15 luglio

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Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:19

Sant' Abudemio Martire

15 luglio

Etimologia: Nome di etimologia incerta e di provenienza orientale

Martirologio Romano: Nell’isola di Ténedo nel mare Egeo davanti alle coste dell’Ellesponto, sant’Abudemio, martire.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:20

Sant' Andrea Nguyen Kim Thong Nam Martire

15 luglio

Martirologio Romano: Nella provincia di Mỹ Tho in Cocincina, ora Viet Nam, sant’Andrea Nguyễn Kim Thông Nam (Nam Thuông), martire, che, catechista, condannato dopo il carcere all’esilio sotto l’imperatore Tự Đức, legato con catene e caricato di una trave, portò a compimento durante il viaggio il suo martirio.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:20

Beata Anna Maria Javohey Fondatrice

15 luglio

Jallongers (Francia), 10 novembre 1779 - Parigi, 15 luglio 1851

Fondò a Parigi la Congregazione Cluniacense delle Suore di San Giuseppe, dedicate alla cura degli infermi e alla formazione cristiana della gioventù femminile.

Martirologio Romano: A Parigi in Francia, beata Anna Maria Javouhey, vergine, che fondò la Congregazione Cluniacense delle Suore di San Giuseppe per la cura dei malati e la formazione cristiana della gioventù femminile, diffondendola nelle terre di missione.


Quinta di dieci figli, Anna Maria Javouhey nacque il 10 novembre 1779 a Jallongers vicino Seurre in Francia. A sette anni “Nanette” seguì la famiglia trasferitasi a Chamblanc; nel 1789 fece la Prima Comunione e poté vedere gli sconvolgimenti sociali e la crisi religiosa scaturita in quegli anni, dalla Rivoluzione Francese e con l’imposizione della Costituzione civile del clero, con alcuni ecclesiastici che aderirono e altri no.
Ed è proprio uno di questi, l’abate Ballanche, che col suo apostolato semiclandestino, diventa il suo consigliere e guida; Anna a partire dall’11 novembre 1798, prende ad interessarsi dell’educazione dei fanciulli e con molta premura degli ammalati poveri.
Desiderosa di consacrarsi completamente a Dio, ricerca un Ordine religioso che possa soddisfare la sua vocazione; entra per primo nel noviziato delle Sorelle della Carità, fondate da s. Giovanna Antida Thouret, nel settembre-novembre 1800 a Besançon; poi nel 1803 va in Svizzera ed entra nella Trappa diretta da Agostino de Lastrange.
Ma nel giugno 1804 ritorna a Chamblanc per unirsi a tre sorelle anch’esse desiderose di consacrarsi a Dio; il 14 aprile 1805 giorno di Pasqua, le quattro sorelle fanno benedire ed approvare i loro progetti dal papa Pio VII che era di passaggio a Chalon-sur-Saône, di ritorno da Parigi, dove il 2 dicembre 1804 aveva consacrato Napoleone imperatore.
Così preso coraggio, aprono a Chalon nel 1806, una scuola denominata “Associazione S. Giuseppe”, intanto il 12 dicembre 1806 Napoleone firma l’autorizzazione della piccola Comunità, così nel maggio 1807, le quattro sorelle Javouhey e altre cinque suore, pronunciano i voti nella chiesa di S. Pietro, eleggendo Anna come superiora, la quale aggiunse al suo nome quello di Maria e adotta come abito quello blu delle vignaiole di Borgogna.
Dopo essere stata alloggiata per cinque anni nel vecchio monastero di Autun, l’Associazione S. Giuseppe, si sposta nel giugno 1812 a Cluny nell’ex convento dei Recolletti, vicino alla celebre abbazia di S. Pietro. Da questo luogo la Fondazione, prenderà il nome di Congregazione delle “Suore di S. Giuseppe di Cluny”.
Da lì madre Javouhey intraprenderà altre iniziative di diffusione della Comunità, così il 10 gennaio 1817 le prime quattro suore sbarcano nell’isola Bourbon; re Luigi XVIII intanto conferma l’esistenza della sua Congregazione e le abilita all’insegnamento e all’assistenza ospedaliera.
Dopo aver fondato vari istituti in Francia, madre Anna Maria s’imbarca a Rochefort il 1° febbraio 1823 per raggiungere il Senegal dove fonderà quattro comunità; ritornata in Francia nel 1824, l’operosa superiora si dedica alla redazione degli Statuti dell’Associazione, che saranno approvati nelle varie sedi negli anni 1825, 1827 e 1829.
A lei si rivolse il ministro della Marina Chabrol, per offrirle di ricostituire nella Guyana Francese, l’antica fondazione della “Nouvelle-Angoulême” e madre Javouhey accetta, così il 28 giugno 1828 lascia Brest e sbarca a Cayenna il 10 agosto. Trascorse in quel clima tropicale, cinque anni di sacrifici per ricostituire il centro ed il villaggio di La Massa a 200 km da Cayenna.
Nel 1883 ritorna a Cluny per risolvere delle controversie sorte con il vescovo di Autun sulla giurisdizione della Fondazione; il 26 dicembre 1835 torna in Guyana e là con circa 500 schiavi demaniali liberati, si occupa nuovamente di La Massa, che è divenuto un centro di educazione dei negri, per farli usufruire al meglio della loro libertà e del loro lavoro.
Nel 1843 lascia i suoi amati negri per ritornare in Francia, per trattare i numerosi problemi spirituali, suscitati dalla sua opera; aprì un secondo noviziato a Parigi, che diverrà l’attuale Casa Madre.
Il suo lavoro continuò fino all’esaurimento delle sue forze, finché madre Anna Maria morì a Parigi il 15 luglio 1851e seppellita a Senlis, nella grande cappella della Congregazione. Fu una donna eccezionale, basti pensare che per una donna era una cosa fuor del comune in quei tempi, percorrere 45.000 km attraverso i mari e con i velieri di allora; in anticipo sui tempi, la madre Javouhey lavorò con tutte le sue forze alla promozione umana e cristiana della razza nera, subito capì la necessità di un clero locale, così fece preparare al sacerdozio i primi tre preti senegalesi, ordinati a Parigi nel 1840 e una giovane ex schiava delle Antille, divenne suora della Congregazione e visse e morì nell’isola di S. Lucia nei Carabi.
Ebbe l’intuizione profetica delle Chiese locali, segni visibili dell’universalità della Chiesa; fin dal 1817 mandò le sue figlie in ogni parte del mondo, nonostante le vicende spesso non favorevoli della Storia.
Papa Pio XI le conferì il titolo di “prima donna missionaria” per il suo impegno nell’evangelizzazione delle terre lontane.
Donna dall’intelligenza sorprendentemente pratica, dalla volontà di ferro, dalla forte personalità, è bene descritta da una frase del re di Francia, Luigi Filippo (1835): “La signora Javouhey, ma è un grand’uomo”.
Come ogni fondatore, madre Javouhey ha lasciato alle Suore di S. Giuseppe di Cluny, uno “spirito” ossia il modo di amare Dio e un “progetto particolare” ossia il modo di servire la Chiesa e il mondo; questi due elementi costituiscono il patrimonio di famiglia.
La causa per la sua beatificazione fu introdotta a Roma il 13 febbraio 1908; è stata beatificata il 15 ottobre 1950 in San Pietro da papa Pio XII.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:21

Sant' Ansuero di Ratzeburg Abate e martire

15 luglio

Martirologio Romano: A Ratzeburg nell’Alsazia, ora in Germania, sant’Ansuero, abate e martire, che fu lapidato con altri ventotto monaci dai Vinédi insorti contro i predicatori della fede cristiana.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:22

Beato Antonio Beszta-Borowski Sacerdote e martire

15 luglio

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Borowskie Olki, Polonia, 9 settembre 1880 – Piliki, Polonia, 15 luglio 1943

Il beato Antoni Beszta-Borowski, sacerdote diocesano, nacque a Borowskie Olki (Bialystok), Polonia, il 9 settembre 1880 e morì a Piliki, Polonia, il 15 luglio 1943. Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Martirologio Romano: Nella cittadina di Bielsk Podlaski in Polonia, beato Antonio Beszta-Borowski, sacerdote e martire, che, durante la guerra, fu arrestato da nemici della fede e morì fucilato per Cristo.




Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:22

Sant' Atanasio di Napoli Vescovo

15 luglio

Martirologio Romano: A Napoli, sant’Atanasio, vescovo, che, dopo aver sofferto molto da parte del suo empio nipote Sergio, fu scacciato dalla sua sede e passò al cielo a Veroli tra i monti Ernici nel Lazio afflitto dalle tribolazioni.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:23

San Bonaventura Vescovo e dottore della Chiesa

15 luglio

Bagnoregio, Viterbo, 1218 - Lione, Francia, 15 luglio 1274

Giovanni Fidanza nacque a Bagnoregio (Viterbo) nel 1218. Bambino fu guarito da san Francesco, che avrebbe esclamato: « Oh bona ventura ». Gli rimase per nome ed egli fu davvero una «buona ventura» per la Chiesa. Studiò a Parigi e durante il suo soggiorno in Francia, entrò nell'Ordine dei Frati Minori. Insegnò teologia all'università di Parigi e formò intorno a sé una reputatissima scuola. Nel 1257 venne eletto generale dell'Ordine francescano, carica che mantenne per diciassette anni con impegno al punto da essere definito secondo fondatore dell'Ordine. Scrisse numerose opere di carattere teologico e mistico ed importante fu la «Legenda maior», biografia ufficiale di San Francesco, a cui si ispirò Giotto per il ciclo delle Storie di San Francesco. Fu nominato vescovo di Albano e cardinale. Partecipò al II Concilio di Lione che, grazie anche al suo contributo, segnò un riavvicinamento fra Chiesa latina e Chiesa greca. Proprio durante il Concilio, morì a Lione, il 15 luglio 1274. (Avvenire)

Patronato: Fattorini

Etimologia: Bonaventura = fortunato, significato intuitivo

Emblema: Bastone pastorale, cappello da cardinale

Martirologio Romano: Memoria della deposizione di san Bonaventura, vescovo di Albano e dottore della Chiesa, che rifulse per dottrina, santità di vita e insigni opere al servizio della Chiesa. Resse con saggezza nello spirito di san Francesco l’Ordine dei Minori, di cui fu ministro generale. Nei suoi molti scritti unì una somma erudizione a una ardente pietà. Mentre si adoperava egregiamente per il II Concilio Ecumenico di Lione, meritò di giungere alla visione beata di Dio.

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Catechesi di Benedetto XVI all’udienza generale di mercoledì 3 marzo 2010

