16 ottobre

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Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:20

Beato Agostino Thevarparampil (Kunjachan) Sacerdote

16 ottobre

Ramapuran (Kerala), India, 1 aprile 1891 – 16 ottobre 1973

L’indiano Augustine Thevarparampil (chiamato dal popolo "Kunjachan", ossia "piccolo prete" per la sua statura), sacerdote della diocesi di rito Siro-Malabarese di Palai, in Kerala (1891-1973). Consacrò la sua vita alla promozione umana e cristiana dei cosiddetti "intoccabili", cioè coloro che vivevano ai margini della società, in condizioni di estrema povertà.

Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino


A causa della sua bassa statura, veniva chiamato popolarmente “Kunjachan”, che nella lingua maiayalain dell’India, significa “piccolo prete”.
Agostino Thevarparampil nacque il 1° aprile 1891 a Ramapuran, diocesi di Palai nello Stato del Kerala in India, evidentemente in una famiglia cristiana; una volta terminati gli studi scolastici nel suo paese, entrò nel seminario di Palai, dove completò la sua preparazione morale e di studio, venendo ordinato sacerdote il 17 dicembre 1921, quindi a 30 anni, dal vescovo Mar Tommasi Kurialacherry, anch’egli futuro Servo di Dio.
Due anni dopo, nel febbraio 1923, fu mandato come vice parroco nella parrocchia di S. Sebastiano a Kadanad, ma una improvvisa e grave malattia, lo costrinse a lasciare l’incarico e a ritornare a Ramapuran.
Durante la sua lunga convalescenza, poté conoscere un’altra realtà sociale dell’India e per lui un nuovo campo di azione, che fino a quel momento era trascurato da tutti e cioè, la miserabile situazione di vita dei cosiddetti ‘intoccabili’, ossia gli appartenenti alle classi più basse della società indiana, da noi conosciuti come ‘paria’, cioè non appartenenti a nessuna casta.
Già Gandhi (1869-1948) per primo prese a chiamarli ‘Harijan’, cioè ‘popolo di Dio’, oggi sono chiamati ‘Dalit’. Per secoli tutte queste persone, erano considerate “inavvicinabili” o “intoccabili” e vivevano sui terreni che appartenevano ai membri delle classi superiori, dei quali erano braccianti e forza di lavoro, naturalmente con compenso minimo e senza tutele di nessun genere.
Apro una parentesi, ricordando che questa realtà indiana era ed è così vasta e radicata, che costituì il campo di lavoro, della più conosciuta, beata Madre Teresa di Calcutta.
Ritornando a padre Agostino Thevarparampil, egli allora decise di donarsi totalmente per migliorare la loro vita e anche per la loro evangelizzazione. Ma ben presto si accorse che il compito era difficile, perché si trattava di condurre alla fede cristiana e alla fiducia in loro stessi, gente impregnata di credenze e pratiche superstiziose; ma padre Agostino di carattere umile e semplice, si rimboccò le maniche e si pose al loro servizio con carità, privilegiando i più poveri e deboli.
Già alle quattro del mattino, dopo la celebrazione della Messa nella sua parrocchia di S. Agostino, accompagnato da un catechista, andava a visitare le loro capanne, anche oltre il territorio della sua parrocchia, chiamandoli ‘figli miei’, ascoltava, confortava, cercava di riappacificarli nelle discordie e curava i numerosi malati.
Non sempre era accolto con gioia, dato i pregiudizi; a volte si nascondevano per non farsi trovare, ma padre Agostino non desisteva dalla sua missione, senza scoraggiarsi. Conosceva il nome di ciascuno ed essi gioivano nel sentirsi chiamare per nome, grande amico dei bambini, amava molto stare in loro compagnia; la sua bassa statura gli permetteva di entrare e uscire dalle loro misere capanne senza difficoltà.
Trovava la forza di affrontare questi numerosi e faticosi spostamenti, nella preghiera, infatti pregava continuamente anche durante i suoi spostamenti da un villaggio all’altro. Il suo perseverare discreto e rispettoso delle loro credenze, diede comunque i suoi frutti, vincendo la loro diffidenza e poté battezzare personalmente quasi seimila persone.
La sua lunga opera missionaria, in un periodo di grande povertà per quell’immenso Paese, precorritrice di altre opere e di altre figure missionarie, gli meritò il nome di “Apostolo degli Intoccabili”, Kunjachan visse fino agli 82 anni, dopo 52 anni di sacerdozio e di vita missionaria come prete diocesano; morì il 16 ottobre 1973; fu sepolto nella sua chiesa parrocchiale di Ramapuran, davanti all’altare di S. Agostino, diventando meta di pellegrinaggi.
E' stato beatificato il 30 aprile 2006.

Autore: Antonio Borrelli





Non sempre l’essere piccoli di statura rappresenta un grosso handicap: lo potrebbe testimoniare don Agostino Thevarparampil, che tutti chiamavano “kunjachan”, cioè piccolo prete, ma che proprio grazie alla sua statura bassa non faticava per niente ad entrare nelle basse capanne dei suoi parrocchiani, e quando giocava con i bambini si sentiva perfettamente alla loro altezza. Nasce in India, in una famiglia cristiana, il 1° aprile 1891 e viene ordinato sacerdote a 30 anni, il che fa pensare ad una vocazione tardiva oppure a qualche difficoltà nello studio. Perché lui è un po’ il Curato d’Ars dell’India: non eccessivamente colto, semplice, umile, ma dal cuore talmente grande da affascinare chiunque. Per 47 anni è soltanto un “curato di campagna” e almeno 40 di questi sono dedicati interamente ai poveri del villaggio, gli “intoccabili”, i “paria”, quanti cioè non appartengono a nessuna casta. E pensare che è piuttosto malaticcio e mai nessuno avrebbe scommesso su una simile resistenza fisica ed una tale costanza. Scopre gli “inavvicinabili” per caso, durante una lunga convalescenza, due anni dopo l’ordinazione e ad essi dedica tutto il suo ministero, combattendo contro l’ignoranza, i pregiudizi, l’analfabetismo. E anche contro le dure critiche dei cristiani “per bene”, che non riescono a capire che cosa spinga quel povero prete verso quei disgraziati. La sua giornata inizia invariabilmente alle quattro del mattino, dopo la messa celebrata in parrocchia nel cuore della notte. Accompagnato soltanto da un catechista, va a cercare i suoi “paria” ad uno ad uno, capanna per capanna, mentre questi ancora tentano di sfuggirgli, pieni anch’essi di pregiudizi e di superstizioni, schiacciati da una discriminazione che li ha spinti ai margini della società. Per vincere la diffidenza e farsi aprire la porta e il cuore li chiama ciascuno per nome e l’effetto è quasi immediato su quella povera gente, abituata a non essere neppure nominata. Insieme all’annuncio del vangelo porta un messaggio di speranza e di emancipazione. Tiene un diario spirituale, in cui annota informazioni dettagliate su questi suoi parrocchiani “speciali”, con l’indicazione di nascite, matrimoni, decessi: una specie di anagrafe di cui i paria per la società non avrebbero avuto diritto. Se don Agostino, come si calcola, ha avvicinato a Dio e alla Chiesa più di cinquemila persone, ben più numerosi sono i “paria”, oggi chiamati “Dalit”, ad aver ricevuto da lui una spinta ad uscire dalla schiavitù in cui erano stati confinati dalle classi sociali più elevate. Perché sulla strada tracciata da don Agostino si sono incamminati altri tra cui, più famosa di tutti, Madre Teresa di Calcutta. Per lui, però, nessun riconoscimento, nessun particolare onore. Quando muore a 82 anni, il 16 ottobre 1973, sfiancato dal suo pellegrinare porta a porta e dalle lunghe ore in confessionale, è conosciuto nel raggio di qualche chilometro. Oggi invece alla sua tomba si accorre da tutta l’India, il suo villaggio si è trasformato in un centro fiorente e prosperoso e 60 mila persone hanno assistito alla sua beatificazione, celebrata lo scorso 30 aprile proprio nella sua parrocchia.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:21

