18 febbraio

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00giovedì 18 febbraio 2010 08:59

Sant' Angilberto di Centula Abate di Saint-Riquier

18 febbraio

750 - Saint-Riquier, Francia, 18 febbraio 814

Martirologio Romano: Nel monastero di Centule nel territorio di Amiens in Francia, sant’Angilberto, abate, che, abbandonati gli incarichi di palazzo e militari, con il consenso della moglie Berta, che prese lei pure il sacro velo, si ritirò a vita monastica e resse felicemente il cenobio di Centule.


Sant’Angilberto nacque verso il 750 da un ignoto signore della corte di Pipino il Breve, re dei Franchi e proprio a corte fu educato. Qui entrò presto in relazione con il principe ereditario, il futuro Carlo Magno, del quale divenne amico, confidente, consigliere e, a quanto pare, anche segretario. Quando nel 781 il piccolo Pipino, nipote del precedente, di appena quattro anni, fu incoronato a Roma re d'Italia da Papa Adriano I, Angilberto divenne l’addetto al regale fanciullo, con il titolo di primicerio di palazzo, nella cui veste egli poteva esercitare vaste funzioni in campo ecclesiastico e civile. Il santo dovette avere un ruolo importante nell'educazione del giovane principe, come pure nei rapporti tra lui ed i sudditi, ma anche tra lui e l’imperatore suo padre, e nel 787 si stabilì a corte. Incaricato poi di governare la regione inclusa tra la Schelda, la Senna ed il mare, fissò la sua dimora nel castello di Centula, nella Piccardia, non distante dall’abbazia fondata nel 625 da Saint Riquier, e continuò a mantenersi in corrispondenza con l’Accademia Palatina, eretta per volere di Carlo Magno dal benedettino inglese Alcuino, della quale fece parte con il nome di Omero e la illustrò con le sue poesie di sapore retorico. Angilberto fu amico di San Guglielmo d’Aquitania, San Benedetto d’Aniane e Sant’Adalardo. Egli corrispose in prosa ed in poesia anche con i sapienti del tempo, tra cui il suo professore di grammatica, Pietro da Pisa, e Teodulfo, vescovo di Orléans, teologo e poeta, uno dei principali esponenti della rinascita carolingia.
La vita di Angilberto, benché egli avesse ricevuto la tonsura, non era molto dissimile da quella degli altri cortigiani quanto a vizi e mondanità. Alcuino stesso ne rimase scandalizzato e non mancò di fargli le sue rimostranze. Angilberto però, anziché rinsavire, si innamorò della principessa Berta, figlia di Carlo Magno, dalla cui unione nacquero due figli, Armida e Nitardo, quest’ultimo storico ed abate di Saint-Riquier. Il sovrano, che quanto a moralità egli per primo non dava un grande esempio, non permise ai due amanti di sposarsi, ma in premio dei servizi che lo pseudogenerogli aveva reso nel campo amministrativo, gli concesse in commenda l’abbazia di Saint-Riquier. La nuova carica moltiplicò i suoi introiti, senza comunque interferire nella sua vita secolare. Con il tempo iniziò a nutrire una profonda venerazione verso San Richiero, dispensatore di potenti miracoli verso i devoti che accorrevano a venerarlo, e colpito da una grave malattia, pensò dunque di fare egli stesso un voto: se fosse guarito avrebbe intrapreso la vita religiosa nell’abbazia di cui egli stesso era già abate commendatario. La sua preghiera fu esaudita, ma non appena si ristabilì in forze fu impegnato nel difendere le sue terre dalle invasioni dei danesi. La grande vittoria che riportò su di loro, che attribuì nuovamente all’intercessione del santo, lo convinse a soddisfare il voto.
A Saint-Riquier-sur-Somme Angilberto divenne sacerdote ed edificò tutti i confratelli con la sua umiltà e l’esercizio della penitenza. Alla morte dell’abate Sinforiano, i monaci all’unanimità lo elessero abate, con la piena approvazione di Carlo Magno, anche se questi temendo che Angilberto potesse seppellire i suoi talenti nell'oscurità e nella solitudine del monastero, lo nominò suo arcicappellano e lo mandò tre volte a Roma dal papa in veste di suo ambasciatore. Nel 792 Angilberto condusse da papa Adriano I il vescovo di Urgel, Felice, condannato dal Concilio di Ratisbona perché, considerando che l’umanità assunta dal Verbo rende Gesù Cristo simile in tutto a noi, riduceva meramente ad un legame di adozione la paternità di Dio Padre nei confronti del Figlio. Nel 794 il sovrano si servì nuovamente di Angilberto per sottoporre al giudizio del pontefice i “Libri Carolingi”, ribadendo la condanna inflitta dal secondo concilio di Nicea nel 787 all’iconoclastia. Il nuovo papa, San Leone III, subito dopo l’elezione incaricò dei legati di portare a Carlo Magno le chiavi della confessione di San Pietro e lo stendardo della città di Roma, per testimoniargli come continuasse a considerarlo protettore della Chiesa e patrizio dei romani. Allo stesso tempo lo pregò di inviargli qualche suo cortigiano perché ricevesse in suo nome il giuramento di fedeltà e di sottomissione del popolo romano. Nel 796 Carlo inviò per una delicata missione ancora una volta Angilberto, che consegnò al papa buona parte dei tesori appena conquistati dall’esercito franco del duca friulano Errico, utili per restaurare ed abbellire le basiliche di Roma e il palazzo del Laterano, allora residenza pontificia.
Anche ad Angilberto spettò parte di quel tesoro ed egli se ne servì per ampliare ed arricchire la sua abbazia, nonché per dotarla di una biblioteca. Dopo l’ultima missione il santo si distaccò drasticamente dalla corte e dal mondo onde dedicarsi alla vita interiore, ristabilire innanzitutto con il suo esempio l’osservanza rigolosa della regola e curare la solennità delle celebrazioni liturgiche. Non a torto Angilberto fu considerato secondo fondatore di Saint-Riquier, poiché sotto il suo governo l’abbazia conobbe una nuova fioritura. Curò l’erezione di tre nuove chiese, che dedicò rispettivamente al Salvatore, a San Benedetto ed ai santi del suo ordine, e per l’occasione fece pervenire preziose reliquie da Roma, da Costantinopoli, da Gerusalemme e da altri santuari europei. Nell’800 il futuro imperatore Carlo Magno si recò con Alcuino a celebrare la Pasqua a Saint-Riquier ed il medesimo anno Angilberto seguì il sovrano a Roma per una difficile missione in difesa del papa: in riconoscimento all’aiuto ricevuto, la notte di Natale Leone III incoronò il re franco dando così origine al Sacro Romano Impero d’Occidente.
Angilberto approfittò dell’occasione per ottenere dal papa il rinnovo dei privilegi dell’abbazia e l’esenzione dalla giurisdizione episcopale di Amiens per tutti i suoi domini. Il santo abate costituì tre cori, composti da trecento religiosi e cento fanciulli, che cantassero perennemente l’ufficio divino nelle tre chiese per la salute di Carlo e la prosperità del suo regno. Prova tangibile dell’importanza che Angilberto rivestì al tempo di Carlo Magno è la presenza del suo nome fra i quattro firmatari del testamento dell’imperatore che avrebbero dovuto vigilare sull’esecuzione delle sue ultime volontà. Carlo morì il 28 gennaio 814, ma Angilberto non gli sopravvisse che ventidue giorni: consumato dai digiuni e dalle penitenze, spirò infatti a Saint-Riquier il 18 febbraio seguente e manifestò il desiderio di essere sepolto davanti alla porta principale della basilica conventuale, per essere calpestato da quanti si sarebbero recati nel tempio a pregare. La fama di santità che lo circondava spinse i monaci ad attivarsi per la sua canonizzazione, ma solo dopo tante peripezie nel 1100 papa Pasquale II poté esaudire la loro richiesta.