Cari fratelli e sorelle,
quest’oggi vorrei parlare di san Bonaventura da Bagnoregio. Vi confido che, nel proporvi questo argomento, avverto una certa nostalgia, perché ripenso alle ricerche che, da giovane studioso, ho condotto proprio su questo autore, a me particolarmente caro. La sua conoscenza ha inciso non poco nella mia formazione. Con molta gioia qualche mese fa mi sono recato in pellegrinaggio al suo luogo natio, Bagnoregio, una cittadina italiana, nel Lazio, che ne custodisce con venerazione la memoria.
Nato probabilmente nel 1217 e morto nel 1274, egli visse nel XIII secolo, un’epoca in cui la fede cristiana, penetrata profondamente nella cultura e nella società dell’Europa, ispirò imperiture opere nel campo della letteratura, delle arti visive, della filosofia e della teologia. Tra le grandi figure cristiane che contribuirono alla composizione di questa armonia tra fede e cultura si staglia appunto Bonaventura, uomo di azione e di contemplazione, di profonda pietà e di prudenza nel governo.
Si chiamava Giovanni da Fidanza. Un episodio che accadde quando era ancora ragazzo segnò profondamente la sua vita, come egli stesso racconta. Era stato colpito da una grave malattia e neppure suo padre, che era medico, sperava ormai di salvarlo dalla morte. Sua madre, allora, ricorse all’intercessione di san Francesco d’Assisi, da poco canonizzato. E Giovanni guarì.
La figura del Poverello di Assisi gli divenne ancora più familiare qualche anno dopo, quando si trovava a Parigi, dove si era recato per i suoi studi. Aveva ottenuto il diploma di Maestro d’Arti, che potremmo paragonare a quello di un prestigioso Liceo dei nostri tempi. A quel punto, come tanti giovani del passato e anche di oggi, Giovanni si pose una domanda cruciale: “Che cosa devo fare della mia vita?”. Affascinato dalla testimonianza di fervore e radicalità evangelica dei Frati Minori, che erano giunti a Parigi nel 1219, Giovanni bussò alle porte del Convento francescano di quella città, e chiese di essere accolto nella grande famiglia dei discepoli di san Francesco. Molti anni dopo, egli spiegò le ragioni della sua scelta: in san Francesco e nel movimento da lui iniziato ravvisava l’azione di Cristo. Scriveva così in una lettera indirizzata ad un altro frate: “Confesso davanti a Dio che la ragione che mi ha fatto amare di più la vita del beato Francesco è che essa assomiglia agli inizi e alla crescita della Chiesa. La Chiesa cominciò con semplici pescatori, e si arricchì in seguito di dottori molto illustri e sapienti; la religione del beato Francesco non è stata stabilita dalla prudenza degli uomini, ma da Cristo” (Epistula de tribus quaestionibus ad magistrum innominatum, in Opere di San Bonaventura. Introduzione generale, Roma 1990, p. 29).
Pertanto, intorno all’anno 1243 Giovanni vestì il saio francescano e assunse il nome di Bonaventura. Venne subito indirizzato agli studi, e frequentò la Facoltà di Teologia dell’Università di Parigi, seguendo un insieme di corsi molto impegnativi. Conseguì i vari titoli richiesti dalla carriera accademica, quelli di “baccelliere biblico” e di “baccelliere sentenziario”. Così Bonaventura studiò a fondo la Sacra Scrittura, le Sentenze di Pietro Lombardo, il manuale di teologia di quel tempo, e i più importanti autori di teologia e, a contatto con i maestri e gli studenti che affluivano a Parigi da tutta l’Europa, maturò una propria riflessione personale e una sensibilità spirituale di grande valore che, nel corso degli anni successivi, seppe trasfondere nelle sue opere e nei suoi sermoni, diventando così uno dei teologi più importanti della storia della Chiesa. È significativo ricordare il titolo della tesi che egli difese per essere abilitato all’insegnamento della teologia, la licentia ubique docendi, come si diceva allora. La sua dissertazione aveva come titolo Questioni sulla conoscenza di Cristo. Questo argomento mostra il ruolo centrale che Cristo ebbe sempre nella vita e nell’insegnamento di Bonaventura. Possiamo dire senz’altro che tutto il suo pensiero fu profondamente cristocentrico.
In quegli anni a Parigi, la città di adozione di Bonaventura, divampava una violenta polemica contro i Frati Minori di san Francesco d’Assisi e i Frati Predicatori di san Domenico di Guzman. Si contestava il loro diritto di insegnare nell’Università, e si metteva in dubbio persino l’autenticità della loro vita consacrata. Certamente, i cambiamenti introdotti dagli Ordini Mendicanti nel modo di intendere la vita religiosa, di cui ho parlato nelle catechesi precedenti, erano talmente innovativi che non tutti riuscivano a comprenderli. Si aggiungevano poi, come qualche volta accade anche tra persone sinceramente religiose, motivi di debolezza umana, come l’invidia e la gelosia. Bonaventura, anche se circondato dall’opposizione degli altri maestri universitari, aveva già iniziato a insegnare presso la cattedra di teologia dei Francescani e, per rispondere a chi contestava gli Ordini Mendicanti, compose uno scritto intitolato La perfezione evangelica. In questo scritto dimostra come gli Ordini Mendicanti, in specie i Frati Minori, praticando i voti di povertà, di castità e di obbedienza, seguivano i consigli del Vangelo stesso. Al di là di queste circostanze storiche, l’insegnamento fornito da Bonaventura in questa sua opera e nella sua vita rimane sempre attuale: la Chiesa è resa più luminosa e bella dalla fedeltà alla vocazione di quei suoi figli e di quelle sue figlie che non solo mettono in pratica i precetti evangelici ma, per la grazia di Dio, sono chiamati ad osservarne i consigli e testimoniano così, con il loro stile di vita povero, casto e obbediente, che il Vangelo è sorgente di gioia e di perfezione.
Il conflitto fu acquietato, almeno per un certo tempo, e, per intervento personale del Papa Alessandro IV, nel 1257, Bonaventura fu riconosciuto ufficialmente come dottore e maestro dell’Università parigina. Tuttavia egli dovette rinunciare a questo prestigioso incarico, perché in quello stesso anno il Capitolo generale dell’Ordine lo elesse Ministro generale.
Svolse questo incarico per diciassette anni con saggezza e dedizione, visitando le province, scrivendo ai fratelli, intervenendo talvolta con una certa severità per eliminare abusi. Quando Bonaventura iniziò questo servizio, l’Ordine dei Frati Minori si era sviluppato in modo prodigioso: erano più di 30.000 i Frati sparsi in tutto l’Occidente con presenze missionarie nell’Africa del Nord, in Medio Oriente, e anche a Pechino. Occorreva consolidare questa espansione e soprattutto conferirle, in piena fedeltà al carisma di Francesco, unità di azione e di spirito. Infatti, tra i seguaci del santo di Assisi si registravano diversi modi di interpretarne il messaggio ed esisteva realmente il rischio di una frattura interna. Per evitare questo pericolo, il Capitolo generale dell’Ordine a Narbona, nel 1260, accettò e ratificò un testo proposto da Bonaventura, in cui si raccoglievano e si unificavano le norme che regolavano la vita quotidiana dei Frati minori. Bonaventura intuiva, tuttavia, che le disposizioni legislative, per quanto ispirate a saggezza e moderazione, non erano sufficienti ad assicurare la comunione dello spirito e dei cuori. Bisognava condividere gli stessi ideali e le stesse motivazioni. Per questo motivo, Bonaventura volle presentare l’autentico carisma di Francesco, la sua vita ed il suo insegnamento. Raccolse, perciò, con grande zelo documenti riguardanti il Poverello e ascoltò con attenzione i ricordi di coloro che avevano conosciuto direttamente Francesco. Ne nacque una biografia, storicamente ben fondata, del santo di Assisi, intitolata Legenda Maior, redatta anche in forma più succinta, e chiamata perciò Legenda minor. La parola latina, a differenza di quella italiana, non indica un frutto della fantasia, ma, al contrario, “Legenda” significa un testo autorevole, “da leggersi” ufficialmente. Infatti, il Capitolo generale dei Frati Minori del 1263, riunitosi a Pisa, riconobbe nella biografia di san Bonaventura il ritratto più fedele del Fondatore e questa divenne, così, la biografia ufficiale del Santo.
Qual è l’immagine di san Francesco che emerge dal cuore e dalla penna del suo figlio devoto e successore, san Bonaventura? Il punto essenziale: Francesco è un alter Christus, un uomo che ha cercato appassionatamente Cristo. Nell’amore che spinge all’imitazione, egli si è conformato interamente a Lui. Bonaventura additava questo ideale vivo a tutti i seguaci di Francesco. Questo ideale, valido per ogni cristiano, ieri, oggi, sempre, è stato indicato come programma anche per la Chiesa del Terzo Millennio dal mio Predecessore, il Venerabile Giovanni Paolo II. Tale programma, egli scriveva nella Lettera Novo Millennio ineunte, si incentra “in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste” (n. 29).
Nel 1273 la vita di san Bonaventura conobbe un altro cambiamento. Il Papa Gregorio X lo volle consacrare Vescovo e nominare Cardinale. Gli chiese anche di preparare un importantissimo evento ecclesiale: il II Concilio Ecumenico di Lione, che aveva come scopo il ristabilimento della comunione tra la Chiesa Latina e quella Greca. Egli si dedicò a questo compito con diligenza, ma non riuscì a vedere la conclusione di quell’assise ecumenica, perché morì durante il suo svolgimento. Un anonimo notaio pontificio compose un elogio di Bonaventura, che ci offre un ritratto conclusivo di questo grande santo ed eccellente teologo: “Uomo buono, affabile, pio e misericordioso, colmo di virtù, amato da Dio e dagli uomini… Dio infatti gli aveva donato una tale grazia, che tutti coloro che lo vedevano erano pervasi da un amore che il cuore non poteva celare” (cfr J.G. Bougerol, Bonaventura, in A. Vauchez (a cura), Storia dei santi e della santità cristiana. Vol. VI. L’epoca del rinnovamento evangelico, Milano 1991, p. 91).
Raccogliamo l’eredità di questo santo Dottore della Chiesa, che ci ricorda il senso della nostra vita con le seguenti parole: “Sulla terra… possiamo contemplare l’immensità divina mediante il ragionamento e l’ammirazione; nella patria celeste, invece, mediante la visione, quando saremo fatti simili a Dio, e mediante l’estasi … entreremo nel gaudio di Dio” (La conoscenza di Cristo, q. 6, conclusione, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 187)



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:24

Santi Catulino e compagni Martiri

15 luglio

Martirologio Romano: Sempre nello stesso luogo, commemorazione dei santi Catulino, diacono e martire, in onore del quale sant’Agostino tenne un sermone al popolo, e altri martiri, che riposano nella basilica di Fausto.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:25

Beato Ceslao di Cracovia Domenicano

15 luglio

Cracovia, Polonia, 1180 c. - Wroclaw, 17 luglio 1242

Nacque in Slesia probabilmente nel 1180, passò la giovinezza a Cracovia. Nel 1220 faccompagnò insieme a san Giacinto, il vescovo di Cracovia Ivo Odrowaz a Roma. Lì conobbe san Domenico Guzman e assistette alla miracolosa resurrezione ddi un giovane operata dallo stesso Domenico. Giacinto e Ceslao decisero di entrare nell'ordine dei Predicatori, e furono mandati in Polonia per erigere nuove fondazioni. Durante il viaggio di ritorno si fermò a Praga dove fondò la casa domenicana presso la chiesa di San Clemente, prima di fare ritorno a Cracovia. Nel 1232 Ceslao diventò padre provinciale della Polonia. Girò per altri quattro anni per tutta la Slesia e la Polonia fondando case, finché nel 1236 si dimise e, tornò a Wroclaw, dove nel 1241 fu partecipe della liberazione della città dall'assedio dei tartari. Morì il 17 luglio 1242 e fu sepolto nella chiesa di Sant'Adalberto. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Breslavia in Slesia, nell’odierna Polonia, beato Cesláo, sacerdote tra i primi frati dell’Ordine dei Predicatori, che operò per il regno di Dio in Slesia e altre regioni della Polonia.


