:44

San Lubenzio

13 ottobre

Martirologio Romano: A Kobern sulla Mosella presso Treviri, in Germania, san Lubenzio, sacerdote.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:45

Beata Maddalena Panattieri Domenicana

13 ottobre

Trino, Vercelli, 1443 - 1503

Da principio, le opere di Maddalena Panattieri furono più che altro di misericordia. Ebbe una speciale predilezione per i fanciulli nei quali, come il Savonarola, vedeva l'innocenza e l'avvenire del mondo.
Ma il successo maggiore lo ottenne, non tanto come predicatrice, quanto come maestra di spiritualità. Ella catechizzava in una piccola cappella e le sue modeste conferenze furono destinate, sul principio, a un gruppo di donne, le quali riconoscevano nella Panattieri un'ottima consigliera.
A poco a poco, qualche uomo si uni alle donne, ed avvenne che gli stessi sacerdoti dei luogo si sentirono attratti dalla parola ispirata della terziaria domenicana.
La Panattieri insisteva soprattutto sulla riforma dei costumi, e spesso trattava il problema dell'usura, vivo e scottante in quel tempo, in cui la moneta scarseggiava e i commerci si andavano fortemente espandendo.
Per merito della Panattieri, Trino divenne un centro di predicazione. Il Priore generale dei Domenicani vi giunse da Milano, e da ogni parte del Piemonte molti predicatori andavano - diciamo così - a prendere l'imbeccata a Trino, dove, d'altra parte, la terziaria domenicana non si insuperbiva ma, al contrario, dava prova di profonda umiltà.
Ad un uomo che, urtato dalle sue parole, la colpì con uno schiaffo, la Panattieri, cadendo in ginocchio, disse evangelicamente: "Fratello, ecco l'altra guancia; colpisci pure. Ti ringrazio per amore di Cristo".
Come il Savonarola, ella fu profetessa di sventure, e nelle sue prediche ripeteva il grido che ritroviamo anche nei sermoni del domenicano di San Marco: "Guai all'Italia! Vedo avvicinarsi il flagello".

Martirologio Romano: A Trino nel Monferrato in Piemonte, beata Maddalena Panatieri, vergine, suora della Penitenza di San Domenico.


Maddalena Panattieri fin dai primi anni apparve un’anima tutta piena di grazia. Adorna di rara bellezza, seppe sfuggire all’insidiosa rete della vanità in cui restano impigliate miseramente tante giovinette, e suo specchio fu solo il Crocifisso. Vestì giovanissima l’Abito del Terz’Ordine di San Domenico abbracciando con gran fervore tutte le austerità dell’Ordine. Portò sempre la ruvida camicia di lana, osservò con estremo rigore l’astinenza e i lunghi digiuni, e nelle veglie fu eroica. Fece suo il duplice spirito di contemplazione e di azione, divenendone espressione vivente. Contemplò con appassionato amore la Passione di Gesù, meritando di partecipare nell’anima e nel corpo a tutti i dolori del Salvatore. Si accese di zelo per la salvezza delle anime per le quali lavorò e pregò. Ebbe il dono della predicazione, e in una cappella accanto alla chiesa dei Domenicani di Trino, teneva calde esortazioni a cui non disdegnavano di assistere sacerdoti e religiosi, e perfino il Maestro dei Novizi vi conduceva i suoi giovani religiosi. Aveva un’arte tutta celeste per piegare gli animi al bene, e si deve alle sue opere se i Domenicani di Trino abbracciarono la stretta osservanza restaurata da Raimondo da Capua. Il Marchese di Monferrato ebbe per lei particolare venerazione e la chiamava la “sua mamma". Del resto fu la mamma di tutti, e da tutti fu amata. Predisse la sua morte, avvenuta il 13 ottobre 1503, e quando fu in agonia, con voce dolcissima, intonò l’Inno “Jesu nostra Redemptio” e “l’Ave Maris stella”. Papa Leone XII il 26 settembre 1827 ha confermato il culto. Il suo corpo, sepolto nella chiesa conventuale, fu subito oggetto di molta venerazione. Nascosto nel secolo XVII nel vicino oratorio di San Pietro Martire, fu rinvenuto nel 1964. Nel 1970, con l’autorizzazione della Santa Sede, fu solennemente ricollocato nella chiesa.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:46