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00giovedì 18 febbraio 2010 09:00

Santa Costanza di Vercelli

18 febbraio

Etimologia: Costanza = che ha fermezza, tenace, dal latino


Nel sec. XVI, durante i lavori di ricostruzione della basilica eusebiana, fu estratta dalle fondazioni una lapide sulla quale era scolpito l'elogio metrico di due monache colà sepolte, di nome Costanza ed Esuperia. L'elogio le onora come sante religiose e ricorda che entrambe ebbero la sacra velazione dal fratello Costanzo, vescovo di Vercelli. Il calendario eusebiano commemora al 18 febbraio una santa vergine di nome Costanza: ci si può chiedere se si tratti della sorella del vescovo, e, in questo caso, perché non si faccia memoria anche di Esuperia. Alcuni pensano di superare la difficoltà supponendo che Costanza eccellesse in virtù e in santità in confronto della sorella. Accettando l'identificazione, si può dire che Costanza visse nella prima metà del sec. VI, prima della discesa di Alboino.
L'elogio metrico che ornava il sepolcro delle due sorelle affermava che esse godevano colà una grata quiete nella pace della morte. Simili nei costumi e nella professione monastica, modeste negli atti, come un solo sacro recinto era stato la loro dimora in vita così un solo sepolcro le accoglieva, presso le sacre spoglie delle consorelle. Conservarono casta la mente nel corpo intatto e, per tali loro meriti, chiunque professa la fede, viva con vera dottrina, sia certo che esse sono nella luce della vita eterna. Questa energica affermazione, che viene attribuita, come tutto il carme, al vescovo poeta s. Flaviano, può considerarsi una testimonianza di grande peso in favore della santità di Costanza e della sorella, anche se questa non appare commemorata nel calendario antico.




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00giovedì 18 febbraio 2010 09:05

Sant' Elladio di Toledo Vescovo

18 febbraio

+ 633

Martirologio Romano: A Toledo in Spagna, sant’Elladio, che, dapprima amministratore della corte regia e dello stato, divenne poi abate di Agalia e, elevato infine alla sede episcopale di Toledo, diede eccellente esempio della sua carità.


