17 settembre

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Stellina788
00venerdì 17 settembre 2010 09:15

Beato Antonio Morell Mercedario

17 settembre

+ 15 giugno 1492

Originario di Tolosa (Francia), il Beato Antonio Moreli era professore e decano dell'Università tolosana esperto nelle lingue: latina, greca, ebraica e nelle altre lingue orientali.XXII° Maestro Generale dell'Ordine Mercedario, rimase in carica per 12 anni, fu eletto il 25 febbraio 1480, durante il suo generalato l'Ordine conseguì un grande impulso in Francia. Nel 1482, i due redentori, Santi Giovanni Zorrosa e Giovanni Huete inviati da lui a Granada in Spagna, furono catturati e martirizzati dai mori.Impareggiabile e famoso per i meriti, morì santamente il 15 giugno 1492, il suo corpo fu sepolto nel suo convento di Santa Maria in Tolosa.
L'Ordine lo festeggia il 17 settembre.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:15

Beato Cherubino Testa da Avigliana Sacerdote agostiniano

17 settembre

Avigliana, Torino, 1451 - Avigliana, Torino, 17 settembre 1479

Nacque nel 1451 ad Avigliana (Torino), dove a 20 anni entrò nell'Ordine Agostiniano. Morì il 17 settembre del 1479 appena nove mesi dopo l'ordinazione sacerdotale. Si distinse per spirito di obbedienza, purezza di vita e devozione alla passione di Cristo. Il suo culto, confermato da Pio IX nel 1865, è ancora vivissimo in Avigliana e dintorni.Le sue spoglie mortali sono esposte alla venerazione dei fedeli nella chiesa parrocchiale dei Santi Giovanni e Pietro in Avigliana.

Martirologio Romano: Ad Avigliana presso Torino, beato Cherubino Testa, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che ebbe grande devozione per la Passione del Signore.


Appartenente alla nobile famiglia Testa, Cherubino nacque ad Avigliana (Torino) nel 1451. Abbracciata ben presto la vita religiosa, vestì l'abito degli Eremitani di s. Agostino nel locale convento dell'Ordine, fondato dal b. Adriano Berzetti da Buronzo. Qui condusse, sino alla fine della sua breve esistenza, un'austera vita di mortificazione e di santità, improntata sempre a un profondo spirito di obbedienza e a un'immensa pietà, distinguendosi, inoltre, per la sua purezza e per la particolare profonda devozione alla Passione di Cristo, tanto da trascorrere gran parte della sua giornata piangendo, in estatica contemplazione di Gesù crocifisso.
Cherubino si spense, ventottenne, il 17 settembre 1479 nello stesso convento aviglianese.
Si narra che, nel momento in cui esalò l’ultimo respiro, le campane del luogo si misero a suonare da sole prodigiosamente, quasi ad annunziare il felice transito dell'anima sua in paradiso.
In un dipinto esistente un tempo nel chiostro dell'antico convento agostiniano di Tolentino, nelle Marche, il beato Cherubino era raffigurato con l'aureola, un giglio geminato sul cuore e un crocifisso nella mano destra; sotto l’immagine si poteva leggere la seguente iscrizione: Beatus Cherubinus de Aviliana, conventus S. Augustini Avilianae magnus splendor. La ragione per cui veniva rappresentato con il giglio germogliante dal cuore è spiegata da taluni antichi scrittori agostiniani, quali, ad es., il Torelli e l’Elsen, col fatto che, avvertendo i suoi confratelli un soave olezzo sprigionarsi dal suo sepolcro ogni qualvolta vi passavano davanti per recarsi in coro, fu deciso di esumare il corpo del beato per trasferirlo in una più degna sepoltura. All'apertura del sepolcro si vide che un odoroso giglio era spuntato miracolosamente dal suo cuore.
Tali prodigi, verificatisi dopo la sua morte, favorirono l’immediata affermazione del culto in suo onore, conservatosi sempre vivo nel tempo, così da ottenere solenne conferma da parte di Pio IX, il 21 settembre 1865.
La sua memoria liturgica ricorre il 17 settembre, mentre l'Ordine degli Agostiniani lo ricorda il 16 dicembre.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:16

Santa Colomba di Cordova Martire

17 settembre

Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, santa Colomba, vergine e martire, che durante la persecuzione dei Mori professò spontaneamente la sua fede davanti al giudice e al consiglio cittadino e fu prontamente decapitata con la spada davanti alle porte del palazzo.


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00venerdì 17 settembre 2010 09:17

Sant' Emanuele Nguyen Van Trieu Martire

17 settembre

Martirologio Romano: A Huê in Annamia, ora Viet Nam, sant’Emanuele Nguyễn Văn Triệu, sacerdote e martire sotto il regime di Cảnh Thịnh.


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00venerdì 17 settembre 2010 09:18

San Francesco d'Assisi, Impressione delle Stimmate

17 settembre

 


