17 dicembre

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Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:45

Santi Anania, Misaele e Azaria (Abdenago, Misach e Sidrach) Martiri

17 dicembre

Abdenago, Misach e Sidrach, chiamati anche Anania, Misaele e Azaria, sono personaggi biblici. Il libro del profeta Daniele, nei primi tre capitoli, espone la vicenda di questi tre personaggi con dovizia di particolari. Sono i tre giovinetti, divenuti governatori di Babilonia, che, per non aver voluto adorare un idolo pagano, furono gettati in una fornace ardente dalla quale rimasero, però, illesi. Le reliquie dei tre santi vetero-testamentari furono traslati da Babilonia a Costantinopoli, nella chiesa di S. Daniele stilita. Da là queste reliquie furono portate, nel 1156, nell’abazzia di Montevergine dove tuttora si venerano. Le reliquie dei tre fanciulli babilonesi sono esposte in tre reliquiari diversi. In uno di questi, su una targhetta, c’è scritto “Ossa S. Misach ex tribus puer Babylon”. Nel secondo la targhetta avverte trattasi di “Ossa S. Sidrach ex tribus puer Babylon”. Nel terso reliquiario vi sono le “Ossa S. Abdenago ex tribus puer Babylon”. La festa dei tre fanciulli babilonesi viene celebrata, a Montevergine, il 16 dicembre.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:46

Santa Begga Badessa di Andenne

17 dicembre

Nata nel VII secolo da nobile famiglia carolingia, Begga si sposò e rimase vedova. Allora - sull'esempio della madre, santa Itta, che alla morte del marito, il beato Pipino di Landen, si era ritirata nel monastero belga di Nivelles - fondò Notre-Dame ad Andenne-sur-Meuse (Belgio), di cui fu badessa. Le si attribuì la fondazione di sei oratori intorno alla chiesa principale: perciò il luogo fu detto "sept-eglises". È considerata, dal XV secolo, l'iniziatrice del movimento delle beghine, per assonanza e perché la scelsero come patrona. (Avvenire)

Martirologio Romano: Ad Andenne nel Brabante, nell’odierno Belgio, santa Begga, vedova, che, dopo la morte del marito, fondò il monastero della Beata Maria Vergine secondo le regole dei santi Colombano e Benedetto.


La Vita sanctae Beggae viduae fu redatta nel XII sec. con la fusione di elementi desunti da una Vita di s. Gertrude dell'VIII sec., di reminiscenze classiche e invenzioni fantastiche. Begga nacque da nobilissima famiglia: figlia del b. Pipino di Landen (m. 640) e di s. Itta (o Iduberga), fondatrice del monastero di Nivelles (m. 652), ebbe per fratelli lo sventurato Grimoaldo, che morì nel 663 vittima di intrighi cortigiani, e s. Gertrude, badessa a Nivelles fino al 659, anno della sua morte.
Begga sposò uno dei figli di s. Arnolfo di Metz, Ansegiso o Ansegisello, domesticus alla corte di Sigeberto III (m. 656) e dì Childerico Il (m. 675) e firmatario di alcuni diplomi nel 670. Ansegiso è generalmente confuso col nobile Adalgysel della Cronaca di Fredegario o della carta di fondazione di Cugnon (645-47). Dopo la morte del marito, avvenuta nel 685, Begga fondò e intitolò a Notre-Dame un monastero ad Andenne-sur-Meuse (Belgio), in un terreno di sua proprietà.
Nell'abbandonare il mondo Begga s'ispirò al comportamento della madre Itta che, alla morte del marito, si era rinchiusa nel monastero di Nivelles (Belgio), da lei fondato. E proprio ad Agnese, badessa di Nivelles, ella si rivolse per ottenere libri, reliquie e suore con cui sostenere la sua fondazione di Andenne. Si attribuiva, inoltre, a Begga la fondazione di sei oratori che, disposti intorno alla chiesa principale, rappresentavano le sette basiliche di Roma e valsero ad Andenne il nome dì "sept-tglises", ad septem ecclesias. Le monache di Nivelles praticavano probabilmente la regola di s. Colombano, se si considerano i costanti legami dell'abbazia (consolidatasi sotto la vigile protezione di Amando, Foillano e Ultano, fratelli questi di s. Furseo) coi monaci irlandesi. Ma nel 691 la regola importata ad Andenne era mista di elementi desunti dalle regole di s. Colombano e di s. Benedetto.
La Vita leggendaria pone la morte di B. al 709, attribuendole un viaggio a Roma sotto il papa Adriano I, eletto in realtà nel 772. Al tempo della redazione della Vita il monastero di Andenne fu secolarizzato e affidato a canonichesse nobili con prebende; l'autore descrive questo regime come se fosse quello della fondazione.
Begga fu onorata come santa subito dopo la morte; il suo nome, assente negli antichi martirologi, è passato, dai calendari dell'XI sec. al Martirologio Romano, al 17 dic. Per la somiglianza dei nomi, a partire dal XV sec. si è considerata Begga come iniziatrice del movimento delle beghine, ed è esistita una pia letteratura che, specialmente nei paesi fiamminghi, illustra e difende questa teoria, nata, invece, dal fatto che le beghine scelsero Begga come patrona.



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00venerdì 17 dicembre 2010 09:46

San Cristoforo di Collesano Monaco

17 dicembre

Martirologio Romano: Sui pendii del Mercurio in Basilicata, san Cristoforo da Collesano, monaco, che si dedicò intensamente con tutta la sua famiglia alla propagazione della vita monastica.