Santa Parasceve la Giovane Eremita

13 ottobre

Epibatai (Costantinopoli), secolo X

Parasceve è una santa dell'Oriente cristiano. Originaria di Epibatai, nei pressi di Costantinopoli, visse e morì nel X secolo. Nobili di famgilia, lei e il fratello Eutimio rimasero orfani e decisero di abbracciare la vita religiosa. Dopo un periodo in monastero Parasceve si sentì chiamata alla vita eremitica nel deserto dove visse in tutta la sua durezza l'ideale ascetico. Ma un giorno ebbe una visione: un angelo le chiese di ritornare tra la gente dove era nata. Così, dopo un pellegrinaggio a Costantinopoli, tornò a Epibatai dove continuò a vivere da penitente. Morì quasi sconosciuta. Ma alcuni anni più tardi la si riscoprì per via di un miracolo: durante una pestilenza, mentre scavavno la fossa a un cadavere, un gruppo di uomini si imbatté nel corpo di Parasceve che emanava un misterioso profumo. Fu l'inizio di una fama di santità che si diffuse soprattutto fra i popoli slavi dei Balcani, che la venerano col nome di Petka. (Avvenire)

Emblema: Palma


La ‘Vita’ di santa Parasceve la Giovane, fu scritta dal metropolita di Mira, Matteo nel XVII secolo, dopo l’ultimo trasferimento delle reliquie in Moldavia nel 1641, sei secoli dopo la morte della santa eremita, quindi bisogna darne il valore relativo a questo lasso di tempo.
Parasceve nacque ad Epibatai, centro marittimo, distante un giorno di cammino da Costantinopoli; visse e morì molto probabilmente nel secolo X.
Appartenenti a nobile famiglia, lei e il fratello Eutimio, rimasero presto orfani e decisero ambedue di abbracciare la vita religiosa; Eutimio per le sue virtù, fu fatto vescovo di Madito e Parasceve, dopo un certo numero di anni trascorsi in un monastero, si ritirò come eremita in una zona desertica, emulando la santa vita delle antiche monache-eremite d’Egitto e della Siria: lunghe preghiere, veglie notturne e frequenti digiuni.
Mangiava qualcosa solo il sabato e la domenica e dormiva sulla nuda terra; ebbe una notte la visione di un angelo, il quale esortandola a perseverare nel suo sforzo di vita penitente, le raccomandò comunque di ritornare nel suo luogo natio.
Parasceve allora lasciò l’eremo e si recò a Costantinopoli e da pellegrina visitò i santuari, mettendosi sotto la protezione della Vergine nella chiesa di Blacherne; poi si ritirò ad Epibatai, dove continuò nelle pratiche di penitenza, mortificazione e preghiera, per il resto della sua vita; quando morì fu sepolta da gente che nemmeno la conosceva e il suo ricordo si spense.
Ma in epoca successiva, un miracolo riportò a fiorire il suo ricordo; nelle vicinanze di Epibatai, viveva uno stilita, un giorno alcuni marinai, gettarono ai piedi della sua colonna, il corpo di un loro compagno morto di peste. Il cadavere andò in putrefazione, emanando un lezzo così forte, che lo stilita pregò che qualcuno venisse a dargli sepoltura, alcuni uomini scavando la fossa, trovarono un corpo sotterrato che emanava un profumo così delicato da superare il puzzo del cadavere dell’appestato.
Un certo Giorgio facente parte del gruppo dei seppellitori, la notte ebbe un sogno, in cui gli veniva chiesto di deporre il corpo ritrovato in una bara, rivelandogli anche il nome di Parasceve, nata e cresciuta ad Epibatai.
Essa diventò la patrona della cittadina, anche perché in un altro sogno, avuto da una vicina di Giorgio, nella stessa notte, prometteva che avrebbe aiutato tutti coloro che con fede, sarebbero ricorsi a lei.
Le reliquie furono portate nella chiesa dei Ss. Apostoli, dove avvennero molti miracoli; esse superarono la sottrazione di numerose reliquie da Costantinopoli, da parte dei conquistatori Franchi, che nel 1204 le portavano in Occidente.
Ma nel 1230-31 il corpo di santa Parasceve fu ceduto dall’imperatore latino di Costantinopoli al re conquistatore bulgaro Giovanni II Asen (1218-1241) che lo trasportò a Turnovo in Bulgaria, dove accolto con solennità dal patriarca Basilio, fu deposto nella basilica del palazzo imperiale.
Quando nel 1393 i Turchi s’impadronirono di Turnovo, allora capitale della Bulgaria, le reliquie furono trasferite a Belgrado, dove rimasero fino al 1521, quando la città venne conquistata da Solimano il Magnifico. Saputo della grande venerazione che i cristiani portavano a quelle reliquie, il sultano le inviò a Costantinopoli, dove il patriarca le fece deporre nella chiesa della Pammacaristos.
Ma anche qui non durò a lungo il riposo delle reliquie, quando nel 1586 Murad III tolse ai cristiani il santuario, esse con altre reliquie furono portate nella chiesa di S. Demetrio Kanabu e poi a S. Giorgio del Phanar nel 1612 e finalmente nel 1641 giunsero a Jasi in Moldavia, dove si trovano tuttora.
Dopo la traslazione a Turnovo la santa con il nome di Petka o Petnica ebbe grande popolarità tra il popolo bulgaro e ben presto divenne Patrona nazionale; del resto ella ha avuto sempre un culto particolare presso i popoli slavi balcanici, anche perché si credeva che i suoi genitori fossero slavi.
La sua festa ricorre il 13 ottobre.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:46