Il Martirologio Romano al 17 settembre rievoca: “Sul monte della Verna, in Toscana, la commemorazione dell'Impressione delle sacre Stimmate, che, per meravigliosa grazia di Dio, furono impresse nelle mani, nei piedi e nel costato di san Francesco, Fondatore dell'Ordine dei Minori”.
Poche e sintetiche parole per descrivere un evento straordinario, e mai sino ad allora verificatosi, che si compì sul monte della Verna, mentre un’estate della prima metà del ‘200 volgeva al termine, e che schiere innumerevoli di santi, uomini e donne di Dio, ripeterono nella loro vita.
Anche numerosi artisti si ispirarono a quel primo episodio, immortalandolo in tele ed affreschi. Basti solo ricordare qui, tra i più famosi, quelli di Giotto nella Basilica superiore del Poverello in Assisi.
Poche parole quelle del Martirologio, dunque. Maggiori dettagli li forniscono i primi biografi del Santo. In special modo, S. Bonaventura da Bagnoregio che, nella sua “Legenda Major”, non manca di riferirne con dovizia anche i particolari.
Correva l’anno 1224. S. Francesco d’Assisi, due anni prima di morire, voleva trascorrere nel silenzio e nella solitudine quaranta giorni di digiuno in onore dell'arcangelo S. Michele. Era, del resto, abitudine del Santo d’Assisi ritirarsi, come Gesù, in luoghi solitari e romitori per attendere alla meditazione ed all’unione intima con il Signore nella preghiera. Sapeva, infatti, che ogni apostolato era sterile se non sostenuto da una crescita spirituale della propria vita interiore. Molti luoghi dell’Umbria, della Toscana e del Lazio vantano di aver ospitato il Poverello d’Assisi in questi suoi frequenti ritiri.
La Verna era uno di questi e certamente era quello che il Santo prediligeva. Già all’epoca di Francesco era un monte selvaggio – un “crudo sasso” come direbbe Dante Alighieri – che s’innalza verso il cielo nella valle del Casentino. La sommità del monte è tagliata per buona parte da una roccia a strapiombo, tanto da farla assomigliare ad una fortezza inaccessibile. La leggenda vuole che la fenditura profonda visibile, con enormi blocchi sospesi, si sia generata a seguito del terremoto che succedette alla morte di Gesù sul Golgota.
Esso era proprietà del conte Orlando da Chiusi di Casentino, il quale, nutrendo una grande venerazione per Francesco, volle donarglielo. Qui i frati del Poverello vi costruirono una piccola capanna.
In quello luogo Francesco era intento a meditare, per divina ispirazione, sulla Passione di Gesù quando avvenne l’evento prodigioso. Pregava così: “O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch' io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori”.
La sua preghiera non rimase inascoltata. Fu fatto degno, infatti, di ricevere sul proprio corpo i segni visibili della Passione di Cristo. Il prodigio avvenne in maniera così mirabile che i pastori e gli abitanti dei dintorni riferirono ai frati di aver visto per circa un’ora il monte della Verna incendiato di un vivo fulgore, tanto da temere un incendio o che si fosse levato il sole prima del solito.
Scriveva S. Bonaventura da Bagnoregio: “Un mattino, all'appressarsi della festa dell'Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide la figura come di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalla sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, tenendosi librato nell'aria, giunse vicino all'uomo di Dio, e allora apparve tra le sue ali l'effige di un uomo crocifisso, che aveva mani e piedi stesi e confitti sulla croce. Due ali si alzavano sopra il suo capo, due si stendevano a volare e due velavano tutto il corpo. A quella vista si stupì fortemente, mentre gioia e tristezza gli inondavano il cuore. Provava letizia per l'atteggiamento gentile, con il quale si vedeva guardato da Cristo, sotto la figura del serafino. Ma il vederlo confitto in croce gli trapassava l'anima con la spada dolorosa della compassione. Fissava, pieno di stupore, quella visione così misteriosa, conscio che l'infermità della passione non poteva assolutamente coesistere con la natura spirituale e immortale del serafino. Ma da qui comprese, finalmente, per divina rivelazione, lo scopo per cui la divina provvidenza aveva mostrato al suo sguardo quella visione, cioè quello di fargli conoscere anticipatamente che lui, l’amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l'incendio dello spirito” (Leg. Maj., I, 13, 3).
Fu Gesù stesso, nella sua apparizione, a chiarire a Francesco il senso di tale prodigio: “Sai tu … quello ch' io t’ho fatto? Io t’ho donato le Stimmate che sono i segnali della mia passione, acciò che tu sia il mio gonfaloniere. E siccome io il dì della morte mia discesi al limbo, e tutte l’anime ch' io vi trovai ne trassi in virtù di queste mie Istimate; e così a te concedo ch' ogni anno, il dì della morte tua, tu vadi al purgatorio, e tutte l’anime de’ tuoi tre Ordini, cioè Minori, Suore e Continenti, ed eziandio degli altri i quali saranno istati a te molto divoti, i quali tu vi troverai, tu ne tragga in virtù delle tue Istimate e menile alla gloria di paradiso, acciò che tu sia a me conforme nella morte, come tu se’ nella vita” (“Delle Sacre Sante Istimate di Santo Francesco e delle loro considerazioni”, III considerazione).
Continuava ancora S. Bonaventura che, scomparendo, la visione lasciò nel cuore del Santo “un ardore mirabile e segni altrettanto meravigliosi lasciò impressi nella sua carne. Subito, infatti, nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi, come quelli che poco prima aveva osservato nell'immagine dell'uomo crocifisso. Le mani e i piedi, proprio al centro, si vedevano confitte ai chiodi; le capocchie dei chiodi sporgevano nella parte interna delle mani e nella parte superiore dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Le capocchie nelle mani e nei piedi erano rotonde e nere; le punte, invece, erano allungate, piegate all'indietro e come ribattute, ed uscivano dalla carne stessa, sporgendo sul resto della carne. Il fianco destro era come trapassato da una lancia e coperto da una cicatrice rossa, che spesso emanava sacro sangue, imbevendo la tonaca e le mutande” (Leg. Maj., I, 13, 3).
A proposito ancora dei segni della Passione, il primo biografo del Santo, l’abruzzese Tommaso da Celano, nella sua “Vita Prima di S. Francesco d’Assisi”, sosteneva che “era meraviglioso scorgere al centro delle mani e dei piedi (del Poverello d’Assisi), non i fori dei chiodi, ma i chiodi medesimi formati di carne dal color del ferro e il costato imporporato dal sangue. E quelle stimmate di martirio non incutevano timore a nessuno, bensì conferivano decoro e ornamento, come pietruzze nere in un pavimento candido” (II, 113).
Nonostante le ampie descrizioni e resoconti ed il fatto che vi fossero numerosi testimoni oculari delle stigmate, non può tacersi la circostanza che la bolla di canonizzazione di S. Francesco del 19 luglio 1228 “Mira circa nos”, risalente ad appena due anni dopo la morte del Santo, non ne faccia alcun cenno.
Non mancarono in verità, già da parte di alcuni contemporanei, contestazioni ed opposizioni, ritenendo quei segni impressi nelle carni del Patrono d’Italia frutto di una frode.
Lo stesso Gregorio IX, prima di procedere alla canonizzazione di Francesco, pare nutrisse dei dubbi riguardo a quel fatto prodigioso. E’ sempre S. Bonaventura, nel capitolo della sua “Legenda Major” dedicato alla “Potenza miracolosa della Stimmate” del Poverello, a parlarne.
Scriveva che “Papa Gregorio IX, di felice memoria, al quale il Santo aveva profetizzato l’elezione alla cattedra di Pietro, nutriva in cuore, prima di canonizzare l’alfiere della croce (cioè S. Francesco), dei dubbi sulla ferita del costato. Ebbene, una notte, come lo stesso glorioso presule raccontava tra le lacrime, gli apparve in sogno il beato Francesco che, con volto piuttosto severo, lo rimproverò per quelle esitazioni e, alzando bene il braccio destro, scoprì la ferita e gli chiese una fiala, per raccogliere il sangue zampillante che fluiva dal costato. Il sommo Pontefice, in visione, porse la fiala richiesta e la vide riempirsi fino all'orlo di sangue vivo. Da allora egli si infiammò di grandissima devozione e ferventissimo zelo per quel sacro miracolo, al punto da non riuscire a sopportare che qualcuno osasse, nella sua superbia e presunzione, misconoscere la realtà dei quei segni fulgentissimi, senza rimproverarlo duramente” (Leg. Maj., II, 1, 2).
Tale episodio fu magistralmente rievocato da Giotto negli affreschi della Basilica superiore del Santo in Assisi.
La Chiesa, comunque, dopo maturo giudizio, con ben nove bolle pontificie (di Gregorio IX, di Alessandro IV e di Niccolò III), susseguitesi tra il 1237 ed il 1291, difese la realtà delle stigmate di Francesco, senza peraltro esprimere un’interpretazione definitiva del fenomeno, la cui genesi è soprannaturale e deriva dall’Amore.
Non a caso un dottore della Chiesa, S. Francesco di Sales, nel suo “Trattato dell'amor di Dio” del 1616, metteva in relazione le stigmate del Santo d'Assisi con l'amore di compassione verso il Cristo crocifisso, affermando che quest’ultimo trasformò l’anima del Poverello in un “secondo crocifisso”. S. Giovanni della Croce aggiungeva che le stigmate sono la manifestazione, la conseguenza della ferita d'amore e che per renderle visibili occorresse un intervento soprannaturale.
La Chiesa riconobbe la straordinarietà del fenomeno verificatosi nel 1224, inteso quale segno privilegiato concesso da Cristo al suo umile servo di Assisi, anche da un punto di vista liturgico, inserendo la ricorrenza nel calendario. Papa Benedetto XI Boccasini da Treviso, infatti, concesse all’Ordine Francescano ed all’intero Orbe cattolico di celebrarne annualmente il ricordo il 17 settembre.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:18