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00venerdì 17 dicembre 2010 09:47

San Floriano Venerato a Bologna

17 dicembre

Etimologia: Floriano = fiore, appartenente alla dea Flora, dal latino

Nei primi decenni del sec. XIV il culto di questo martire, attestato peraltro dal sec. precedente, ebbe un notevole incremento tanto che fu proclamato protettore di Bologna. Eppure si tratta di un personaggio fittizio.
Sull'origine del culto a Bologna, le leggendarie Passio sancli Floriani et sociorum e la Vita in volgare di s. Petronio (entrambe del sec. XIV ca.) ci danno alcuni ragguagli: il vescovo Petronio, si sarebbe recato in pellegrinaggio in Palestina, e vi avrebbe acquistato numerose reliquie fra cui quelle di Floriano di Gaza e dei suoi compagni. In questa narrazione sono evidenti alcune sfasature: i martiri di Gaza, infatti, realmente esistiti furono suppliziati nel 638, mentre Petronio visse al principio del sec. V; inoltre, essi furono sessanta e non quaranta, come vuole la leggenda bolognese. Del resto la più antica biografia di s. Petronio del sec. XII, pur menzionando il viaggio in Palestina, non accenna al particolare dell'acquisto delle reliquie.
Per spiegare la genesi del culto di Floriano bisogna rifarsi ad un documento storico del sec. XII, ossia al Sermo de in vention e san ctarum reliq uiarum dove si narra come, nel 1141, i monaci di S. Stefano di Bologna trovarono sotto il pavimento di una delle basiliche del complesso stefaniano (S. Croce) "speciosas arcas" in cui "sanctorum quadraginta martyrum pretiosa continentur corpora". Su uno di tali corpi era deposta "ulcherrima crux aurea". In questo documento autentico, peraltro, pur essendo elencati numerosissimi nomi di santi di cui furono trovate le reliquie, non esiste alcuna menzione esplicita né di Floriano né dei martiri di Gaza. In realtà i monaci che trovarono le quaranta salme parlarono di "martiri", ma probabilmente diedero questa qualifica a persone che non erano morte per la causa di Cristo.
Successivamente si volle precisare la provenienza di quei corpi sconosciuti; infatti, si cominciò a parlare dei quaranta, trovati nelle preziose arche, come dei martiri di Gaza alla fine del XII o al principio del XIII sec.; la salma decorata con croce aurea, poi, fu ritenuta quella del capo a cui fu dato il nome di Floriano. Il Lanzoni, che ha esaminato la leggenda, ritiene che un anonimo chierico bolognese nel sec. XIII abbia collegato l'invenzione delle salme con la Vita del vescovo Petronio che del complesso stefaniano era considerato il fondatore. Queste costruzioni erano considerate imitazioni di quelle palestinesi, per cui si può fare l'ipotesi che il leggendista ritenesse le reliquie dei quaranta di provenienza palestinese.
Per compilare poi la Passio s. Floriani et sociorum l'anonimo autore si servì della Passio sexaginta martyrum di Gaza compilata prima del sec. XI dove, però, non c'è alcuna menzione di Floriano, per cui resta sconosciuto il motivo della scelta del suo nome per la salma con la crux aurea. Può darsi che lo scrittore bolognese abbia imitato un passo del Liber Pontificalis di Agnello ravennate nel quale si riferisce che il vescovo Massimiano portò a Ravenna molte reliquie di martiri fra cui quelle di Floriano (probabilmente un martire nel Norico; cf. Delehaye, Origines, p. 326). Come Massimiano anche Petronio avrebbe portato a Bologna le reliquie di Floriano.
Nella passio che porta il suo nome, Floriano entra nella narrazione in modo saltuario e marginale. Da Gerusalemme, dove si trovava, un angelo miracolosamente lo trasportò a Gaza facendolo apparire ai sessanta soldati suoi dipendenti, fatti prigionieri dai Saraceni, che egli consolò. Dieci di questi, con a capo Callinico, furono poi trasferiti a Gerusalemme ed ivi decapitati; gli altri cinquanta subirorono analogo martirio dopo un mese. Floriano li seppellì ad Eleuteropoli; per questo fatto il governatore Ambro lo condannò a morte.
Gli storici bolognesi dei secc. XVI e sgg., accortisi della incongruenza cronologica, hanno fatto di Floriano un martire della persecuzione di Diocleziano; ma già nel sec. XVIII il Lambertini, pur non negandone l'esistenza, mostrava molte perplessità sulle vicende di questo Floriano. La bolla di Celestino III riguardante il culto di Floriano è un falso.
Nel calendario bolognese la festa era il 17 dicembre.



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00venerdì 17 dicembre 2010 09:48

Beato Giacinto Maria Cormier Domenicano

17 dicembre

Orleans, 1832 - Roma, 1916

Avvertendo già da seminarista il richiamo alla vita religiosa, professò in privato i voti ed entrò nel Terz'Ordine. Nel 1856, il giorno dopo la sua ordinazione sacerdotale, entrò nel noviziato di Flavigny, fondato da R. Lacordaire. A partire dal 1859, servì l'Ordine in diversi uffici: maestro dei novizi, priore in molti conventi, priore della provincia di Tolosa per due volte, assistente generale, procuratore dell'Ordine e infine nel 1904 venne eletto Maestro dell'Ordine, destando grande meraviglia per l'età avanzata e per la salute cagionevole. Fu l'uomo della Provvidenza per la restaurazione materiale e spirituale della Famiglia domenicana nel mondo: il suo programma fu quello di restaurare tutte le cose in Domenico, iniziando dallo studio e dalla preghiera.

Martirologio Romano: A Roma presso Santa Sabina sull’Aventino, beato Giacinto (Enrico) Cormier, sacerdote, che, Maestro Generale, governò con prudenza l’Ordine dei Predicatori, promovendo notevolmente gli studi di teologia e di spiritualità.


