16 febbraio

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Stellina788
00lunedì 16 febbraio 2009 10:57

Santi Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele e compagni Martiri

16 febbraio

+ Cesarea di Palestina, 16 febbraio 310

Martirologio Romano: A Cesarea in Palestina, santi martiri Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele: cristiani di Egitto, per essersi spontaneamente presi cura dei confessori della fede condannati alle miniere in Cilicia, furono arrestati e dal governatore Firmiliano, sotto l’imperatore Galerio Massimiano, crudelmente torturati e infine trafitti con la spada. Dopo di loro ricevettero la corona del martirio anche Panfilo sacerdote, Valente diacono di Gerusalemme, e Paolo, originario della città di Iamnia, che già avevano trascorso due anni in carcere, e anche Porfirio, domestico di Panfilo, Seleuco di Cappadocia, di grado avanzato nell’esercito, Teodúlo, anziano servitore del governatore Firmiliano, e infine Giuliano di Cappadocia, che, tornato proprio in quel momento da un viaggio, dopo aver baciato i corpi dei martiri, si rivelò come cristiano e per ordine del governatore fu bruciato a fuoco lento.


Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele erano di nazionalità egiziana e convertendosi al cristianesimo assunsero i nomi suddetti di origine bibblica. Si recarono in Cilicia, regione della Turchia meridionale, al fini di visitare e portare conforto ad altri neofiti condannati ai lavori forzati nelle miniere. Con l’avvento al trono imperiale di Galerio Massimiano, si intensificarono le violente persecuzioni contro i cristiani già iniziate dal suo predecessore Diocleziano. Fu così che Elia ed i suoi compagni, una volta sulla strada di ritorno, furono arrestati dalle guardie imperiali presso Cesarea di Palestina. A quel tempo in questa città soggiornava il celebre storico ecclesiastico Eusebio di Cesarea, che riportò la vicenda nella sua opera “Martiri della Palestina”. I cinque furono condotti al cospetto del governatore Firmiliano e, orribilmente torturati, fu chiesto loro il nome e la terra d’origine: Elia elencò i nomi di tutti ed affermò che la loro patria era Gerusalemme, alludendo in tal modo alla loro meta, la Gerusalemme celeste. Infine vennero decapitati il 16 febbraio 310.
Secondo la testimonianza di Eusebio, il medesimo giorno furono martirizzati il suo maestro, amico e forse congiunto Panfilo, presbitero, i diaconi di Gerusalemme Valente e Paolo, provenienti dalla città di Iamnia, già incarcerati da due anni, Porfirio, servo di Panfilo, Seleuco della Cappadocia, centurione, Teodulo, anziano servitore della casa del governatore Firmiliano e per ultimo Giuliano della Cappadocia, che essendo entrato in città proveniente dalla campagna proprio quando gli altri martiri venivano uccisi ed accusato di essere cristiano perché ne aveva baciati i corpi, fu condannato ad essere bruciato a fuoco lento. Le vicende di questo secondo gruppo sono narratte a parte su questo scritto nella scheda “San Panfilo e compagni”, in quanto un tempo essi erano commemorati separatamente al 1° giugno.