San Francesco Maria da Camporosso (Giovanni Croese) Laico cappuccino

17 settembre

Camporosso, Imperia, 27 dicembre 1804 - Genova, 17 settembre 1866

Al secolo Giovanni Croese, frate minore cappuccino, detto “Padre Santo” visse a Genova, distinguendosi per le opere di carità. Padre Francesco Maria da Caporosso, fu l’umile cappuccino che tutta Genova amò per le sue opere di bene, il frate sempre in movimento nei carruggi della città, fra i “caravana” del porto, nei quartieri più colpiti dal colera sino ad esserne contagiato. Fu beatificato nel 1929 da Papa Ratti e venne proclamato santo da Papa Giovanni XXIII, il 9 dicembre 1962.

Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco

Martirologio Romano: A Genova, san Francesco Maria da Camporosso, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, insigne per la sua carità verso i poveri, che, al dilagare della peste, contrasse egli stesso la malattia, offrendosi come vittima per la salvezza del prossimo.

Ascolta da RadioVaticana:
  

Nacque il beato Francesco Maria il 27 dicembre 1804 da Giovanni Croese e da Maria Antonia Garzo a Camporosso, un paesino sulla riviera ligure di Ponente, nell’attuale provincia di Imperia. Due giorni dopo la sua nascita venne battezzato col nome paterno di Giovanni.
Da sua madre, per la quale la fede era luce e forza di vita, il piccolo Giovanni ricevette i primi insegnamenti di quella pietà semplice e profonda, che dovevano più tardi svilupparsi nelle virtù della vita cristiana e mettere intorno al suo capo l’aureola di santità. Ancora ragazzo, fu pastore del piccolo gregge paterno, e fatto grandicello, aiutò il padre nel duro lavoro dei campi.
Ricevette nella festa del Corpus Domini del 1816, la prima Comunione, dopo di che cadde gravemente infermo e guarì per l’intercessione della Madonna del Laghetto, che si venera presso Nizza.
A l7 anni, udita la voce di Dio che lo chiamava a una vita più perfetta, entrò fra i Minori Conventuali in qualità di terziario. Ma dopo fervorose preghiere alla Beata Vergine e col consiglio di illuminati religiosi abbracciò la vita religiosa fra i Minori Cappuccini, entrandovi come novizio il 7 dicembre 1825 col nuovo nome di Francesco Maria.
Durante il noviziato ebbe modo di rivelarsi la squisita bellezza dell’anima di frate Francesco e di svilupparsi quell’ardore di carità per il Signore e per il prossimo che doveva fare di lui umile laico cappuccino, il benefattore dell’intera città di Genova.
Difatti, appella finito il noviziato, il beato fu destinato al convento della SS. Concezione di Genova, dapprima come aiuto nella cucina e come infermiere, poi come questuante, nel quale ufficio trascorse circa 40 anni cioè quasi tutta la sua vita di religioso. Una vita non ricca di avvenimenti grandiosi, ma piena di luce e di una bontà ingegnosamente operosa e inesauribile. Nel quartiere del porto e del deposito franco, ove in particolar modo si svolse l’attività di frate Francesco, la sua figura alta, simpatica, piena di modestia e di grazia, esercitava un fascino straordinario su quanti l’avvicinavano.
Ogni dolore umano trovava nel beato una dolce parola di conforto e una luce di cristiana speranza. La gente di mare specialmente ricorreva a lui con commovente fiducia, mai venuta a meno sino a oggi.
Fu proprio di mezzo al popolo che sorse il grido di “Padre santo” per designare frate Francesco ed esprimere l’ammirazione e la gratitudine di quanti erano stati beneficati dalla carità dell’umile.
Quando verso l’estate del 1866 scoppiò una furiosa epidemia in Genova, non recò meraviglia, ma solo profonda commozione, il sapere ehe il “Padre santo” aveva offerto al Signore la sua vita in olocausto, onde far cessare il flagello che aveva colpito la sua città diletta. Era la suprema prova di amore che il laico cappuccino offriva ai suoi fratelli sofferenti, prova accettata da Dio il 17 settembre 1866.
La causa di Beatificazione introdotta il 9 agosto 1896 fu compiuta da Pio XI il 30 giugno del 1929.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:19