La vita di Sant’Elladio ci è stata trasmessa dal racconto stilatone da Sant’Ildefonso di Toledo, che proprio da lui avrebbe ricevuto l’ordinazione diaconale. Ufficiale presso la corte visigota, ne fu rappresentante al concilio di Toledo del 589, designato per i suoi particolari meriti, la sua abilità e la sua erudizione. Già a quel tempo, secondo la narrazione di Ildefonso, Elladio si dimostrava attratto dalla vita religiosa ed era solito aiutare nel lavoro manuale i monaci di Agalai, monastero sulla sponda del fiume Tagus. Vi entrò infine come monaco e nel 605 fu eletto abate, ma nonostante il prestigioso incarico continuò a svolgere tutti i servizi come un semplice religioso, anche il pesante compito di trasportare la legna per la stufa. Per l’estrema carità che il santo sempre dimostrò verso i poveri “era come se il suo calore e la sua vitalità fluissero direttamente nelle loro membra e nelle loro anime”. Nel 615, rimasta vacante la sede episcopale di Toledo, Elladio accettò l’elezione a nuovo arcivescovo, seppur riluttante ad abbandonare il monastero. Poco sappiamo però dei suoi diciotto anni di episcopato, al di là della generosità nei confronti dei più bisognosi. Talvolta è stata avanzata l’ipotesi che il santo vescovo abbia influenzato il re Sisebuto nella decisione di espellere dal regno gli ebrei, anche se in realtà non esistono prove al riguardo.



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00giovedì 18 febbraio 2010 09:06

Santa Esuperia di Vercelli

18 febbraio

VI secolo

Etimologia: Esuperia = esagerata, dal latino


Durante i lavori di ricostruzione della basilica eusebiana di Vercelli, nel XVI secolo fu estratta dalle fondazioni una lapide che recava scolpito l’elogio metrico di due monache ivi sepolte, di nome Costanza ed Esuperia. L’elogio, che le onora come sante religiose, ricorda che entrambe ricevettero la sacra velazione dal fratello San Costanzo, vescovo della città piemontese. L’antico calendario eusebiano commemorava al 18 febbraio una santa vergine di nome Costanza, senza però specificare se si trattasse della sorella del vescovo, ed in tal caso perché non facesse menzione anche di Santa Esuperia. Alcune frettolose spiegazioni attribuiscono questo fatto all’eventualità che Costanza eccellesse in virtù e in santità in confronto della sorella. Accettando l’identificazione, si può dire che Costanza ed Esuperia vissero nella prima metà del VI secolo, prima della discesa di Alboino in Italia. Fecero parte del monastero femminile istituito dal protocescovo Sant’Eusebio ed affidato a sua sorella Santa Eusebia.
L’elogio metrico che ornava il sepolcro delle due sorelle affermava che esse godevano ormai “una grata quiete nella pace della morte. Vissero simili nei costumi e nella professione monastica, modeste negli atti. Come un solo sacro recinto era stato la loro dimora in vita, così un solo sepolcro le accoglieva in morte, presso le sacre spoglie delle consorelle. Conservarono la castità sia spiritualmente che fisicamente e, per tale loro merito, chiunque professa la fede e la vera dottrina, è certo che esse vivono nella luce della vita eterna”. Queste energiche affermazione, che come l’intero carme sono attribuite al vescovo poeta San Flaviano, successore di Costanzo sulla cattedra vercellese, possono considerarsi testimonianza eloquente in favore della santità di Esuperia e della sorella. Odiernamente purtroppo nessuna delle due sorelle compare nel calendario liturgico dell’arcidiocesi di Vercelli.




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00giovedì 18 febbraio 2010 09:07

San Francesco Regis Clet Martire in Cina

18 febbraio

Grenoble, Francia, 19 agosto 1748 - Outchangfou, Hu-pé, Cina, 18 febbraio 1820

Nato a Grenoble, Francia, nel 1748, è docente di teologia morale presso il seminario di Annecy (Alta Savoia). Ordinato nel 1773, a 25 anni, appartiene alla Congregazione della Missione, fondata a Parigi nel 1625 da san Vincenzo de' Paoli. Francesco Régis diventa insegnante, e sui 40 anni i superiori lo chiamano a guidare il Seminario vincenziano di Parigi, dove vive la prima fase della Rivoluzione francese. Nel 1791, a 43 anni, chiede di andare missionario in Cina. Dopo cinque mesi arriva nella portoghese Macao, dove agli inizi del XVIII secolo i cattolici erano 300 mila, grazie ai primi imperatori manciù della dinastia Ching che hanno consentito le missioni. Ma quando arriva padre Francesco Régis si è diffusa la diffidenza verso l'Occidente, dal quale provengono i missionari. E tra il 1805 e il 1811 la diffidenza diventa persecuzione aperta che colpisce anche padre Francesco. Nel 1818 lo denuncia, per soldi, un cristiano rinnegato. È il giugno del 1819. Lui ha 71 anni, ma davanti al carcere e alla tortura non cede. Per questo verrà ucciso. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nella città di Wuchang nella provincia dello Hubei in Cina, san Francesco Régis Clet, sacerdote della Congregazione della Missione e martire, che per trent’anni annunciò il Vangelo tra grandissime difficoltà e per questo dopo una dura prigionia, ingannato da un apostata, venne strangolato per il nome di Cristo.


