17 ottobre

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Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:36

Beato Baldassarre Ravaschieri da Chiavari Sacerdote francescano

17 ottobre

Chiavari, Genova, 1419 - Binasco, Milano, 17 ottobre 1492

Nato dalla nobile famiglia Ravaschieri, vestì l'abito francescano entrando nei Minori Osservanti della città e divenne dottore in teologia e sacerdote. In seguito occupò la carica di guardiano di Chiavari, poi di provinciale di Genova. Si dedicò alla predicazione, ma la gotta lo costrinse a ritirarsi nel convento di Binasco, tra Milano e Pavia, e a restarvi confinato. Tuttavia, sebbene portato a braccia dai confratelli, poteva assistere alla Messa, prender parte alla recita dell'Ufficio e soprattutto ascoltare le confessioni dei fedeli, attirati dalla fama della sua santità. Fu legato da amicizia con Bernardino da Feltre. Si racconta che una notte d'inverno, essendo rimasto nel bosco, la neve, scesa in abbondanza, lasciasse intatto il punto dove egli sedeva. Morì il 17 ottobre 1492 e fu sepolto in un'arca di marmo. I1 suo culto fu approvato da Pio XI 1'8 gennaio 1930.

Patronato: Malati di gotta

Etimologia: Baldassarre = Dio protegge la sua vita

Martirologio Romano: A Binasco in Lombardia, beato Baldassarre da Chiavari Ravaschieri, sacerdote dell’Ordine dei Minori.


Baldassarre Ravaschieri nacque a Chiavari nel 1419, da nobile famiglia genovese. Entrò nell'ordine francescano dei Minori Osservanti, fece la professione e venne ordinato sacerdote, laureandosi successivamente in teologia. Nel convento di Chiavari assunse il compito di guardiano e in seguito fu nominato responsabile di tutta la Provincia di Genova. Nel pieno del suo fecondo apostolato, venne colpito dalla gotta e la malattia lo debilitò a tal punto che progressivamente non poté più muoversi. Decise allora di ritirarsi nel convento di Binasco, piccolo centro tra Milano e Pavia. Veniva portato in chiesa per poter assistere alla Messa e recitare con i confratelli l’Ufficio. Il suo ministero però non divenne per questo meno fruttuoso. Fu un apostolo del confessionale, molti penitenti divennero suoi figli spirituali. Il beato Baldassarre, per trovare un po’ di quiete, si faceva portare, di tanto in tanto, nel vicino bosco, dove poteva pregare in solitudine. Un giorno gli apparve la Vergine Santissima.
Padre Ravaschieri era molto stimato. Amico del beato Bernardino da Feltre, lo aiutò, come poteva, nelle sue fatiche apostoliche. Fu confessore e consigliere spirituale della beata Veronica da Binasco, la mistica umile e analfabeta, che leggeva nei cuori e nelle coscienze. Fu amico di Giovanni Antonio Amadeo, insigne scultore, ingegnere e architetto.
Padre Baldassarre morì a Binasco il 17 ottobre 1492. Il culto, costante nei secoli, venne approvato da papa Pio XI nel 1930. Le sue reliquie furono portare a Pavia nel 1805, a causa delle leggi di soppressione degli ordini religiosi, e poi trasferite nella chiesa parrocchiale di Baselica Bologna, frazione di Giussago.


PREGHIERA

O Beato Baldassarre,
che durante la gioventù vi siete santificato con la pratica delle virtù cristiane,
da religioso foste un perfetto seguace del vostro Padre San Francesco,
apostolo ardente della salvezza delle anime,
modello di pazienza e uniformità al divino volere
durante la lunga e dolorosa infermità,
pregate per noi e assisteteci in ogni bisogno.
Otteneteci che, approfittando delle disposizioni di Dio a nostro riguardo,
santifichiamo la nostra vita e ci salviamo con Voi nella gloria del paradiso. Amen.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:37

Beato Battista de Bonafede Mercedario

17 ottobre

Per la difesa della fede cattolica, il Beato Battista de Bonafede, mercedario di Palermo, rimase per lungo tempo nelle carceri africane sopportando oltraggi e tormenti per amore di Cristo. Liberato dalle catene dai suoi confratelli, ritornò nel convento di Sant'Anna in Palermo dove pieno di meriti restituì l'anima a Dio.
L'Ordine lo festeggia il 17 ottobre.




Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:37

Santi Catervio, Severina e Basso Martiri

17 ottobre

m. Tortona (AL), 68 circa

Patronato: Tolentino

La recente promulgazione da parte della Conferenza Episcopale Italiana del nuovo Rito del Matrimonio contenente, fra i vari formulari proposti, anche le nuove “Litanie dei santi sposi”, ha suscitato in diversi ambiti ecclesiali una riscoperta ed un notevole interesse per quelle coppie di sposi che si sono distinte per la loro particolare santità.
Non presente in tale incompleto elenco titanico, ma comunque supportata da un antichissimo culto, è una famiglia romana composta dai coniugi Flavio Giulio Catervio e Settimia Severina e dal loro figlio Basso. Per riscoprire le poche certezze storiche su questi santi occorre fare un breve viaggio a Tolentino, città a cui è tradizionalmente legato il loro culto.
Qui un’antica chiesa è dedicata proprio a San Catervo, il più celebre dei tre familiari, e la vita di tale edificio sacro presenta tre fasi salienti. La prima, iniziatasi in data anteriore all’anno 1000, arriva sino al 1256, quando i monaci benedettini chiesero all’allora papa Alessandro IV l’autorizzazione per restaurare la chiesa. La seconda fase iniziò dunque dopo tale anno, ma purtroppo non si sono conservati particolari reperti archeologici per poter fare un raffronto con il primitivo edifico. La nuova chiesa sorse con asse orientato in direzione est-ovest, con tre navate in stile romanico ogivale, pilastri cruciformi e presbiterio sito nell’area dell’attuale facciata. Tale costruzione, di cui sussiste una parte nella Cappella di San Catervo, allora cappella della Santissima Trinità, resto pressoché immutata fino al 1820, qualora si pensò di dare un nuovo assetto all’ormai fatiscente edificio. Furono incaricati di tale perazione prima il pittore tolentinate Giuseppe Lucatelli ed in un secondo momento l’architetto maceratese Conte Spada. Questi nel voler dare alla chiesa un nuovo assetto architettonico di tipo neoclassico, decise di cambiarne l’orientamento invertendolo, ponendo il nuovo ingresso ove prima era il presbiterio della chiesa monastica del 1256, di cui resta un grandioso portale sul lato sinistro della chiesa. Il nuovo edificio a tre navate, inglobante tutte le strutture della precedente costruzione, fu realizzato a croce latina.
In fondo alla navata sinistra si realizzò così la Cappella di San Catervo, volta a custodire il grandioso sarcofago, uno tra i più importanti delle marche, ricavato da un unico blocco di marmoe comprendente i busti dei due coniugi. Dall’iscrizione inclusa nella tabula del sarcofago si apprende che Flavio Giulio Catervio appartenne ad una nobile famiglia senatoria, che fu prefetto del pretorio e morì all’età di soli 56 anni. In tale epigrafe si ricorda inoltre, con un formulario intessuto di forme poetiche, impregnate di una fede lucente nella resurrezione, il sacramento matrimoniale: “Il Signore Onnípotente, che con meriti uguali vi unì nel dolce vincolo del matrimonio, custodisce per sempre il vostro sepolcro. O Catervio, Severina è felice per essersi unita a te: possiate insieme risorgere, con la grazia di Cristo, o voi beati, che il sacerdote del Signore, Probiano lavò con l'acqua battesimale e unse con il sacro crisma”.
Tale monumento fu fatto costruire dalla moglie per entrambi. Il sarcofago fu oggetto di ispezione nel 1455 ed in tale occasione ne fu estratto il capo di San Catervo, che venne posto in un reliquiario alla venerazione dei fedeli. Di una successiva apertura nel 1567 esiste una testimonianza documentata e particolareggiata. Furono così rinvenuti i corpi di San Catervo e di suo figlio Basso. La cappella del sarcofago è comunque uno dei pochi residui dell’antico complesso monastico benedettino.
La tradizione vuole che Catervio sia stato il primo evangelizzatore della città di Tolentino e proprio ciò abbia comportato il martirio per lui e la sua famiglia., ma come per tutti i martiri loro contemporanei non è purtroppo possibile reperire ulteriori informazioni e dettagli circa il loro operato, quanto piuttosto sul culto loro tributato.
La figura di San Catervo si è dunque strettamente legata alla città di Tolentino di cui è patrono, sebbene questa sia più conosciuta per il celebre San Nicola. Sebbene un tempo si sia addirittura dubitato sulla reale esistenza storica dei tre santi, la recente ricognizione dei resti sembra invece confermare l’antica tradizione tramandataci dalla Chiesa e dall’affetto popolare.
Nonostante la maggior rilevanza dei festeggiamenti per San Nicola da Tolentino, come dice il detto “se fa tutto per Nicò e niente per Catè”, San Catervo e la sua famiglia conservano comunque un posto speciale nel cuore di tutti i tolentinati.
Un’improbabile leggenda piemontese attribuisce a questa santa famiglia anche l’evangelizzazione della città di Tortona, di cui sarebbero stati i protomartiri, verso l’anno 68, quando appena giungevano sulle Alpi Cozie altri evangelizzatori quali Priscilla, Elia, Mileto, Marco e Quinto Metello, tutti sfuggiti alla persecuzione neroniana di quattro anni prima.Il Massa, celebre agiografo della santità pedemontana, ricorda Catervio come un uomo ormai centenario. L’intera famiglia si prodigò con nell’evangelizzazione di Tortona, divenendo preziosi collaboratori del primo vescovo San Marciano o Marziano. Precedendolo nel versare il loro sangue per Cristo, divennero così i primi martiri della città e dell’intero Piemonte geograficamente inteso. Questa versione è stata forse ideata per giustificare la presenza nella città piemontese di alcune reliquie dei santi in questione.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:38