Nacque in Slesia probabilmente nel 1180, passò la giovinezza a Cracovia in una Polonia che ripresasi dalle invasioni mongole, ricresceva in quel cristianesimo introdotto due secoli prima dal re Miecislao I e che avrebbe poi avuto la grande fioritura sotto il re Casimiro il Grande.
I suoi studi iniziati a Cracovia proseguirono nelle Università di Parigi e Bologna, le maggiori in quell’epoca; fu ordinato sacerdote dal vescovo Vincenzo Kadlubek di Cracovia, nel cui ambiente aveva maturato la sua cultura intellettuale e spirituale, giacché era uno dei primi, gli fu affidata la Collegiata di Sandomierz.
Nel 1220 si presentò la grande occasione della sua vita, fu destinato ad accompagnare insieme a s. Giacinto, il vescovo di Cracovia Ivo Odrowaz a Roma, lì conobbe s. Domenico Guzman e assisté alla miracolosa resurrezione del giovane Napoleone nipote del cardinale Stefano, operata dallo stesso s. Domenico.
Allora Giacinto e Ceslao decisero di entrare nell’ordine dei Predicatori, furono così inviati a Bologna dove rimasero per un certo tempo, nel 1221 i suoi superiori di Bologna mandarono Ceslao insieme ad altri monaci in Polonia per erigere nuove fondazioni.
Durante il viaggio di ritorno si fermò a Praga dove fondò la casa domenicana presso la chiesa di s. Clemente, giunto a Cracovia vi operò per molti anni presso la chiesa della SS. Trinità, nel monastero da poco fondato da altri confratelli nel 1222.
Da lì passò a Wroclaw dove rimase per sette anni come superiore diventando nel 1232 padre provinciale della Polonia. Girò per altri quattro anni per tutta la Slesia e la Polonia fondando case, finché nel 1236 si dimise, costretto dall’esaurimento delle forze, da tutte le cariche, tornò a Wroclaw, dove nel 1241 fu partecipe della liberazione della città dall’assedio dei tartari. Morì il 17 luglio 1242 e fu sepolto nella chiesa di s. Adalberto. Papa Clemente XI confermò il culto il 27 agosto 1712 e papa Benedetto XIV nel 1748 fissò il giorno della sua celebrazione al 20 luglio. L'Ordine Domenicano lo ricorda il 17 luglio mentre il Martyrologium Romanum lo indica al 15 luglio.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:26

San Davide di Svezia (David di Vasteras) Monaco e vescovo

15 luglio

m. 1082

Etimologia: Davide = diletto, dall'ebraico

Emblema: Guanto, Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Västerås in Svezia, san Davide, vescovo, che, di nazionalità inglese, dopo essere divenuto monaco cluniacense, partì per convertire gli Svedesi a Cristo e, ormai anziano, morì piamente nel monastero da lui stesso fondato.


Vi sono ben 18 santi con questo nome riportati dall’autorevole “Bibliotheca Sanctorum”, questo sta a dimostrarci la grande devozione che in ogni tempo, sia in Oriente che in Occidente, si è avuta in onore del grande profeta biblico.
Il Davide o meglio David che si celebra il 15 luglio fu vescovo di Västeras in Svezia, egli era un monaco cluniacense di origine anglosassone mandato verso il 1020 come missionario nella terra svedese.
Lavorò evangelizzando gli svedesi ancora pagani a partire dal Sud e poi nella Regione Centro-orientale del paese; abitò nel luogo dove ora sorge la chiesa di Munkathorp che con il suo nome ricorda appunto il monaco (munk) che battezzava i nuovi convertiti nell’acqua di una vicina sorgente.
Nella storia ecclesiastica della Svezia viene ricordato come l’apostolo del Västmanland e primo vescovo di Västerås. Probabilmente morì nel 1082 e il suo corpo fu sepolto a Munkathorp; quattro secoli dopo nel 1463 fu traslato nella cattedrale della sua sede vescovile.
Purtroppo come per altre reliquie di santi cattolici, quando in Svezia subentrò il luteranesimo, esse furono prese e sepolte nel cimitero e il suo sarcofago distrutto.
Il suo simbolo è un guanto, perché una leggenda dice che una volta appese i suoi guanti ad un raggio di sole.
Festa liturgica il 15 luglio.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:26

Santi Eutropio, Zosima e Bonosa Martiri

15 luglio

Martirologio Romano: Presso l’odierna Fiumicino, santi Eutropio, Zosima e Bonosa, martiri.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:27

San Felice di Tubzak Vescovo e martire

15 luglio

Tubzak, 247 ca. – Cartagine, 15 luglio 303

Patronato: Venosa (PZ)

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, sulla via detta degli Scillitani nella basilica di Fausto, deposizione di san Felice, vescovo di Tubzak e martire, che, ricevuto dal procuratore Magniliano l’ordine di dare alle fiamme i libri della Bibbia, rispose che avrebbe bruciato se stesso piuttosto che la Sacra Scrittura e fu per questo trafitto con la spada dal proconsole Anulino.


E’ un santo martire venerato a Venosa (PZ); la ‘passio’ originale scritta da un contemporaneo, è stata probabilmente elaborata in altre ‘passiones’ scritte da autori dell’Italia Meridionale, per cui il luogo del martirio del vescovo africano Felice è trasferito da Cartagine a Venosa in Basilicata o a Nola in Campania; a loro volta queste ‘passiones’ sono state poi riassunte in vari Martirologi con altre deformazioni ed aggiunte.
Lo studioso agiografo Delahaye ha cercato di togliere gli elementi leggendari, presentando la seguente redazione originale.
Nel giugno del 303, il magistrato di una località vicino Cartagine, Tubzak o Thibinca oggi Zoustina, eseguendo gli ordini imperiali, fece convocare in tribunale il prete Afro ed i lettori Cirillo e Vitale, chiedendo loro di consegnare i libri sacri, essi risposero che erano in possesso del vescovo Felice, in quel giorno assente dalla città.
Il giorno seguente fu la volta del vescovo, il quale oppose un netto rifiuto alla richiesta del magistrato; gli fu dato tre giorni di tempo per riflettere, trascorsi i quali Felice venne inviato a Cartagine dal proconsole Anulino.
Dopo 15 giorni di carcere, alla nuova richiesta di consegnare i libri sacri, il vescovo si rifiutò ancora e pertanto venne condannato alla decapitazione, aveva 56 anni; la sentenza fu eseguita il 15 luglio del 303; il suo corpo venne sepolto nella basilica di Fausto, celebre per i molti corpi dei martiri lì sepolti.
In alcuni Martirologi è ricordato il 30 agosto, forse confuso con i santi romani Felice ed Adautto e in altri al 24 ottobre.
La moderna edizione del ‘Martyrologium Romanum’ lo riporta al 15 luglio, giorno del suo martirio. A questo punto aggiungiamo qualche nota per comprendere il perché del culto di s. Felice in Italia Meridionale; può essere dipeso dalla presenza di reliquie del martire africano a Venosa, per cui le aggiunte leggendarie dicono che dopo l’interrogatorio, il proconsole Anulino non l’avrebbe fatto decapitare, ma lo avrebbe invece inviato in Italia, dove Felice transitò per Agrigento, Taormina, Catania, Messina ed infine a Venosa, dove il prefetto lo fece decapitare.
Un’altra versione dice che fu inviato a Roma e condannato come schiavo a seguire gl’imperatori, per cui giunto a Nola venne ucciso il 29 luglio; le reliquie furono poi trasferite a Cartagine.
A seconda delle versioni gli vengono affiancati nel martirio altri compagni: il prete Gennaro ed i lettori Fortunanzio e Settimio; Adautto; Gennaro, Fortunanziano e Settimino. Con ogni probabilità si tratta di santi africani, protagonisti delle vicende leggendarie di varie città meridionali, che hanno sostituito e venerato a Venosa, Afro e compagni, citati nell’originaria ‘passio’.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:28