Stellina788
00lunedì 16 febbraio 2009 10:59

Beata Filippa Mareri

16 febbraio

Mareri, Salto nel Cicolano, 1190/1200 - 16 febbraio 1236

Nasce dalla nobile famiglia dei Mareri sul finire del XII secolo, nel castello di loro proprietà, in provincia di Rieti. Avviata da san Francesco alla vita di perfezione negli anni 1221-1225, prende la decisione di consacrarsi a Dio con tale determinazione che né le pressioni dei parenti, né le minacce del fratello Tommaso, né le richieste dei pretendenti riescono a rimuovere. Fugge da casa insieme ad alcune compagne e si ritira in una grotta nei pressi di Mareri, oggi detta «Grotta di Santa Filippa» e vi rimane fino al 1228, quando i due fratelli le donano il Castello di loro proprietà con annessa la Chiesa di San Pietro de Molito. La Santa vi si trasferisce con le sue seguaci e vi organizza la vita claustrale secondo il programma di San Francesco per le Clarisse di San Damiano. La cura spirituale del monastero viene affidata al beato Ruggero da Todi dallo stesso san Francesco. Filippa muore nel 1236. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Borgo San Pietro in Abruzzo, beata Filippa Mareri, vergine, che, rigettate le ricchezze e i fasti del mondo, abbracciò all’interno di una proprietà della sua famiglia il modello di vita di santa Chiara da poco introdotto.


S. Filippa trasse i natali dalla nobile famiglia dei Mareri sul finire dei sec. XII, nel castello di loro proprietà, in provincia di Rieti. Avviata da S. Francesco alla vita di perfezione negli anni 1221-1225, prese la risoluzione di consacrarsi a Dio con tale determinazione che ne le pressioni dei parenti, ne le minacce del fratello Tommaso, ne le richieste dei pretendenti riuscirono a rimuovere. Come Chiara di Assisi, fuggì da casa insieme ad alcune compagne e si rifugiò in una grotta nei pressi di Mareri, oggi detta "Grotta di S. Filippa" e vi rimase fino al 1228, quando i due fratelli Tommaso e Gentile con strumento notarile del 18 settembre 1228, le donarono il Castello di loro proprietà con annessa la Chiesa di S. Pietro de Molito, oggi Borgo S. Pietro. La Santa vi si trasferì con le sue seguaci e nella nuova dimora organizzò e diresse la vita claustrale secondo il programma tracciato da S. Francesco per le Clarisse di S. Damiano. La cura spirituale del Monastero venne affidata al Beato Ruggero da Todi dallo stesso S. Francesco. Sotto la sua guida il Monastero, fondato da S. Filippa, diventò scuola di santità e la Fondatrice maestra di vita spirituale. L'occupazione principale della comunità era il culto e la lode di Dio, la vita liturgica, la lettura e lo studio della Bibbia. Accanto all'attività spirituale il lavoro era tenuto in grande considerazione unitamente al servizio dei poveri e all'apostolato. Nel monastero venivano preparate medicine da distribuire gratuitamente ai malati. Con la parola ma soprattutto con il fervore della sua carità e lo stile di vita, modellato alla scuola del Santo di Assisi, fece rivivere alcune pagine del Vangelo in un mondo che le aveva dimenticate. S. Filippa morì il 16 febbraio 1236. La sua tomba divenne presto meta di pellegrinaggi e si cominciarono a registrare grazie e favori celesti elargiti da Dio per intercessione della sua serva. Nel 1706 venne fatta la ricognizione delle sue spoglie mortali e venne ritrovato il suo cuore incorrotto, conservato oggi in un reliquiario di argento.
S. Filippa Mareri è la prima santa del Secondo Ordine Francescano, quello delle Clarisse. Il titolo di Santa compare la prima volta in una Bolla di Innocenzo IV emanata nel 1247, quando erano trascorsi appena dieci anni dal suo transito. Sono passati 750 anni dalla sua morte e la devozione per la Santa è andata crescendo non solo nella sua terra ma in numerosi altri paesi e in altri continenti per iniziativa degli emigranti; che nella protezione di Santa Filippa trovarono sostegno e conforto nelle difficoltà e la fecero conoscere ad altre popolazioni. Non di rado oggi ritornano davanti all'altare dove è collocata la sua tomba per esprimerle riconoscenza e gratitudine.