Beato Giovanni Ventura Solsona Sacerdote e martire

17 settembre

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Martirologio Romano: Nel villaggio di Castillo de Villamalefa vicno a Castellón de la Plana in Spagna, beato Giovanni Ventura Solsona, sacerdote e martire, che, durante la persecuzione, passò alla gloria del cielo invitto per la sua fermezza nella fede.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:20

Sant' Ildegarda di Bingen

17 settembre

Kreuznach, castello di Böckenheim (Germania), 1098 - Bingen (Germania), 17 settembre 1179

Nasce a Bermesheim nel 1098, ultima di dieci figli. Il suo nome di battesimo, tradotto letteralmente, significa «colei che è audace in battaglia». Tra il 1147 e il 1150, sul monte di San Ruperto vicino a Bingen, sul Reno, Ildegarda fonda il primo monastero e, nel 1165, il secondo, sulla sponda opposta del fiume. È una persona delicata e soggetta alle malattie, tuttavia, raggiunge l'età di 81 anni affrontando una vita piena di lavoro, lotte e contrasti spirituali, temprata da incarichi divini. Figura, intellettualmente lungimirante e spiritualmente forte, le sue visioni, trascritte in appunti e poi in libri organici, la rendono celebre. È interpellata per consigli e aiuto da personalità del tempo. Sono documentati i suoi contatti con Federico Barbarossa, Filippo d'Alsazia, san Bernardo, Eugenio III. Negli anni della maturità intraprende numerosi viaggi per visitare monasteri, che avevano chiesto il suo intervento e per predicare nelle piazze, come a Treviri, Metz e Colonia. Muore il 17 settembre 1179. (Avvenire)

Etimologia: Ildegarda = coraggiosa in battaglia, dal tedesco

Martirologio Romano: Nel monastero di Rupertsberg vicino a Bingen nell’Assia, in Germania, santa Ildegarda, vergine, che, esperta di scienze naturali, medicina e di musica, espose e descrisse piamente in alcuni libri le mistiche contemplazioni, di cui aveva avuto esperienza.


Certi vescovi tedeschi non la sopportano. Ildegarda, decima figlia dei nobili Vermessheim, con la voce e con gli scritti s’immischia in problemi come la riforma della Chiesa e la moralità del clero. E poi ne discute pure con maestri di teologia. Ma sono cose da monaca? La sua risposta è sì. Sono cose da donna e da monaca. Nel monastero di Disinbodenberg i suoi l’hanno portata all’età di 8 anni, come scolara. Poi è rimasta lì, prendendo i voti con la guida della grande badessa Jutta di Spanheim; e nel 1136 l’hanno chiamata a succederle. Dal suo primo monastero ha poi diretto la fondazione di altri due nell’Assia-Palatinato; quello di Bingen (dove lei si trasferisce nel 1147) e quello vicino di Eibingen, fondato nel 1165.
Questa è l’Ildegarda organizzatrice. Poi viene l’Ildegarda ispirata, la mistica, quella di tutte le sorprese. Ha visioni, riceve messaggi e li diffonde con gli scritti. Dopo le prime esperienze mistiche, ne ha scritto a Bernardo di Chiaravalle, e non poteva trovare miglior consigliere. Bernardo non s’inalbera, come quei vescovi tedeschi, di fronte a una donna che discorre del cielo e della terra. Anzi, la capisce e le fa coraggio, aiutandola pure a non perdere la testa: le vicende soprannaturali non dispensano dal realismo e dall’umiltà.
ldegarda diffonde racconti delle sue visioni; e, in forma di visione, tratta argomenti di teologia, di dogmatica e di morale, aiutata da una piccola “redazione”. Esaltando le “opere di Dio”, include tra esse le piante, i frutti, le erbe: e la sua lode si traduce in un piccolo trattato di botanica.
Ma soprattutto Ildegarda insegna a esprimere l’amore a Dio attraverso il canto. Con ogni probabilità è la prima donna musicista della storia cristiana. Suoi i versi, sua la melodia, prime esecutrici le monache di Bingen; poi quelle di Eibingen, e di tanti altri monasteri benedettini. Ma non stiamo raccontando qui una storia antica: la musica di Ildegarda, dopo novecento anni, si fa nuovamente sentire ai tempi nostri, ripresa e divulgata dall’industria discografica.Ildegarda vive e lavora fino alla sua età più tarda, sognando una Chiesa formata tutta di "corpi brillanti di purezza e anime di fuoco", come le sono apparsi in una visione; e liberata dall’inquinamento di altri cristiani che le sono pure apparsi: "corpi ripugnanti e anime infette".
Tra i grandi artefici di purificazione nel mondo cristiano, bisogna mettere in primo piano anche questa donna appassionata. Dopo la morte si era avviato un processo di canonizzazione, che però è stato interrotto. Ma il culto è continuato. Ancora nel 1921 è nata in Germania la congregazione delle Suore di Santa Ildegarda.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:21

San Lamberto di Maastricht Vescovo e martire

17 settembre

633/638 – 17 settembre 705 circa

Martirologio Romano: A Liegi in Austrasia, nell’odierno Belgio, passione di san Lamberto, vescovo di Maastricht e martire, che, mandato in esilio, si ritirò nel monastero di Stavelot; riavuta poi la sede, svolse degnamente il suo ministero pastorale, prima di divenire innocente vittima di uomini a lui ostili.