Beato Contardo Ferrini Laico

17 ottobre

Milano, 5 aprile 1859 – Suna, Novara, 17 ottobre 1902

Contardo Ferrini nasce a Milano nel 1859. Ragazzo prodigio, a 17 anni consegue la licenza liceale, a 21 si laurea in giurisprudenza e, dopo un periodo di specializzazione a Berlino, a 24 insegna già diritto romano all'università di Pavia. Insegna poi a Messina e a Modena e nel 1894 torna a Pavia, dove resterà fino alla morte. Studioso, giurista e ricercatore stimato, coltiva anche una forte spiritualità, che gli permetterà di distinguersi in un ambiente fortemente anticlericale. Un atteggiamento che diventerà la sua principale forma di evangelizzazione: con questo «apostolato silenzioso» e il suo stile di vita, infatti, riuscirà a parlare di Dio anche ai lontani, agli indifferenti, agli atei. Impegnato nella San Vincenzo e in altre attività caritative, per quattro anni è anche consigliere comunale di Milano, dove si batte per conservare l'insegnamento religioso nelle scuole primarie. È anche uno dei primi a sostenere il progetto di un'università cattolica in Italia. Contrae il tifo bevendo a una fontana inquinata e muore a 43 anni, il 17 ottobre 1902, durante un periodo di vacanza a Suna, sul Lago Maggiore. Pio XII lo proclama beato nel 1947. (Avvenire)

Etimologia: Contardo = duro in battaglia, dal tedesco

Martirologio Romano: A Suna presso il lago Maggiore, beato Contardo Ferrini, che, nell’educare i giovani, con il suo esempio di fede e di vita cristiana andò ben oltre la scienza umana.


Sale cinematografiche, circoli cattolici, scuole, istituti, vie e piazze sono state in passato intitolate al suo nome, eppure oggi sembra piombato su di lui un ingiustificato silenzio. La sua vita, abbastanza breve, interamente dedicata alla scienza, nello sforzo continuo di perfezionare se stesso, non presenta tratti miracolistici ed eclatanti, eppure un Papa che gli era stato amico, Pio XI, ha il coraggio di affermare che “parve quasi miracolo la sua fede e la sua vita cristiana, al suo posto e nei tempi nostri”. Contardo Ferrini nasce nel 1859, in una Milano che è agitata da venti di guerra e sconvolta da furori patriottici. A scuola brucia le tappe: a 17 anni consegue la licenza liceale, a 21 si laurea in giurisprudenza e diventa in fretta uno dei giuristi più affermati e uno dei maggiori romanisti del suo tempo. Il ragazzo prodigio, dopo un periodo di specializzazione a Berlino, a 24 anni è già insegnante di diritto romano nell’università di Pavia, dove tutti cominciano ad ammirarne la preparazione, la competenza e la serietà. Insegna poi a Messina e a Modena e nel 1894 fa ritorno a Pavia, dove resta fino alla morte. Quasi duecento suoi scritti testimoniano la passione del ricercatore e il rigore dello scienziato e uno dei suoi testi sul diritto penale è stato per parecchi anni testo fondamentale per allievi e studiosi. Ma, oltre alla passione per la scienza, il professore illustre si “specializza” nell’amicizia con Dio, con la spiritualità di un contemplativo e l’ardore di un santo. La sua epoca è contrassegnata dalla massoneria, dall’anticlericalismo e dalla corruzione dei costumi e il “professore”vive in essa senza lasciarsi contaminare. Non si sente chiamato all’apostolato attivo: a lui basta offrire la testimonianza di una vita limpida, intessuta di preghiera, condita di dolcezza ed umiltà. E l’efficacia di questo “apostolato silenzioso” la testimoniano gli atei, i “lontani” e gli indifferenti, che mentre attestano che mai Contardo ha fatto proselitismo o tentato “conversioni”, tuttavia sempre “lascia intravedere Dio” con il suo comportamento e il suo stile di vita. Impegnato nella San Vincenzo e in altre attività caritative, per quattro anni è anche consigliere comunale di Milano, dove si batte per conservare l’insegnamento religioso nelle scuole primarie. E’ anche uno dei primi a sostenere il progetto di un’università cattolica in Italia e per questo l’Università Cattolica del sacro Cuore, nata dopo la sua morte, riconosce in lui il precursore e l’ispiratore. Contrae il tifo bevendo a una fontana inquinata e muore a 43 anni, il 17 ottobre 1902, durante un periodo di vacanza a Suna, sul Lago Maggiore. Una insistente e duratura fama di santità circonda subito il “professore” che aveva dimostrato come sia possibile coniugare la fede con la ricerca scientifica, la preghiera con l’impegno socio-politico, le convinzioni cattoliche con il rispetto delle idee altrui. Pio XII lo proclama beato nel 1947, indicando in lui “il modello dell’uomo cattolico dei nostri giorni”. Un buon esempio per tutti, dunque. Anche a più di cent’ anni di distanza.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:39

Beato Domenico Navarro Mercedario

17 ottobre

Mercedario del convento di Sant'Eulalia in Gerona Spagna, il Beato Domenico Navarro, fu inviato per redenzione a Tunisi in Africa.Arrivato in terra mussulmana venne catturato dai mori e spogliato dei beni della redenzione, rimase per 16 mesi in dura servitù come ostaggio per un tale cristiano la cui fede era in pericolo. Infine liberato tornò in patria dove morì santamente nel suo convento di Gerona.
L'Ordine lo festeggia il 17 ottobre.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:40

San Dulcidio Vescovo

17 ottobre

Martirologio Romano: Ad Agen in Aquitania, ora in Francia, san Dulcedio, vescovo, che difese tenacemente la fede cattolica contro l’eresia ariana.


San DULCIDIO (lat. Dulcidius, Dulcidus, Dulcius; fr. Dulcide), vescovo di AGEN

Secondo un antico breviario di Agen, sarebbe stato designato da s. Febadio per succedergli sul seggio episcopale di questa città: viveva dunque nel sec. V.Gli si attribuisce l'erezione della basilica in onoredi s. Caprasio e di s. Fede. Le sue reliquie sonostate salvate dalla distruzione e trasferite dal priorato di Chamberet (attualmente nella diocesi diTulle), nella chiesa parrocchiale del villaggio inuna magnifica cassa sulla quale una placca smaltata rappresenta la sua sepoltura. Nel linguaggiopopolare Dulcidio è chiamato pure Doucet, Doucis,Doux, Dulcet.
Si festeggia il 17 ottobre.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:40

Santi Etelredo ed Etelberto Principi del Kent, martiri

17 ottobre

+ Eastry, Inghilterra, 670 circa


Erano figli di Ermenred, fratello di Erconbert, re del Kent (m. 644). Alla morte di quest'ultimo, gli succedette sul trono il figlio Egbert, ma sembra che Etelredo ed Etelberto potessero legittimamente avanzare pretese alla successione. A quanto afferma Matteo di Westminster (ma non è certo) Ermenred, loro padre, sarebbe stato soppiantato sul trono dal più giovane fratello Erconbert, per cui le pretese dei due giovani nei confronti del cugino avrebbero avuto un certo fondamento: ciò sembra confermato dal fatto che, nella Cronaca Sassone, Ermenred viene nominato prima di Ercombert.
Con la connivenza del re Egbert, un suo ministro, Thunre, fece uccidere Etelredo ed Etelberto che si trovavano ad Eastry. Un dettagliato e leggendario racconto di tale assassinio è contenuto nei Gesta Regum Anglorum di Simeone di Durham. Non è possibile determinare l'età dei due fratelli al tempo della loro morte, ossia verso il 670. Generalmente vengono chiamati infantuli o adolescentes, ma sembra, con ogni probabilità, che tale età vada aumentata, anche in considerazione del fatto che Ermenburga, loro sorella, andò sposa nel 660 a Merewald re degli West-Hecani. I due giovani vennero sepolti segretamente nel palazzo reale, ma, secondo Simeone di Durham, una misteriosa colonna di luce rivelò il luogo della loro tomba, per cui l'assassinio venne scoperto. Allora la sorella, Ermenburga, pretese dal re Egbert il guidrigildo, secondo i costumi sassoni, e la punizione dell'assassino. Il termine con cui si indicava il guidrigildo dei nobili (dear-born) è probabilmente all'origine dell'antica leggenda della corsa della cerva (in inglese deer): si narra infatti che Egbert avesse promesso ad Ermenburga di concederle come guidrigildo tanta terra quanta una cerva ne avrebbe percorso in un giorno in un giorno nell'isola di Thanet. Ermenburga, che era appoggiata nelle sue richieste anche da s. Teodoro, arcivescovo di Canterbury, e da Adriano, abate di S. Agostino, acconsentì a tale soddisfazione. Si portarono quindi nell'isola di Thanet e con tutta la corte seguirono la corsa della cerva. Sopraggiunse allora il ministro assassino, il quale, esortato il re a non farsi intimidire e a non cedere, inseguì la cerva per fermarla, ma avventuratosi col suo cavallo in una palude, fu sommerso prima che si potesse accorrere in suo aiuto. Guglielmo di Malmesbury (De Gestis Pontificum Anglorum, IV) giunge ad affermare che l'assassino "subito telluris hiatu absorptus, videns et vivens intravit infernum" (!).
Ermenburga destinò il territorio ricevuto nell'isola di Thanet alla costruzione del monastero conosciuto poi col nome di Minster in Thanet, le cui fondazioni vennero ben presto consacrate da s. Teodoro e nel quale essa stessa, rimasta vedova, prese il velo, divenedone badessa.
Etelredo ed Etelberto, vennero considerati come martiri, quantunque il loro assassinio non possa, in verità, essere qualificato come martirio. I corpi dei due giovani sarebbero stati sepolti nel monastero di Wakering, che Simeone di Durham dice famisissimum, ma l'unica località di tal nome che si conosca si trova nell'essex, nei pressi di Shoeburyness, e non vi si trovano tracce di alcun monastero. Qualcuno avanza l'ipotesi che la traslazione a Wakering, ossia fuori del regno, non sia avvenuta immediatamente, ma solo verso l'854, al tempo dell'invasione dei Danesi, allorché si combatté a Sandwich, nei pressi di Eastry. Altri, invece, rilevano come non sia impossibile pensare ad una divisione delle reliquie; Guglielmo di Malmesbury, infine, ignora completamente tale traslazione a Wakering.
I loro corpi furono quindi traslati "celebri pompa", alla fine del sec. X, nella abbazia di Ramsey. Forse l'uccisione di s. Edoardo, nel 978, dette occasione al rifiorire della leggenda dei due giovani, provocando la loro definitiva traslazione. Probabilmente in tale epoca fu composta l'anonima passio giunta a noi, attribuita da alcuni al monaco Goscelino, e ripresa poi nelle opere storiche di Simeone di Durham e di Guglielmo di Malmesbury. La loro memoria viene celebrata al 17 ottobre, anniversario della traslazione dei loro corpi a Ramsey.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 15:41