Tra i figli più degni che l’Ordine Domenicano ha avuto e che ha brillato di mite e candida luce, e che è stato per questo dalla Chiesa coronato con il titolo di Beato, c’è Padre Giacinto Cormier. Nato a Orleans nel 1832, in seminario egli sentì la vocazione domenicana e, appena ordinato sacerdote, tra le lacrime del suo Vescovo, nel 1856, partì per il Noviziato di Flavigny. Formò subito l’incanto dei superiori e dei novizi, i quali si contendevano la gioia di poter servire la messa del Padre Giacinto, che all’altare pareva un angelo. Repentini e improvvisi fiotti di sangue fecero temere seriamente per la sua salute. L’allora Maestro Generale, Padre Jandel, che non voleva perdere quella preziosa perla domenicana, decise di portarselo con se a Roma. Il male persistette, ma Papa Pio IX dette l’ordine di farlo professare lo stesso: “Se non potrà vivere religioso, disse il Beato Pontefice, abbia almeno la consolazione di morire Professo!”. Il Signore allora lo arricchì di tutti i doni, doni di natura e di grazia, e il più splendido è quella sua meravigliosa attitudine a comunicare ai fratelli gli inesauribili tesori del suo spirito. Nominato subito Maestro dei Novizi, e successivamente Priore, riuscì a meraviglia in ogni ufficio. Restaurata la Provincia di Tolosa, la più antica dell’Ordine, ne venne messo a capo. Qui fu il principio di un immenso lavoro. Nel 1904 venne eletto Maestro Generale. Volle “instaurare omnia in Dominico” seguito gioiosamente dai suoi figli. Il Collegio Angelico in Roma rimane la più espressiva delle sue opere. Il 17 dicembre del 1916, mentre l’Ordine in festa celebrava alla Minerva il settimo centenario della conferma papale, spirò come un santo, in una cella del Convento di S. Clemente in Roma. E’ sepolto nella chiesa dei SS. Domenico e Sisto presso la Pontificia Università di San Tommaso, già Pontificio Ateneo “Angelicum”, che egli fondò nel 1909. Chiamato da Papa San Pio X il “santo di Roma”, venne dichiarato Beato da Papa Giovanni Paolo II il 20 novembre 1994. La memoria liturgica cade nell’anniversario della sua elezione a Maestro dell’Ordine.
Il Martyrologium Romanum lo pone al 17 dicembre.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:48

San Giovanni de Matha Sacerdote

17 dicembre

Faucon (Alpes-de-Haute-Provence, Francia), 23 giugno 1154 - Roma, 17 dicembre 1213

Provenzale, docente di teologia a Parigi, prete a 40 anni, Giovanni de Matha lasciò la cattedra, divenendo sacerdote. Durante la sua prima messa, il 28 febbraio 1193, gli accade qualcosa di straordinario. Mentre celebrava gli comparve una visione: un Uomo dal volto radioso, che teneva per mani due uomini con catene ai piedi, l'uno nero e deforme, l'altro pallido e macilento; quest'uomo gli indicò di liberare queste povere creature incatenate per motivi di fede. Giovanni De Matha comprese immediatamente che quell'uomo era Gesù Cristo Pantocratore, che rappresentava la Trinità, e gli uomini in catene erano gli schiavi cristiani e musulmani. Capì, quindi, che sarebbe stata questa la sua missione di sacerdote: quella di liberare gli schiavi cristiani in Africa. Si ritirò in campagna per meditare sull'impresa e fondò, nel 1194, in Cerfroid, a poco meno di cento chilometri da Parigi, con quattro eremiti l'Ordine della Santissima Trinità (“Ordo Sanctae Trinitatis et redemptionis captivorum”), dall'austera regola. Ottenuta l'approvazione di Innocenzo III il 17 dicembre 1198 con la bolla Operante divinae dispositionis, partì per il Marocco. Iniziarono così i primi riscatti di schiavi. Il tema era allora molto sentito, tanto che san Pietro Nolasco fondò nel 1218, con lo stesso scopo, i Mercedari. Giovanni morì a Roma - dove il Papa gli aveva donato la chiesa di San Tommaso in Formis sul Celio -, ma nel Seicento il suo corpo venne portato a Madrid. Fu santificato nel 1666.

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Martirologio Romano: A Roma sul monte Celio, san Giovanni de Matha, sacerdote, che, francese di origine, istituì l’Ordine della Santissima Trinità per la liberazione degli schiavi.


Questo provenzale di Faucon, docente di teologia all’Università di Parigi, si fa prete tardi, sui 40 anni. Poi lascia la cattedra, perché un "segno gli ha rivelato la sua vera missione": dedicarsi al riscatto degli schiavi cristiani in Africa. La pirateria mediterranea, negli assalti in mare e nelle scorrerie a terra, rastrella gente giovane e va a venderla sui mercati nordafricani. Giovanni de Matha si ritira per riflettere a Cerfroid, una campagna solitaria a 70 km da Parigi, dove spiega l’idea a quattro eremiti, che l’accettano di colpo. In tre anni nasce la struttura. Ossia l’Ordine della Santissima Trinità (abito bianco con croce rossa e azzurra sul petto, cappa e cappuccio neri). Si basa su comunità piccole e agili, con regola austera e niente ambizioni estetiche per le chiese e i riti. L’elemosina raccolta da appositi collettori va per un terzo al mantenimento dei monaci, per un terzo all’assistenza di malati e pellegrini, e per un terzo al riscatto degli schiavi. Ottenuta l’approvazione del papa Innocenzo III, nel 1199 parte la prima spedizione per il Marocco.
I Trinitari (così li chiamano) visitano mercati, prigioni, luoghi di lavoro, trattano con autorità e padroni, e liberano con regolare scrittura di riscatto i primi duecento schiavi; un notaio registra tutto, e così si farà sempre. I marsigliesi si commuovono vedendo sbarcare quei duecento, con Giovanni de Matha che li accompagna alla cattedrale cantando il salmo In exitu Israël de Aegypto. (Il problema degli schiavi è all’ordine del giorno: con una missione analoga nel 1218 san Pietro Nolasco fonderà a Barcellona i Mercedari).
Nel 1209 l’Ordine avrà 30 case, e 600 verso il 1250, soprattutto in Francia e Spagna. Agli ex schiavi malati o senza famiglia dà accoglienza nei suoi ospizi. Tra il 1199 e il 1207 il fondatore si lancia in un attivismo frenetico, per aumentare i centri di accoglienza, trovare denaro da ricchi e da poveri, moltiplicare le spedizioni di riscatto. Papa Innocenzo gli dona a Roma la chiesa abbaziale di San Tommaso in Formis sul Celio, dove Giovanni crea un altro ospizio. E qui muore il 17 dicembre 1213. Nel 1665 due frati trinitari tolgono il suo corpo dalla chiesa (il convento ha cambiato proprietà) e lo portano a Madrid.
L’ordine soccombe poi alle soppressioni regie e rivoluzionarie del Sette-Ottocento, ma rinasce nel XIX secolo, con case impegnate in Europa e in America nelle missioni, assistenza ospedaliera e ministero. Manca una storia completa dei riscatti: il religioso che vi lavorava, padre Domenico dell’Assunta, fu ucciso nella guerra civile spagnola (1936) e il materiale andò perduto. Ricordiamo tuttavia un nome: quello di Miguel de Cervantes, futuro autore di Don Chisciotte. Catturato da un pirata albanese e venduto sul mercato di Algeri nel 1575, sarà liberato cinque anni dopo dal trinitario spagnolo fra Juan Gil.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:49