Santi Filippo e dieci infanti Martiri

15 luglio

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, santi martiri Filippo e dieci bambini.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:28

San Giacomo di Nisibi Vescovo

15 luglio

Martirologio Romano: A Nisibi in Mesopotamia, nel territorio dell’odierna Turchia, san Giacomo, primo vescovo di questa città, che partecipò al Concilio di Nicea e governò in pace il suo gregge, nutrendolo e difendendolo dall’assalto dei nemici della fede.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:29

San Giuseppe Studita di Tessalonica Martire

15 luglio

Martirologio Romano: Nella Tessaglia in Grecia, transito di san Giuseppe, vescovo di Salonicco, fratello di san Teodoro Studita: dapprima monaco, compose moltissimi inni; quindi, non appena elevato all’episcopato, patì molte e aspre difficoltà per difendere la disciplina ecclesiastica e il culto delle sacre immagini e, relegato in esilio in Tessaglia, vi morì oppresso dalla fame.


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00giovedì 15 luglio 2010 14:30

San Gumberto di Ansbach Abate

15 luglio

Martirologio Romano: Ad Ansbach in Franconia, ora in Germania, san Gumberto, abate, che fondò nella sua villa questo cenobio.


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00giovedì 15 luglio 2010 14:30

Beato Ignazio de Azevedo e 39 compagni Gesuiti, martiri

15 luglio

Oporto (Portogallo), 1527 - Arcipelago delle Canarie, 15 luglio 1570

Martirologio Romano: Passione dei beati martiri Ignazio de Azevedo, sacerdote, e trentotto compagni della Compagnia di Gesù, che, mentre si dirigevano verso le missioni in Brasile su una nave chiamata San Giacomo, furono assaliti dai pirati e in odio alla religione cattolica trafitti con spada e lancia.


Pur essendo stati proclamati “Protettori del Brasile” nel 1574, questi 40 martiri gesuiti in realtà provenivano dal Portogallo e Spagna e morirono uccisi a nove miglia dalla costa delle Canarie, mentre erano diretti in Brasile, senza aver messo piede a terra, ma il desiderio di evangelizzare quelle popolazioni, che li aveva spinti ad intraprendere il lunghissimo e pericoloso viaggio per mare, disposti a dare la loro vita, fa ben meritare il titolo di ‘protettori’ che il Brasile ha loro attribuito.
Ignazio de Azevedo nacque nel 1527 presso Oporto in Portogallo da una famiglia nobile; a 21 anni, il 28 dicembre 1548, entrò fra i Gesuiti di Coimbra; nell’Ordine, fondato da s. Ignazio di Loyola si affermò per la sua genuina fede ed operosità, diventando per parecchi mesi rettore dei Collegi gesuiti di Lisbona e di Braga; nel 1558 fu anche Vice Provinciale dell’Ordine nel Portogallo.
Nel 1566 Ignazio de Azevedo fu inviato come Visitatore nella Missione del Brasile, dove i Gesuiti, giunti lì appena 17 anni prima, al seguito dei colonizzatori portoghesi, già avevano stabilito alcune Case anche in mezzo alle tribù dei cannibali.
Dopo tre anni di permanenza nelle missioni brasiliane, egli ritornò a Roma nel 1569, per relazionare sulle esperienze fatte, chiese con insistenza al Generale dei Gesuiti di allora, s. Francesco Borgia (1510-1572) di inviare nuovi e numerosi missionari, essendo il Brasile sconfinato come territorio e con tanta possibilità di evangelizzazione fra quei popoli non cristiani.
Ottenne l’incarico di raccogliere nelle Province gesuitiche del Portogallo e di Spagna, quanti più religiosi adatti e giovani si offrissero e poi ripartire per il Brasile con la carica di Provinciale. Ignazio ne radunò 68 con i quali si ritirò a Valle delle Rose presso Lisbona, per prepararli alle future fatiche, in un periodo durato cinque mesi.
Nei primi giorni del mese di giugno 1570, era pronta a salpare una flotta di otto navi, che nel piano di colonizzazione portoghese, dovevano portare e scortare nel Brasile, il viceré don Luigi de Vasconcellos e a queste navi si aggregò anche la “S. Giacomo”, noleggiata da Ignazio de Azevedo per il suo gruppo di missionari, i quali furono divisi in tre gruppi: Ignazio con altri 39 sulla nave “S. Giacomo”, 20 sulla nave ammiraglia e tre su un’altra nave con il compito di fare catechismo ad alcune centinaia di fanciulli orfani, di ambo i sessi, raccolti per popolare la colonia.
La flotta partì il 5 giugno e raggiunse il 12 dello stesso mese, l’isola portoghese di Madera nell’Atlantico, di fronte alle coste dell’Africa settentrionale; attendendo per ripartire venti favorevoli, per ordine del viceré.
Il capitano della “S. Giacomo” per interessi commerciali, preferì puntare prima del Brasile, su Las Palmas nelle Isole Canarie che dal 1476 erano colonie spagnole. Ignazio deciso anche lui a proseguire, anche senza la protezione della flotta, conscio del pericolo delle navi corsare che imperversavano sui mari in quei tempi, lasciò liberi i missionari di seguirlo, quattro rinunciarono, subito sostituiti con altri quattro tolti dalla nave ammiraglia.
La “S. Giacomo”, salpata da Madera il 30 giugno poté navigare agevolmente con i venti a favore, ma arrivati a nove miglia dalla costa, nell’arcipelago delle Canarie, verso la metà di luglio 1570, dovette fermarsi per la bonaccia (mancanza di vento). Qui fu attaccata da cinque navi corsare, guidate da ugonotti (così chiamati in Francia i protestanti seguaci di Calvino, protagonisti delle guerre di religione dal 1562 al 1598) comandati dal corsaro francese Giacomo Souríe; i corsari ebbero l’ordine di risparmiare l’equipaggio ed i passeggeri ma di sterminare gli odiati gesuiti.
Infatti i 40 religiosi meno uno, il quattordicenne Giovanni Sanchez, che essendo cuoco serviva agli stessi pirati, furono massacrati a colpi di spada e lancia e buttati in mare, morti o moribondi. Essi comunque divennero lo stesso 40, perché il giovane figlio del comandante della nave Giovanni Sanjoaninho, indossata furtivamente la veste talare di uno degli uccisi, fu preso per uno dei religiosi e ucciso; per essersi aggiunto ai martiri fu chiamato anche Giovanni Adauto.
Il martirio avvenne il 15 luglio 1570 tranne per uno, che fu ucciso il giorno dopo. Si narra che ad Avila in Spagna, la carmelitana s. Teresa di Gesù, in un’estasi, vide uno dei martiri, il cugino Francesco Pérez Godoy salire in cielo con i suoi compagni e ne diede comunicazione al suo confessore; le notizie poi giunte da Madera e dal Brasile, confermarono la visione.
I 40 martiri della fede, costituiti da 26 sacerdoti, 13 novizi e un candidato, furono subito venerati come martiri in Brasile, dove a Bahia ebbero una prima solenne celebrazione il 15 luglio 1574 e inoltre nei loro Paesi d’origine Portogallo e Spagna.
I successivi decreti sul culto dei Santi emanati da papa Urbano VIII nel 1625, fecero interrompere questo pubblico culto, che fu poi confermato con decreto di papa Pio IX l’11 maggio 1854, con celebrazione al 15 luglio.
Si aggiunge, che altri 14 gesuiti imbarcati sulla flotta del viceré, per altri avvenimenti succedutasi, che non possiamo narrare in questa scheda, furono uccisi da navi corsare; anche per loro è in corso il processo di beatificazione.
Per motivo di spazio si omette la lista dei 40 gesuiti, che sono classificati come i “Martiri del Brasile del 1570”, si possono comunque trovare consultando il libretto edito da ‘Jesus’ Società San Paolo, “Storia della vocazione e della missione di Ignazio di Loyola”.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:31