Santi Amando e Giuniano

16 ottobre

Martirologio Romano: Nel territorio di Limoges in Aquitania, ora in Francia, santi Amando e il suo discepolo Giuniano, eremiti.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:22

Sant' Anastasio di Cluny

16 ottobre

+ 1085 circa

Martirologio Romano: A Pamiers presso i Pirenei sempre in Francia, sant’Anastasio, monaco, che, nato a Venezia, condusse dapprima vita eremitica nell’isola di Rocher de Tombelaine vicino a Mont-Saint-Michel, poi monastica a Cluny, per ritirarsi infine negli ultimi anni in solitudine.


Sant’Anatasio, uomo assai erudito originario di Venezia, risulta essere monaco a Mont-Saint-Michel verso l’anno 1050. Constatata l’inadeguatezza dell’abate, che aveva ottenuto tale carica con la simonia, preferì lasciare il monastero e darsi all’eremitaggio su un’isoletta al largo della Normandia.Dopo alcuni anni, passò da quelle parti Sant’Ugo di Cluny che, informato della sua santità, lo invitò ad entrare nel suo monastero.
Trascorsi qui sette anni, il papa San Gregorio VII lo inviò in Spagna per una qualche missione a noi non nota. Ben presto già di ritorno, visse prima da eremita nei Pirenei, poi alri sette anni a Cluny ed infine nuovamente eremita nei pressi di Tolosa. Predicò alla popolazione locale e per un certo tempo pare condivise la vita solitaria con l’ex-cardinale Ugo di Remiremont, già legato papale in Spagna e Francia, poi scomunicato per simonia.
Richiamato infine a Cluny nel 1085, Anastasio morì lungo il cammino e fu sepolto presso Saint-Martin d’Oydes. Il suo culto sopravvisse nonostante la profanazione del sacrario ad opera degli ugonotti nel XVI secolo. Il santo è presunto autore di una “Epistola a Geraldo”, costituente un trattato teologico sulla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:22

Beata Vergine Maria della Provvidenza

Terzo sabato di ottobre (celebrazione mobile)

La devozione alla Madonna della divina Provvidenza risale al 1732, quando il popolo romano cominciò a venerarne la bella effigie nella chiesa di San Carlo ai Catinari. Nel 1744 Benedetto XIV (+ 1758) concesse alla Congregazione dei Chierici Regolari di San Paolo (Barnabiti) una messa della beata Vergine Maria, "madre della divina Provvidenza" e l'istituzione di una confraternita. Da allora, numerosi pontefici, da Pio VII a Giovanni Paolo II, hanno voluto recare personalmente alla Madonna della Provvidenza l'omaggio della loro pietà. È noto poi che numerosi Santi e Beati hanno messo sotto la sua protezione molte opere di beneficenza.

Patronato: Macchia di Giarre e Zafferana Etnea (Catania); Corpo di Commissariato dell'Eserc

Etimologia: Provvidenza = assistenza benevola di Dio a favore delle creature; Maria = amata


Sotto questo titolo si onora la missione che Dio, la cui provvidenza tutto dispone secondo un disegno di amore, affidò alla beata Vergine affinché fosse: - benignissima Madre di Cristo; per la provvidenza divina che si è dispiegata nell'economia della salvezza, la beata Vergine Maria ha generato il Salvatore del mondo; - provvida madre degli uomini, che Cristo Gesù le ha affidato dalla croce; - dispensatrice di grazia; colei che a Cana di Galilea pregò il Figlio in favore degli sposi, ora, assisa alla destra del Figlio, veglia sulla Chiesa che lotta, che soffre, che spera. La beata Vergine è chiamata "madre della divina Provvidenza", perché da Dio ci è stata data come premurosa madre, che ci procura con la sua intercessione i beni del cielo. Come Dio non può dimenticarsi del suo popolo e che proprio come una madre lo consola, così la Madonna ha compassione di noi, intercede per noi, ci ricolma di consolazione.
I fedeli sorretti dal patrocinio di una Madre così sublime, trovano grazia e sono aiutati al momento opportuno e cercando, secondo il comando del Signore, anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, sperimentano in ogni circostanza della vita la provvidenza del Padre.

Il 31 maggio 1986, con Decreto dell'Arcivescovo Ordinario Militare per l'Italia, confermato dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti in data 19 luglio 1989, la Beata Vergine Maria della Divina Provvidenza è stata dichiarata Patrona presso Dio del Corpo di Commissariato dell'Esercito Italiano.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:23

San Bertrando di Cominges Vescovo

16 ottobre

+ 16 ottobre 1123

Martirologio Romano: A Cominges sempre sul versante francese dei Pirenei, san Bertrando, vescovo, che, su indicazione del papa san Gregorio VII, si adoperò strenuamente per la riforma della Chiesa, restaurò la sua città rovinata dall’incuria del tempo e ricostruì interamente la cattedrale, dove istituì i canonici regolari sotto la disciplina di sant’Agostino.