San Landeberto, il cui nome successivamente fu mutato in Lamberto, nacque tra il 633 ed il 638 da una nobile e ricca famiglia di Maastricht, nella diocesi belga di Liegi. Nonostante il paganesimo imperasse ancora nella zona, la sua famiglia era cristiana ed egli ricevette la sua istruzione a corte dal vescovo San Teodardo. Intraprese poi la carriera ecclesiastica e divenne sacerdote. Un suo biografo descrisse così tale periodo della sua vita: “Un giovane prudente e di bell’aspetto, cortese e con un bel modo di parlare e di comportarsi; di buona costituzione, forte un buon lottatore, dalla mente chiara, affezzionato, puro e umile, e appassionato di lettura”. Quando Teodardo fu assassinato verso il 670, Lamberto gli succedette sulla cattedra episcopale di Tongres-Maastricht.
Dopo cinque anni fu coinvolto nel tumulto politico seguito alla morte di Childerico II di Neustria e Borgogna. Lamberto fu allora esiliato dalla sua sede da Ebroino, precedente sindaco del palazzo di Neustria. Il re San Dagoberto II d’Austrasia, che lo ospitò inizialmente, chiese ai monaci di Stavelot-Màlmedy di accoglierlo provvisoriamente per assicurare la sua sicurezza e lo sostituì alla sede episcpale di Liegi con un certo Paramondo. Fu così che per ben sette anni Lamberto visse da semplice monaco, contraddistinguendosi per la sua umiltà e la sua laboriosità.
Nel 680 fu assassinato Ebroino e gli succedette Pipino di Héristal. Questi, al fine di consolidare la sua precaria posizione, immediatamente reintegrò tutti gli ecclesiastici nelle loro legittime sedi ed anche Lamberto poté dunque fare ritorno a Maastricht, pieno di zelo ed energia. Oltre ad espletare i suoi doveri di vescovo nei confronti del gregge affidato alle sue cure pastorali, intraprese un’opera di conversione dei pagani ancora presenti nel Campine e nel Brabante. Con la collaborazione di Santa Landrada fondò un monastero femminile presso Munsterblizen.
Le numerose leggende sorte sul suo conto tramandano due possibili versioni sulle vicende che portarono al martirio del santo vescovo. Secondo quella più tarda, risalente al IX secolo, sarebbe stato ucciso nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano in Liegi in vendetta per le sue interferenze nella adulterina relazione tra Pipino e sua cognata Alpais, sorella della moglie Santa Plectrude. I primi biografi di Lamberto sostenevano invece che l’omicidio fosse stato causato da questioni economiche, riguardanti la tassazione della chiesa di Maastricht dedicata alla Madonna. Il vescovo, seppur rinchiuso a chiave nella propria camera, fu raggiunto da una freccia lanciatagli da una finestra e morì: era il 17 settembre di un anno imprecisato non oltre il 705.
La morte violenta, unita alla santità della sua vita, spinse immediatamente il popolo a venerare San Lamberto quale martire ed il suo corpo fu poi traslato nella casa dove era deceduto, trasformata appositamente in chiesa. Attorno ad essa crebbe la città di Liegi, ove venne anche trasferita la sede episcopale e San Lamberto è ancora oggi venerato come patrono. Il culto del santo si espanse ele vicine regioni francesi e tedesche.
A livello popolare San Lamberto fu invocato contro le malattie degli animali domestici, nonchè contro l’ernia, i calcoli biliari e l’epilessia. E’ infine patrono dei gallinacei.



Stellina788
00venerdì 17 settembre 2010 09:22

San Pietro di Arbues (Pedro Arbuès) Martire

17 settembre

Saragozza, 1441/2 – Saragozza, 17 settembre 1485

Martirologio Romano: A Saragozza nell’Aragona in Spagna, san Pietro de Arbués, sacerdote e martire: canonico regolare dell’Ordine di Sant’Agostino, lottò nel regno di Aragona contro le superstizioni e le eresie e morì percosso da alcuni inquisiti davanti all’altare della cattedrale.

Nacque in una data imprecisata tra il 1441 ed il 1442.
Suo padre, di nobile stirpe, si chiamava Antonio Arbues e sua madre Sancia Ruiz. Studiò filosofia probabilmente a Huesca. Completò, quindi, i suoi studi presso il collegio spagnolo di S. Clemente all’Università di Bologna. Qui, dunque, si laureò in teologia ed in diritto.
Ritornato in Spagna, entrò tra i canonici regolari di S. Agostino in Saragozza, emettendo la sua professione religiosa nel 1474.
In quel periodo, i sovrani cattolicissimi Ferdinando II d’Aragona ed Isabella di Castiglia avevano ottenuto da papa Sisto IV, il 1° novembre 1478, una bolla diretta ad istituire l'Inquisizione in Castiglia e ad autorizzare i Re Cattolici a nominare nei loro Stati alcuni inquisitori di fiducia con giurisdizione esclusivamente sui cristiani battezzati.
I compiti del tribunale, quindi, erano diretti a ricercare gli eretici ed in particolare gli ebrei che, dopo aver ricevuto il battesimo, erano ritornati pubblicamente o segretamente alla loro fede giudaica (i c.d. marranos). Nessun ebreo, in quanto tale, quindi, poteva essere condannato o sottoposto a giudizio da parte dell’Inquisizione.
Il famoso domenicano Tommaso de Torquemada, nel 1483, fu nominato Inquisitore Generale della Castiglia. Sulla persona di questo frate una certa storiografia ostile alla Chiesa ha costruito un’autentica leggenda nera, diffondendo numerose menzogne. Egli era confessore della Regina Isabella e fu uomo di costumi integerrimi, mite e liberale, nonché uno dei maggiori mecenati e protettori di artisti della sua epoca. Si impegnò anche, come Inquisitore, per ottenere ampie amnistie, come quella del 1484.
Torquemada, informato della dottrina e delle virtù di Pietro, lo chiamò accanto a sé elevandolo al rango di inquisitore provinciale del Regno di Aragona. Era il 1484.
Pietro svolse il compito affidatogli con zelo e con giustizia. Anche se i nemici dell’Inquisizione ed i detrattori della Chiesa lo accusarono di crudeltà, tuttavia è certo storicamente che egli non pronunciò mai alcuna sentenza di morte, facendo prevalere la misericordia e la pietà.
I marranos, però, che egli aveva punito e stigmatizzato, lo odiavano e decisero, quindi, di eliminarlo. Una notte, mentre il buon Pietro era inginocchiato in preghiera dinanzi all’altare della Vergine Maria nella Chiesa metropolitana di Saragozza, dove era solito recitare l’ufficio divino con i suoi confratelli, fu aggredito da alcuni sicari e ferito mortalmente. La sua agonia durò due giorni. Finalmente, quindi, poté rendere l’anima a Dio, raggiungendo il premio dei giusti. Era il 17 settembre 1485.
All’omicidio fece seguito un clamoroso processo che si concluse con l’emanazione di pene assai severe.
Non fu possibile subito proclamare la santità di Pietro a causa della forte influenza dei marranos nella corte spagnola. Basti pensare che il cancelliere dell’intendenza del re Ferdinando, Luis de Santangel, era nipote di una persona coinvolta nell’omicidio.
Il 17 aprile 1668, il Papa Alessandro VII permise la venerazione e la festa liturgica di Pietro in Saragozza e nei luoghi dove operava l’Inquisizione generale e quella provinciale aragonese.
Fu canonizzato soltanto da Pio IX il 29 giugno 1867.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:22

San Reginaldo Eremita

17 settembre

Piccardia (Francia) - † Mélinais, 17 settembre 1104

Etimologia: Reginaldo = che regna con intelligenza, dal tedesco

Martirologio Romano: A Mélinais nel territorio di Angers in Francia, san Reginaldo, eremita, che si ritirò nella selva di Craon per adempiere più pienamente ai precetti del Signore.