San Romolo di Genova Vescovo

13 ottobre

Sec. V

Valentino, il primo vescovo noto di Genova, svolse il suo ufficio pastorale con rara prudenza e grande carità a favore degli orfani e delle vedove. Felice fu l'antecessore del vescovo Siro, di cui fu padre e maestro. Romolo successe a Felice e Siro nell'episcopato e si distinse per la bontà, "sembrava più un padre che un signore... era il padre dei poveri", e per il dono di comporre dissidi d'ogni genere.I loro corpi furono sepolti a Genova nella basilica dei dodici Apostoli, detta in seguito di San Siro. Alcune loro insigni reliquie sono custodite anche nella Chiesa cattedrale di Genova.

Etimologia: Romolo = leggendario fondatore di Roma; forza, dal greco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Sanremo sulla costa ligure, deposizione di san Romolo, vescovo di Genova, che, pieno di ardore apostolico, morì mentre si recava in visita presso le popolazioni rurali.

Ascolta da RadioRai:
  

Non vi sono notizie certe sul tempo in cui visse, ma per deduzione si può pensare che sia stato nel sec. V perché l’ “Archa Tophea” in cui il Santo fu deposto e di cui si parla in un’unica biografia anonima del X sec.
è una forma di sarcofago usato in Liguria appunto nel V secolo.
Succedette sulla cattedra vescovile genovese ai gloriosi s. Felice e s. Siro. Nota caratteristica del suo ministero pastorale fu la bontà “sembrava più un padre che un signore…. era il padre dei poveri….” vero competente per eliminare discordie di ogni genere. Trovandosi a visitare l’estrema parte della Liguria Occidentale che allora faceva parte della Diocesi di Genova, precisamente ‘Matuta’ odierna Sanremo, fu colto dalla morte e venne sepolto nella chiesa di s. Siro, divenendo subito oggetto di grande venerazione per i prodigi operati.
Secondo la tradizione locale sanremese, Romolo aveva ricevuto una educazione nella terra di Matuta, fu quindi eletto vescovo di Genova e in seguito per sfuggire agli invasori longobardi si ritirò in stretta penitenza nell’entroterra di Matuta in una zona chiamata ancor oggi di s. Romolo in una grotta detta ‘bauma’, divenuta poi luogo di pellegrinaggio, dove sarebbe morto.
Durante l’episcopato a Genova di Sabatino (930) a causa delle scorrerie dei saraceni lungo la Riviera di Ponente, le reliquie del santo furono traslate solennemente e sotto scorta via mare a Genova e deposte nella Cattedrale di s. Lorenzo dove nel 1188 fu fatta una ricognizione canonica.
Durante tutto l’Alto Medioevo il Santo fu venerato come patrono speciale di Matuta (Sanremo), si raccontano un gran numero di fatti prodigiosi attribuitagli per la difesa di quella terra dagli invasori stranieri, pertanto fu rappresentato vestito da vescovo e con una spada sguainata in mano.
Dal secolo XI Matuta cambiò il nome con il suo: Sanromolo divenendo poi verso il XV sec. Sanremo probabilmente da una derivazione dialettale. Fu molto venerato a Genova e dopo s. Siro fu il vescovo con il maggior culto tributato. La sua festa si celebrava un tempo il 13 ottobre, per tradizione data della sua morte, ma oggi l'arcidiocesi di Genova lo commemora il 6 novembre, insieme ai santi vescovi Valentino e Felice.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:47