Nacque a l'Isle-Jourdain (Gers) verso la metà del sec. XI: era figlio di Attone Raimondo, signore del luogo, e di Gervasia, figlia del conte di Tolosa, Guglielmo Tagliaferro e sorella della regina Costanza, sposa di Roberto il Pio. Contrariamente a ciò che si afferma comunemente, Bertrando non fu allevato all'Escale-Dieu né alla Chaise-Dieu (entrambe le abbazie furono fondate dopo la morte del santo), ma la sua educazione fu dapprima unicamente militare, come quella di un giovane nobile. Ben presto, però, entrò nel clero, divenne canonico e arcidiacono di Tolosa (dopo il 1070), poi vescovo di Comminges verso il 1078-80, ricevendo la consacrazione episcopale ad Auch dalle mani dell'arcivescovo.
La sua opera pastorale fu di grandissima importanza: ridiede vita alla città episcopale, l'antica Lugdunum Convenarum, distrutta e abbandonata dopo il 585, la quale prenderà più tardi il suo nome (S. Bertrando di Comminges, Alta Garonna), vi chiamò degli abitanti, vi costruì una cattedrale e un chiostro, vi fondò un capitolo di canonici sotto la regola di s. Agostino. Visitò senza sosta la diocesi, in gran parte montagnosa e di difficile accesso, riconducendo, nello spirito della riforma gregoriana, il clero alla disciplina canonica e i fedeli alla pratica delle virtù cristiane: il suo sforzo fu confortato da molti e significativi miracoli.
Preso dalla febbre nel corso di una di queste visite pastorali, si fece ricondurre nella sua cattedrale, dove morì il 16 ott. 1123 e nella quale fu seppellito.
La fama, che lo attorniava già da vivo, non fece che crescere coi miracoli che si manifestarono sulla sua tomba e il popolo non esitò a considerarlo un santo. L'arcivescovo di Auch, Guglielmo II di Montaut, suo nipote, incaricò verso il 1167-70 il chierico Vitale di scriverne la Vita e di interessare alla sua causa di beatificazione il papa Alessandro III. L'opera di Vitale è pressoché l'unica fonte che ci sia rimasta per Bertrando anche se, nel 1220, Onorio III ordinò a sua volta un'inchiesta sulla vita e i miracoli del grande vescovo.
La canonizzazione, questa volta, dovette seguire senza ritardo, quantunque se ne ignori la data esatta poiché la città vescovile è chiamata col suo nuovo nome di S. Bertrando dal 1222.
Comunque, la festa della depositio (16 ott.) si estese in tutta la Francia del sud-ovest. Ad essa, nel corso del sec. XIII, si aggiunse la festa della revelatio di s. Bertrando (2 magg.), la cui origine fu un celebre miracolo operato dal santo dopo la morte: egli era apparso a un cavaliere prigioniero dei Mori e l'aveva liberato, in ricompensa di una buona azione compiuta nel passato. Infine, il vecchio vescovo di Comminges, Bertrando de Got, divenuto papa Clemente V, procedendo il 16 genn. 1309 all'elevazione delle reliquie del santo, decise che anche l'anniversario di questa translatio sarebbe stato festeggiato. Ai fedeli che visitassero la cattedrale di Comminges in queste tre feste e nelle loro ottave, Clemente V concesse anche delle indulgenze considerevoli. Inoltre, un " gran perdono " o giubileo, di cui è difficile storicamente attribuirgli l'istituzione, ma che è stato approvato dai papi Pio VI nel 1777 e Gregorio XVI nel 1839, può essere lucrato a S. Bertrando di Comminges ogni volta che la solennità dell'invenzione della S. Croce cade di venerdì.
Le reliquie di Bertrando, sfuggite prima al furore dei protestanti poi a quello dei rivoluzionari, sono state di nuovo riconosciute ufficialmente il 15 ott. 1912. La cattedrale di Comminges conserva anche un certo numero di oggetti (mitra, cappa, sandali, ecc.) che si crede siano appartenuti al santo vescovo .
La diocesi di S. Bertrando di Comminges è stata soppressa dal concordato del 1801 e il suo territorio diviso tra le diocesi di Tolosa e di Tarbes, ad eccezione di trentuno parrocchie situate in territorio spagnolo: il titolo episcopale è passato recentemente all'arcivescovo di Tolosa.
La festa di s. Bertrando si trova iscritta nei Propri diocesani di Tolosa, Auch e Tarbes, il 16 ott. Essa attira sempre molti fedeli nella vecchia città vescovile.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:25

Santa Bonita di Brioude

16 ottobre

Martirologio Romano: A Brioude presso Clermont-Ferrand in Aquitania, sempre in Francia, santa Bonita, vergine.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:25

Sant' Edvige Religiosa e Duchessa di Slesia e di Polonia

16 ottobre - Memoria Facoltativa

Andescj, Baviera, 1174 - Trzebnica, Polonia, 15 ottobre 1243

Nata nel 1174 nell’Alta Baviera, fu duchessa della Slesia, sposa di Enrico I detto il Barbuto. La sua condizione nobile non le vietò di vivere a fondo la propria fede, dando prova di profonda devozione ed esprimendo in diversi modi la carità verso gli ultimi e l’intenzione totale di porre tutta la sua persona a servizio degli altri. Provata da diverse sventure familiari e addolorata dalla rivalità tra i due figli, seppe mostrare sempre la mitezza e la saggezza di chi vive un profondo desiderio di pace. Stile che applicò nella vita di corte e nella politica estera. Quando il marito fu fatto prigioniero di guerra ne ottenne la liberazione. Si adoperò per migliorare le condizioni di vita dei carcerati e usò gran parte delle sue rendite per i poveri. Praticò un’austerità personale volta a una mortificazione offerta come segno concreto per chi viveva chiuso nel peccato e nell’egoismo. Principessa e penitente, sposa fedele e madre dolorosa, sovrana giusta e benefica, Edvige morì nel 1243 e subito venerata come santa, sia dai fedeli germanici che da quelli slavi. (Avvenire)

Etimologia: Edvige = ricca guerriera, o fortuna in battaglia, dal tedesco

Martirologio Romano: Santa Edvige, religiosa, che, di origine bavarese e duchessa di Polonia, si dedicò assiduamente nell’assistenza ai poveri, fondando per loro degli ospizi, e, dopo la morte del marito, il duca Enrico, trascorse operosamente i restanti anni della sua vita nel monastero delle monache Cistercensi da lei stessa fondato e di cui era badessa sua figlia Gertrude. Morì a Trebnitz in Polonia il 15 ottobre.
(15 ottobre: Nel monastero di Trebnitz nella Slesia, in Polonia, anniversario della morte di santa Edvige, religiosa, la cui memoria si celebra domani).

Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

I genitori Bertoldo e Agnese, di alta nobiltàbavarese, la preparano a un matrimonioimportante, facendola studiarealla scuola delle monache benedettinedi Kitzingen, presso Würzburg. E a16 anni, infatti, Edvige sposa a Breslavia(attuale Wroclaw, in Polonia) il giovaneEnrico il Barbuto, erede del ducatodella Bassa Slesia. Quattroanni dopo, Enrico succedeal padre Boleslao e cosìlei diventa duchessa.
Questo territorio slesianofa parte ancora del regno diPolonia, ma si sta germanizzando.I suoi duchi, già daltempo di Federico Barbarossa(morto nel 1190) gravitanonell’orbita dell’Imperogermanico; la feudalità localeè invece di stirpe polacca, come lamaggioranza degli abitanti, ai quali peròsi sta mescolando una forte immigrazionedi tedeschi. Edvige mette al mondovia via sei figli: Boleslao, Corrado, Enricodetto il Pio, Agnese, Sofia e Gertrude.E si rivela buona collaboratrice delmarito nel difficile governo del ducato:guadagna la simpatia dei sudditi polacchiimparando la loro lingua, promuovel’assistenza ai poveri, come fanno efaranno molte altre sovrane; ma conuna differenza: lei vive la povertà in primapersona, giorno per giorno, con le regolesevere che si impone, eliminandodalla sua vita tutto quello che può distinguerlada una donna di condizionemodesta. A cominciare dall’abbigliamento.I biografi parlano degliabiti usati che indossa,delle calzature logore, dellecinture simili a quelle deicarrettieri.
È poco fortunata con i figli,che non avranno rapportiaffettuosi con lei, e chemoriranno quasi tutti ancoragiovani, tranne Gertrude.Suo marito, Enrico il Barbuto,muore nel 1238, e gli succedeil figlio Enrico il Pio, che già nel1241 viene ucciso in combattimentocontro un’incursione mongola pressoLiegnitz (attuale Legnica).
Disgrazie in serie, dunque. Ma i biografidicono che lei le affronta ogni voltasenza lacrime. Forse perché è tedesca.E fors’anche perché è molto legataall’ambiente monastico del tempo, contutto il suo rigore. (Alle molte preghieree pie letture, Edvige accompagna anchepenitenze fisiche durissime). Eppure,quando si ritrova sola, non pensa di“fuggire dal mondo” subito, entrandoin monastero. No, prima bisogna pensareai poveri, come dirà alla figlia Gertrude,non per motivi di buona politica,ma perché i poveri sono “i nostri padroni”.E questo linguaggio richiama «la spiritualitàdegli Ordini mendicanti e inparticolare quella dei Francescani, tra iquali Edvige, negli ultimi anni della suaesistenza, scelse il proprio confessore»(A. Vauchez, La santità nel Medioevo,ed. Il Mulino).
Entra infine nel monastero cistercensedi Trebnitz (l’attuale Trzebnica) fondatoda lei nel 1202. E qui vive da monaca.Anzi, da monaca superpenitente.Muore anche da monaca, chiedendo diessere sepolta nella tomba comune delmonastero. Tedeschi e polacchi di Slesiasono concordi nel chiamarla santa:nel 1262, sotto papa Urbano IV, incominciala causa per la sua canonizzazione,e nel 1267 papa Clemente IV la iscrivetra i santi. Il corpo sarà in seguito trasferitonella chiesa del monastero.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:26

Sant' Elifio Martire

16 ottobre

Martirologio Romano: Nel territorio di Toul in Francia, sant’Elifio, che si tramanda abbia ricevuto la corona del martirio.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:27

Santi Ferdinand Perez e Luigi Blanc Martiri mercedari

16 ottobre

I due spagnoli San Ferdinando Perez di Castiglia e San Luigi Blanc d'Aragona, entrarono nell'Ordine della Mercede come cavalieri laici e nell'anno 1250 furono nominati redentori. In quello stesso anno vennero inviati a redimere a Tunisi in Africa e mentre stavano navigando verso la meta furono catturati dai pirati turchi. Spogliati dei beni per la redenzione fu imposto loro di abiurare la fede in Cristo ma rimasero costanti nel loro credo; furono torturati ed infine gettati in mare con grosse pietre legate al collo. Raggiunsero così la corona dei martiri.
L'Ordine li festeggia il 16 ottobre.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:27

San Fortunato di Casei Martire

16 ottobre e III domenica di ottobre

 