Beato Fedele Fuidio Rodriguez Marianista, Martire Spagnolo

17 ottobre

Yécora, Alava, 24 aprile 1880 - 17 ottobre 1936

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Ciudad Real in Spagna, beato Fedele Fuidio Rodríguez, religioso della Società di Maria e martire, che, in tempo di persecuzione contro la fede, fucilato passò al Signore.


Fidel venne alla luce a Yécora, in provincia di Alava, ultimogenito di sette figli, il 24 aprile 1880. Alcuni mesi dopo la sua nascita, la famiglia si trasferì a Vitoria, dove aprì un piccolo esercizio commerciale. Qui Fidel trascorse la sua fanciullezza spensierata, frequentando la parrocchia, dove faceva il chierichetto, e l'Accademia Apollinare, il meglio che la città potesse offrire in fatto di scuola elementare. I suoi genitori, che riponevano in lui, unico maschio dopo la morte del primo, le migliori speranze per il futuro della famiglia, erano intenzionati a fargli continuare gli studi. Ma dove? ma come? Fu allora Fidel stesso a manifestare il desiderio di frequentare la scuola-convitto che i marianisti avevano da poco aperto a Vitoria. Il direttore accettò di buon grado quel ragazzino spontaneo e vivace e, poiché i coniugi Fuidio non potevano sostenere l'intera retta del convitto, lo ammise tra i postulanti, a tariffa ridotta.
Dopo il primo anno di postulato a Vitoria, fu inviato a Pontacq (Francia), dove trascorse tre anni, superando non poche difficoltà di adattamento, senza mai rivedere i suoi. Nel 1896, all'età di sedici anni, fu ammesso al noviziato, e l'8 settembre del 1897 emise i suoi primi voti nella Società di Maria.
Al termine degli anni di studentato, conseguito presso l'Istituto di Vitoria il diploma di baccellierato, iniziò con entusiasmo la sua missione di insegnante, che esercitò come professore di latino e di storia in vari collegi marianisti di Spagna: Jerez de la Frontera, Cadice, Madrid (1910-1933) e Ciudad Real. Educatore nato, sapeva comunicare ai propri alunni l'entusiasmo che egli stesso nutriva per la ricerca e per l'insegnamento.
Come religioso, fratel Fidel era scrupolosamente osservante dei propri doveri, sempre pronto ad aiutare i confratelli, eccellente catechista e, dotato di una bella voce, particolarmente attento e intaressato a preparare con cura le solenni liturgie festive. Amava molto il suo Istituto e nutriva una spiccata devozione alla santa Vergine.
Nel 1933, i Superiori, avendo ritenuto essere rischiosa la sua presenza a Madrid, dove era molto conosciuto, lo inviarono a Ciudad Real (capitale della Mancia) che consideravano città più tranquilla e sicura. Qui continuò la sua attività di insegnante sia nel collegio marianista, sia, cosa più unica che rara per un religioso, in una scuola statale laica. Il 25 luglio del 1936 fu però costretto ad abbandonare il collegio marianista, che era stato requisito dalla ‘Guardia Civil’, e trovò alloggio presso una locanda. Il 17 agosto successivo, durante una delle ormai frequenti perquisizioni degli anarco-sindacalisti armati, sorpreso con il crocifisso al collo, fu condotto nella prigione del Governatorato Civile (Prefettura). Trascorse il tempo della sua detenzione come una preparazione alla morte, senza peraltro perdere il suo abituale buon umore e la gioia di vivere, che dava non poco conforto ai suoi compagni di sventura, mentre si dichiarava pronto a “dare la vita per la fede”. Il 15 ottobre, al termine di un regolare processo, fu dichiarato innocente e rimesso in libertà. Ma, prima di lasciare la prigione, venne letteralmente rapito da un drappello di miliziani facinorosi e rinchiuso nella ‘Casa del popolo’, dalla quale fu prelevato nella notte tra il 16 e il 17 ottobre, trasportato con altri prigionieri al famigerato Carriòn de Calatrava e quivi fucilato. Il suo corpo esanime, insieme a quello delle altre vittime del furore omicida anticristiano, fu gettato nel tristemente celebre pozzo di Carriòn, dove rimase per ben ventiquattro anni, prima di avere sepoltura in una fossa comune nella celebre ‘Valle de los Caidos’. Il suo ritratto compare assieme a quello di altri martiri nel mosaico della cupola della grandiosa basilica sotterranea di tale località.
(Da Osservatore Romano del 1° ottobre 195, pag. 10)



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:05

San Fiorenzo di Orange Vescovo

17 ottobre

Martirologio Romano: A Orange in Provenza in Francia, san Fiorenzo, vescovo.


San Fiorenzo nasce a Tour nel sesto secolo dopo Cristo e diventaVescovo di Orange (Francia).
Partecipò al Concilio di Epaone nel 517 e a quello provinciale di Arles nel 524. Al concilio di Arles del 527 assistè il suo successore.Durante il suo pellegrinaggio a Roma siferma a Fiorenzuola d'Arda (PC) dove opera lo straordinario miracolo dirichiamare in vita una bambina defunta.La sua Vita merita poco affidamento e somiglia molto a quella di Verano, vescovo di Cavaillon.
Figura nel Martirologio Romano al 17 ottobre ma il suo culto non sembra anteriore al sec. XIV.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:11

Beato Gilberto di Citeaux Abate

17 ottobre

Martirologio Romano: A Tolosa sempre in Francia, anniversario della morte del beato Gilberto, abate di Cîteaux, che, di origine inglese, fu uomo di alta scienza e difese san Tommaso Beckett in esilio.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:13

San Giovanni Eremita

17 ottobre

Martirologio Romano: Ad Asyūţ in Egitto, san Giovanni, eremita, che, tra i tanti segni di virtù, fu insigne anche per lo spirito di profezia.


Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:14

Beato Giovanni de Zamora Mercedario

17 ottobre

XVI secolo

Valoroso missionario del Cile, il Beato Giovanni de Zamora, battezzò 4000 indigeni e nell'anno 1566, ricostruì il convento mercedario di Assunción, distrutto da quei bellicosi popoli nel 1564. Per il nome di Cristo fu trafitto dalle frecce indigene ma miracolosamente risanato, morì come confessore glorioso per i meriti e i miracoli. Fu sepolto vicino al convento dell'Ordine dove sulla cui tomba fiorì un roseto bianco e rosso.
L'Ordine lo festeggia il 17 ottobre.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:14

Sant' Ignazio di Antiochia Vescovo e martire

17 ottobre

m. 107 circa

Fu il terzo vescovo di Antiochia, in Siria, terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto e di cui san Pietro era stato il primo vescovo. Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, convertendosi in età non più giovanissima. Mentre era vescovo ad Antiochia, l'Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione. Arrestato e condannato, Ignazio fu condotto, in catene, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell'Imperatore e i cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati dalle belve. Durante il viaggio da Antiochia a Roma, Ignazio scrisse sette lettere, in cui raccomandava di fuggire il peccato, di guardarsi dagli errori degli Gnostici, di mantenere l'unità della Chiesa. Di un'altra cosa poi si raccomandava, soprattutto ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non salvarlo dal martirio. Nell'anno 107 fu dunque sbranato dalle belve verso le quali dimostrò grande tenerezza. «Accarezzatele " scriveva " affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno». (Avvenire)

Etimologia: Ignazio = di fuoco, igneo, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Martirologio Romano: Memoria di sant’Ignazio, vescovo e martire, che, discepolo di san Giovanni Apostolo, resse per secondo dopo san Pietro la Chiesa di Antiochia. Condannato alle fiere sotto l’imperatore Traiano, fu portato a Roma e qui coronato da un glorioso martirio: durante il viaggio, mentre sperimentava la ferocia delle guardie, simile a quella dei leopardi, scrisse sette lettere a Chiese diverse, nelle quali esortava i fratelli a servire Dio in comunione con i vescovi e a non impedire che egli fosse immolato come vittima per Cristo.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
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Dalla data del 1° febbraio, la memoria di Sant'Ignazio Martire è stata riportata ad oggi, data tradizionale del suo martirio, dal nuovo Calendario ecclesiastico, che la prescrive come obbligatoria per tutta la Chiesa.
Sant'Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè della terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto.
Lo stesso San Pietro era stato primo Vescovo di Antiochia, e Ignazio fu suo degno successore: un pilastro della Chiesa primitiva così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d'ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I suoi discepoli dicevano di lui che era " di fuoco ", e non soltanto per il nome, dato che ignis in latino vuol dire fuoco.
Mentre era Vescovo ad Antiochia, l'Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell'Imperatore vittorioso nella Dacia e i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.
Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere, che sono considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo come quelle sono sfolgoranti di carità. In queste lettere, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l'unità della Chiesa.
D'un'altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.
" lo guadagnerei un tanto - scriveva - se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d'un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei ".
E a chi s'illudeva di poterlo liberare, implorava: " Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l'altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s'è degnato di mandare dall'Oriente in Occidente il Vescovo di Siria! ".
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: " Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo ".
E, giunto a Roma, nell'anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente " macinato " dalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia: " Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno ".