Stellina788
00lunedì 16 febbraio 2009 11:00

Santa Giuliana di Nicomedia Vergine e martire

16 febbraio

Nacque intorno al 285 a Nicomedia, oggi Izmit, in Turchia. Nella sua famiglia d'origine era l'unica cristiana. Suo padre in particolare era un seguace zelante delle divinità pagane. All'età di nove anni, sarebbe stata promessa in sposa al prefetto della città, un pagano di nome Eleusio. Secondo gli accordi raggiunti dalle due famiglie, le nozze si sarebbero celebrate quando Giuliana avesse compiuto 18 anni. Ma quel giorno la giovane disse che avrebbe accettato solo se Eleusio si fosse fatto battezzare. Venne quindi denunciata dallo stesso fidanzato come cristiana praticante. Imprigionata, non tornò sulla sua decisione neppure dopo la condanna a morte. Venne quindi decapitata verso il 305, al tempo di Massimiano. L'iconografia la rappresenta spesso insieme ad un diavolo che la tormenta, ma non mancano le raffigurazioni delle torture da lei subite in vita, come l'essere appesa per i capelli o tormentata con il fuoco. (Avvenire)

Etimologia: Giuliana = appartenente alla 'gens Julia', illustre famiglia romana, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: In Campania, santa Giuliana, vergine e martire.


I sinassari bizantini la commemorano al 21 dicembre con una notizia che è un riassunto di una passio ancora inedita. Nel Martirologio Geronimiano si ritrova la sua memoria al 13 e al 16 febbraio. La memoria del 13, che secondo i mss. si legge Giuliana o Giuliano, ha dato origine all'immaginario Giuliano martire di Lione del Martirologio Romano allo stesso giorno. Quest'ultima fonte però al 16 febbraio commemora piú giustamente Giuliana, martire di Nicomedia, e menziona la sua traslazione in Campania come già veniva ricordato sia nel Martirologio di Beda, sia in quelli di Floro e di Adone.
Secondo il testo delle passiones, Giuliana era la sola della sua famiglia ad appartenere alla religione cristiana e suo padre Africano era seguace zelante delle divinità pagane. Promessa in matrimonio a un pagano di nome Evilasio, essa dichiarò dapprima che avrebbe sposato solo il prefetto della città, ma, accettata questa condizione, ne rimaneva un'altra: ella non voleva sposare un pagano. Evilasio, allora, irritato dalle esigenze della giovane la fece comparire davanti al suo tribunale. Niente riuscí a farla ritornare sulla sua decisione, né i tormenti, né la prigione. Finalmente fu condannata alla decapitazione consumando cosí il suo martirio. Ciò avveniva al tempo di Massimiano, quindi verso il 305.
Si è tentato di spiegare la divergenza dei giorni di celebrazione della festa di Giuliana fra l'Oriente e l'Occidente, proponendo di vedere nella data del 16 febbraio quella del giorno della traslazione (forse la seconda) delle reliquie della santa martire: queste sarebbero prima state trasferite da Nicomedia a Pozzuoli, poi al momento dell'invasione longobarda (verso il 568) sarebbero state messe al sicuro a Cuma, e di là infine nel 1207, il 25 febbraio, sarebbero state trasportàte a Napoli. Ciò spiega la diffusione del culto della santa in tutta la regione di Napoli come la sua presenza nel Calendario marmoreo del IX sec. Sarebbe certamente difficile chiarire il problema delle traslazioni parziali che potrebbero giustificare le pretese di numerose chiese d'Italia, di Spagna, d'Olanda e di altri paesi di possedere reliquie di Giuliana.



Stellina788
00lunedì 16 febbraio 2009 11:01

Beato Giuseppe Allamano

16 febbraio

Castelnuovo d’Asti, 21 gennaio 1851 - Torino, 16 febbraio 1926

Ebbe san Giovanni Bosco come insegnante e san Giuseppe Cafasso per zio. Ordinato prete a Torino a 22 anni - era nato nel 1851 a Castelnuovo d'Asti - Giuseppe Allamano fu rettore del santuario più caro ai torinesi, la Consolata. Volle fondare un istituto dedicato all'annuncio «ad gentes». Nacquero così nel 1901 i Missionari della Consolata e nel 1909 le suore. Prima prova: il Kenya. Denunciò a Pio X l'insensibilità di fedeli e pastori sulla missione e chiese l'istituzione di una giornata. Lo fece Pio XI nel 1927, un anno dopo la morte di Allamano. E' beato dal 1990. (Avvenire)

Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico

Martirologio Romano: A Torino, beato Giuseppe Allamano, sacerdote, che, animato da instancabile zelo, fondò due Congregazioni delle Missioni della Consolata, l’una maschile e l’altra femminile, per la diffusione della fede.