San Fortunato è un legionario romano, africano, originario dell’Alto Egitto al confine con la Nubia, che poco più che ventenne, nel 286, coronò la sua fede col martirio in quello che oggi è il Vallese svizzero. dal 1765 il suo corpo fu traslato a Casei Gerola, in provincia di Pavia, importante borgo della diocesi di Tortona.
Nelle valli alpine settembre regala ancora giornate luminose, che profumano d’estate l’azzurro intenso del cielo terso, e insieme annunciano gli imminenti rigori dell’inverno, che incombe nell’aria via via più frizzante. Così doveva essere anche nella tarda estate dell’anno 286 nella valle di Agaunum, dove aveva posto il campo la legione Tebea, nelle aspre gole di monti selvaggi, confine della civiltà romana e via che univa la pianura padana alla valle del Reno: in quella che per noi oggi è la Svizzera meridionale, più precisamente il Vallese e la conca di Saint Moritz. Avvolti nella rossa clamide per difendersi dai venti autunnali e appoggiate al pilum, le sentinelle scrutavano le creste dei monti da cui avrebbero potuto scendere improvvisi e feroci i Bagaudi. Dalla primavera dell’anno precedente infatti i Bagaudi, agricoltori e pastori immiseriti dalla voracità dei governatori, riuniti in grosse bande percorrevano le campagne incendiando, saccheggiando, distruggendo; erano guidati da Amando ed Eliano, che sognavano di costituire sotto di sé un impero celtico, avevano sconvolto le Gallie ed ora minacciavano l’Italia. L’imperatore Diocleziano per combatterli aveva scelto fra i suoi generali uno dei più valorosi, Marco Aurelio Massimiano, illirico come lui, e lo aveva nominato “Cesare”, associandolo a sé nel governo dell’impero. Dall’Egitto era stata trasferita in fretta anche la legione Tebea, costituita da uomini valorosi, abituati a combattere per la gloria di Roma; erano i fedeli custodi dei confini meridionali dell’impero ed ora si trovavano nelle fredde terre del nord a fronteggiare barbari sanguinari. Venivano dalla valle del Nilo, erano stati arruolati nei villaggi attorno a Tebe d’Egitto, nei deserti della Nubia e giù fino alle cateratte del grande fiume e agli altipiani d’Etiopia. Erano figli dell’Africa e ne portavano i segni caratteristici nel colore della pelle e nei tratti del volto, erano figli della grande civiltà egizia che si esprimeva in loro in nobiltà e fierezza, erano soprattutto figli della Chiesa, Cristiani di una delle terre di più antica evangelizzazione, dove il Vangelo già era risuonato in età apostolica. Maurizio era il comandante in capo, Candido, Vittore ed Essuperio erano gli alti ufficiali, Alessandro custodiva, come signifero, le insegne da battaglia della legione; tra i militi vi era anche Fortunato. Il vento soffiava dalle cime delle Alpi, gelido e sinistro quasi fosse un presagio di morte, mentre i legionari ripensavano alle assolate distese del deserto nubiano, alle acque solenni del Nilo che scendevano a fecondare il loro paese, ai tanti volti cari lasciati al di là del mare. L’araldo giunse al campo con l’ordine di marcia, si dovevano levare le tende e partire, perché Massimiano aveva deciso di sferrare l’ultimo definitivo attacco volto a spezzare la resistenza dei ribelli, prima che le nevi dell’inverno coprissero i valichi e rendessero impraticabili i passi. Per propiziarsi l’esito della battaglia il comandante supremo ordinava a tutte le sue legioni di offrire sacrifici agli dei di Roma, ciascuna nel proprio campo, quella sera stessa prima della partenza. Un silenzio gravido di attesa scese su quei soldati, si guardarono uno ad uno, compagni di cento battaglie, qualcuno toccò sotto il giustacuore le cicatrici delle ferite ricevute nella difesa dell’impero; alla fine il silenzio fu rotto dalla voce del comandante: “Nessuno può dubitare in terra della nostra fedeltà a Roma e al suo imperatore: le zagaglie etiopiche e le lance numide, le spade nabatee e le asce barbariche non ci hanno mai fermato. Nessuno deve però dubitare in Cielo della nostra fedeltà a Cristo Signore: siamo Cristiani e non sacrificheremo mai agli idoli, agli dei falsi e bugiardi, che altro non sono che demoni oscuri!”. A quelle parole seguì un frastuono di spade che battevano sugli scudi; col consueto grido di guerra i legionari Tebei si preparavano all’ultima battaglia, quella del martirio; poi deposero le armi e attesero il carnefice. Caddero per primi gli ufficiali, poi venne l’ordine della prima decimazione, a cui seguì una seconda ed infine lo sterminio a colpi di clava dell’intera legione. Fortunato pregava con gli occhi levati in alto, guardava l’azzurro luminoso che in quel giorno era così simile al suo cielo africano: fra poco sarebbe entrato al cospetto del suo Signore; lui, giovane legionario egiziano, avrebbe ricevuto la corona dei martiri, avrebbe stretto in pugno la palma della vittoria.
Non sappiamo come il corpo di San Fortunato venne trasferito dal luogo del martirio ad Agaunum nelle Alpi svizzere fino a Roma. Forse lo raccolse e lo custodì un commilitone. Di certo sappiamo che fu venerato nelle catacombe romane di San Callisto fino al 1746, quando il cardinale Guadagni, vicario di Papa Benedetto XIV per la città di Roma, ne ordinò la riesumazione e l’esposizione nella Collegiata romana di Santa Maria in Via Lata. Da Santa Maria in Via Lata le reliquie di San Fortunato giunsero a Casei nel 1765, come dono della Santa Sede al Prevosto dell’Insigne Collegiata, ai canonici e alla comunità casellese, tramite il vescovo di Tortona mons. Giuseppe Ludovico de Anduxar. Non deve meravigliare questo gesto, se si considera che la Parrocchia di Casei, fino al Prevosto don Bianchi agli inizi del 1900, fu di “collazione papale”, cioè il suo parroco era nominato direttamente da Roma con bolla papale e per potervi essere designato un sacerdote doveva esibire un titolo accademico in teologia conseguito presso una facoltà romana, come attesta un documento dell’archivio parrocchiale, datato 1806. All’epoca della traslazione a Casei di San Fortunato risale la preziosa urna che custodisce le reliquie e in quell’occasione le ossa del capo frantumate (indizio del martirio avvenuto a colpi di clava, come si usava fare presso l’esercito romano in occasione delle decimazioni) vennero inserite nella sagoma in gesso del teschio, poi rivestito con l’elmo.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:28

San Gallo Eremita a Bregenz

16 ottobre

Nato in Irlanda - Bregenz, Svizzera, 630 c.

Irlandese, discepolo di san Colombano, Gallo (Gallech) si trasferì con questi sul continente. Vissero insieme a Luxueil e a Bregenz, sul lago di Costanza. Qui si fermò in vita eremitica, mentre Colombano si recò in Italia, dove fondò l'abbazia di Bobbio. Con alcuni compagni Gallo si trasferì a ovest di Bregenz nella regione della Svevia, dove morì tra il 630 e il 645. Sulla sua tomba sorse una chiesa, primo nucleo dell'abbazia di San Gallo, intorno alla quale si sviluppò l'omonima città svizzera. (Avvenire)

Martirologio Romano: Presso Arbon nell’odierna Svizzera, san Gallo, sacerdote e monaco, che, accolto ancora fanciullo da san Colombano nel monastero di Bangor in Irlanda, propagò con dedizione il Vangelo in questa regione e insegnò ai suoi confratelli l’osservanza della regola, finché riposò quasi centenario nel Signore.