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00martedì 12 ottobre 2010 16:15

Sant' Isidoro Gagelin Sacerdote e martire

17 ottobre

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Montperreux, Francia, 10 maggio 1799 - Hue, Vietnam, 17 ottobre 1833

Martirologio Romano: A Huê in Annamia, ora Viet Nam, sant’Isidoro Gagelin, sacerdote della Società per le Missioni Estere di Parigi e martire, strangolato per Cristo sotto l’imperatore Minh M?ng.


Nato a Montperreux (dioc. di Besancon) il 10 magg. 1799, entrò nel 1817 nel seminario diocesano e due anni dopo fu accolto in quello delle Missioni Estere di Parigi. Ne uscì suddiacono il 24 magg. 1819 per raggiungere la Missione dell'Annam. Ordinato sacerdote noi 1822, fu destinato professore nel collegio di Phuong-Ru, dove potè accompagnare l'insegnamento delle scienze sacre con l'attività missionaria, diretta a rinvigorire il fervore religioso, sovente illanguidito, dei cristiani. Intanto il re Minh-Mang chiamò a corte i missionari per servirsi delle loro cognizioni scientifiche; in realtà perché voleva sottrarli all'apostolato e staccarli dai fedeli. Il Gagelin vi andò, compì gli incarichi affidatigli, ma rinunciò alla carica di mandarino per ritornare alla sua libertà di apostolato.
Ma già nel 1833 compariva il primo editto di persecuzione ed egli fu consigliato di nascondersi fra le popolazioni della montagna. Accettò, ma poi, vedendo le sventure piombate sui cristiani e l'apostasia dei più deboli, decise di andare incontro ai persecutori, affinché gli altri fossero risparmiati. Presentatosi pertanto al mandarino di Bong-Song nella provincia di Binh-Dinh (23 ag. 1833), dopo alcuni giorni di rigorosa prigionia, fu spedito a Hué, le spalle gravate dalla canga, e il 17 ott. seguente strangolato nel sobborgo di Bai-Dau. Fu concesso che il corpo fosse trasportato a Phu-Cam, dove fu sepolto nel giardino di una casa cristiana. Il re, tuttavia, non si sentiva tranquillo, perché sapeva che Gesù, tre giorni dopo la sepoltura, era risorto, e temeva che il missionario facesse altrettanto. Fece quindi disseppellire il cadavere per assicurarsi della sua presenza, e poi lo fece di nuovo sotterrare, ingiungendo agli abitanti di sorvegliare la tomba : semmai il missionario fosse in seguito risuscitato, avrebbero pagato con la loro testa. Nel 1846 le reliquie furono raccolte e portate a Parigi nel seminario delle Missioni Estere. Fu beatificato da Leone XIII il 27 magg. 1900.


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00martedì 12 ottobre 2010 16:16

Beate Maria Natalia di S. Ludovico (Maria Ludovica Giuseppa) Vanot e 4 compagne Martiri

17 ottobre

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+ Valenciennes, Francia, 17 ottobre 1794

Martirologio Romano: A Valencienne ancora in Francia, beata Maria Natalia di San Luigi (Maria Luisa Giuseppa) Vanot e quattro compagne, vergini dell’Ordine delle Orsoline e martiri, che, condannate a morte durante la rivoluzione francese in odio alla fede cattolica, salirono il patibolo recitando il salmo Miserere.


L'episodio del massacro delle orsoline di questa città s'inquadra nella storia del Terrore scoppiato nella diocesi di Cambrai (nord Francia) durante la rivoluzione francese. Tutto cominciò il 30 sett. 1790. Quel giorno i commissari della municipalità di Valenciennes, in ottemperanza al decreto della Costituente, si presentarono al convento delle orsoline per fare l'inventario dei beni della comu­nità e chiedere alle suore se avevano l'intenzione di perseverare nella loro vocazione. Le suore erano allora trentadue e la loro superiora era m. Clotilde Paillot, che era stata eletta il 13 febb. precedente. La loro risposta fu unanime: intendevano restare orsoline vota­te all'educazione delle giovinette della città. Per un paio d'anni le cose andarono avanti confusamente, e nonostante intralci di ogni genere, la comunità riuscì a sopravvivere. Ma la posizione strategica della città, al centro della zona di frontiera, avrebbe finito, nel corso delle alterne vicende della guerra che allora si combatteva fra la Francia e il resto d'Europa, per aggravare enormemente la loro situazione. Il 13 sett. 1792 Valenciennes fu assediata dalle truppe nemiche e il 17 successivo le orsoline, essendo i loro locali requisiti dai difensori della città, furono costrette a riparare presso le consorelle di Mons in Belgio, da cui erano venute le fondatrici nel 1654. Quand'ecco che il 6 nov. le truppe francesi, vincitrici della battaglia di Jammapes, occuparono Mons, col risultato che le orsoline, qualche settimana dopo, dovettero nuovamente sloggiare.
Ma la loro occupazione di Mons non durò a lungo. Sconfìtte nella battaglia di Neerwinden, le truppe fran­cesi la evacuarono il 21 mar 1793. Il 29 lug. era la volta di Valenciennes a essere da loro abbandonata. Le orsoline di Valenciennes potevano ora pensare a fare ritorno nella loro città. Gli austriaci, padroni della città, incoraggiavano infatti la ricostituzione delle comunità. Quando le orsoline di Valenciennes rimisero piede nella loro casa, iniziando subito a ricostituirla, essendo stata saccheggiata, era l'11 nov. L'attività delle suore non tardò a riprendere in tutta la sua intensità, tanto che il 29 apr. 1794 avevano luogo nel loro convento una professione e una vestizione. Senonché il 26 giu. le truppe francesi ottennero una grande vittoria a Fleurus e il 26 ago. gli austriaci si ritirarono da Valenciennes. Alcune suore restarono nel convento con la m. Clotilde e furono arrestate il 1° sett. e tenute prigioniere nelle loro stesse stanze. Le altre furono subito ricercate e infine arrestate insieme con numerosi altri sospetti. Il rappresentante della Convenzione era allora un certo Giovanni Battista Lacoste, uno dei personaggi più ripu­gnanti di quest'epoca. Diversamente dal suo collega Lebon ex oratoriano, era stato giudice di pace ed avrebbe concluso la sua carriera tranquillamente come prefetto dell'impero. La sua grande ansia era di poter disporre sul posto di una ghigliottina, che era divenuta per lui una vera ossessione. Suo malgrado non potè riceverne una se non il 13 ott. A questa data, il colpo di Stato del 9 termidoro (27 lug. 1794) era già avvenuto, ma lui, approfittando della vacanza del potere, non volle tenerne conto e il 14 ott. fece erigere la sinistra macchina e quello stesso giorno 5 condannati furono giustiziati. Il 15 ott. alle nove della sera, 116 prevenuti furono riuniti nel municipio e messi a disposizione del tribunale costituito illegalmente da Lacoste. Particolar­mente numerosi erano i preti e le religiose: le ragioni per cui li si voleva condannare erano occultate sotto accuse di tradimento ed emigrazione. I prigionieri si trovavano ammucchiati in condizioni igieniche incredi­bili e per di più promiscuamente, per cui molte suore poterono approfittarne per confessarsi e comunicarsi. Le prime orsoline a comparire davanti al tribunale, il 17 ott. insieme con tre preti refrattari, furono: Maria Luisa Giuseppe Vanot, nata a Valenciennes il 12 giu. 1728, professa il 31 ago. 1749 col nome di sr. Maria Natalia Giuseppe di S. Luigi; Giovanna Regina Prin, nata a Valenciennes il 9 lug. 1747, professa il 28 apr. 1767 col nome di sr. Maria Lorenzina Giuseppe Regina di S. Stanislao; Agostina Gabriella Bourla, nata il 6 ott. 1746 e Maria Genoveffa Ducrez, nata il 27 sett. 1756: tutte e due di Condé (dipart. del Nord), professe insieme il 28 apr. 1779 con i nomi rispettivamente di sr. Maria Orsola Giuseppe di S. Bernardino e di sr. Maria Luisa Giuseppe di S. Francesco (il 31 ago. 1794 erano partite per Condé, dove erano state arrestate e rispedite a Valenciennes); l'ultima era sr. Maria Madda­lena Giuseppe Déjardin, nata a Cambrai l'11 giu. 1760, professa il 22 ago. 1781 col nome di sr. Maria Agostina Giuseppe del S. Cuore di Gesù. Furono ghigliottinate quello stesso giorno. Il secondo gruppo di religiose subì il martirio il 23 ott. 1794: m. Clotilde fu ghigliotti­nata per prima: ricorreva il trentottesimo anniversario della sua professione. Era nata il 25 nov. 1739 a Bavay ed era stata battezzata in pari data col nome di Clotilde Giuseppe. In religione aveva assunto quello di sr. Maria Clotilde Giuseppe di S. Francesco Borgia. Nel 1789 era stata nominata consigliera; il 13 febb. 1790 era stata eletta superiora e il 26 nov. 1793 confermata in questa carica. Le altre furono: Laura Margherita Giuseppe Leroux, nata il 14 lug. 1749 a Cambrai, professa tra le orsoline il 9 ago. 1775 col nome di sr. Maria Scolastica Giuseppe di S. Giacomo: era stata arrestata la notte dal 31 ago. al 1° sett., allo stesso tempo di sua sorella Anna Giuseppa, spesso chiamata Giuseppina, nata il 23 genn. 1747 a Cambrai, professa il 10 magg. 1769 tra le Clarisse urbaniste di Valenciennes, e due brigidine, che erano state arrestate insieme nella notte dal 4 al 5 sett., nate tutte e due a Pont-sur-Sambre, Maria Livia Lacroix il 24 mar. 1753, Maria Agostina Erraux il 20 ott. 1762: erano passate dal convento delle brigidine di Valenciennes, dove portavano i nomi di Anna Maria Giuseppe e di Livia, al convento delle orsoline di Valenciennes, che le avevano accolte Livia col nome di m. Francesca. Ultima, una conversa, Giovanna Luisa Barré, nata il 23 apr. 1750, a Sailly-en-Ostrevent (diocesi di Arras), professa tra le orsoline il 20 genn. 1777 col nome di sr. Maria Cordola Giuseppe di S. Domenico. Bisogna sottolineare l'aspetto di testimonianza data dalle 11 religiose in occasione del processo che le mandò a morte. La priora Clotilde Paillot diede ai giudici risposte degne dei martiri della Chiesa primitiva e manifestamente ispirate dallo Spirito Santo. Condanna­te alla ghigliottina, le suore si tagliarono esse stesse i capelli e si sguarnirono gli abiti intorno al collo perché la mannaia potesse far meglio la sua opera. Ansiose di far conoscere il loro perdono ai persecutori, giunsero a baciare le mani dei carnefici. Tale era l'ardore che spingeva queste religiose al martirio, che sr. Déjardin cercò invano di precedere le altre sui gradini del patibo­lo. Le 11 religiose ghigliottinate a Valenciennes sono state beatificate da Benedetto XV il 13 giu. 1920 assieme a 4 Figlie della Carità di Arras. La causa era stata introdotta il 29 magg. 1907, la dichiarazione di martirio e la dispensa dai miracoli sono del 6 lug. 1919, il decreto de tuto reca la data del 29 febb. 1920. La loro festa è stata fissata il 17 ott. Esse attendono ora la canonizzazione.