E’ concittadino di due santi: don Bosco, che l’ha avuto studente a Torino, e Giuseppe Cafasso, che è anche suo zio materno. Ordinato sacerdote in Torino a 22 anni, laureato in teologia a 23, direttore spirituale del seminario a 25, a 29 diventa rettore del santuario più caro ai torinesi (la “Consolata”) e del Convitto ecclesiastico per i neosacerdoti. Però il santuario è da riorganizzare e restaurare, il Convitto è in crisi gravissima. Con fatiche che non cesseranno mai, lui rivitalizza il santuario e fa rifiorire il Convitto, come quando vi insegnava il Cafasso.
Come il Cafasso, è un eccezionale formatore di caratteri, maestro di dottrina e di vita. Vede uscire dai seminari molti preti entusiasti di farsi missionari, ma ostacolati dalle diocesi, che danno volentieri alle missioni l’offerta, ma non gli uomini. E decide: i missionari se li farà lui. Fonderà un istituto apposito, ci ha già lavorato molto. Il suo progetto è apprezzato a Roma, ma poi ostacoli e contrattempi lo bloccano, per dieci anni. Pazientissimo, lui aspetta e lavora. Arriva poi il primo “sì” vescovile per il suo Istituto dei Missionari della Consolata nel 1901, e l’anno dopo parte per il Kenya la prima spedizione. Otto anni dopo nascono le Suore Missionarie della Consolata.
Lui sente però che sull’evangelizzazione bisogna scuotere l’intera Chiesa. E nel 1912, con l’adesione di altri capi di istituti missionari, denuncia a Pio X l’ignoranza dei fedeli sulla missione, per l’insensibilità diffusa nella gerarchia. Chiede al Papa di intervenire contro questo stato di cose e in particolare propone di istituire una giornata missionaria annuale, "con obbligo d’una predicazione intorno al dovere e ai modi di propagare la fede". Declinano le forze di Pio X, scoppia la guerra nei Balcani... L’audace proposta cade.
Ma non per sempre: Pio XI Ratti realizzerà l’idea di Giuseppe Allamano, istituendo nel 1927 la Giornata missionaria mondiale. Lui è già morto, l’idea ha camminato. E altre cammineranno dopo, come i suoi missionari e missionarie (oltre duemila a fine XX secolo, in 25 Paesi di quattro Continenti). Da vivo, rimproverano a lui (e al suo preziosissimo vice, il teologo Giacomo Camisassa) di pensare troppo al lavoro “materiale”, di curare più l’insegnamento dei mestieri che le statistiche trionfali dei battesimi.
Lui è così, infatti: Vangelo e promozione umana, perseguiti con passione e con capacità. "Fare bene il bene": ecco un altro suo motto. I suoi li vuole esperti in scienze “profane”. E anche quest’idea camminerà fino al Vaticano II, che ai teologi dirà di "collaborare con gli uomini che eccellono in altre scienze, mettendo in comune le loro forze e i loro punti di vista" (Gaudium et spes). E lui, Giuseppe Allamano, che dal 7 ottobre 1990 sarà beato, ripete biblicamente ai suoi: "Il sacerdote ignorante è idolo di tristezza e di amarezza per l’ira di Dio e la desolazione del popolo".



Stellina788
00lunedì 16 febbraio 2009 11:02

San Maruta Vescovo

16 febbraio

+ 415 circa

San Maruta , vescovo, ristabilita la pace nella chiesa, presiedette il concilio di Seleucia, ricostruì le chiese distrutte durante la persecuzione del re Sapore e raccolse le reliquie dei santi martiri della Persia e le depose nella città sua sede vescovile, denominata poi Martiropoli, cioè città dei martiri.