Il piú antico documento su Gallo è un frammento della Vita che B. Krusch data dalla fine del sec. VIII.
Il monaco Vettino compose una seconda biografia tra 1'816 e 1'824. Valafrido Strabone scrisse, verso l'834, una terza Vita e rimaneggiò una raccolta di miracoli composta da Gozberto il Giovane, monaco di San Gallo. Una Vita ritmica, pervenuta sotto il nome dello stesso Valafrido, è in realtà di un anonimo del sec. IX. Altri documenti posteriori non apportano niente di nuovo.
Nonostante queste Vitae, s. Gallo è poco conosciuto. Scartate le leggende e ciò che è incerto, si può dire che, nato in Irlanda verso la metà del sec. VI, fu uno dei dodici discepoli di s. Colombano, che lo accompagnarono nel continente. Visse prima a Luxenil col suo maestro, poi lo seguí di nuovo nei suoi spostamenti, specialmente quando partí per l'esilio l'anno 610. Insieme andarono fino a Bregenz, sulle rive del lago di Costanza, ma allorché Colombano dové partire per l'Italia, verso l'anno 612, si separarono e Gallo andò con qualche compagno a stabilirsi in Svevia, ad ovest di Bregenz, presso la sorgente dello Steinach, dove visse come eremita con alcuni fedeli, e dove, verosimilmente, morí in data indeterminata, fra gli anni 630 e 645.
Dopo la sua morte sulla tomba fu edificata una chiesa che, prima dell'anno 750, col nome sancti Galluni era divenuta il centro d'una abbazia, fondata da Otmaro. Nel sec. IX essa si chiamava abbazia di San Gallo, sebbene non fosse stata da lui fondata.
Che cosa si può ricavare da tradizioni piú o meno leggendarie trasmesse tramite le Vitae che conosciamo? Gallo sarebbe stato ordinato prete per volere del suo abate prima di lasciare l'Irlanda. In esilio a Bregenz, egli avrebbe mostrato molto zelo nel predicare alle popolazioni della regione e nel distruggere gli idoli, ciò che gli avrebbe attirato l'inimicizia dei pagani.
L'episodio piú noto è la sua separazione da s. Colombano: quando questi si mise in strada per l'Italia, Gallo, ammalato, sollecitò il permesso di restare. Colombano, credendo forse che la malattia nascondesse l'attaccamento ad un luogo calmo e gradevole, rimproverò a Gallo ciò che considerava un rifiuto ad affrontare pene e fatiche e in conseguenza gli vietò di celebrare il santo sacrificio della Messa finché vivesse. Gallo sarebbe infatti rimasto molti anni senza salire all'altare. Avvertito miracolosamente della morte prossima di Colombano, inviò un messaggero a sollecitare l'assoluzione presso il suo maestro che si trovava in Italia. a Bobbio. Il messaggero ritornò portando il perdono di Colombano e il suo bastone abbaziale lasciato al suo antico discepolo come pegno di riconciliazione.
Un giorno, mentre Gallo era in preghiera, un orso sarebbe venuto per cibarsi dei resti del pasto e per alimentare un magro fuoco acceso per riscaldare un ammalato. Gallo avrebbe tolto dal piede dell'orso una spina e questo lo avrebbe aiutato a costruire il suo romitorio. Per questa ragione l'iconografia rappresenta di solito Gallo accompagnato da questo animale. Egli avrebbe anche liberato dal demonio la figlia del re di Francia, Sigeberto, che, in riconoscenza, gli avrebbe offerto una proprietà presso Arbon, sul lago di Costanza, per stabilirvi un'abbazia. Gallo avrebbe rifiutato a due riprese il vescovato di Costanza e l'ufficio di abate di Luxeuil, ma avrebbe pronunziato, in occasione dell'intronizzazione nella cattedrale di Costanza di uno dei suoi discepoli, un discorso che si:sarebbe conservato. Sarebbe morto in Arbon, a novantacinque anni, e sarebbe stato sepolto ai piedi dell'altare del suo eremitaggio. Come separare in tutto ciò il buon grano della storia dal loglio della leggenda?
L'abbazia, fondata cento anni dopo la morte del santo eremita, divenne custode dei suoi resti e del suo culto. Usuardo iscrisse la festa di s. Gallo, che è ancor oggi celebrata anche il 16 ottobre, al 2 febbraio, data, probabilmente, di una traslazione delle reliquie. Il Pidoux riferisce che in questo giorno nell'abbazia di San Gallo, i sacerdoti celebravano tre Messe, come per Natale.
L'abbazia, a partire dall'854, fu esente dalla giurisdizione del vescovo di Costanza; nello stesso tempo divenne centro di irradiazione spirituale e culturale per una vasta regione, ma pur se potente e centro di un autentico principato monastico, non poté resistere alla Riforma. Nel sec. XVI le reliquie di Gallo furono bruciate quasi per intero dagli Zuigliani, padroni della città che era sorta intorno al monastero. All'abbazia successe un vescovato nel 1823 che divenne del tutto indipendente nel 1846.
Il culto di Gallo resta vivo nell'est della Svizzera, nel sud-ovest della Germania e nell'Alsazia. Nel 1950 il vescovo di San Gallo portò a Luxeuil, con una statua offerta dagli abitanti della città svizzera, alcune reliquie di Gallo. In Baviera, a Fussen e a Kempten, si possiedono ancora, si crede, i resti del bastone inviato da s. Colombano al santo.
In seguito ad una confusione nata tra il popolo, si invoca s. Gallo come protettore dei volatili, specialmente dei gallinacei.



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00martedì 12 ottobre 2010 15:29

San Gauderico

16 ottobre

Martirologio Romano: Nel territorio di Mirepoix presso i Pirenei in Francia, san Gauderíco, contadino, insigne per la pietà verso la Madre di Dio.


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00martedì 12 ottobre 2010 15:30

Beato Gerardo da Chiaravalle Abate

16 ottobre

Martirologio Romano: Nel monastero di Igny nel territorio di Reims in Francia, transito del beato Gerardo da Chiaravalle, abate, ucciso da un monaco malvagio mentre era in visita in questo cenobio.



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00martedì 12 ottobre 2010 15:30

San Longino Martire

16 ottobre

Soldato romano che con la sua lancia trafisse il costato di Gesù Crocifisso. Secondo la tradizione, la linfa che defluì dal fianco divino lo guarì da un'infermità oculare e lo convertì.

Etimologia: Longino = alto, lungo, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Gerusalemme, commemorazione di san Longino, venerato come il soldato che aprì con la lancia il costato del Signore crocifisso.


Si tratta di un santo di cui molto si è parlato e scritto in tutti i sinassari orientali, nei Vangeli, epistole dei Santi Padri, vangeli apocrifi e martirologi sia orientali che occidentali. Tutta questa massa di citazioni ha determinato la combinazione di tre diversi personaggi in cui viene identificato.
Nel primo caso si tratta di un soldato che con un colpo di lancia squarciò il costato di Cristo sulla croce, il suo nome deriverebbe appunto dalla lancia; nel secondo caso è identificato con il centurione che era presente alla morte di Gesù e che commosso da ciò che vede, ne afferma la divinità, unica voce favorevole in un coro d’insulti e scherni; nel terzo caso Longino sarebbe il centurione che comandava il picchetto di soldati messo a guardia del sepolcro del crocifisso che comunque secondo alcuni testi, sarebbero gli stessi che avevano presenziato alla crocifissione.
La tradizione orientale celebra Longino come il centurione che riconobbe la divinità di Gesù e ne custodì il sepolcro; quella occidentale lo celebra sia come il soldato del colpo di lancia, sia come il centurione che afferma la divinità sotto la croce.
Ambedue le tradizioni dicono che Longino abbandona la milizia, viene istruito nella fede dagli apostoli e se ne va a Cesarea di Cappadocia dove conduce una vita di santità, prodigandosi per la conversione dei gentili, ed infine subisce il martirio morendo decapitato.
Tuttavia la passio del martire diventa ancora diversa fra le due tradizioni: in quella latina egli è un soldato isaurico che viene arrestato e processato dal preside di Cesarea di Cappadocia, Ottavio che a sua volta si converte come pure il suo segretario Afrodisio che subisce anch’egli il martirio; in quella greca egli è nativo di Cesarea dove infatti si ritira in un possedimento paterno, poi sobillato dai giudei, Ponzio Pilato lo accusa all’imperatore come disertore e lo fa uccidere da due sicari, la testa del martire viene portata a Gerusalemme e mostrata a Pilato e poi gettata nell’immondizia, in seguito viene recuperata da una vedova miracolosamente guarita dalla cecità.
Un antichissimo testo letterario, il primo che parla di Longino, cioè l’Ep. XVII, 15 di s. Gregorio Nisseno (m. 394 ca.) riporta fra l’altro che già nel secolo IV, Longino era considerato l’evangelizzatore della Cappadocia come gli Apostoli singolarmente lo erano di altre regioni.
È incredibile il numero dei giorni del calendario in cui viene ricordato, i vari martirologi, sinassari, calendari orientali, codici ecc. lo ricordano in giorni diversi nei mesi di marzo, ottobre, novembre ed altri.
Il Martirologio Romano seguendo quello Geronimiano lo celebra il 15 marzo mentre gli orientali, anche in questo divisi, in massima parte lo celebrano il 16 ottobre.
Gli artisti in ogni tempo sono stati attratti dalla singolarità del personaggio e abbinandolo alla scena della crocifissione con lancia o senza lancia, l’hanno immortalato nelle loro opere; è importante ricordare che nella grande basilica di S. Pietro, alla base di uno dei quattro enormi piloni che sorreggono l’immensa cupola e che circondano lo spazio dell’altare con il baldacchino del Bernini, vi è la grande statua di s. Longino, dello stesso Bernini, centurione che per primo riconobbe la divinità di Cristo.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:31