Beato Michele Bernardo Marchand Martire

15 luglio

Martirologio Romano: In una galera ancorata al largo di Rochefort sulla costa francese, beato Michele Bernardo Marchand, sacerdote e martire, che, durante la rivoluzione francese, condotto prigioniero da Rouen su una sordida nave a causa del suo sacerdozio, morì su di essa di malattia.


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00giovedì 15 luglio 2010 14:33

Beato Pietro Aymillo Vescovo

15 luglio

Il Beato Pietro Aymillo, vescovo dell’Ordine Mercedario, fu esempio di vita osservante nelle regole e nelle virtù. Molto stimato e uomo di grandissima santità, morì in Francia nella città di Narbona e colmo di meriti andò in Paradiso.
L’Ordine lo festeggia il 15 luglio.



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00giovedì 15 luglio 2010 14:33

San Pietro Nguyen Ba Tuan Martire

15 luglio

Martirologio Romano: Nella città di Nam Định in Tonchino, ora Viet Nam, san Pietro Nguyễn Bà Tuân, sacerdote e martire, che, detenuto in carcere per Cristo, morì oppresso dalla fame sotto l’imperatore Minh Mạng.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:34

San Plechelmo Vescovo missionario

15 luglio

Irlanda, VII sec. - St-Odilienberg, Olanda, 713 ca.

Martirologio Romano: A Roermond sulla Mosa in Austrasia, nell’odierna Olanda, san Plechelmo, vescovo, che, originario della Northumbria, annunciò a molti le ricchezze di Cristo.


Santi WIRONE, PLECHELMO e ODGERO

San Wirone o Wiro era originario dell’Irlanda, alcuni dicono della Scozia e verso la fine del secolo VII partì dalla sua patria, come missionario vescovo, per la Bassa Mosa (Olanda), insieme al vescovo missionario s. Plechelmo e del diacono s. Odgero per evangelizzare i Frisoni, popolazione di stirpe germanica, abitante nella Frisia olandese.
Pipino II di Heristal († 714) maggiordomo d’Austrasia, fece loro dono di una terra, chiamata Petersberg (Mons Sancti Petri) nella provincia di Overijssel, dove fondarono un monastero chiamato poi St-Odilienberg presso Roermond e una chiesa annessa.
La fondazione avvenne negli anni 695-700, ed è confermata dal rituale pellegrinaggio di Pipino d’Heristal a Odilienberg. I tre missionari partiti da varie regioni della Gran Bretagna, condussero nel monastero sopra citato e di cui erano i fondatori, una vita esemplare ed apostolica fra le popolazioni ancora non cristiane.
S. Wirone morì verso il 700, s. Odgero e s. Plechelmo nel 713; le reliquie di s. Odgero si trovano nella città di Odilienberg, quelle di s. Plechelmo si venerano ad Oldenzaal ed a Roermond (Limburgo olandese).
Per s. Wirone la sua tomba fu scoperta nell’agosto 1881 a Roermond; egli ebbe subito dopo la morte un culto, nel Medioevo fu patrono della diocesi di Utrecht, dal 1599 patrono di tutte le diocesi d’Olanda e oggi ancora è il patrono di varie chiese e della diocesi di Roermond.
I vari Martirologi compreso quello Romano, pongono la sua festa all’8 maggio, mentre a Roermond da tempi antichi si celebra l’11 maggio. I pellegrinaggi alla tomba di Odilienberg furono frequenti specie nel Medioevo e continuano tuttora; il monastero di Odilienberg passato poi ai Canonici Regolari, nel 1361 fu trasferito a Roermond, portando con sé le reliquie dei tre santi, che scomparvero ai tempi della Riforma Protestante.
Solo nel 1594 furono ritrovate, esse poi nel 1686 e nel 1881 furono riportate nella nuova chiesa; la testa di s. Wirone, già nel Medioevo, fu portata ad Utrecht. La ricorrenza liturgica di s. Plechelmo è al 15 luglio.


Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:35

San Pompilio Maria Pirrotti Padre Scolopio

15 luglio

Montecalvo Irpino (AV), 29 settembre 1710 - Campi Salentina, (Lecce), 15 luglio 1766

Nato a Montecalvo, in Campania, il 29 settembre 1710, Domenico Pirotti - figlio di un noto avvocato beneventano - mutò nome in Pompilio Maria, entrando, diciottenne, nell'ordine degli Scolopi. Da Napoli fu inviato a Chieti per continuare gli studi di filosofia, ma ammalatosi e nella speranza che il cambio di clima avesse potuto giovargli, fu trasferito a Melfi (Potenza) dove proseguì con successo gli studi sacri e profani, nel 1733 con la fama di teologo e non ancora sacerdote, andò a Turi (Bari), dando inizio all'insegnamento delle lettere e a quello di educatore della gioventù. Secondo il carisma dei figli di san Giuseppe Calasanzio esercitò l'apostolato nelle Scuole Pie in diverse Regioni d'Italia. La sua attività educativa verso il popolo dava fastidio, perciò venne calunniato ed espulso dal Regno di Napoli. Ritornò comunque in città, dove era amatissimo soprattutto dai bisognosi. Instancabile predicatore e uomo di carità, nutriva una fervente devozione mariana. Morì nel 1766 ed è santo dal 1934. (Avvenire)

Etimologia: Pompilio (come Pompeo e Pomponio) = (forse) quinto figlio, dal latino antico, o

Martirologio Romano: A Campi Salentina in Puglia, san Pompilio Maria Pirrotti, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie, insigne per austerità di vita.