Martirologio Romano: Nel regno di Persia, san Marúta, vescovo, che, ristabilita la pace per la Chiesa, presiedette il Concilio di Seleucia, restaurò le Chiese di Dio crollate durante la persecuzione del re Sabor e collocò le reliquie dei martiri di Persia nella città sede del vescovo, da allora chiamata Martiropoli.


San Maruta fu vescovo di Mayferkqat, città siriana tra il fiume Tigri ed il lago Van, ai confini del regno di Persia, zona in cui i cristiani subifano frequentemente aggressioni. Quando nel 399 ascese al trono Yezdigerd I, Maruta si recò a Costantinopoli per chiedere all’imperatore Arcadio di intercedere presso il nuovo sovrano in favore dei cristiani perseguitati. Il suo appello rimase però inascoltato, in quanto la corte era già impegnata a risolvere la questione dell’esilio di San Giovanni Crisostomo. Fu però proprio quest’ultimo ad interessarsi in prima persona della difficile situazione di Maruta, chiedendo a Santa Olimpia, sua amica, di andare a fargli fisita preoccupato del fatto che egli non gli avesse risposto a ben due lettere. Il Crisostomo le scrisse: “Ho urgentemente necessità di lui per le questioni persiane. Cercate di scoprire quale successo abbia ottenuto nella sua missione. Se è restio a metterlo per iscritto, che mi comunichi l’esito tramite voi. Non indugiate nel tentativo di incontrarlo”.
Maruta si recò di persona alla corte del re per cercare di ottenere il suo appoggio verso i cristiani e nella delicata missione fondamentali risultarono le sue conoscenze mediche che gli permisero di curare il sovrano da violente emicranie. I sacerdoti zoroastrianti, preoccupati che ciò potesse indurre il re a convertirsi al cristianesimo, escogitarono il modo per screditare Maruta ai suoi occhi: nascosero un uomo sotto il pavimento del tempio, che quando il re entrò nel tempio per il culto apparve dal nulla ed urlò: “Mandate via da questo luogo santo colui che, empiamente, crede ad un sacerdote dei cristiani”. Yezdigerd rimase impressionato e si decise a scacciare Maruta, ma questi gli mostrò la botola nascosta da cui l’impostore era comparso. Il sovrano prese così a tollerare il cristianesimo nel suo regno, lungi però dal convertirsi per essere un nuovo Costantino.
Durante questo periodo di tregua, Maruta poté dedicarsi alla ricostruzione di molte chiese in precedenza distrutte sotto le persecuzioni indette dal re Sapore. Compilò inoltre gli “Atti” di quelle feroci persecuzioni e raccolse un innumerevole serie di reliquie che meritarono alla città il nome di Martiropoli, ancora oggi sede episcopale. Compose inoltre svariati inni in onore dei martiri, tuttora in uso nel rito siriaco. Maruta morì verso il 415 e proprio in quel periodo scoppiò una nuova ondata di persecuzioni. Per via dei numerosi scritti a lui attribuiti, fu onorato come il principale dottore della Chiesa siriaca.



Stellina788
00lunedì 16 febbraio 2009 11:04

Beato Nicola Paglia Domenicano

16 febbraio

Giovinazzo 1197 - Perugia 1256

Dalla città natale, Giovinazzo (Ba) si recò a Bologna per studiare. Qui fu attratto all'Ordine dalla parola vibrante di s. Domenico e divenne suo fedelissimo compagno nelle peregrinazioni apostoliche. Per due volte fu provinciale della provincia romana, e fondò i conventi di Perugia e di Trani. Uomo colto e lungimirante, promosse lo studio della Sacra Scrittura e la compilazione delle Concordanze bibliche. Morì a Perugia dove è sepolto nella chiesa di s. Domenico.