Lo chiamano “biblioteca vivente” glialunni del seminario di Annecy (AltaSavoia) ai quali insegna teologia morale.È stato ordinato nel 1773, a 25 anni, manon è prete diocesano: dai 21 anni appartienealla Congregazione della Missione,fondata a Parigi nel 1625 da sanVincenzo de’ Paoli. I suoi componenti(chiamati Lazzaristi o Vincenziani)sono sacerdoti chefanno vita comune e hannoil compito della predicazionemissionaria nelle campagne,oltre che in ambienti“fuori dal mondo”, come legalere. A questo si aggiungepoi la missione all’estero: Europa,Africa e Cina. FrancescoRégis si fa strada comeinsegnante, e sui 40 anni isuperiori lo chiamano a guidare il Seminariovincenziano di Parigi, dove vive laprima fase della Rivoluzione francese.Nel 1791, a 43 anni, chiede di andaremissionario in Cina.
Si imbarca nel porto brétone di Loriente dopo cinque mesi arriva nellaportoghese Macao. Per i missionari, questoè luogo di acclimatazione prima diinoltrarsi nell’immenso impero cinese,nel quale agli inizi del XVIII secolo i cattolicierano calcolati in 300 mila, grazieai primi imperatori manciù della dinastiaChing (succeduta nel 1644 ai cinesiMing) che hanno consentito l’attivitàmissionaria. Ma il clima è già peggioratoal tempo dell’imperatore Kiaking, quandoarriva padre Francesco Régis. Crescela diffidenza verso l’Occidente, dal qualeprovengono in massima parte i missionari.Inoltre, sono cessati datempo gli arrivi di Gesuiti,perché nel 1773 papa ClementeXIV ha soppresso laloro Compagnia, arrendendosialle pressioni di Governieuropei, che se ne sonopoi spartiti i beni.
In Cina la diffidenza e l’avversioneanticattolica di moltiambienti sono state poi alimentate,disgraziatamente,anche da dissidi aspri tra i missionari didifferenti Ordini, sui modi dell’evangelizzazione.Padre Francesco Régis ègiunto dunque alla missione nel momentomeno propizio. Lui, “biblioteca vivente”,uomo di studio, deve farsi uomodi opere, applicando e vivendo le esortazionidel fondatore suo Vincenzo: "Insiemealla preghiera, è indispensabile la fatica.Bisogna accettare con gioia la privazione,la malattia, la disgrazia". E davverole disgrazie non gli mancano. Tra il1805 e il 1811 la diffidenza verso i missionaridiventa persecuzione aperta, eper due volte egli riesce a salvarsi passandoda un luogo all’altro, aiutato e nascostodai cristiani cinesi.
A peggiorare il clima di xenofobia contribuiscepoi il sempre più grave disagiosociale, per l’aumento della popolazionee per il concentrarsi della proprietà terrierain poche mani. Nel 1818 tutto questoporta a un’altra persecuzione, e stavoltapadre Francesco Régis ne cade vittima.Lo denuncia, per soldi, un cristianorinnegato, mentre lui si trova nellaprovincia di Hubei (capoluogo Wuhan).È il giugno del 1819. Lui ha 71 anni, ma imesi di carcere e i processi con torturanon lo cambiano: continua tranquillo adichiararsi prete e missionario cattolico,"accettando la disgrazia con gioia". E anchecon stupore dei giudici e degli aguzzini,quando lo mettono a morte strozzandolosu una sorta di croce: non puòparlare, ma le sue “ultime parole” sonoun sorriso silenzioso.
Dopo 38 anni il suo corpo sarà portatoa Parigi, dove è sepolto nella cappelladei Preti della Missione. Giovanni PaoloII lo ha canonizzato nel 2000 con altri119 testimoni della fede.





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00giovedì 18 febbraio 2010 09:07

Santa Geltrude (Gertrude) Comensoli Fondatrice

18 febbraio

Bienno, Brescia, 18 gennaio 1847 - Bergamo, 18 febbraio 1903

Nata a Bienno BS, il 18 gennaio 1847 Caterina Comensoli vive un’infanzia serena in famiglia e con le amiche, frequenta la scuola elementare del paese. Nascono 10 figli, ma vivono solo: Bartolomea 1840, Cristina 1845 e Caterina 1847. Papà Carlo è “fucinaro” e la mamma Anna Maria Milesi è sarta. Svela fin da bambina la sua sensibilità eucaristica; impaziente di ricevere Gesù, a 6 anni, un mattino, al suon dell’Ave Maria, entra nella chiesina dove si celebra la “Messa prima” e accostatasi alla balaustra tra la gente, riceve la sua Comunione “segreta”: “Impossibile che la penna descriva quei momenti”. Nel 1866 entra nella Compagnia di Sant’Angela Merici. Nasce in lei l’idea di un Istituto di Adoratrici attente ai bisogni educativi del tempo. A Bergamo con il sacerdote, don Francesco Spinelli, il 15 dicembre 1882, fonda l’Istituto delle “Suore Adoratrici”, prende il nome di Madre Geltrude, ma nel 1889 un dissesto finanziario causa la separazione dei due Fondatori. Santa Geltrude con le 73 suore rimaste con lei continua la vita dell’Istituto “Suore Sacramentine di Bergamo” e don Francesco con un altro gruppo di suore continua la sua opera a Rivolta d’Adda. Santa Geltrude muore il 18 febbraio 1903. E’ stata proclamata santa da Papa Benedetto XVI il 26 aprile 2009.