Uno dei più grandi figli di s. Giuseppe Calasanzio (1558-1648), fondatore dei padri Scolopi nel 1617, che sono i membri della Congregazione della Madre di Dio delle Scuole Pie, da cui prendono il nome, dediti all’educazione dei fanciulli poveri.
Domenico Pirrotti, questo il suo nome di battesimo, nacque a Montecalvo Irpino (AV) il 29 settembre 1710, sesto degli undici figli di Girolamo Pirrotti e di donna Orsola Bozzuti; il padre era dottore in legge e la condizione della famiglia era di ceto nobile; ancora oggi sul portone d’ingresso dell’antico palazzo nobiliare, accanto allo scudo di famiglia, si legge: “Virtus et honor in domo Pirrotti semper”.
Giunto ai 16 anni Domenico, vincendo le resistenze dei genitori, che cullavano per lui sogni di carriera sociale, e dopo tante lagrime e preghiere rivolte al Signore, per essere illuminato nella sua scelta e dopo essersi consigliato con il suo confessore, fuggì dalla casa paterna e andò a Benevento, dal superiore del Collegio degli Scolopi di quella città, per essere ammesso in prova per divenire loro religioso.
Al padre scrisse poi una commovente lettera per spiegargli la sua risoluzione, attuata solo per adempiere alla chiamata di Dio, che sentiva in sé e quindi gli chiedeva di perdonarlo e impartirgli la sua benedizione.
Il 2 febbraio 1727 vestì l’abito religioso degli Scolopi, nel Noviziato di S. Maria di Caravaggio in Napoli e alla fine del primo anno di noviziato, ottenuta la dispensa del secondo anno di prova, il 25 marzo 1728 fece la professione solenne con i voti di povertà, castità, obbedienza e quello di istruire la gioventù secondo la Regola dell’Ordine, nel contempo cambiò il nome in Pompilio Maria.
Da Napoli fu poi inviato a Chieti per continuare gli studi di filosofia, ma ammalatosi e nella speranza che il cambio di clima avesse potuto giovargli, fu trasferito a Melfi (Potenza) dove proseguì con successo gli studi sacri e profani, nel 1733 con la fama di teologo e non ancora sacerdote, andò a Turi (Bari), dando inizio all’insegnamento delle lettere e a quello di educatore della gioventù.
Da lì l’anno successivo sempre come insegnante di lettere, lo troviamo a Francavilla Fontana (Lecce); il 20 marzo 1734 venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Brindisi, Andrea Maddalena, dopo di ciò avvertì il bisogno di allargare il proprio cuore e il campo del suo apostolato e con l’esplicito permesso dei Superiori prese a predicare e confessare in molte regioni d’Italia.
Dal 1736 e per tre anni fu a Brindisi, da lì nel 1739 passò ad Ortona a Mare e nel 1742 a Lanciano in Abruzzo, tutte zone che furono campo particolare e fecondo del suo lavoro che vide unire l’attività scolastica a quella dell’apostolato, catechizzando le popolazioni dei dintorni, a predicare Quaresime ed esercizi spirituali a studenti e religiosi, fu tale ed abbondante il suo lavoro da meritarsi il titolo di ‘Apostolo degli Abruzzi’.
Per ottenere la conversione dei peccatori e grazie da Dio, si rivolgeva con fervide preghiere alla Madonna, il cui nome di Maria o di “Mamma bella” era la giaculatoria che amava di più, la ripeteva spesso esortando anche gli altri a farlo.
Il Signore gli diede doni straordinari, che avvalorarono la sua opera sacerdotale, nel 1746 quando si trovava a Lanciano, fece suonare a distesa le campane alle due di notte e alla gente accorsa allarmata, disse di mettersi a pregare con fervore la Madonna, per aver salva la vita da un terremoto imminente, infatti Lanciano fu risparmiata dal sisma, mentre altre località abruzzesi, subirono ingenti danni.
Anche nella terribile carestia del 1765, il suo intervento fu determinante per la cittadina di Campi Salentina, dove risiedeva, che riuscì a superarla senza danni, ancora oggi in questa città, ogni anno nel giorno della sua festa, vengono distribuiti cesti di pane benedetto, in ricordo della sua protezione.
I tempi in cui visse ed operò padre Pompilio Maria Pirrotti, erano duri per la vita e la pietà cristiana; filosofie e politiche, favorivano l’affermarsi di un regalismo esoso e anticlericale, mentre le fredde idee giansenistiche allontanavano i fedeli dai sacramenti, in particolare dall’Eucaristia, ironizzando sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù e della Madonna; che invece per padre Pompilio costituivano fin dalla fanciullezza, il fulcro della sua vita e ora della sua infiammata predicazione e della sua saggia direzione spirituale.
Da ciò scaturirono, denunce ed accuse e il suo brusco allontanamento da Lanciano nel 1747, iniziando così quel lungo periodo di sofferenze morali, che durò fino alla sua morte.
Trascorse così undici anni e mezzo a Napoli nella Casa di S. Maria di Caravaggio, dedicandosi nell’attigua ed omonima chiesa, nella centrale Piazza Dante, al culto divino, alle confessioni, alla predicazione, all’assistenza degli ammalati e bisognosi nel popoloso rione allora denominato di fuori Porta Reale. Fondò e diresse spiritualmente una Compagnia chiamata della “Carità di Dio” che aveva come fine, la pratica assidua dei Sacramenti, delle virtù cristiane e nel suffragare le anime dei defunti.
Sostenne e difese la pratica della Comunione frequente e quotidiana, che allora era privilegio di pochi e molto regolamentata. L’altra sua grande devozione, fu quella al Sacro Cuore di Gesù, che pur essendo antichissima nella Chiesa, solo nel XVIII secolo, ebbe un forte impulso e fra i promotori vi fu maggiormente attivo padre Pompilio, autore fra l’altro della celebre “Novena al S. Cuore di Gesù”, che scrisse nel 1765 e che fu diffusa rapidamente in tutto il Regno di Napoli.
Ma questa grande spiritualità, la stima dei Superiori, la venerazione del popolo, che lo considerava un santo, non gli risparmiarono l’accusa da parte di un’associazione di preti, detta dei “Cappelloni” a causa del caratteristico copricapo dalla falde all’insù, di essere troppo indulgente nell’assolvere i penitenti ed eccessivamente mite nell’imporre la penitenza; inoltre di essere un uomo turbolento, inquieto, caparbio.
Queste accuse provocarono la sospensione del confessare e predicare, da parte dell’arcivescovo di Napoli, il card. Sersale, il quale prestò fede alle accuse, senza rifletterci tanto. Anche il re Carlo III, attraverso i suoi tribunali, ne decretò l’espulsione dal Regno di Napoli. Per sei anni il padre scolopio emigrò da una casa all’altra dell’Ordine, da Chieti ad Ancona (tre volte), a Lugo di Romagna, Manfredonia, prima di rimettere piede nel Regno, ma posto come a domicilio coatto e controllato con verbali periodici sulla sua condotta.
Il comportamento di padre Pompilio, in questo susseguirsi convulso di vicende è quello di un santo, non una parola di lamento o di recriminazione, contro i provocatori di tanto sconquasso nella sua fervorosa vita; non esce dalla sua bocca o dalla sua penna, che la dichiarazione di fare la volontà di Dio e di ottenere la grazia di soffrire con gioia; a ciò si aggiungono atroci sofferenze fisiche per malattie sorte da tempo e che avanzano inesorabili..
Si giunge al colmo della sofferenza, quando viene nuovamente denunciato al S. Uffizio e di nuovo sospeso dalle sue funzioni sacerdotali. Nella sua Montecalvo Irpino, fondò in questo peregrinare, una Congregazione di pie persone detta del “Sacro Cuore”. Nel 1765 il 15 aprile inizia il lungo viaggio che da Ancona lo porterà all’estremità della Penisola italiana, a Campi Salentina (Lecce) dove giungerà il 12 luglio, dopo aver attraversato tanti paesi che lo avevano visto apostolo infaticabile ed esule innocente, passa anche a salutare i fedeli di Montecalvo a cui lascia un “Addio in Paradiso!”.
Nell’anno che passò a Campi Salentina, dove nel 1631 s. Giuseppe Calasanzio il fondatore, aveva aperta una scuola per i fanciulli poveri, rinnovò le strutture del Collegio, rianimò la Comunità scossa da alcuni disordini, riorganizzò le scuole vigilando sul loro migliore funzionamento, operò prodigi nella carestia prima citata, intensificò la vita religiosa degli abitanti, che riconobbero nella sua opera, lo stesso spirito che oltre un secolo prima aveva fatto richiedere nel loro paese, la presenza dei Padri Scolopi.
Non è inutile ricordare che l’istruzione era riservata ai ‘giovani signori’, e che nella loro aristocratica famiglia esisteva un ‘precettore’ per tale scopo; mentre ai figli del popolo, pensavano solo i Santi o perlomeno i religiosi degli Ordini sorti per questo scopo.
Dopo aver celebrato la Messa della domenica 13 luglio 1766, si mise nel confessionale come al solito e qui accusò un malessere, per cui fu trasportato nella sua cameretta, morì il 15 luglio a 56 anni, mentre si annunciavano i primi Vespri della Madonna del Carmine, adagiato poveramente su una cassa.
Nel 1835 si aprì a Lecce il processo ordinario sulle virtù di padre Pompilio Maria Pirrotti; fu beatificato da papa Leone XIII il 26 gennaio 1890, mentre venne proclamato santo da papa Pio XI il 19 marzo 1934, insieme a s. Giuseppe Benedetto Cottolengo.
La sua salma è custodita e venerata da tanti fedeli nella chiesa santuario dei Padri Scolopi in Campi Salentina; la sua festa liturgica è al 15 luglio.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:36