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00martedì 12 ottobre 2010 16:17

Santi Martiri Bolitani (Volitani)

17 ottobre

sec. III

Martirologio Romano: In Africa proconsolare, nell’odierna Tunisia, santi martiri Volitani, che sant’Agostino celebrò in un suo sermone.


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00martedì 12 ottobre 2010 16:18

Beate Martiri Orsoline di Valenciennes

17 ottobre

+ Valenciennes, Francia, 17/23 ottobre 1794


L'episodio del massacro delle orsoline di questa città s'inquadra nella storia del Terrore scoppiato nella diocesi di Cambrai (nord Francia) durante la rivoluzione francese. Tutto cominciò il 30 sett. 1790. Quel giorno i commissari della municipalità di Valenciennes, in ottemperanza al decreto della Costituente, si presentarono al convento delle orsoline per fare l'inventario dei beni della comu­nità e chiedere alle suore se avevano l'intenzione di perseverare nella loro vocazione. Le suore erano allora trentadue e la loro superiora era m. Clotilde Paillot, che era stata eletta il 13 febb. precedente. La loro risposta fu unanime: intendevano restare orsoline vota­te all'educazione delle giovinette della città. Per un paio d'anni le cose andarono avanti confusamente, e nonostante intralci di ogni genere, la comunità riuscì a sopravvivere. Ma la posizione strategica della città, al centro della zona di frontiera, avrebbe finito, nel corso delle alterne vicende della guerra che allora si combatteva fra la Francia e il resto d'Europa, per aggravare enormemente la loro situazione. Il 13 sett. 1792 Valenciennes fu assediata dalle truppe nemiche e il 17 successivo le orsoline, essendo i loro locali requisiti dai difensori della città, furono costrette a riparare presso le consorelle di Mons in Belgio, da cui erano venute le fondatrici nel 1654. Quand'ecco che il 6 nov. le truppe francesi, vincitrici della battaglia di Jammapes, occuparono Mons, col risultato che le orsoline, qualche settimana dopo, dovettero nuovamente sloggiare.
Ma la loro occupazione di Mons non durò a lungo. Sconfìtte nella battaglia di Neerwinden, le truppe fran­cesi la evacuarono il 21 mar 1793. Il 29 lug. era la volta di Valenciennes a essere da loro abbandonata. Le orsoline di Valenciennes potevano ora pensare a fare ritorno nella loro città. Gli austriaci, padroni della città, incoraggiavano infatti la ricostituzione delle comunità. Quando le orsoline di Valenciennes rimisero piede nella loro casa, iniziando subito a ricostituirla, essendo stata saccheggiata, era l'11 nov. L'attività delle suore non tardò a riprendere in tutta la sua intensità, tanto che il 29 apr. 1794 avevano luogo nel loro convento una professione e una vestizione. Senonché il 26 giu. le truppe francesi ottennero una grande vittoria a Fleurus e il 26 ago. gli austriaci si ritirarono da Valenciennes. Alcune suore restarono nel convento con la m. Clotilde e furono arrestate il 1° sett. e tenute prigioniere nelle loro stesse stanze. Le altre furono subito ricercate e infine arrestate insieme con numerosi altri sospetti. Il rappresentante della Convenzione era allora un certo Giovanni Battista Lacoste, uno dei personaggi più ripu­gnanti di quest'epoca. Diversamente dal suo collega Lebon ex oratoriano, era stato giudice di pace ed avrebbe concluso la sua carriera tranquillamente come prefetto dell'impero. La sua grande ansia era di poter disporre sul posto di una ghigliottina, che era divenuta per lui una vera ossessione. Suo malgrado non potè riceverne una se non il 13 ott. A questa data, il colpo di Stato del 9 termidoro (27 lug. 1794) era già avvenuto, ma lui, approfittando della vacanza del potere, non volle tenerne conto e il 14 ott. fece erigere la sinistra macchina e quello stesso giorno 5 condannati furono giustiziati. Il 15 ott. alle nove della sera, 116 prevenuti furono riuniti nel municipio e messi a disposizione del tribunale costituito illegalmente da Lacoste. Particolar­mente numerosi erano i preti e le religiose: le ragioni per cui li si voleva condannare erano occultate sotto accuse di tradimento ed emigrazione. I prigionieri si trovavano ammucchiati in condizioni igieniche incredi­bili e per di più promiscuamente, per cui molte suore poterono approfittarne per confessarsi e comunicarsi. Le prime orsoline a comparire davanti al tribunale, il 17 ott. insieme con tre preti refrattari, furono: Maria Luisa Giuseppe Vanot, nata a Valenciennes il 12 giu. 1728, professa il 31 ago. 1749 col nome di sr. Maria Natalia Giuseppe di S. Luigi; Giovanna Regina Prin, nata a Valenciennes il 9 lug. 1747, professa il 28 apr. 1767 col nome di sr. Maria Lorenzina Giuseppe Regina di S. Stanislao; Agostina Gabriella Bourla, nata il 6 ott. 1746 e Maria Genoveffa Ducrez, nata il 27 sett. 1756: tutte e due di Condé (dipart. del Nord), professe insieme il 28 apr. 1779 con i nomi rispettivamente di sr. Maria Orsola Giuseppe di S. Bernardino e di sr. Maria Luisa Giuseppe di S. Francesco (il 31 ago. 1794 erano partite per Condé, dove erano state arrestate e rispedite a Valenciennes); l'ultima era sr. Maria Madda­lena Giuseppe Déjardin, nata a Cambrai l'11 giu. 1760, professa il 22 ago. 1781 col nome di sr. Maria Agostina Giuseppe del S. Cuore di Gesù. Furono ghigliottinate quello stesso giorno. Il secondo gruppo di religiose subì il martirio il 23 ott. 1794: m. Clotilde fu ghigliotti­nata per prima: ricorreva il trentottesimo anniversario della sua professione. Era nata il 25 nov. 1739 a Bavay ed era stata battezzata in pari data col nome di Clotilde Giuseppe. In religione aveva assunto quello di sr. Maria Clotilde Giuseppe di S. Francesco Borgia. Nel 1789 era stata nominata consigliera; il 13 febb. 1790 era stata eletta superiora e il 26 nov. 1793 confermata in questa carica. Le altre furono: Laura Margherita Giuseppe Leroux, nata il 14 lug. 1749 a Cambrai, professa tra le orsoline il 9 ago. 1775 col nome di sr. Maria Scolastica Giuseppe di S. Giacomo: era stata arrestata la notte dal 31 ago. al 1° sett., allo stesso tempo di sua sorella Anna Giuseppa, spesso chiamata Giuseppina, nata il 23 genn. 1747 a Cambrai, professa il 10 magg. 1769 tra le Clarisse urbaniste di Valenciennes, e due brigidine, che erano state arrestate insieme nella notte dal 4 al 5 sett., nate tutte e due a Pont-sur-Sambre, Maria Livia Lacroix il 24 mar. 1753, Maria Agostina Erraux il 20 ott. 1762: erano passate dal convento delle brigidine di Valenciennes, dove portavano i nomi di Anna Maria Giuseppe e di Livia, al convento delle orsoline di Valenciennes, che le avevano accolte Livia col nome di m. Francesca. Ultima, una conversa, Giovanna Luisa Barré, nata il 23 apr. 1750, a Sailly-en-Ostrevent (diocesi di Arras), professa tra le orsoline il 20 genn. 1777 col nome di sr. Maria Cordola Giuseppe di S. Domenico. Bisogna sottolineare l'aspetto di testimonianza data dalle 11 religiose in occasione del processo che le mandò a morte. La priora Clotilde Paillot diede ai giudici risposte degne dei martiri della Chiesa primitiva e manifestamente ispirate dallo Spirito Santo. Condanna­te alla ghigliottina, le suore si tagliarono esse stesse i capelli e si sguarnirono gli abiti intorno al collo perché la mannaia potesse far meglio la sua opera. Ansiose di far conoscere il loro perdono ai persecutori, giunsero a baciare le mani dei carnefici. Tale era l'ardore che spingeva queste religiose al martirio, che sr. Déjardin cercò invano di precedere le altre sui gradini del patibo­lo. Le 11 religiose ghigliottinate a Valenciennes sono state beatificate da Benedetto XV il 13 giu. 1920 assieme a 4 Figlie della Carità di Arras. La causa era stata introdotta il 29 magg. 1907, la dichiarazione di martirio e la dispensa dai miracoli sono del 6 lug. 1919, il decreto de tuto reca la data del 29 febb. 1920. La loro festa è stata fissata il 17 ott. Esse attendono ora la canonizzazione.