Etimologia: Geltrude = la vergine della lancia, dal tedesco

Martirologio Romano: A Bergamo, beata Geltrude (Caterina) Comensoli, vergine, che fondò una Congregazione di religiose per l’adorazione del Santissimo Sacramento e la formazione della gioventù.


Di famiglia povera, molto religiosa e credente in conformità alla Storia Sacra predicata dal parroco nell’insegnamento della Dottrina Cristiana, Caterina, di intelligenza vivace e di animo pronto, vive in casa i misteri cristiani della fede. Inoltre è assidua e vivace nella catechesi e nell’oratorio parrocchiale. In questa atmosfera di fede salda e convinta, resta colpita dal racconto della Presenza di Gesù nell’Eucaristia, approfondisce questo mistero con l’aiuto di validi confessori, tanto da desiderare fortemente di fondare un Istituto che abbia come primo intendimento quello di adorare questo insondabile mistero.
Nel 1867 si consacra nella Compagnia di Sant’Angela Merici, riattivata a Brescia l’anno precedente dalle sorelle Maddalena ed Elisabetta Girelli e approvata dal vescovo Girolamo Verzeri, fratello di santa Teresa Verzeri.
Caterina diventa maestra del gruppo di novizie della Compagnia di Bienno.
Ammalatosi il padre nel 1869, per portare aiuto alla famiglia è disposta a lasciare Bienno. La superiora di Brescia, Maddalena Girelli, la indirizza a Chiari (BS) in qualità di domestica, nella rinomata e numerosa famiglia di don Giovanni Battista Rota, che ha ben 3 sorelle appartenenti alla Compagnia di St’Angela.
Nel 1874 la mamma la prega di recarsi a Milano dai conti Vitali Fè residenti a Milano nel Palazzo di Corso Venezia 36, la contessa Ippolita Fè è cognata dei nobili Simoni di Bienno, nei ruoli di dama di compagnia e di cura dei due figlioletti maschi: Bartolomeo (n. 1871) e Giulio (n. 1874). Essendo il conte Vitali Gian Battista un ricco terriero possiede campi e casa anche nel bergamasco, in particolare la Villa di Capriate San Gervasio dove con la famiglia e i domestici era solito trascorre i mesi estivi, sottraendosi alla calura di Milano. Il viaggio non era difficile perché il Naviglio e l’Adda erano navigabili e vie di commercio.
Caterina si occupa di Bartolomeo fino all’età scolare, compie poi gli studi in collegio, Giulio muore a pochi mesi; segue la contessa Ippolita nei suoi movimenti e nei suoi viaggi: Milano, Brescia, Bergamo, San Gervasio d’Adda e in diverse località termali. Rimane a servizio tra Milano e San Gervasio per 8 anni.
Fattasi ormai donna saggia, ricca di capacità umane e di sensibilità interiori, portata a una spiritualità profonda e a una crescente attenzione alle necessità educative delle “giovinette”, ai poveri e ai malati, matura sempre più in lei l’ideale di fondare un Istituto dedito all’Adorazione e all’Educazione dei piccoli e dei giovani, che si concretizza con l’incontro a Bergamo del sacerdote don Francesco Spinelli. Nel secolo XIX è necessario un sacerdote Superiore a garanzia del buon funzionamento di un Istituto femminile. Dal 1879 al 1882 il progetto che delinea con don Francesco, si precisa e, dopo essere stato sottoposto al vescovo di Bergamo mons. Gaetano Camillo Guindani, l’Istituto si fonda il 15 dicembre 1882. In città e in diocesi l’iniziativa è ben accolta, perché è l’unica sul territorio bergamasco con lo scopo primario dell’Adorazione perpetua. La Casa Madre è in Bergamo, ma altre case si aprono, vivente la Fondatrice, in Lombardia e nel Veneto.
Un crollo finanziario porta alla separazione dei due Fondatori e quindi alla divisione in due Istituti. Il 19 gennaio 1889 Santa Geltrude scrive: “Il giorno è questo della terribile catastrofe… Mio Gesù di qui a qualche minuto saranno [qui], vengono a metterci tutto sotto sigillo… Sostenetemi nella dura prova, aiutatemi… Gli uomini sigillano le nostre cose. Voi sigillate il mio cuore, nel dolcissimo ed amabile vostro Cuore, non mi togliete più… tenetemi sempre Voi, mio diletto Gesù, Fiat voluntas tua. Amen”. “…il mio povero Istituto se a Voi piace lo sosterrete”. “Voi solo potete sollevarmi, Voi solo aiutarmi. Io sol confido in Voi. Dio solo!”. (Gli Scritti, p. 57, 59; Brescia 1981).