Sant' Uriel Arcangelo

15 luglio (Chiese Orientali)

In alcuni testi apocrifi della Bibbia compare il suo nome dopo quello dei tre arcangeli maggiori. Il suo culto è presente nella Chiesa Copta che lo celebra al 15 luglio. Una chiesa dedicata ai Sette Angeli “che stanno davanti al trono di Dio”, tra cui Uriel, esisteva a Palermo e vi si celebrava la festa al 20 aprile.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:36

Santa Valentina Venerata a Nevers

15 luglio

Il suo culto si basa solamente sul fatto che sono stati ritrovati i suoi resti nelle catacombe.

E' noto con quanta facilità, nonostante gli avvertimenti degli archeologi, siani stati insigniti del titolo di santità e proposti al culto i corpi prelevati dalle Catacombe romane nella prima metà del sec. XIX. A questi appartengono le reliquie di santa Valentina, custodite dalle religiose della Carità e dell'Istruzione cristiana di Nevers.
Mons. di Coissigny, vicario generale di Nevers, le ottenne dal Patrizi, cardinale vicario di Gregorio XVI. Mons. Dufetre, vescovo di Nevers, con decreto del 28 maggio 1852, ha fissato la festa di Valentina al 15 luglio.



Stellina788
00giovedì 15 luglio 2010 14:37

San Vladimiro di Kiev Principe

15 luglio

Kiev (Ucraina) ca. 956 - 15 luglio 1015

Etimologia: Vladimiro = colui che possiede o domina la pace.

Martirologio Romano: A Kiev nell’odierna Ucraina, san Vladimiro principe, che ricevette al battesimo il nome di Basilio e spese le sue forze a diffondere tra i popoli a lui soggetti la retta fede.


Nel X secolo il principato russo di Kiev è pagano, tranne alcuni gruppi cristiani di Variaghi, di origine scandinava. Era cristiana Olga, moglie del Gran principe Igor I; ma lui è rimasto pagano, come il figlio Svjatoslav e i figli di questi. Vladimiro, escluso dalla successione perché figlio illegittimo di Svjatoslav, nel 980 toglie il regno e la vita al fratellastro Jaropolk, il quale aveva fatto lo stesso col fratello Oleg. Sono i metodi del tempo. Così sale al trono chi sarà chiamato “il santo” dalla voce popolare. Dapprima Vladimiro appoggia i culti pagani. Ma poi cristianizzerà lo Stato, attraversando vicende che sono narrate vivacemente da un documento attribuito al monaco Nestore di Kiev: la Cronaca degli avvenimenti passati. Qui troviamo un Vladimiro dapprima violento e sensuale, e poi diverso, nuovo, che si interessa di ebraismo, islam e cristianesimo. La politica lo spinge poi ad allearsi con l’Impero cristiano di Costantinopoli, e ad aiutarlo coi suoi soldati a domare una rivolta. Vladimiro salva l’Impero, e vuole in cambio come moglie la principessa Anna, sorella degli imperatori Basilio II e Costantino VIII. Pare che le nozze si celebrino già durante il conflitto, ma poi Basilio II rifiuta di lasciar partire Anna. Allora Vladimiro occupa finalmente la città imperiale di Cherson, in Crimea (luglio 989), e si porta a casa Anna: Basilio ha ceduto.
Eccolo a Kiev come principe cristiano, avendo ricevuto il battesimo a Cherson. All’epoca le due Chiese di Roma e di Costantinopoli sono unite, sebbene in continuo dissenso. Il papa Giovanni XV manda ambasciate a Vladimiro, e così Roma è “presente” alla nascita del nuovo regno cristiano (e infatti il culto per Vladimiro sarà poi riconosciuto da entrambe le Chiese). Ma a Kiev prevale l’influenza religiosa bizantina; sicché, con lo scisma d’Oriente avvenuto nel 1054, la Chiesa di Kiev seguirà Costantinopoli.
Resta da vedere come Vladimiro si guadagni il titolo di santo. Ha sì battezzato il suo popolo: ma come sbrigativo sovrano che comanda, non come apostolo che persuade (dopo di lui ci saranno infatti moti anticristiani). La buona fama si forma più tardi, grazie al mutamento della sua vita, che deve impressionare chi l’ha conosciuto prima. La sua generosità, dice un cronista, "riscatta i dissoluti costumi di un tempo". Egli mitiga poi in senso cristiano le leggi e pone i problemi dell’educazione e dell’aiuto ai poveri tra i doveri dei regnanti. Nel 1011, essendo morta Anna, Vladimiro sposa una nipote dell’imperatore Ottone I, collegandosi anche con l’Impero di nazione germanica.
La sua vita austera negli ultimi anni – sempre facendo i confronti – e la sua mitezza lo rendono ancora più popolare, motivando l’appellativo di “santo” dopo la morte. E il suo nome verrà tramandato nel tempo da un vasto fiorire di leggende e ballate popolari.



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