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00martedì 12 ottobre 2010 16:19

Sant' Osea Profeta

17 ottobre

Israele, VIII sec. A.C.

San Osea è il profeta ebraico Hoseah (=salvato dal Signore), vissuto nell'VIII secolo prima di Cristo. Figlio di Beerì, Osea è originario del regno del nord, Osea inizia la sua predicazione sotto Geroboamo II e la prosegue sotto i successori di questo. Il dramma personale di Osea, che lo spinge alla sua azione profetica è raccontato nei primi tre capitoli del libro della Bibbia che porta il suo nome. Probabilmente Osea aveva sposato una donna che amava e che l'aveva abbandonato, ma egli ha continuato ad amarla e l'ha ripresa dopo averla messa alla prova. E' evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d'Israele, che conme una donna infedele ha provocato le ire del suo sposo divino. Osea condanna le classi dirigenti di Israele, i re che hanno fatto scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo al loro ministero, conducendo il popolo alla rovina. Egli tuona contro le ingiustizie e le violenze, ma soprattutto contro l'infedeltà religiosa, un messaggio vecchio di quasi tre milleni, ma sempre attuale.

Etimologia: Osea = salvato dal Signore, dall'ebraico

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Osea, profeta, che, non solo con le parole, ma anche con la vita, mostrò all’infedele popolo di Israele il Signore come Sposo sempre fedele e mosso da infinita misericordia.


Il ‘Martirologio Romano’, ricorda al 17 novembre il profeta Osea, l’ebraico Hoseah, il cui nome significa “salvato dal Signore”.
Osea apre nella Bibbia la serie dei cosiddetti “Profeti Minori”, ma in realtà la sua è una testimonianza di alto profilo e si basa su un’esperienza personale e familiare, che viene presa a simbolo religioso per tutto il popolo ebraico.
Contemporaneo del profeta Amos, Osea visse e operò nel regno settentrionale d’Israele, di cui era anche originario, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.; più precisamente predicò al popolo la Parola di Dio, in un periodo di tempo racchiuso tra il 750 e il 754 a.C., mentre si maturava la rovina di quel regno scismatico (721 a.C.) che si era separato dal regno di Giuda, dopo la morte di Salomone (931 a.C.).
Figlio di Beeri, Osea scrisse i suoi oracoli profetici al tempo di Ezechia re di Giuda e di Geroboamo II re d’Israele; il libro omonimo consta di 14 capitoli, i cui primi tre, sviluppano la sofferta storia personale e familiare del profeta.
Dietro ordine di Dio, egli sposò una prostituta di nome Gomer, figlia di Diblaim (forse era una sacerdotessa dei culti della fertilità a sfondo sessuale, del dio Baal dei cananei), dalla quale ebbe tre figli dai nomi simbolici, il primo Izreel, dal nome della città dove abitavano d’estate i re d’Israele; la seconda figlia ebbe il nome chiesto da Dio di “Non-amata” e il terzo il nome sempre dettato da Dio, di “Non-popolo-mio”.
E la situazione familiare di Osea sarà il filo conduttore di tutto il Libro, perché la moglie Gomer, pur essendo amata dal profeta, dopo qualche tempo riprese a prostituirsi con numerosi amanti, abbandonando il marito ed i figli; i cui nomi simbolici riflettono la dolorosa situazione familiare.
Ma l’amore di Osea per la moglie infedele, gli fa superare il furore che ne scaturiva, convincendo Gomer a ritornare in famiglia dove c’era amore e perdono; nel capitolo 3 egli descrive così la ricongiunzione:
[Il Signore mi disse: “Và di nuovo, ama la donna amata da suo marito, benché adultera, come il Signore ama i figli d’Israele, benché essi si volgano verso altri dei e amino le schiacciate di uve passe”. Io dunque me la comprai per quindici pezzi d’argento e una misura e mezza di orzo. Poi le dissi: “Per un lungo periodo rimarrai al tuo posto con me, non ti prostituirai e non sarai di un altro e neppure io verrò da te”.
Perché per un lungo periodo i figli d’Israele saranno senza re e senza principe, senza sacrificio e senza stele… Dopo ciò i figli d’Israele si convertiranno, cercheranno il Signore loro Dio e Davide loro re, trepidanti accorreranno al Signore e ai suoi beni, alla fine dei giorni].
È evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d’Israele, che come una moglie infedele ha provocato le ire del suo Sposo divino; per la prima volta nella Bibbia, Dio viene esaltato come lo Sposo del suo popolo, perché l’alleanza che lo lega ad esso, è un patto d’amore.
Il profeta Osea nei capitoli successivi, condanna le classi dirigenti d’Israele, i re che hanno fatto scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo, trascurando il loro ministero, portando il popolo alla rovina.
Egli si scaglia contro le violenze e le ingiustizie, soprattutto contro l’infedeltà religiosa, ma poi il profeta, con pagine di eccezionale vigore, descrive l’amore di Dio con mirabili accenti di intimità e tenerezza, che sebbene tradito, continua vivo e pieno di sollecitudine, al fine di ricondurre a sé il popolo infedele.
A partire da Osea, la raffigurazione dell’alleanza tra Jahvé e Israele, non sarà più modellata, come al Sinai, sulla base di un rapporto tra un re e un suo vassallo, cioè un rapporto ‘politico’ tra due personaggi; viene invece rappresentata come una relazione d’amore tra due sposi, con aspetti di comunione, spontaneità, intimità; tema che verrà ripreso dai profeti successivi, sia pure in forme diverse, costituendo un simbolismo efficace anche per il Nuovo Testamento.
Al di là del simbolismo, con cui Osea ha scritto il suo oracolo profetico, per richiamare l’infedele popolo d’Israele, gli studiosi sono concordi nel ritenere vere le disavventure familiari del profeta, che egli trasfigura facendole diventare una parabola dell’intera vicenda del popolo, che di fronte all’amore fedele da parte del Signore, la “sposa” Israele, aveva risposto con l’infedeltà dell’idolatria cananea, definita appunto come prostituzione e adulterio.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:20

Beato Pietro Casani (Pietro della Natività di Maria) Scolopio

17 ottobre

Lucca, 8 settembre 1572 – Roma, 17 ottobre 1647

Martirologio Romano: A Roma, beato Pietro della Natività della Beata Vergine Maria Casani, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie, che mise le sue doti di natura e di grazia a servizio dell’istruzione dei fanciulli, lieto soltanto di servire Dio nei piccoli.