Il sinistro evento sembra portare tutto alla rovina, ma Santa Geltrude, dopo un fugace smarrimento, lo considera una prova richiesta dal Signore e reagisce con forte fede e tenacia, fiduciosa nella Divina Provvidenza, sebbene debba rifugiarsi a Lodi con le suore che le restano vicino nel dolore, nella pazienza e nella speranza della ricostruzione. Tuttavia si sottopone totalmente alla Volontà di Dio “Fate quello che piace a Voi mio Dio, purché restate glorificato eleggo di soffrire qualunque pena. La vostra volontà, non la mia, non cerco me, no, [cerco] la pura gloria del mio Dio;… Amen Fiat”. (Gli Scritti, p. 58, Brescia 1981)
Rinasce l’Istituto rigoglioso e vivo come un tenero albero, che ha trovato le sue radici nel terreno ubertoso della preghiera, della sofferenza, della fede e dell’umiltà; rinasce grazie all’energia e all’equilibrio di Santa Geltrude, delle suore che hanno collaborato con tutte le forze e con tutto l’amore di cui erano capaci per la realizzazione di un sogno che ormai era diventato comune; rinasce grazie al concreto e premuroso sostegno del vescovo di Lodi mons. Giovanni Battista Rota, di Chiari, nella cui famiglia la Comensoli era stata domestica per 5 anni; rinasce grazie al vescovo di Bergamo mons. G.C. Guindani, che nel 1889 raccomanda con premura le Suore Sacramentine a mons. Rota, il quale viene alla determinazione di riconoscere, con decreto 8 settembre 1891, l’Istituto delle Suore Sacramentine di Bergamo, canonicamente eretto in Lodi con Casa Madre temporanea in Lavagna di Comazzo.
La finalità dell’Istituto è duplice: “Adorare Gesù in Sacramento e Attendere ad opere di carità verso il prossimo a seconda delle disposizioni della Divina Provvidenza, avendo di mira specialmente l’educar la gioventù”.
Nel 1892 la Comensoli riconquista, sia pur in affitto, la prima casa di Bergamo e ritorna, dopo due anni, con le suore all’amata Casa Madre, culla della Congregazione alla quale dà un impulso decisivo e vitale.
Santa Geltrude lascia aperte 16 case prima della sua morte e l’Istituto con 179 suore; assistono: le operaie nei convitti, nelle filande, nelle tessiture e altri laboratori, le orfane, le ragazze coatte minorenni, le studenti nei pensionati, gli anziani nei ricoveri, i malati di pellagra e le cucine economiche, insegnano il ricamo in oro. Inoltre operano nelle parrocchie e negli oratori, aprono scuole di studio e di lavoro, doposcuola, insegnano in diverse scuole comunali.
Santa Geltrude vede il primo riconoscimento pontificio dell’Istituto nel Decreto di Lode dell’11 aprile 1900 promulgato da Leone XIII.
L’opera di Dio è compiuta!
Santa Geltrude ormai ha dato tutte le garanzie di continuità per l’Adorazione pubblica perpetua a Gesù Sacramentato, ha trasfuso nelle suore il prezioso patrimonio spirituale di preghiera, di umiltà e di carità soprattutto verso i poveri quindi può andare incontro al suo sposo Gesù.
A mezzogiorno del 18 febbraio 1903, piegando il capo verso la finestrella per un ultimo sguardo a Gesù Esposto, muore. Ha solo 56 anni.
Il Decreto del riconoscimento pontificio dell’Istituto avviene 1906 e quello delle Costituzioni nel 1910, entrambi emanati da Papa Pio X, che Santa Geltrude aveva conosciuto quando era arcivescovo di Venezia.
Nel mondo, presenti saranno “sempre” le Suore Sacramentine, che con gioia e “brio” prolungano il Carisma di santa Geltrude nell’Adorazione del Mistero Eucaristico e s’impegnano a farlo conoscere ed amare
L’Istituto è presente in tutta l’Italia 1882, in Brasile 1946, in Malawi 1976, in Ecuador 1987, in Kenya 1991, in Bolivia 2005, in Croazia 2006. Nel 1939/1940 le Suore Sacramentine raggiunsero anche l’Etiopia e la Cina, ma in seguito a rivolgimenti politici, le Suore furono internate in “campi” maltrattate e derise e poi espulse nel 1943 dall’Etiopia e nel 1951 dalla Cina.
“Gesù amarti e farti amare” è stato il lift motiv di tutta la vita di santa Geltrude e l’Eredità Spirituale lasciata a tutte le Suore Sacramentine e a tutti gli uomini di buona volontà nel mondo.
E’ stata dichiarata Venerabile, per l’Eroicità delle Virtù, da Papa Giovanni XXIII il 26 aprile 1961.
E’ stata proclamata Beata da Papa Giovanni Paolo II l’1 ottobre 1989.
E’ stata proclamata Santa da Papa Benedetto XVI il 26 aprile 2009.