San Lullo di Magonza Vescovo

16 ottobre

710 – 786

Martirologio Romano: Nel monastero di Heresfeld nella Franconia in Germania, san Lullo, vescovo di Magonza, che, compagno e collaboratore di san Bonifacio nella predicazione, fu da lui ordinato vescovo, perché fosse per i sacerdoti una guida, per i monaci un maestro della regola e per il popolo cristiano un predicatore e pastore fedele.


San Lull nacque nel Wessex, regione inglese, nel 710 e si fece monaco a Malmesbury, prima di raggiungere suo cugino San Bonifacio per collaborare con lui all’evangelizzazione della Germania. Questi lo ordinò sacerdote e lo inviò a Roma per consultare l’opinione del papa Zaccaria. Al suo ritorno, Lull fu consacrato vescovo e nel 754 succedette a Bonifacio, partito per la Frisia, alla cattedrale episcopale di Magonza. Ma l’anno seguente il cugino morì martire e gli toccò seppellirlo nell’abbazia di Fulda, nei pressi di Magonza, della quale lui stesso era stato il fondatore.
L’episcopato di Lull fu turbato da lunghe dispute con San Sturmio, abate di Fulda, circa la dipendenza dell’abbazia dalla diocesi. Questi fu rimoso dal vescovo e sostituito, ma poi reisediato per intervento del re Pipino. Lull si dimostrò sempre pastore energico, reggendo la Chiesa di Magonza con grande zelo, fondando i monasteri di Hersfeld e Bleidenstadt, partecipando a vari concili nei paesi vicini. Grande attenzione prestò alla formazione del clero, provvedendo a tal scopo a farsi inviare libri dall’Inghilterra e da altri paesi.
Ebbe occasione di scrivere al suo primo superiore, Dealwine, chiedendogli alcuni scritti di Sant’Aldelmo per consolarsi dell’esilio e preghiere per sé: “Scongiuro con profonde suppliche la clemenza di vostra Grazia, affinché vi degniate di sostenere la barca della mia piccolezza con le vostre gentili preghiere, cosicché, protetto dallo scudo della vostra intercessione, possa meritare di raggiungere il porto della salvezza e ottenere il perdono dei miei peccati in questa prigione terrestre”.
Scrivendo invece all’arcivescovo di York elencò alcuni dei problemi riscontrati nella vita missionaria: “In verità, per amore del nome di Cristo, conviene che noi ci vantiamo degli insulti, delle tribolazioni e dell’esaltazione della sua Chiesa, che ogni giorno è colpita, oppressa e tormentata. Mi permetto di importunare vostra Eccelenza con quest’umile preghiera, che continuiate a intercedere per la salvezza della mia anima. Perchè sono condotto dalla crescente malattia del corpo e dall’affanno della mente a lasciare questa vita miserabile e pericolosissima, per rendere conto al Giudice fedele e severo”.
L’epistolario di Lull offre nel complesso il ritratto di un vescovo santo, attento ed impegnato nel suo ministero, fedele al diritto canonico, alla recita dell’Ufficio, alla celebrazione eucaristica ed alla pratica del digiuno. Nel 781 ricevette il pallio arcivescovile, segno che Magonza era tornata al rango di sede metropolitana. Si conserva la professione di fedeltà al papa che egli pronunziò in tale occasione, unica del genere rimasta dell’VIII secolo. Verso la fine della sua vita si ritirò nel monastero di Hersfeld, ove morì nel 786. Il suo culto fu molto popolare in Germania, ma non nella sua terra di origine.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:32

Beata Lutgarda di Wittichen Badessa

16 ottobre

Schenkenzell, Kinzigtal (Selva nera), 1291 - Wittichen, 1348


Nata nel 1291 presso Schenkenzell nel Kinzigtal (Selva nera) da una famiglia di contadini, a due anni, colpita da una deformazione fisica, s'associò alle beghine di Oberwolfach. Dopo vent'anni di vita povera e mortificata, su ispirazione divina, Lutgarda eresse un convento per trentaquattro religiose secondo la regola di s. Francesco, per la cui fondazione ella stessa raccolse i fondi necessari questuando; ben presto la comunità ospitò settanta membri. Dopo l'incendio del monastero (1327) Lutgarda si mise all'opera per ricostruirlo chiedendo aiuti anche in Alsazia, in Svizzera e da Agnese d'Ungheria a Kónigsfelden. Ottenne ad Avignone (1332) la conferma della sua Comunità regolare del Terz'Ordine, trasformata poi (1376) in monastero di Clarisse e secolarizzata nel 1803.
Lutgarda si distinse nella meditazione della vita e della passione del Signore e nella preghiera per la Chiesa in seguito ai contrasti dei papi d'Avignone con Ludovico il Bavaro e per la Chiesa si offerse quale vittima d'espiazione. Devotissima al S. Cuore e zelante per il sollievo delle anime purganti, Lutgarda raccomandò queste pratiche religiose alle sue suore. "Assidua nel pregare per la conversione dei peccatori, un giorno vide l'immagine del Crocifisso grondante sangue da tutte le ferite, e poi molta gente rifugiarsi nel Cuore di lui".
Nell'estrema povertà del convento, Lutgarda con le sue suore godette di gioia soprannaturale. Morta nel 1348 fu sepolta nella chiesa, già conventuale, ora parrocchiale, di Wittichen. Ancora oggi numerosi pellegrini visitano la sua tomba specialmente il 16 ottobre, giorno della festa. Il culto non è confermato.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:33