San Simperto (Simberto) Vescovo

13 ottobre

Martirologio Romano: Ad Augsburg nella Baviera in Germania, san Simberto, che fu vescovo e abate di Murbach.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:54

San Teofilo di Antiochia Vescovo

13 ottobre

Sec. II

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Commemorazione di san Teófilo, vescovo di Antiochia, uomo di grandissima cultura, che tenne, sesto dopo il beato Apostolo Pietro, il pontificato di questa Chiesa e scrisse un’opera contro Marcione per difendere la retta fede.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  

San Teofilo, Vescovo di Antiochia, fu autore di molte opere, alcune delle quali ci sono pervenute, mentre di altre conosciamo soltanto il titolo.
Dalle pagine di queste opere, possiamo riudire la parola del Santo, in difesa della dottrina e della fede cristiana, anche allora oggetto di accuse da parte dei miscredenti e dei viziosi.
" Ma se tu mi dici - scriveva l'antico Vescovo: - Mostrami il tuo Dio, io ti dirò: Mostrami il tuo uomo, e io ti mostrerò il mio Dio. Mostrami dunque che vedono chiaro, gli occhi della tua anima, e che bene intendono gli orecchi del tuo cuore...
" Dio si mostra a coloro che possono vederlo, quando hanno aperti gli occhi dell'anima. Tutti hanno i loro bravi occhi, ma qualcuno li ha velati, incapaci di vedere la luce del sole. Il fatto però che i ciechi non vedono, non dimostra affatto come la luce del sole non appaia. I ciechi se la prendano con loro stessi, e con i loro occhi.
" Allo stesso modo, ragazzo mio, se tu hai gli occhi dell'anima velati dalle tue colpe e dalle tue cattive abitudini, non potrai vedere la luce. Come uno specchio limpido: ecco come l'uomo deve tenere la propria anima pura.
" Se lo specchio è arrugginito, il volto dell'uomo non appare sulla sua superficie. Nello stesso modo, se l'uomo è peccatore, quest'uomo non può contemplare Dio ".
L'autore di queste frasi, che più tardi lo stesso Sant'Agostino avrebbe ripreso, era nato in una regione dell'Oriente, presso il Tigri e l'Eufrate. Era pagano, e ricevette un'educazione di stampo ellenistico. Si convertì osservando i costumi dei cristiani, chiaramente superiori a quelli dei pagani, e leggendo la Bibbia. Delle sue esperienze di convertito, e della sua conoscenza della cultura profana, si sarebbe poi servito abilmente nella polemica contro i miscredenti e i filosofi ellenizzanti.
Venne eletto Vescovo di Antiochia nel 169, e reggeva ancora il pastorale della grande città, dove lo stesso San Pietro aveva avuto la sua prima cattedra, alla morte di Marc'Aurelio, nel 180. Forse vide anche i primi anni dell'Impero di Commodo, suo successore.
Le cure apostoliche, in mezzo a una delle comunità più popolose e anche più agitate dei primo mondo cristiano, non lo distolsero dagli studi e dall'attività intellettuale. Scrisse opere polemiche, contro gli eretici del tempo, opere di catechesi, a commento delle Scritture, opere di storia, per sfrondare i miti pagani. Fu insomma un Vescovo che lasciò forte impronta della sua intelligenza e della sua cultura nella storia del tempo, come lasciò traccia della sua carità e della sua misericordia nelle anime a lui affidate.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 14:55

San Venanzio di Tours Abate

13 ottobre

Martirologio Romano: A Tours nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Venanzio, abate, che, sposatosi in giovane età, si recò alla basilica di San Martino e, rimasto colpito dalla vita dei monaci, con il consenso della moglie scelse di vivere tra loro in Cristo.


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