San Giudicaele (Judicaël) Re di Bretagna

17 dicembre

590 circa – 658 circa

San Giudicaèle (Judicaël), fratello di San Giudoco, in un primo tempo entrò in monastero sotto la guida di San Mavenno (Mèen), ma poi rivendicò i suoi diritti al trono di Bretagna. Governò con saggezza, riportando la pace tra i Bretoni e i Franchi. Dopo aver abdicato al regno, si dice abbia passato gli ultimi anni della sua vita nel monastero di Saint-Mèen.

Martirologio Romano: Nella Bretagna in Francia, san Giudicaele, che promosse con ogni mezzo la pace tra Bretoni e Franchi e, deposto l’incarico di re, si dice si sia ritirato nel monastero di Saint-Méen.


La Bretagna, odierna regione della Repubblica Francese, a cavallo tra VI e VII secolo fu il territorio su cui regnò San Giudicaele, sicuramente uno tra i sovrani santi meno noti nella folta schiera di santità che ha affollato le corti europee nel corso dei due millenni dell’era cristiana.
San Judicaël nacque all’incirca nel 590 e fu battezzato da un prete di nome Guodenon. Sino all’età di tre anni fu allevato a casa di suo nonno Ausoche, per poi passare alla corte del re di Bretagna Judhaël, suo padre, alla morte del quale avrebbe dovuto succedere alla corona essendo il primogenito tra tutti i suoi fratelli. Egli profuse dunque ogni forza nell’assicurarsi il trono, arrivando a sostenere i suoi diritti anche con l’uso delle armi. Ma Salomone II, suo fratello e suo competitore, lo battè ed conquistò così il trono verso il 605 circa.
Ora però non gli restò che rinunciare al mondo e vestire gli abiti di penitente, all’età di soli vent’anni, entrando nel monastero di Saint-Jean de Gaël sotto la preziosa guida di San Meen. Tutta la Bretagna, afflitta per il ritiro del suo principe, grazie al quale aveva conosciuto grandi speranze, ammirò questa sua grande scelta, presa non senza una dovuta riflessione, che mise ancor più in risalto le sue splendide qualità.
Le numerose leggende sorte sul suo conto narrano cose meravigliose circa il fervore che lo pervase. La sua ascesi fu sin da subito estrema ed avrebbe raggiunto addirittura dei grandi eccessi, se la saggia discrezione di San Meen non l’avesse moderata. Numerosi altri fatti relativi alla sua permanenza in monastero sono inoltre narrati da dettagliati quanto fantasiosi racconti leggendari. Non era passato molto tempo dal suo ingresso nel convento, che giunse già per Judhaël il momento della tonsura clericale e ricevette l’abito monacale, segni del suo ingresso ufficiale nella vita religiosa.
Un giorno però, quasi inaspettatamente, il santo abate Meen rese la sua anima a Dio, lasciando i suoi discepoli in una grande afflizione che nulla fu capace di consolare.
Judhaël decise allora di lasciare il chiostro alla morte di suo fratello Salomone II, verso l’anno 630, riprendendo gli abiti secolari ed assumendo finalmente la corona di Bretagna. Edificò tutta la famiglia reale e tutta la corte con l’esempio delle sue virtù. Sposò Meronoë (o Merovoë), donna proveniente dalla stessa famiglia e dallo stesso paese della regina sua madre. Anch’ella si dimostrò virtuosa come il marito, impregnata di fede e di pietà, e tutto ciò contribuì a mantenere tra loro una pace ed una concordia ammirabili. Governò il regno con autorità e saggezza, puntando principalmente al rispetto della Legge di Gesù Cristo. Le sue qualità diplomatiche gli permisero di concludere una pacifica alleanza con il re dei franchi Dagoberto. Fatto ciò, decise di abdicare per tornare nuovamente alla vita monacale. Nel 640 circa si ritirò dunque nel monastero di Gaël, ma secondo altri in quello di Paimpont da lui fondato. La morte lo colse il 16 dicembre di un anno imprecisato, forse il 658. In tale data è commemorato dalle diocesi di Quimper e Léon, mentre nel Martyrologium Romanum compare il giorno successivo.
Oggi nella chiesa di Saint-Meen si custodisce solo più la parte inferiore di un femore, mentre il resto delle reliquie di San Judhaël scomparvero al tempo della Rivoluzione Francese.
L’iconografia è solita raffigurare il santo con una corona ai suoi piedi e con una scopa in mano, caratteristica dei personaggi che rinunciarono ad una vita brillante secondo il mondo per abbracciare con gioia i servizi più umili nel chiostro.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:50

Beato Josè Giuseppe Manyanet y Vives Sacerdote

17 dicembre (16 dicembre)