Martirologio Romano: A Perugia, commemorazione del beato Nicola Paglia, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che da san Domenico ricevette l’abito e l’incarico della predicazione.


Nato a Giovinazzo, in provincia di Bari nel 1197, Niccolò Paglia ricevette a Bologna, dove si era recato per gli studi universitari, l’Abito Domenicano dalle mani del Patriarca Domenico, che successivamente lo ebbe fedele compagno nei suoi viaggi apostolici. Di nobili genitori, fu allevato con molta cura. Quando era ancor fanciullo gli apparve un angelo che gli ordinò di astenersi per sempre dalla carne, perché un giorno sarebbe entrato in un Ordine dove l’astinenza era legge perpetua. Predicò in molte città d’Italia con immenso frutto e la sua ardente parola spesso era confermata da grandi miracoli. Fondò i Conventi di Trani e di Perugia, dove si conserva il suo corpo con molta venerazione. Fu terzo Provinciale della Provincia Romana, che allora si estendeva dalla Toscana alla Sicilia, che resse con forza e soavità per ben due mandati, si da rendere gradito ogni suo comando. Esortando un giorno i suoi religiosi alla vicendevole carità, confidò loro che gli era apparso, per chiedergli perdono, un religioso morto da poco, il quale gli era stato causa di non lievi dispiaceri. Avendolo esortato a chiedere perdono a Dio e non a lui, il colpevole gli aveva risposto che il Signore esigeva da lui questa soddisfazione per usargli misericordia: “Vedi Fra Niccolò quanto sia grave e pericoloso offendere il prossimo, e quanto più il non placarlo dopo averlo offeso”. Da Papa Gregorio IX ebbe l’incarico di visitare alcuni monasteri e di predicare la Crociata contro i Saraceni. Dopo lunghi anni di apostoliche fatiche si ritirò nel convento di Perugia. Qui gli apparve Fra Raone Romano, caro amico dei suoi più bei giorni di vita religiosa, il quale gli annunziò, da parte della Madonna, la sua vicina morte, che avvenne nel 1256, e che fu santa come tutta la sua vita. Papa Leone XII il 26 marzo 1828 ha confermato il culto.



Stellina788
00lunedì 16 febbraio 2009 11:08

San Panfilo e compagni Martiri di Cesarea di Palestina

16 febbraio

† Cesarea, 16 febbraio 309

Martirologio Romano: A Cesarea in Palestina, santi martiri Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele: cristiani di Egitto, per essersi spontaneamente presi cura dei confessori della fede condannati alle miniere in Cilicia, furono arrestati e dal governatore Firmiliano, sotto l’imperatore Galerio Massimiano, crudelmente torturati e infine trafitti con la spada. Dopo di loro ricevettero la corona del martirio anche Panfilo sacerdote, Valente diacono di Gerusalemme, e Paolo, originario della città di Iamnia, che già avevano trascorso due anni in carcere, e anche Porfirio, domestico di Panfilo, Seleuco di Cappadocia, di grado avanzato nell’esercito, Teodúlo, anziano servitore del governatore Firmiliano, e infine Giuliano di Cappadocia, che, tornato proprio in quel momento da un viaggio, dopo aver baciato i corpi dei martiri, si rivelò come cristiano e per ordine del governatore fu bruciato a fuoco lento.