Pietro Casani, nacque a Lucca l’8 settembre 1572 da genitori appartenenti ad antica nobiltà, benestanti e molto devoti. Il padre rimasto vedovo, prima restò con il figlio, poi quando Pietro decise nel 1594 a 22 anni, di entrare nella Congregazione della Madre di Dio, fondata a Lucca da s. Giovanni Leonardi (1541-1609), anche Gaspare Casani decise di entrarvi nel 1610 come fratello laico.
Il santo fondatore ebbe una favorevole impressione del giovane, constatata l’austerità della sua vita, la vasta cultura e per il suo carattere docile, al punto che pur essendo ancora un chierico lo scelse come suo collaboratore.
Infatti Pietro Casani fu un attento relatore delle visite effettuate da s. Giovanni Leonardi per incarico del papa Clemente VIII, alla Congregazione di Montevergine ed ai monaci di Vallombrosa; inoltre il santo fondatore si avvalse della collaborazione di Pietro Casani per elaborare le Costituzioni della sua nuova Istituzione.
Restò nella Congregazione della Madre di Dio per 23 anni, intanto nel 1614 papa Paolo V approvò la fusione della Congregazione lucchese con le ‘Scuole Pie’ dirette da s. Giuseppe Calasanzio (1588-1648) sacerdote spagnolo trapiantato a Roma, dove le aveva fondate nel 1597.
Ma la fusione delle due Istituzioni non fu felice, diverse erano i fini e i metodi di apostolato; le “Scuole Pie” consideravano l’istruzione ministero primario, con emissione del voto di povertà; mentre la Congregazione lucchese dedita al ministero sacerdotale, considerava la scuola un’appendice dell’apostolato teso alla salvezza delle anime e contraria al voto di povertà.
Pertanto nel 1617 dopo una convivenza di tre anni, in cui si vide anche il calo del numero degli studenti, dai 1200 raggiunti nel 1614 con il rettorato di Pietro Casani nell’Istituto di S. Pantaleo delle Scuole Pie a Roma, ai circa 1000 del 1617 per la mancanza di aiuto nel magistero, che si sperava giungesse copioso dalla Congregazione lucchese, il papa su richiesta comune, sciolse l’unione dando la dignità di Congregazione ai figli del Calasanzio, denominandola “Congregazione Paolina della Madre di Dio delle Scuole Pie”, che poi nel 1621 diventerà l’”Ordine delle Scuole Pie”.
Fu data l’opportunità ai membri delle due Congregazioni di fare un’eventuale scelta e il Casani con alcuni novizi e fratelli laici, attratto soprattutto dal carisma del voto di povertà, infatti sarà chiamato ‘Pietro il povero’, passò definitivamente nelle “Scuole Pie”.
Si mise sotto la guida del fondatore s. Giuseppe Calasanzio, avendo ben compreso il carisma degli ‘scolopi’, come venivano chiamati i membri dell’Istituzione, di salvare la gioventù attraverso la scuola.
Insieme al fondatore prese l’abito religioso e il nome di Pietro della Natività di Maria nel 1617; fu rettore delle Scuole di S. Pantaleo a Roma, maestro dei novizi, insegnante di filosofia e teologia, poi assistente generale e visitatore dei collegi; fu il principale aiuto del Calasanzio nella diffusione delle ‘Scuole Pie’ in Italia e in Germania.
Dopo un’amara delusione in Sicilia, dove pur già stabilendo una Casa con alcuni novizi a Messina, per l’opposizione soprattutto dei Gesuiti, già presenti con le loro scuole nell’Isola, non riuscì ad avere la licenza della Curia, pertanto il 14 aprile 1627 si spostò a Napoli.
Per la città partenopea fu una scelta provvidenziale, perché determinò una rinascita ed un interesse generalizzato, dal popolo ai nobili, verso la povertà della gente. Prese la carica di Rettore della Casa della Duchesca già fondata dal Calasanzio; suscitò l’entusiasmo dei religiosi e persone private, che cercarono di dotare la Casa di locali più idonei alle attività scolastiche, religiose e ricreative.
Una parte di essa sarà tramutata nella Chiesa dell’Annunziata poi di S. Anna. Durante il suo provincialato a Napoli, la scuola fu guidata da 30 religiosi e frequentata da 600 alunni, le vocazioni religiose degli Scolopi aumentarono a 57. Ebbe il singolare privilegio di essere un paciere, ricercato nelle controversie fra molti nobili e potenti famiglie.
Durante il periodo napoletano lavorò molto per la diffusione delle Scuole Pie nell’Italia Meridionale, fondò le Case di Bisignano nel 1627, Campi Salentina nel 1628; fondò a Napoli alcune Congregazioni per laici per promuovere la carità cristiana, come quella della Purificazione per i Commercianti, per gli Artisti, per Adulti e Giovani, per i Nobili.
Nella scia di questo religioso, povero ed austero, i padri Scolopi che operarono ed operano a Napoli hanno proseguito l’Opera della Congregazione nel grande Istituto Calasanzio, posto al fianco del palazzo arcivescovile, altri Istituti in città e provincia ed una parrocchia.
A seguito di coinvolgimenti storici dell’epoca, che videro in primo piano Galileo Galilei, i Medici di Firenze e soprattutto per le controversie, maldicenze e sete di potere di un loro confratello padre Mario Sozzi, Pietro Casani venne deposto dal Tribunale dell’Inquisizione, insieme con il Calasanzio e altri Assistenti Generali, accettò la disposizione con ammirevole pazienza e fortezza.
Restò a fianco del Calasanzio nei momenti più dolorosi per l’Ordine delle Scuole Pie, che il 17 marzo 1646, dopo varie visite inquisitorie, venne ridotto a semplice Congregazione, con la facoltà dei membri di passare in altri Ordini.
Morì il 17 ottobre 1647 a Roma nella Casa di S. Pantaleo, assistito dal Calasanzio, che morirà 10 mesi dopo; le sue spoglie riposano accanto a quelle del Calasanzio e del venerabile Glicerio Landriani nella medesima Casa romana.
In vita ebbe la stima dei due grandi santi fondatori, con i quali era diventato, in momenti successivi, il più vicino collaboratore: s. Giovanni Leonardi e s. Giuseppe Calasanzio.
Fra i suoi confratelli sia dell’una, che dell’altra Congregazione, era considerato “teologo e uomo insigne in virtù e di grande spirito e sapere”. Già in vita esisteva una lista di 24 fatti miracolosi, da lui operati, si parlava di fatti prodigiosi e fenomeni mistici; era dovunque chiamato “padre santo”, alle sue prediche in piazza accorrevano migliaia di fedeli; i suoi funerali furono un’apoteosi per la partecipazione di una grande folla.
Alla fama di santità contribuirono senz’altro gli effetti ottenuti con i suoi ‘esorcismi’, cioè delle sue preghiere con le quali si chiede a Dio per i meriti della Passione di Gesù, l’intercessione di Maria e di alcuni santi, la liberazione da ogni male del corpo e dello spirito; ‘esorcismi’ da lui composti, i quali debitamente approvati vengono ancora oggi usati per scongiurare terremoti, tempeste, malattie contagiose e nei parti difficili.
Lo stesso Calasanzio si adoperò affinché si avviasse il processo per la sua Beatificazione e fece stampare un’immagine con gli ‘esorcismi’ che divulgò ampiamente.
Papa Giovanni Paolo II ha beatificato Pietro della Natività di Maria Casani, il 1° ottobre 1995.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:21

Beato Raimondo Stefano Bou Pascual Sacerdote e martire

17 ottobre

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Martirologio Romano: In località La Nucía vicino ad Alicante sempre in Spagna, beato Raimondo Stefano Bou Pascual, sacerdote e martire, che, durante la stessa persecuzione, come un fedele discepolo, meritò la salvezza nel sangue di Cristo.




Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:21

San Riccardo Gwyn Martire

17 ottobre

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Llandiloes, Galles, 1537 circa – Wrexham, Galles, 17 ottobre 1584

Martirologio Romano: A Wrexham in Galles, san Riccardo Gwyn, martire, che, padre di famiglia e maestro di scuola, professò la fede cattolica e, arrestato per aver persuaso altri ad abbracciarla, dopo lunghi tormenti, invitto nella fede, fu impiccato sul patibolo e sventrato ancora vivo.


Richard Gwyn nacque a Llandiloes, nel Montgomeryshire in Galles, verso il 1537. Iscritto al St John’s College di Cambridge, dovette ritirarsi dopo soli due anni per carenze finanziarie. Tornato nella terra natia, fu maestro ad Overton nel Clwy. Qui si sposò ed ebbe sei figli, tre dei quali morirono ben presto. Minacciato di multa per non frequentare la parrocchia anglicana del luogo, si convertì per un certo periodo a tale confessione imposta dall’Atto di Uniformità del 1559.
In seguito però si pentì e tornò al cattolicesimo. Si trasferì ad Overstock, ove aprì una scuola. Nel 1579 fu arrestato in quanto cattolico presso Wrexham, ma riuscì fortunosamente a fuggire. L’anno successivo, quando il Consiglio della Corona invitò i vescovi ad impegnarsi nell’arresto di tutti gli insegnanti cattolici, capaci di influenzare le scelte delle giovani generazioni, Riccardo fu nuovamente arrestato ed imprigionato nel castello di Ruthim. Rifiutando però di firmare l’atto di sottomissione, fu portato nella chiesa del luogo, ove fece tanto rumore da coprire le parole del predicatore. Per punizione fu allora messo alla gogna e multato. Una volta rilasciato, non fu in grado di pagare le multe per la mancata frequentazione della chiesa e perciò arrestato per l’ennesima volta.
Condotto allora in giudizio insieme ad altri dissidenti, fu stimolato mediante torture a rivelare i nomi dei cattolici ancora presenti sul territorio. Durante la prigionia scrisse parecchie poesie in lingua gallese, assai polemiche e dal tono alquanto amaro, per esortare i propri compatrioti a restare fedeli all’antica “madre Chiesa” ed attaccare lo scisma anglicano ed i suoi seguaci. Fu infine condotto per l’ottava volta in giudizio a Wrexham, ove fu accusato di aver ricondotto una persona alla fede cattolica e di riconoscere il primato papale. La prima accusa secondo la legge del 1581 era considerata reato degno di morte. Le prove contro di lui erano state falsificate, ma fu comunque condannato a morte per non voler riconoscere la supremazia regale.
Sua moglie, che con uno dei figli era stata ammonita a non seguire l’esempio del marito, si dichiarò invece a seguirne la medesima sorte. Sul patibolo Riccardo ribadì ancora di riconoscere Elisabetta come legittima regina inglese, ma non quale Capo della Chiesa d’Inghilterra, poi fu impiccato, calato a terra e squartato. Ciò evvenne a Wrexham, nel Galles, il 17 ottobre 1584. Il curatore delle sue poesie affermò: “Nonostante i suoi momenti di debolezza, aveva un carattere veramente amabile, era un marito ed un padre devoto, un insegnante dei giovani che seppe conquistarsi e conservare il forte affetto dei suoi allievi”.
Ben quaranta martiri di Inghilterra e Galles di quel periodo, Cuthbert Mayne e 39 compagni, tra i quali appunto Richard Gwyn, furono canonizzati da Papa Paolo VI il 25 ottobre 1970, nell’auspicio che il sangue dei martiri potesse dare frutti di dialogo e di unità con i fratelli cristiani separati.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:22