Tremp (Lleida, Spagna) 7 gennaio 1833 - Barcelona (Spagna) 17 dicembre 1901

“Dio ha chiamato i fedeli a contemplare ed imitare la Santa Famiglia per mezzo del Beato José Manyanet, sacerdote” (Mess. Romano), è quindi l’apostolo della Sacra Famiglia di Nazaret e il profeta della famiglia. Nella casa di Nazaret trovò il modello per le comunità religiose, il Vangelo per la famiglia e la pedagogia per i suoi centri di apostolato. Fondò le congregazioni di Religiosi Figli della Sacra Famiglia Gesù, Maria e Giuseppe e le Missionarie Figlie della Sacra Famiglia di Nazaret e fu l’ispiratore del Tempio espiatorio della “Sagrada Familia”, di Barcelona, opera dell’architetto Antonio Gaudí, in processo di beatificazione.

Etimologia: José: deriva dall’ebraico Josef, che significa: [Dio] voglia aggiungere.

Martirologio Romano: A Barcellona in Spagna, san Giuseppe Manyanet y Vives, sacerdote, che, fondò la Congregazione dei Figli e delle Figlie della Sacra Famiglia per aiutare tutte le famiglie a divenire esemplari sul modello della santa famiglia di Nazareth di Gesù, Maria e Giuseppe.


Nacque a Tremp (Lleida, Spagna) il 7 gennaio 1833 da una famiglia numerosa e cristiana. Fu ordinato sacerdote in La Seu d’Urgell il 9 aprile 1859. Dopo dodici anni d’intenso lavoro al seguito del vescovo José Caixal e al servizio della curia diocesana, si sentì chiamato da Dio alla speciale consacrazione religiosa e a fondare due congregazioni con la missione d’imitare e propagare il culto della Famiglia di Nazaret e di procurare la formazione cristiana delle famiglie, specialmene con l’educazione e l’istruzione cristiana dei ragazzi e dei giovani, e con il ministero sacerdotale.
Spinto dal carisma ricevuto, scrisse varie opere ed opuscoli per propagare la devozione alla Santa Famiglia, per la formazione dei religiosi e delle famiglie e per la direzione dei collegi e delle scuole professionali. Fondò la rivista “La Sagrada Familia” e le associazioni laicali “Camerieri e Cameriere della Sacra Famiglia” - oggi “Associazione della Sacra Famiglia”-, vincolata ai suoi Istituti, per diventare discepoli, testimoni ed apostoli del mistero di Nazaret. Peregrinò a Lourdes, Roma e a Loreto per approfondire lo spirito della Famiglia di Nazaret. Questo è il carisma proprio che penetra tutta la sua vita, racchiusa nel mistero di una vocazione evangelica appresa dagli esempi di Gesù, Maria e Giuseppe nel silenzio di Nazaret, che egli esprimeva così: Una Nazaret in ogni focolare!
Minato nella salute da alcune piaghe del costato rimaste aperte per ben sedici anni - ch’egli chiamava “le misericordie del Signore” -, il 17 dicembre 1901 tornò alla casa del Padre, in Barcelona, centro del suo apostolato, attorniato dai ragazzi, con la stessa semplicità che caratterizzò tutta la sua vita. Le ultime parole furono le giaculatorie che tante volte aveva ripetuto in vita: Gesù, Giuseppe, Maria... Fu beatificato il 25 novembre 1984 da Papa Giovanni Paolo II.
Tra i bei frutti della sua vita emergono 19 religiosi e un giovane ex-allievo che morirono a causa della sua fede e vocazione nella persecuzione religiosa della Spagna del 1936-39, in processo di dichiarazione di martirio.
Nel Centenario della sua morte, Giovanni Polo II ha ribadito la importanza di evangelizzare oggi la famiglia e fortificare il matrimonio con la gran forza pastorale che scaturisce dalla proposta e l’esempio della Sacra Famiglia, come fece il Beato.
La sua festa liturgica è stata fissata dalla Congregazione per il Culto - dopo la beatificazione - per il 16 dicembre. Il Nuovo Martyrologium Romanum pone la data al 17 dicembre.
E' stato proclamato santo da Giovanni Paolo II il 16 maggio 2004.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:50

Santi Martiri di Eleuteropoli

17 dicembre

Si tratta di cinquanta soldati, che al tempo dell'imperatore Eraclio furono martirizzati dai Saraceni.

Martirologio Romano: A Eleuteropoli in Palestina, passione di santi cinquanta soldati, martiri, che, al tempo dell’imperatore Eraclio, furono uccisi per la loro fede in Cristo dai Saraceni che assediavano Gaza.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:51

Beata Matilde del Sagrado Corazon Tellez Robles Fondatrice

17 dicembre

Robledillo de la Vera, Spagna, 30 maggio 1841 - 17 dicembre 1902

Fondò la Congregazione delle Figlie di Maria Madre della Chiesa. Educata fin da piccola nella fede cristiana, molto giovane decise di dedicarsi totalmente al Signore, nonostante il padre volesse per lei una brillante vita sociale. Oggi la congregazione è presente in Spagna, Portogallo, Italia, Venezuela, Colombia, Perù, Messico.

Martirologio Romano: Nel villaggio di Don Benito vicino a Badajoz in Spagna, beata Matilde del Sacro Cuore Téllez Robles, vergine, che, vedendo nel prossimo suo l’immagine di Cristo stesso, si dedicò con premura all’aiuto anzitutto materiale, ma anche spirituale, dei bisognosi e fondò a tal fine la Congregazione delle Figlie di Maria Madre della Chiesa.