San Panfilo presbitero fa parte di un gruppo di 12 martiri di Cesarea di Palestina, commemorati tutti insieme al 16 febbraio, anche nel moderno ‘Martirologio Romano’ e tradizionalmente s. Panfilo è posto a capolista, avendo avuto un culto distinto nei diversi calendari, specie in Occidente.
Il sacerdote Panfilo è citato soprattutto da Eusebio di Cesarea, nella sua “Storia Ecclesiastica”; al tempo dell’imperatore Galerio († 311), con Urbano come governatore di Cesarea, la persecuzione contro i cristiani, infuriava con estrema durezza; fra questi perseguitati vi era Panfilo che Eusebio classifica “il più caro dei miei amici e per il suo valore, il più glorioso dei martiri della nostra età”.
Egli era di nobili origini e sembra che fosse nativo di Berito, poi trasferitosi a Cesarea, dove si dedicò alle scienze religiose, venendo ordinato sacerdote; fu discepolo del filosofo Origene (185-254).
Urbano lo interrogò, volendo conoscere prima le sue cognizioni letterarie e di filosofia e poi lo obbligò a sacrificare agli dei. Panfilo si rifiuta nonostante le minacce e la furia di Urbano, il quale dà ordine di sottoporlo a durissime torture, personalmente dispone che gli vengano applicate delle unghie di ferro ai fianchi, con insistenza e cattiveria; alla fine lo fa gettare in prigione, dove erano detenuti altri cristiani.
Subito dopo Urbano viene destituito dalla carica e sostituito da Firmiliano, comunque Panfilo ed i compagni di cella, restano in prigione circa due anni; dopo questo tempo arrivano cinque cristiani egiziani Elia, Geremia, Samuele, Isaia e Daniele, i quali insieme a Panfilo e altri due compagni di prigione, Valente e Paolo, vengono condotti davanti al giudice e come ormai è risaputo per tutti i martiri, essi sono sottoposti all’interrogatorio, alle torture, prima gli egiziani e poi gli altri e alla fine condannati alla decapitazione.
Il racconto di s. Eusebio prosegue nominando Porfirio, che protesta pubblicamente per la condanna, il quale viene arrestato e subirà per primo la decapitazione. Successiva vittima fu Seleucio che veniva a comunicare a Panfilo la morte di Porfirio, arrestato e condannato anche lui, viene giustiziato sbrigativamente; dopo viene l’esecuzione di tutti gli altri; i martiri vittime della persecuzione sono diventati dieci, a loro si aggiungono Teodulo e Giuliano.
I corpi dei dodici martiri, per ordine di Firmiliano restano esposti alla fame delle bestie per quattro giorni e quattro notti, ma dopo tale tempo essi rimasero intatti, così ebbero dei funerali adeguati e deposti in una tomba. I martiri rimasero vittime della persecuzione iniziata nel 307, quindi morirono tutti insieme il 16 febbraio dell’anno 309, ma alcuni studiosi calcolano che fosse il 310.
Il gruppo pur subendo le prevedibili contraddizioni, legate alla lontananza nel tempo e degli errori che lungo i secoli e millenni, si sono verificati nelle traduzioni e trascrizioni, sono riportati in tutti i Martirologi Orientali ed Occidentali.
Anche le reliquie sono state poi divise, di alcuni di essi Panfilo, Teodulo, Porfirio, Paolo, le reliquie furono portate a Costantinopoli per la dedicazione della prima chiesa di S. Sofia ai tempi dell’imperatore Costante (320-350).
A conclusione, ricordiamo i nomi dei dodici santi martiri di Cesarea di Palestina, cui l’odio anticristiano di ottusi governatori della zona, tolse loro la vita terrena, ma aprendo per sempre il godimento eterno dei cieli e il ricordo perenne del loro sacrificio, che dopo 2000 anni, viene ancora celebrato.
I cinque egiziani Elia, Geremia, Isaia, Samuele e Daniele che avevano accompagnato un gruppo di cristiani condannati alle miniere della Cilicia; Giuliano originario della Cappadocia che al ritorno da un viaggio si avvede dei corpi dei martiri e si avvicina per baciarli, venendo arrestato e poi arso a fuoco lento; Seleucio dal fisico eccezionale, che fa da nunzio per la morte di Porfirio e che già soldato dell’armata romana, era divenuto emulo degli asceti; Porfirio adolescente servo, decapitato e fatto a pezzi; Teodulo vecchio cristiano, servitore della casa del governatore che venne crocifisso; Valente, Paolo e Panfilo decapitati dopo due anni di acuta e tormentata prigionia.



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