San Rufo Martire

17 ottobre

sec. I

Le informazioni sui santi Rufo e Zosimo sono minime. San Policarpo, in una lettera ai cristiani di Filippi parla di loro. Secondo il martirologio romano, Rufo e Zosimo «furono nel numero di quei discepoli, che fondarono la primitiva Chiesa fra Giudei e i Greci». Entrambe le fonti però non permettono di parlare con sicurezza di un loro martirio avvenuto nel I secolo. In un elenco di "discepoli del Signore" festeggiati dalla Chiesa bizantina si trova infatti un "Rufo" che forse s’identifica con il personaggio omonimo citato dal Vangelo di Marco (15,21) e dalla lettera ai Romani di san Paolo (16,13). Tuttavia Rufo rappresenta un modello per tutta la Chiesa. (Avvenire)

Etimologia: Rufo = fulvo, rossiccio, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Rufo e Zosimo, martiri, che il beato Policarpo associò nel martirio a sant’Ignazio, scrivendo ai Filippesi: «Essi condivisero la passione del Signore e non amarono il secolo presente, ma colui che per loro e per tutti è morto e risorto».

Ascolta da RadioRai:
  

“Io vi esorto quindi tutti ad obbedire e ad esercitare la vostra pazienza, quella che avete vista con i vostri occhi, non solo nei beati Ignazio, Rufo e Zosimo, ma anche in altri vostri concittadini, nello stesso Paolo e negli altri apostoli. Siate persuasi che tutti costoro non hanno corso invano, ma nella fede e nella giustizia, e che essi sono presso il Signore, nel luogo ad essi dovuto per le sofferenze che hanno sopportato. Poiché essi non hanno amato il secolo presente, ma Colui che è morto per noi e che per noi è stato risuscitato da Dio”. Questo meraviglioso "appello" è stato indirizzato ai cristiani filippesi da S. Policarpo.
Filippi era una celebre città della Macedonia, ai confini con la Tracia, che traeva il suo nome da Filippo II, padre di Alessandro Magno. La composizione etnica della comunità cristiana era prevalentemente di ex-pagani, mentre quelli provenienti dal giudaismo erano una minoranza. Il cristianesimo era stato portato ai Filippesi dallo stesso S. Paolo: era la prima comunità da lui fondata sul suolo europeo, e forse anche per questo la comunità dei Filippesi fu sempre particolarmente vicina al suo cuore, come dimostrano diverse espressioni della lettera che S. Paolo scrisse loro dalla prigionia romana o, più probabilmente, da una prigionia ad Efeso.
Policarpo, nominando S. Paolo, era certo di toccare il cuore di quei cristiani, come certo già aveva fatto nominando quell'altro campione che fu S. Ignazio di Antiochia, che ai Filippesi si presentò incatenato durante la sua marcia di trasferimento a Roma, dove, secondo il suo desiderio, sarebbe divenuto "frumento di Cristo", macinato dai denti delle belve.
E’ per l'appunto in questa eccezionale compagnia di S. Ignazio e di S. Paolo che vengono posti Ss. Rufo e Zosimo. Di costoro il Martirologio Romano riferisce, con un giudizio che dipende dallo storico S. Adone, che essi "furono nel numero di quei discepoli, che fondarono la primitiva Chiesa fra i Giudei e i Greci". Ma la notizia non sembra abbastanza confermata. In un elenco di "discepoli del Signore" festeggiati dalla Chiesa bizantina si trova infatti un "Rufo" che forse s'identifica con il personaggio omonimo citato dal Vangelo di Marco (15,21) e dalla Lettera ai Romani di S. Paolo (16,13), ma forse non si tratta del santo odierno; e in ogni caso non vi si fa parola di Zosimo.
Anche il loro stesso "martirio" non è sufficientemente attestato. Tuttavia, anche questi due personaggi di cui non sappiamo molto hanno testimoniato Cristo e sono per noi modello e stimolo, ed è questo che conta.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:23

Beata Tarsila Cordoba Belda Vedova, martire

17 ottobre

Collana, Spagna, 8 maggio 1861 – Algemesì, Spagna, 17 ottobre 1936

Martirologio Romano: Nella città di Algemesí nel territorio di Valencia ancora in Spagna, beata Tarsilla Córdoba Belda, martire, che, madre di famiglia, sempre nella stessa persecuzione fu accolta da Cristo nella gloria.


Tarsila Cordoba Belda, fedele laica dell’arcidiocesi di Valencia, nacque a Collana in Spagna l’8 maggio 1861 e ricevette il battesimo sette giorni dopo nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Maddalena.
Dal suo matrimonio, celebrato il 19 gennaio 1884 nella chiesa parrocchiale, nacquero due figli che però morirono in gioventù a causa di varie malattie.Inoltre il 26 marzo 1922 rimase vedova, fattore che la ispirò a dedicarsi ancor di più all’apostolato ed al servizio di Dio e dei poveri. A tal fine aderì all’Azione Cattolica Spagnola.
Allo scoppio della guerra civile e della feroce persecuzione religiosa che attraversò la Spagna negli anni ’30 del XX secolo, Tarsila occultò delle suppellettili della chiesa a casa sua e curò delle suore nascoste. Scopertà, fu uccisa il 17 ottobre 1936 presso Algemesì.
Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001 elevò agli onori degli altari ben 233 vittime della medesima persecuzione, tra le quali la Beata Tarsila Cordoba Belda, che viene festeggiata nell’anniversario del suo martirio.



Stellina788
00martedì 12 ottobre 2010 16:24

San Zosimo Martire

17 ottobre

sec. I

Le informazioni sui santi Rufo e Zosimo sono minime. San Policarpo, in una lettera ai cristiani di Filippi parla di loro. Secondo il martirologio romano, Rufo e Zosimo «furono nel numero di quei discepoli, che fondarono la primitiva Chiesa fra Giudei e i Greci». Entrambe le fonti però non permettono di parlare con sicurezza di un loro martirio avvenuto nel I secolo. In un elenco di "discepoli del Signore" festeggiati dalla Chiesa bizantina si trova infatti un "Rufo" che forse s’identifica con il personaggio omonimo citato dal Vangelo di Marco (15,21) e dalla lettera ai Romani di san Paolo (16,13). Tuttavia Rufo rappresenta un modello per tutta la Chiesa. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Commemorazione dei santi Rufo e Zosimo, martiri, che il beato Policarpo associò nel martirio a sant’Ignazio, scrivendo ai Filippesi: «Essi condivisero la passione del Signore e non amarono il secolo presente, ma colui che per loro e per tutti è morto e risorto».

Ascolta da RadioRai:
  

“Io vi esorto quindi tutti ad obbedire e ad esercitare la vostra pazienza, quella che avete vista con i vostri occhi, non solo nei beati Ignazio, Rufo e Zosimo, ma anche in altri vostri concittadini, nello stesso Paolo e negli altri apostoli. Siate persuasi che tutti costoro non hanno corso invano, ma nella fede e nella giustizia, e che essi sono presso il Signore, nel luogo ad essi dovuto per le sofferenze che hanno sopportato. Poiché essi non hanno amato il secolo presente, ma Colui che è morto per noi e che per noi è stato risuscitato da Dio”. Questo meraviglioso "appello" è stato indirizzato ai cristiani filippesi da S. Policarpo.
Filippi era una celebre città della Macedonia, ai confini con la Tracia, che traeva il suo nome da Filippo II, padre di Alessandro Magno. La composizione etnica della comunità cristiana era prevalentemente di ex-pagani, mentre quelli provenienti dal giudaismo erano una minoranza. Il cristianesimo era stato portato ai Filippesi dallo stesso S. Paolo: era la prima comunità da lui fondata sul suolo europeo, e forse anche per questo la comunità dei Filippesi fu sempre particolarmente vicina al suo cuore, come dimostrano diverse espressioni della lettera che S. Paolo scrisse loro dalla prigionia romana o, più probabilmente, da una prigionia ad Efeso.
Policarpo, nominando S. Paolo, era certo di toccare il cuore di quei cristiani, come certo già aveva fatto nominando quell'altro campione che fu S. Ignazio di Antiochia, che ai Filippesi si presentò incatenato durante la sua marcia di trasferimento a Roma, dove, secondo il suo desiderio, sarebbe divenuto "frumento di Cristo", macinato dai denti delle belve.
E’ per l'appunto in questa eccezionale compagnia di S. Ignazio e di S. Paolo che vengono posti Ss. Rufo e Zosimo. Di costoro il Martirologio Romano riferisce, con un giudizio che dipende dallo storico S. Adone, che essi "furono nel numero di quei discepoli, che fondarono la primitiva Chiesa fra i Giudei e i Greci". Ma la notizia non sembra abbastanza confermata. In un elenco di "discepoli del Signore" festeggiati dalla Chiesa bizantina si trova infatti un "Rufo" che forse s'identifica con il personaggio omonimo citato dal Vangelo di Marco (15,21) e dalla Lettera ai Romani di S. Paolo (16,13), ma forse non si tratta del santo odierno; e in ogni caso non vi si fa parola di Zosimo.
Anche il loro stesso "martirio" non è sufficientemente attestato. Tuttavia, anche questi due personaggi di cui non sappiamo molto hanno testimoniato Cristo e sono per noi modello e stimolo, ed è questo che conta.


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