Francese della Piccardia dell’XI secolo, Rainaud (Reginaldo) entrò ancora giovane nel convento dei Canonici Regolari di Saint-Jean-des-Vignes a Soissons. Mentre era in questo convento sentì parlare del gruppo di eremiti, che si erano riuniti nella foresta di Craon, sotto la guida del beato Roberto d’Abrissel (†1116), e decise di raggiungerli.
Ma i Canonici contrari, chiesero l’aiuto di s. Ivo di Chartres, il quale scrisse una lettera a Reginaldo illustrando i vantaggi della vita cenobitica e cercando di convincerlo a non abbandonare la Comunità.
A questa lettera Reginaldo rispose con un opuscolo ‘De vita monachorum’ che è una bella satira della vita del chiostro; quindi non convinto da Ivo lasciò i Canonici, per la foresta di Craon.
In seguito quando il beato Roberto d’Abrissel partì per fondare il celebre monastero di Fontevrault, Reginaldo si spostò nella foresta di Mélinais presso La Flèche nella diocesi di Angers, dove costruì una piccola cappella dedicata a S. Giovanni Evangelista, riunendo intorno a sé alcuni discepoli.
Dopo vari anni di vita penitenziale ed eremitica, morì il 17 settembre 1104 e seppellito nella cappella che aveva costruito; nel 1182 Enrico II re d’Inghilterra e conte d’Angiò, fece costruire sul luogo della tomba una abbazia dei Canonici Regolari di Sant’Agostino.
Come accadeva spesso in quei tempi, le reliquie furono più volte trasferite e dopo il grande sconvolgimento della Rivoluzione Francese vennero traslate nella chiesa parrocchiale di Candé (Maine-et-Loire) dove sono venerate tuttora.
La sua festa religiosa è fissata al 17 settembre.


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00venerdì 17 settembre 2010 09:23

San Roberto Bellarmino Vescovo e dottore della Chiesa

17 settembre - Memoria Facoltativa

Montepulciano, Siena, 1542 - Roma, 17 settembre 1621

Roberto Bellarmino nacque a Montepulciano nel 1542 da una ricca e numerosa famiglia. Nel 1560 entrò nella Compagnia di Gesù. Studiò a Padova e a Lovanio e al Collegio romano di Roma. In quegli anni tra i suoi alunni c'era anche san Luigi Gonzaga. Venne creato cardinale e arcivescovo di Capua nel 1599. Divenne un affermato teologo postridentino. Scrisse molte opere esegetiche, pastorali e ascetiche; fondamentali per l'apologetica sono i voluminosi libri «De controversiis». Con un'opera semplice nella struttura ma ricca di sapienza come il suo «Catechismo» fu "maestro" di tante generazioni di fanciulli. Famoso anche un altro suo volume «L'arte del ben morire». Morì il 17 settembre 1621 a Roma. Nel 1930, ebbe da papa Pio XI la triplice glorificazione di beato, di santo e di dottore della Chiesa. (Avvenire)

Etimologia: Roberto = splendente di gloria, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa, della Compagnia di Gesù, che seppe brillantemente disputare nelle controversie teologiche del suo tempo con perizia e acume. Nominato cardinale, si dedicò con premura al ministero pastorale nella Chiesa di Capua e, infine, a Roma si adoperò molto in difesa della Sede Apostolica e della dottrina della fede.

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Nato a Montepulciano nel 1542 da una ricca e numerosa famiglia toscana e nipote di un papa (sua mamma era sorella di Marcello II), Roberto Bellarmino nel 1560 entrò nella Compagnia di Gesù, rinunciando a qualunque speranza di carriera umana. Eppure andò molto lontano. Studiò teologia a Padova e a Lovanio e nel 1576 divenne primo titolare della cattedra "de controversiis", cioè di apologetica o difesa dell'ortodossia cattolica all'Università Gregoriana, che in quell'epoca si chiamava Collegio Romano. In quegli anni tra i suoi alunni ci fu S. Luigi Gonzaga. Creato cardinale e arcivescovo di Capua nel 1599, probabilmente per tenerlo lontano da Roma nel momento culminante della controversia sulla grazia, alla morte di Clemente VIII potè tornare nella città di Pietro, dove esercitò un grande influsso come teologo ufficiale della Chiesa, con la sua dottrina e con l'esempio della sua carità e semplicità di vita, che la gente ammirava. Scrisse molte opere esegetiche, pastorali e ascetiche; fondamentali per l'apologetica sono i voluminosi libri De controversiis.
Morì a Roma il 17 settembre 1621 e il processo di beatificazione, iniziato di lì a poco, si protrasse per ben tre secoli. Poi in un anno solo, nel 1930, ebbe da papa Pio XI la triplice glorificazione di beato, di santo e di dottore della Chiesa. Portati istintivamente ad ammirare il polemista nelle abili schermaglie della parola o dello scritto, ma non ad amarlo perché ce lo rappresentiamo come un uomo di intelligenza superiore, scopriamo con stupore nel dotto gesuita dei lati umanissimi. Nei primi tre anni di vita religiosa egli soffrì di lancinanti dolori al capo e tuttavia al compimento degli studi teologici egli sostenne la difesa della propria tesi per tre giorni consecutivi, dinanzi a un pubblico letteralmente affascinato.
Gli impegni scolastici non lo distrassero mai dalla preghiera. Richiamato a Roma, tra i vari incarichi ebbe anche quello di direttore spirituale, e come tale fu accanto a S. Luigi Gonzaga fino agli ultimi istanti di vita. Se la sua vasta erudizione e la vigorosa dialettica posta al servizio della dottrina cattolica gli valsero il titolo di "martello degli eretici", un'opera semplice nella struttura ma ricca di sapienza come il suo Catechismo gli ha meritato il titolo di "maestro" di tante generazioni di fanciulli che in quel libriccino a forma di dialogo hanno appreso le fondamentali verità della fede professata col battesimo. Dopo aver colmato un intero scaffale di opere teologiche, scrisse “L'arte del ben morire”, cioè il modo di congedarsi dalla vita con serenità e distacco.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:24

San Rodingo di Beaulieu Abate

17 settembre

Martirologio Romano: Nei boschi delle Argonne lungo la Mosa in Austrasia nel territorio dell’odierna Francia, san Rodingo, abate, che fondò il monastero di Beaulieu e lo resse piamente.