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00giovedì 18 febbraio 2010 09:08

Beato Giorgio (Jerzy) Kaszyra Sacerdote e martire

18 febbraio

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Aleksandrowo, Lituania, 4 aprile 1904 – Rosic, Polonia, 18 febbraio 1943

Il beato Jerzy Kaszyra, sacerdote professo dei Chierici Mariani sotto il titolo dell'Immacolata Concezione della B.V.M. (Mariani), nacque a Aleksandrowo (Vilnius), Lituania, il 4 aprile 1904 e morì a Rosic (Polonia) il 18 febbraio 1943. Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Martirologio Romano: A Rosica in Polonia, beato Giorgio Kaszyra, sacerdote della Congregazione dei Chierici Mariani e martire, che, nell’infuriare della guerra, dato alle fiamme dai persecutori della fede, morì per Cristo Signore.






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00giovedì 18 febbraio 2010 09:09

Beato Giovanni da Fiesole (detto Beato Angelico o Fra Angelico) Domenicano

18 febbraio

Vicchio di Mugello, Firenze, 1387 - Roma, 18 febbraio 1455

Il beato domenicano Giovanni di Fiesole è meglio conosciuto come Beato Angelico. Esercitò l'arte predicatoria con il pennello, dipingendo moltissimi capolavori tra i quali la celeberrima Annunciazione. Nato alla fine del Trecento - con il nome di Guido - a Vicchio di Mugello, entrò con il fratello Benedetto nel convento di Fiesole. Operò a Firenze, in tutta la Toscana, a San Pietro e nei palazzi vaticani, su invito di Eugenio IV. Morì a Roma nel 1455 nel convento di Santa Maria sopra Minerva, dove tuttora sono conservate le sue spoglie. Giovanni Paolo II l'ha proclamato nel 1984 patrono universale degli artisti. (Avvenire)

Patronato: Artisti (Giovanni Paolo II, 1984)

Martirologio Romano: A Roma, beato Giovanni da Fiesole, detto Angelico, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, sempre unito a Cristo, espresse nelle sue pitture ciò che contemplava nel suo intimo, in modo tale da elevare le menti degli uomini alle realtà celesti.

Ascolta da RadioVaticana:
  

Questa soave e genialissima figura di Frate Predicatore fu un dono magnifico fatto da Dio all’Ordine. Guido o Guidolino, figlio di Pietro, nacque a Vicchio di Mugello in Toscana alla fine del XIV° secolo e fin da giovane fu pittore in Firenze. Quando sentì la vocazione, insieme al fratello Benedetto, si presentò al convento domenicano di Fiesole. Ordinato sacerdote assunse il nome di Fra Giovanni da Fiesole, ma subito dopo la sua morte fu usanza comune chiamarlo “Beato Angelico”. L’azione di santo e di artista del giovane si svolse mirabilmente nel clima di alta perfezione spirituale e intellettuale trovato nel chiostro. Le sante austerità, gli studi profondi, la perenne elevazione dell’anima a Dio, affinarono il suo spirito e gli aprirono orizzonti sconfinati. Così preparato, da buon Frate Predicatore, poté anch’egli dare agli altri il frutto della propria contemplazione e dar vita, col suo magico pennello, al più sacro dei poemi, narrando ai fratelli la divina storia della nostra salvezza. I suoi Crocifissi, le sue Madonne, i suoi Santi sono una predica che risuona nei secoli. Anima di una semplicità evangelica, seppe vivere col cuore in cielo, pur consacrandosi a un intenso lavoro. Sue sono molte pale d’altare a Fiesole (1425-1438) e le celle, i corridoi, l’aula capitolare e i chiostri del Convento di San Marco a Firenze (1439-1445). Recatosi a Roma, su invito di Papa Eugenio IV, dipinse nella Basilica di San Pietro e nei Palazzi Vaticani, e dal 1445 al 1449, per Papa Niccolò V la sua cappella privata e lo studio in Vaticano. Il Papa gli offrì la Sede Vescovile di Firenze, che energicamente rifiutò, persuadendo il Pontefice a nominare il confratello Sant’Antonino. Fu da Dio chiamato al premio eterno il 18 febbraio 1455 a Roma, nel convento di Santa Maria sopra Minerva, dove il suo corpo è ancora conservato nella attigua Basilica Domenicana. A suo onore, e per la promozione dell’arte sacra, Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982 ha concesso il suo culto liturgico a tutto l’Ordine e il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti.





scri30
00giovedì 18 febbraio 2010 09:10

Beato Giovanni Pibush Sacerote e martire

18 febbraio

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Thirsk, Inghilterra, 1557 - Londra, Inghilterra, 18 febbraio 1601

John Pibush, nato a Thirsk in Inghilterra, fu educato a Rheims ed ordinate sacerdote nel 1587. Fu ucciso dagli anglicani in odio alla fede cattolica ed fu beatificato nel 1929 con numerose altre vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: Sempre presso Londra, beato Giovanni Pibush, sacerdote e martire, che, più volte e a lungo messo in carcere e infine condannato a morte per il suo sacerdozio sotto la medesima regina, fu impiccato a Southwark e sventrato con la spada.