Come da copione: un’altra vocazione forte, limpida, entusiasta, contrastata da un papà che sogna per la propria figlia un buon partito e un roseo avvenire. Matilde Téllez Robles nasce nel 1841 in Spagna, nei pressi di Cáceres, ma quasi subito la famiglia si trasferisce vicino a Salamanca.
In famiglia si respira un clima profondamente cristiano, soprattutto per merito di mamma, che ai suoi quattro figli insegna subito ad amare il Signore e ad essere attenti ai bisogni dei poveri. Anche papà, notaio famoso e facoltoso, è un buon cristiano, ma per i suoi figli vuole una brillante vita sociale e resta profondamente deluso dalla sua secondogenita, che invece manifesta fin da bambina i chiari segni della vocazione religiosa. E dato che questa con il passar degli anni non accenna a diminuire, anzi arriva quasi al punto di concretizzarsi, papà passa all’attacco cronometrando il tempo che la figlia passa in chiesa e costringendola ad entrare nella vita di società.
Ma non è certamente tutto questo che può incrinare una vocazione solida, anzi alla fine chi deve cedere è proprio papà, che si vede costretto a lasciar libera Matilde di seguire la sua inclinazione. Il che equivale a lasciare un puledro a briglie sciolte: la ragazza si tuffa nell’apostolato, è presidentessa delle Figlie di Maria, infermiera per le Conferenze di San Vincenzo, catechista e insegnante volontaria, in una vorticosa attività che ha come centro e motivo ispiratore un solo pensiero: portare le anime a Cristo. Soprattutto, quella giovane ragazza si sente attirata dall’Eucaristia, brucia di amore per quella silenziosa Presenza nel tabernacolo, trascorre intere ore in adorazione, coniugando in modo intelligente azione e contemplazione.
A poco più di 30 anni scrive al papa Pio IX per confidargli il desiderio, coltivato da anni, di fondare un istituto religioso, ma è di nuovo papà ad ostacolarla, questa volta a causa del clima anticlericale che si respira in Spagna. Quando è finalmente libera di realizzare la sua vocazione, delle sette compagne disposte a seguirla ne è rimasta una sola, con la quale accoglie in casa un gruppo di orfanelle, si dedica all’insegnamento delle bambine povere e passa di casa in casa a curare i malati.
Nascono così, in mezzo alle critiche di chi ritiene quella fondazione un’autentica pazzia, le “Amanti di Gesù e Figlie di Maria Immacolata”. Nella loro casa si respira lo spirito di Nazaret, tutta la vita ruota attorno al tabernacolo, la Madonna è amata in modo particolare. Così le suore trovano il coraggio di tuffarsi anche in una terribile epidemia di colera, di trascorrere tanto tempo in adorazione, di dedicarsi interamente ai poveri e ai malati, fedeli al motto “Preghiera, azione, sacrificio” trasmesso loro da Matilde. Che a soli 61 anni è completamente consumata dalla sua dedizione, dall’intenso lavoro, dalle malattie e muore improvvisamente il 17 dicembre 1902, attorniata dalle sue figlie.
Queste, oggi, si chiamano “Figlie di Maria Madre della Chiesa, sono presenti in Europa e in America Latina e continuano ad essere una “eucaristia perenne” come ha insegnato loro la fondatrice, che Giovanni Paolo II ha beatificato il 21 marzo dello scorso anno.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:52

San Modesto Patriarca di Gerusalemme

17 dicembre

Martirologio Romano: A Gerusalemme, san Modesto, vescovo, che, dopo che la conquista e la devastazione della Città Santa da parte dei Persiani, ricostruì i monasteri e li popolò di monaci e con grandi sacrifici restaurò i luoghi santi distrutti dal fuoco.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:53

Sant' Olimpia Vedova

17 dicembre

Nacque verso il 361 da un'agiata famiglia di Costantinopoli. Divenuta orfana in giovane età, fu affidata per l'educazione a Teodosia, sorella del vescovo di Iconio, sant'Anfilochio. Fin da giovanissima, così, Olimpia fu istruita sulla Sacra Scrittura. Imitando santa Melania, si dedicò alla mortificazione, e pur potendo aspirare ad una brillante posizione nella corte imperiale, se ne allontanò. Nel 384-85 si sposò ma dopo solo venti mesi il marito morì; l'imperatore Teodosio il Grande voleva risposarla con un suo cugino, ma Olimpia rifiutò. Teodosio allora per vincere le sue resistenze le sequestrò tutti i suoi beni, che le vennero restituiti nel 391. Fu così che Olimpia ne approfittò per fondare alcune opere caritative. Il vescovo Nettario (381-397) contrariamente all'usanza, la nominò diaconessa, dignità che allora si dava alle vedove di 60 anni. Olimpia fondò in città un monastero le cui religiose appartenevano alle migliori famiglie della città. Al suo arrivo in città come arcivescovo, Giovanni Crisostomo trovò in Olimpia una valida collaboratrice. Ma fu anch'essa vittima della persecuzione contro i "giovanniti" (seguaci di san Giovanni Crisostomo). Fu infatti esiliata a Nicomedia. Morì verso il 408. (Avvenire)