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00venerdì 17 settembre 2010 09:25

San Satiro

17 settembre

Treveri, 334 - Milano, 378

Uranio Satiro, nato a Treviri nel 334, fratello maggiore di sant'Ambrogio, venne a Milano nel 375 per aiutare il fratello Vescovo. Morì nel 378 ed è sepolto nella Basilica Ambrosiana.

Patronato: Patrono dei sacrestani dell'Arcidiocesi di Milano

Martirologio Romano: A Milano, deposizione di san Satiro, i cui meriti sono ricordati da sant’Ambrogio, suo fratello: non ancora iniziato ai misteri di Cristo, avendo fatto naufragio, non temette la morte, ma, per non lasciare la vita senza aver ricevuto i sacramenti, salvato dalle onde aderì alla Chiesa di Dio; un’intimo e reciproco affetto lo unì al fratello Ambrogio, che lo seppellì accanto al santo martire Vittore.




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00venerdì 17 settembre 2010 09:25

Beato Sigismondo (Zygmunt) Sajna Sacerdote e martire

17 settembre

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Zurawlówka, Polonia, 20 gennaio 1897 – Palmiry, Polonia, 17 settembre 1940

Il beato Zygmunt Sajna, sacerdote diocesano, nacque a Zurawlówka (Podlasie), Polonia, il 20 gennaio 1897 e morì a Palmiry il 17 settembre 1940. Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Martirologio Romano: Nella foresta di Palmiry vicino a Varsavia in Polonia, beato Sigismondo Sajna, sacerdote e martire, che, durante la guerra, morì fucilato per non avere accettato di rinnegare la fede davanti a un regime straniero e ostile a Dio.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:26

San Sigismondo Felice Felinski Vescovo di Varsavia

17 settembre

Wojutyn, Ucraina, 1 novembre 1822 - Cracovia, Polonia, 17 settembre 1895

Beatificato da Giovanni Paolo II il 18 agosto 2002 e canonizzato da Benedetto XVI l'11 ottobre 2009.

Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, beato Sigismondo Felice Felinski, vescovo di Varsavia, che si adoperò tra grandi difficoltà per la libertà e il rinnovamento della Chiesa, fondando l’Istituto delle Suore Francescane della Famiglia di Maria al servizio del popolo in ogni suo bisogno.


Sigismondo Felice Felinski nacque il 1° novembre 1822 a Wojutyn (diocesi di ?uck, prov. Wo?yn´), allora territorio polacco oggi ucraino, da una famiglia nobile e religiosa. Fu il settimo degli undici figli di Gerard ed Ewa Wendorff. A undici anni rimase orfano del padre; cinque anni dopo la madre, a causa della sua attività patriottica, fu deportata in Siberia. Dopo gli studi ginnasiali, Sigismondo studiò matematica all'Università di Mosca e a Parigi frequentò i corsi alla Sorbona e al College de France. Prese la decisione di diventare sacerdote e nel 1851 ritornò in patria per entrare nel Seminario di Z?ytomierz. Continuò la sua formazione presso l'Accademia Ecclesiastica di Pietroburgo. Ordinato sacerdote l'8 settembre 1855 svolse azione pastorale e d'insegnamento. Il 6 gennaio 1862 il Beato Papa Pio IX lo nominò Arcivescovo metropolita di Varsavia. Fece il suo ingresso in diocesi nel febbraio successivo, ma vi trovò subito una difficile situazione politico-religiosa, oltre a tanta diffidenza. Ciononostante avviò subito una decisa azione di rinascita spirituale e morale della nazione, incrementò la preparazione del Clero, la catechesi al popolo, l'assistenza dei poveri e dei bambini che affidò alle cure delle Suore della Famiglia di Maria, da lui stesso fondata a Pietroburgo fin dal 1857. Con coraggio si dedicò alla difesa della libertà della Chiesa di fronte allo Stato. Dopo il fallimento dell'Insurrezione del gennaio 1863, per la sua fedeltà a Roma e i suoi contatti con la Sede Apostolica senza la mediazione del governo zarista, il 14 giugno 1863 fu deportato in Russia e condannato all'esilio a Jaroslavl sul Volga. Vi rimase per 20 anni, continuando però ad assistere spiritualmente i cattolici e gli esiliati in Siberia e dedicandosi al risveglio del cattolicesimo nell'Impero russo, riuscì a costruire una chiesa. Liberato per intervento della Santa Sede nel 1883, non gli fu concesso di tornare a Varsavia.
Fu fatto Arcivescovo titolare di Tarso. Passò gli ultimi 12 anni della sua vita nella Galizia a Dz?winiaczka (diocesi di Leopoli), in semi-esilio sotto il dominio austriaco. Anche qui però lavorò instancabilmente per il bene spirituale dei contadini polacchi e degli ucraini. Si preoccupò della loro istruzione erigendo la prima scuola del paese, aprì un asilo per l'infanzia, costruì una chiesa e il convento per le suore della Famiglia di Maria.
Morì a Cracovia il 17 settembre 1895 in concetto di santità. Le sue spoglie mortali riposano nella chiesa cattedrale di Varsavia dall'aprile 1921. Fu dichiarato Venerabile da Giovanni Paolo II il 14 aprile 2001.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:27

Beato Stanislao di Gesù Maria (Giovanni Papczynski) Sacerdote, fondatore

17 settembre

Podegrodzie, Polonia, 18 maggio 1631 - Góra Kalwaria, Polonia, 17 settembre 1701

Stanislaw di Gesù Maria (al secolo Jan Papczynski) nacque il 18 maggio 1631 a Podegrodzie (Polonia) e morì il 17 settembre 1701 Góra Kalwaria (Polonia). Questo sacerdote fondò la Congregazione dei Chierici Mariani sotto il titolo dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Dichiarato “venerabile” il 13 giugno 1992, è stato riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione in data 16 dicembre 2006. E' stato beatificato il 16 settembre 2007.