Santa Margherita Maria Alacoque Vergine

16 ottobre e 17 ottobre - Memoria Facoltativa

Verosvres, Autun, Francia, 1647 - Paray-le-Monial, 17 ottobre 1690

Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché dovette vincere la resistenza dei genitori per entrare, a ventiquattro anni, neII'Ordine della Visitazione, fondato da san Francesco di Sales. Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì «vittima al Cuore di Gesù». Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria. Il beato Claudio La Colombière divenne preziosa guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nell'autobiografia, le sue esperienze ascetiche. Per ispirazione della santa, nacque la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica dei primi Nove Venerdì del mese. Morì il 17 ottobre 1690. (Avvenire)

Etimologia: Margherita = perla, dal greco e latino

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Santa Margherita Maria Alacoque, vergine, che, entrata tra le monache dell’Ordine della Visitazione della beata Maria, corse in modo mirabile lungo la via della perfezione; dotata di mistici doni e particolarmente devota al Sacratissimo Cuore di Gesù, fece molto per promuoverne il culto nella Chiesa. A Paray-le-Monial nei pressi di Autun in Francia, il 17 ottobre, si addormentò nel Signore.
(17 ottobre: A Paray-le-Monial nel territorio di Autun in Francia, transito di santa Margherita Maria Alacoque, vergine, la cui memoria si celebra il giorno precedente a questo).

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

La memoria di Santa Margherita Maria Alacoque, francese, è legata alla diffusione della devozione del Sacro Cuore, una devozione tipica dei tempi moderni, e promossa infatti soltanto tre secoli fa, quando soffiò sulla Francia il vento gelido del Giansenismo, foriero della tormenta dell'Illuminismo.
All'origine della devozione al Cuore di Gesù si trovano due grandi Santi: Giovanni Eudes e Margherita Maria Alacoque. Del primo abbiamo già parlato il 19 agosto. dicendo come questo moschettiere dell'amore di Gesù e Maria fosse il primo e più fervido propagatore del nuovo culto.
Santa Margherita Maria Alacoque, da parte sua, fu colei che rivelò in tutta la loro mirabile profondità i doni d'amore dei cuore di Gesù, traendone grazie strepitose per la propria santità, e la promessa che i soprannaturali carismi sarebbero stati estesi a tutti i devoti del Sacro Cuore.
Nata in Borgogna nel 1647, Margherita ebbe una giovinezza difficile, soprattutto perché non le fu facile sottrarsi all'affetto dei genitori, e alle loro ambizioni mondane per la figlia, ed entrare, a ventiquattro anni, neII'Ordine della Visitazione, fondato da San Francesco di Sales. Margherita, diventata suor Maria, restò vent'anni tra le Visitandine, e fin dall'inizio si offrì " vittima al Cuore di Gesù ". In cambio ricevette grazie straordinarie, come fuor dell'ordinario furono le sue continue penitenze e mortificazioni sopportate con dolorosa gioia. Fu incompresa dalle consorelle, malgiudicata dai Superiori. Anche i direttori spirituali dapprima diffidarono di lei, giudicandola una fanatica visionaria. " Ha bisogno di minestra ", dicevano, non per scherno, ma per troppo umana prudenza.
Ci voleva un Santo, per avvertire il rombo della santità. E fu il Beato Claudio La Colombière, che divenne preziosa e autorevole guida della mistica suora della Visitazione, ordinandole di narrare, nella Autobiografia, le sue esperienze ascetiche, rendendo pubbliche le rivelazioni da lei avute.
" Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini ", le venne detto un giorno, nel rapimento di una visione. t una frase restata quale luminoso motto della devozione al Sacro Cuore. E poi, le promesse: " Il mio cuore si dilaterà per spandere con abbondanza i frutti del suo amore su quelli che mi onorano ". E ancora: " I preziosi tesori che a te discopro, contengono le grazie santificanti per trarre gli uomini dall'abisso di perdizione ".
Per ispirazione della Santa, nacque così la festa del Sacro Cuore, ed ebbe origine la pratica pia dei primi Nove Venerdì del mese. Vinta la diffidenza, abbattuta l'ostilità, scossa la indifferenza, si diffuse nel mondo la devozione a quel Cuore che a Santa Margherita Alacoque era apparso " su di un trono di fiamme, raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e sormontato da una croce ". E’ l'immagine che appare ancora in tante case, e che ancora protegge, in tutto il mondo, le famiglie cristiane.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:34

Santi Martiniano, Saturiano e Massima Martiri

16 ottobre

Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Martiniano e Saturiano, martiri in Africa, insieme a due loro fratelli, che, al tempo della persecuzione vandalica perpetrata sotto il re ariano Genserico, schiavi di un vandalo, erano stati convertiti alla fede in Cristo da santa Massima, vergine, loro compagna di schiavitù, e, dopo essere stati percossi con grossi bastoni e lacerati fino all’osso per la loro fermezza nella retta fede, vennero infine relegati in esilio tra i Mori, dove furono condannati a morte per aver condotto alcuni alla fede in Cristo; Massima, invece, liberata dopo aver superato molti combattimenti, si addormentò santamente in un monastero, dove era divenuta madre di molte vergini.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:34

San Mommolino di Noyon Vescovo

16 ottobre

+ Noyon, Francia, 686

Martirologio Romano: A Noyon in Neustria, ora in Francia, san Mummolino, vescovo, che dapprima da monaco aiutò sant’Audomaro nel lavoro missionario e succedette poi a sant’Eligio nella sede episcopale.

San Mommolino era originario della zona di Coutances in Normandia. Divenne monaco presso Luxeuil e fu poi inviato insieme a due confratelli a Sant’Omero nell’Artois, regione della Francia settentrionale, per evangelizzare la popolazione dei morini. Intrapresero dunque la fondazione in un luogo oggi chiamato Saint-Mommélin, e proprio Mommolino ne fu l’abate sino a quando, dopo parecchia anni, si trasferirono nel nuovo monastero di Saint-Pierre a Sithiu.
Alla morte nel 660 del celebre Sant’Eligio, vescovo di Noyon, Mommolino fu chiamato a succedergli sulla cattedra episcopale dal re Clotario III, che apprezzava la sua conoscenza della lingua germanica.
Il novello vescovo resse tale diocesi per ben ventisei anni. Tra le sue prime preoccupazioni vi fu quella di fondare un monastero presso l’odierna città di Saint-Quentin, che affidò alla guida di Bertram. Morì infine verso l’anno 686. Numerosi documenti recano la sua firma. Sul luogo della sua sepoltura sorse poi una basilica in suo onore. Sono state tramandate due vite del santo in lingua latina.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:35

San Vitale Eremita in Bretagna

16 ottobre

Martirologio Romano: Nel territorio di Retz vicino a Nantes in Bretagna, san Vitale, eremita.



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