Etimologia: Olimpia = che abita nell'Olimpo, sede degli dèi


Di questa santa dell’agiografia greca, non ci sono dubbi sulla sua ‘Vita’ perché ci sono pervenuti vari importanti documenti storici e contemporanei che la citano o descrivono; inoltre vi sono ben 17 lettere che le inviò, dal suo esilio, s. Giovanni Crisostomo.
Olimpia nacque verso il 361 da una agiata e distinta famiglia di Costantinopoli, suo nonno Ablabios godeva della stima dell’imperatore Costantino ed era stato prefetto di Oriente quattro volte, suo padre era conte di palazzo.
Divenuta orfana in giovane età, fu posta sotto la tutela di Procopio prefetto della capitale, il quale l’affidò per la sua educazione a Teodosia, donna di grande cultura e sentimenti cristiani, sorella del vescovo di Iconio s. Anfilochio; di lei avevano grande stima sia s. Basilio che s. Gregorio di Nazianzo, Dottori della Chiesa; s. Gregorio di Nissa le dedicò il suo commento al ‘Cantico dei Cantici’.
Fin da giovanissima, Olimpia ebbe lezioni sulla Sacra Scrittura, considerata da altre dame della società, come s. Melania l’Anziana, la via per giungere alla perfezione cristiana; e imitando s. Melania, si dedicò alla mortificazione, ella pur potendo aspirare ad una brillante posizione nella corte essendo ricca, istruita e nobile, invece se ne allontanò.
Nel 384-85, sposò Nebridio che fu prefetto di Costantinopoli nel 386, ma la sua felicità durò poco, dopo solo venti mesi il marito morì; l’imperatore Teodosio il Grande voleva risposarla con un suo cugino, ma Olimpia rifiutò dicendo: “Se il mio re avesse voluto che io vivessi con un uomo, non mi avrebbe tolto il mio primo”.
Teodosio considerò ciò un capriccio e per vincere le sue resistenze, le sequestrò tutti i suoi beni, finché non avesse compiuti 30 anni; il prefetto della città aggiunse il divieto di intrattenersi con i vescovi più illustri e perfino di andare in chiesa.
Ma nel 391, Teodosio visto la sua virtù e la costanza nella prova di Olimpia, che conduceva una vita di penitente povera, le restituì i suoi beni. Lei ne approfittò per fondare a Costantinopoli alcune opere caritative, fra cui un grande ospizio per ricevere gli ecclesiastici di passaggio e i viaggiatori poveri.
Avendo una grande ricchezza e proprietà, sia in città che nelle altre regioni, altrettanto grande fu la sua generosità, donò a s. Giovanni Crisostomo 10.000 denari d’oro e 20.000 d’argento per la sua chiesa di S. Sofia; il vescovo Nettario (381-397) contrariamente all’usanza, la nominò diaconessa, dignità che allora si dava alle vedove di 60 anni, mentre Olimpia ne aveva solo 30 e a lei ricorreva per consigli densi della sua scienza e saggezza.
Fondò sotto il portico meridionale di S. Sofia, un monastero le cui religiose appartenevano alle migliori famiglie della città, fra cui tre sue sorelle Elisanzia, Martiria e Palladia, in più una sua nipote chiamata anch’essa Olimpia; iniziò con circa 50 suore che in breve tempo divennero 250.
Agli inizi del 398, giunse in città s. Giovanni Crisostomo che pur non volendo, era stato nominato arcivescovo di Costantinopoli, trovando un fervore cristiano affievolito sia nei fedeli che nel clero e monaci, fino alla corte divenuta oltremodo mondana con la presenza di Eudossia moglie dell’imperatore d’Oriente Arcadio.
Ma si consolò vedendo il monastero di Olimpia, formato da anime ben disposte e adatte a servire da modello. Tra l’arcivescovo e Olimpia si instaurò una salda amicizia, le tre sorelle furono ordinate diaconesse e affiancarono in questo compito Olimpia.
Si sforzava di aiutarlo in tutto, dal cibo al suo vestire, divenne in certo modo la collaboratrice nell’opera di rinnovamento spirituale da lui iniziata. Tutto questo attirò anche su di lei il rancore di coloro che intendevano intralciare l’opera riformatrice del vescovo.
Due dei vescovi dissidenti, ottennero da Arcadio un decreto d’esilio contro s. Giovanni Crisostomo, il quale fra il tumulto dei fedeli e delle suore, dovette lasciare S. Sofia e venne condotto dai soldati a Cucusa fra i monti dell’Armenia, dove giunse affranto dal viaggio due mesi dopo, alla fine di agosto del 404.
Nello stesso giorno della partenza, il 30 giugno 404, un incendio distrusse l’episcopio e gran parte della chiesa e del senato. Furono accusati i fedeli del vescovo e la stessa Olimpia fu portata davanti al prefetto della città Optato, accusata dell’incendio, si difese dicendo che avendo dato spese considerevoli per costruire chiese, non aveva nessuna necessità di bruciarle.
Optato le offrì di lasciare in pace lei e le sue suore, se avessero riconosciuto il nuovo vescovo Arsace e Olimpia rifiutò; fu condannata a pagare una grossa somma come multa e dopodiché nello stesso anno 405 si ritirò volontariamente a Cizico.
Giacché proseguiva la persecuzione contro i “giovanniti” (seguaci di s. Giovanni Crisostomo) Olimpia fu nuovamente processata dal prefetto e esiliata a Nicomedia. In quegli anni mantenne una corrispondenza (che le era permesso) con il vescovo esiliato in Armenia, interessandosi della sua salute, inviandogli del denaro che veniva speso per i poveri della regione e per il riscatto di persone cadute nelle mani dei briganti isauriani.
Giovanni tramite questi scritti, descrive i particolari del penosissimo viaggio per giungere lì. La esorta a bandire la tristezza e a far nascere la gioia spirituale che distacca dalle cose del mondo ed eleva l’anima, raccomandandole di sostenere i suoi amici, che subivano la persecuzione per causa sua.
Olimpia morì verso il 408 in un data non documentata, secondo lo scrittore Palladio, “gli abitanti di Costantinopoli la pongono fra i confessori della fede, perché ella è morta ed è ritornata al Signore fra le battaglie sostenute per Dio”, anticamente i confessori erano i martiri.
Il suo monastero ebbe alterne vicende, le suore coinvolte nella disgrazia dell’arcivescovo, si dispersero nel 404, quando fu mandato in esilio; si riunirono solo nel 416, quando i “giovanniti” si riappacificarono con i successori del Crisostomo; sotto la guida di Onorina, parente di Olimpia; il monastero fu poi distrutto dall’incendio di S. Sofia nel 532, ritornarono poi quando Giustiniano lo ricostruì.
Le reliquie di s. Olimpia, che erano state portate da Nicomedia nella chiesa di S. Tommaso sul Bosforo, andarono perse durante l’incendio della chiesa appiccato dai Persiani nelle loro incursioni (616-626). La superiora Sergia, fu fortunata nel ritrovarle fra le macerie e le fece trasportare all’interno del monastero; in seguito non si hanno più notizie di esse.
S. Olimpia è festeggiata nella Chiesa Orientale il 24-25-29 luglio, il ‘Martirologio Romano’ al 17 dicembre.

Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:53

Beato Pietro di Spagna Martire mercedario

17 dicembre

+ 1418

Famoso per la propagazione della fede cattolica, il Beato Pietro di Spagna, cavaliere laico dell'Ordine Mercedario, fu uomo di grande dottrina e santità della vita.Trovandosi ad Algeri in Africa, andò in testa all'esercitò cristiano e avanzando con una croce in mano contro le schiere dei saraceni, fu trafitto da una freccia dei mussulmani e poi venne tagliato a pezzi ricevendo la corona dei martiri di Cristo nell'anno 1418.
L'Ordine lo festeggia il 17 dicembre.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:54

Santo Sturmio di Fulda Abate

17 dicembre

Martirologio Romano: Nel monastero di Fulda nell’Austrasia, in Germania, san Sturmio, abate, che, discepolo di san Bonifacio, evangelizzò la Sassonia e fece costruire secondo l’ordine del maestro questo celebre monastero, che governò come primo abate.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 09:55

Santa Wivine (Vivina) Badessa benedettina

17 dicembre

Brabante, Belgio, 1103 – Grand-Bigard (Brabante), 17 dicembre 1170

È considerata come la fondatrice e la prima superiora dell'abbazia benedettina di Grand-Bigard, nella provincia del Brabante in Belgio, dove nel 1126, a 23 anni, fondò un eremo, adottando poi nel 1129, per lei e per le discepole che lì si erano radunate, la Regola di san Benedetto. Il suo nome compare solo in un documento di Goffredo I di Brabante, datato 1133, in cui però non le viene dato nessun titolo. Esiste poi un documento di donazione all'abbazia, da parte di Burcardo, vescovo di Cambrai, che lascia intendere la sua presenza in questo luogo tra il 1114 e il 1130, quindi prima del 1126 come riportato dalla tradizione. La data della sua morte è il 17 dicembre 1170. La sua «Vita beatae Wivinae», è una biografia risalente ai primi anni del XIII secolo e subì varie amplificazioni nei secoli XVI e XVII. L'abbazia benedettina di Grand-Bigard fu soppressa nel 1796 e le reliquie della fondatrice, furono traslate nella chiesa di Notre-Dame-des-Victories al Sablon a Bruxelles. Il 29 giugno del 1812, ci fu una solenne traslazione di una parte delle reliquie, che dal Sablon di Bruxelles, furono donate alla chiesa di Orbais, dove nel 1820 fu eretta una nuova Confraternita a lei intitolata. (Avvenire)

Martirologio Romano: Vicino a Bruxelles nel Brabante, nell’odierno Belgio, santa Vivinna, prima badessa del monastero della Beata Maria di Grand-Bigard.


C’è più storia da raccontare dopo la sua morte, che notizie di quando era viva e di quel poco che si sa, vi sono molti dubbi storici.
Santa Wivine (Vivina) da sempre, è stata considerata come la fondatrice e la prima superiora dell’abbazia benedettina di Grand-Bigard, nella provincia del Brabante in Belgio.
Nel 1103 in detta provincia, fondò un eremo a Bigard nel 1126, adottando poi nel 1129, per lei e per le discepole che lì si erano radunate, la Regola di s. Benedetto.
Ad ogni modo il suo nome compare solo in un documento di Goffredo I di Brabante, datato 1133, in cui però non le viene dato nessun titolo.
Inoltre esiste un documento di donazione all’abbazia, da parte di Burcardo, vescovo di Cambrai, che lascia intendere la sua presenza in questo luogo tra il 1114 e il 1130, quindi prima del 1126 come riportato dalla tradizione.
Infine non esiste documentazione che la qualifica come superiora o priora. La data della sua morte, riportata anche dal moderno “Martyrologium Romanum” è il 17 dicembre 1170.
La sua “Vita beatae Wivinae”, è una biografia risalente ai primi anni del XIII secolo; scritta più che altro in modo edificante, non attenta a date storiche, anzi si sofferma più sui miracoli che si verificarono sulla sua tomba, che sulle circostanze della sua vita; questa biografia, subì varie amplificazioni nei secoli XVI e XVII.
Il 25 settembre del 1177, fu effettuata una traslazione delle sue reliquie a cura del vescovo di Cambrai, Alardo.
Nel 1625 papa Urbano VIII autorizzò una Confraternita intitolata a s. Wivine. Nel 1764 un’epidemia distruggeva il bestiame della regione e allora un fedele del luogo, reduce da un pellegrinaggio a Grand-Bigard, fece richiesta di far celebrare una Messa ad Orbais (Brabante), per intercedere l’intervento della santa; l’epidemia cessò e in ringraziamento fu scolpita una statua di s. Wivine, che nel 1766 fu posta nella chiesa di Orbais, dove si trova tuttora.
L’abbazia benedettina di Grand-Bigard fu soppressa nel 1796 e le reliquie della fondatrice, furono traslate nella chiesa di Notre-Dame-des-Victories al Sablon a Bruxelles; nel contempo il culto della santa assai diffuso nella regione, diede luogo ad un periodico e famoso pellegrinaggio ad Orbais.
Santa Wivine (Vivina) è invocata contro la peste, la pleurite, la febbre e il mal di gola, sia per gli uomini che per gli animali.
Il 29 giugno del 1812, ci fu una solenne traslazione di una parte delle reliquie, che dal Sablon di Bruxelles, furono donate alla chiesa di Orbais, dove nel 1820 fu eretta una nuova Confraternita a lei intitolata.
La santa è festeggiata nei vari centri del suo culto, in date diverse, 25 settembre, 19 dicembre e 17 dicembre, data come già detto, riportata nel testo ufficiale della Chiesa.



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