Jan Papczynski nacque il 18 maggio 1631 a Podegrodzie, in Polonia, probabilmente ultimogenito del fabbro Tommaso e di Sofia, nativa di Tacikowska. Quasi nulla sappiamo di suo fratello Pietro e delle altre sei sorelle. Terminati gli studi elementari, frequentò la scuola media parrocchiale di Podegrodzie tra il 1649 e 1650, poi presso i collegi gesuiti di Leopoli ed a Rawa Mazowiecka. Qui nel 1654 completò anche il biennio di filosofia. Entrò dunque dagli scopoli nel noviziato di Podoliniec, assumendo il nome religioso di Stanislaw di Gesù Maria. Durante il secondo anno di noviziato intraprese a Varsavia gli studi teologici e qui nel 1656 professò i voti semplici. Fu ordinato diacono e nel 1661 sacerdote.
Padre Papczynski si distinse innanzitutto quale maestro di retorica, ma durante il suo soggiorno a Varsavia, tra il 1663 ed il 1669, divenne anche famoso come predicatore e confessore. Tra i penitenti che si rivolsero a lui vi fu anche il nunzio apostolico in Polonia, Antonio Pignatelli, poi asceso al soglio di Pietro col nome di Innocenzo XII. Il santo sacerdote prestava inoltre particolare attenzione ai problemi interni al suo istituto e fu promotore di una più stretta osservanza della regola, nonchè di un maggior peso dei religiosi della provincia polacca nell’elezione dei loro superiori. La provincia era però divisa su tali argomenti in due fazioni nettamente contrapposte e per riportare la pace al Papczynski non restò che chiedere nel 1670 la dimissione dalle Scuole Pie.
Intraprese dunque la fondazone di un nuovo ordine religioso, i Chierici Mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, che con ben due secoli d’anticipo rispetto alla proclamazione pontificia di tale dogma promosse il culto di cotanto singolare privilegio mariano. A tal fine scelse per la novella congregazione l’abito bianco, che egli stesso assunse nel 1671. Per dare maggiore impolso alla sua opera decise di associarsi con Stanislao Krajewski ed i suoi compagni, che vivevano nell’eremitaggio di Korabiew, odierna Puszcza Marianskè. Padre Papczynski fu nominato superiore dal vescovo Swiecicki il 24 ottobre 1673 e proprio tale data è comunemente considerata quale fondazione ufficiale dei mariani. L’unione suddetta impose a questi ultimi un’impostazione di vita eremitica e penitenziale di stretta clausura, ma ciò fu di aiuto per giungere nel 1679 all’erezione canonica, pur non concordando propriamente con il carattere che il fondatore voleva imprimere al nascente istituto, per esempio nell’opera di assistenza pastorale ai parroci. Spinto dalle esperienze mistiche delle pene del Purgatorio e dalle richieste rivoltegli dalle anime dei soldati caduti in battaglia contro i turchi, Padre Stanislaw sin dal 1676 volle includere tra le principali finalità della congregazione il suffragio per le anime maggiormente bisognose del Purgatorio, in particolare le vittime della guerra e della peste.
Dal 1677 ottenette una seconda casa, cioè quella di Nuova Gerusalemme presso l’odierna Góra Kalwaria, ove lui stesso si stabilì e rimase sino alla morte nel piccolo convento attigua alla chiesetta detta “Cenacolo del Signore”. Qui svolse un’intensa attività apostolica, anche in favore della povera gente delle campagne. Rimase sempre attento all’osservanza della regola e si dedicò con premura al governo dell’istituto religioso. Onde provvedere ad una sua maggiore stabilità giuridica ed alla posibilità di emettere i voti solenni da parte dei mariani, ma solo nel 1699 ottenne l’approvazione pontificia che , ritenendo la “Norma Vitae” quale Costituzioni, concedette loro la Regola delle Dieci Virtù della Beata Vergine Maria, che comportò però l’aggregazione all’Ordine Serafico degli Osservanti. Ormai seriamente malato, il santo fondatore morì il 17 settembre 1701, lasciando parecchi scritti spirituali.
A quel tempo l’ordine contava solo una ventina di membri, ma nel XVIII secolo trovarono nuovo vigore grazie all’opera riformatrice intrapresa da Padre Casimiro Wyszynski e nel 1786 papa Pio VI concesse loro l’indipendenza dagli Osservanti. Nel 1908 i mariani erano ormai ridotti ad un solo membro, ma il provvidenziale ingresso del Beato Giorgio Matulaitis portò ad una nuova riforma che diede nuova vita a questa famiglia religiosa, portandola a contare centinaia di membri in tutto il mondo: Polonia, Stati Uniti d’America, Inghilterra, Portogallo, Germania, Argentina, Brasile, Australia, Lituania, Lettonia ed Italia, ove a Roma ha sede la casa generalizia.
Ancora in vita il fondatore, Padre Stanislaw di Gesù Maria (al secolo Jan Papczynski), era circondato da un’incontestata fama di santità e già nel 1751 fu promossa la causa per portarlo alla gloria degli altari. E’ faci comprendere il motivo per cui i processi si protrassero per secoli, vista la movimentata storia dell’ordine, ma con il primo papa polacco, Giovanni Paolo II, la causa ritrovò lo slancio decisivo ed il 13 giugno 1992 fu dichiarato “venerabile”. Sotto il pontificato di Benedetto XVI il 16 dicembre 2006 è stato riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione ed il 16 settembre 2007 è stato finalmente beatificato.



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00venerdì 17 settembre 2010 09:28

Beato Timoteo Valero Perez Sacerdote e martire

17 setembre

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Martirologio Romano: A Madrid sempre in Spagna, beato Timoteo Valero Pérez, sacerdote del Terz’Ordine di San Francesco degli Incappucciati della beata Vergine Addolorata e martire, che nella stessa persecuzione affrontò la gloriosa prova per Cristo.



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