Nato nel 1557 a Thirsk, nel North Riding, il Pibush frequentò il Collegio inglese di Reims, dove ricevette l'ordinazione sacerdotale il 14 marzo 1587 e da cui riparti per le missioni inglesi il 3 genn. 1589.
Stabilitosi nel Gloucester, sotto il nome fitti­zio di Grosvenor, poté esercitarvi indisturbato il suo ministero per oltre quattro anni, finché non venne arrestato nel lugl. del 1593 a Moreton-in-the Marsh. Condotto a Londra, venne rinchiuso, in attesa di processo, nelle prigioni di Gatehouse, dove rimase un anno prima di esser chiamato a comparire davanti alle assise di Gloucester, sotto l'imputazione di essere un prete missionario. Inter­nato nelle prigioni locali, poté tuttavia fuggirne il 19 febb. 1595, ma venne ripreso il giorno dopo a Matson e inviato a Londra, dove fu processato e condannato a morte per alto tradimento, in quanto sacerdote, il 1° lugl. seguente.
Nonostante la condanna capitale, il Pibush fu la­sciato languire in una malsana cella della Queen's Bench per oltre sei anni, sottoposto ai maltratta­menti non solo dei carcerieri, ma anche dei suoi stessi compagni di prigionia, che a lungo andare riuscì tuttavia a cattivarsi con la sua immensa bontà ed infinita pazienza, tanto che alla fine gli venne offerta persino la possibilità di celebrare la Messa in una celletta che gli era stata apposi­tamente preparata.
Il 17 febb. 1601, mentre era in procinto di essere trasferito nelle prigioni del castello di Wisbech, dove avrebbe forse trovato un po' di sollievo ai tanti patimenti sofferti, che gli ave­vano anche minato irrimediabilmente la salute, il Pibush venne improvvisamente convocato dal giudice Popham, il quale, meravigliato che la sentenza di morte a suo carico non fosse stata ancora eseguita dopo tanto tempo, ordinò che venisse giustiziato il giorno seguente, per cui il 18 febb. 1601 il Pibush sali il patibolo a Saint Thomas' Waterings nel Southwark.
Innalzato all'onore degli altari da Pio XI il 15 dic. 1929, il beato Giovanni Pibush viene commemorato il 18 febbraio.




scri30
00giovedì 18 febbraio 2010 09:11

Santi Giovanni Pietro Neel, Martino Wu Xuesheng, Giovanni Zhang Tianshen e Giovanni Chen Xianheng Martiri

18 febbraio

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+ Kaiyang, Cina, 18 febbraio 1862

Martirologio Romano: Nella città di Guizhou sempre in Cina, santo martire Giovanni Pietro Néel, sacerdote della Società per le Missioni Estere di Parigi, che, accusato di aver predicato la fede, legato alla coda di un cavallo e trascinato in una violenta corsa, colpito con ogni genere di scherni e di supplizi, morì alla fine decapitato. Con lui subirono il supplizio anche i santi martiri Martino Wu Xuesheng, catechista, Giovanni Zhang Tianshen, neofita, e Giovanni Chen Xianheng.

Ascolta da RadioRai:
  

Jean-Pierre Néel fa parte della folta schiera di martiri che le Missioni Estere di Parigi hanno donato alla Chiesa, intenti nell’opera di evangelizzazione dei popoli asiatici non ancora cristiani. Questi nacque il 18 ottobre 1832 a Sainte-Catherine-sur-Riviere, nella diocesi di Lione. Manifestò ben presto ai genitori il desiderio di farsi sacerdote, sin dopo la prima comunione. Felice di questo suo desiderio, sua mamma lo mise nelle condizioni di poter apprendere le prime nozioni di latino presso il vicario d'Aubepin, per poi proseguire gli studi nei seminari di Montbrison ed Argentière. In entrambi i luoghi Jean-Pierre si rivelò, come testimoniarono unanimemente superiori e compagni, uno studente calmo e mite che faceva appena avvertire la sua presenza nella comunità. Durante gli anni di preparazione al sacerdozio il giovane ebbe l'ispirazione di farsi missionario e nel 1855 fece domanda di ammessione al seminario delle Missioni Estere di Parigi. La sua richiesta fu accolta e nel mese di ottobre partì dunque per la capitale francese.
Sua madre, che avrebbe preferito avere il figlio sacerdote in una parrocchia, alla notizia cadde gravemente malata, ma il figlio le scrisse in modo assai risoluto: “Mi ha fatto male il sapere che sei tuttora inconsolabile per la mia assenza... Povera madre! Quale follia ti ha dato alla testa? Tu, dunque, hai una troppo grande abbondanza, una troppo grande propensione di amore da non poterlo contenere: ma hai pure numerosi figli sui quali poterlo effondere. Possibile che sia tanto penosa la separazione momentanea da un figlio che il Signore t'ha richiesto per sé? Non torna questo utile a Lui come a te? E non ti accorgi che, cedendogli il figlio, tu fai un atto di carità? Se questo Dio, pieno di bontà, promette una ricompensa a chi saprà dare per amore suo un bicchiere d'acqua, quale ricompensa non devi riprometterti se saprai conformarti alla sua volontà?”. In un'altra lettera Jean-Pierre spiegò alla madre le profonde motivazioni che lo spingevano ad evangelizzare i popoli non ancora credenti: “Una sola di queste anime è più preziosa, è infinitamente più grande di tutto l'oro e di tutte le ricchezze della terra, perché tutte queste cose non sono costate a Dio che una parola, mentre quell'anima è costata le sofferenze e le ignominie della passione del suo diletto Figlio fino all'effusione di tutto il sangue”. Quando finalemnte, nell'aprile del 1858, ricevette l’ordinazione presbiterale, scrisse ancora alla mamma: “Prega perché Iddio mi conceda di ben comprendere e perfettamente adempiere i numerosi e gravi doveri inerenti a questo santo e augusto ministero, almeno quanto è possibile alla fragilità umana. Prega perché mi riempia con abbondanza di virtù apostoliche; perché possa ottenere quello zelo che trasporta, quella carità che consuma e infiamma il cuore dell'apostolo per la salvezza delle anime e la gloria del nome di Gesù. Pregalo, infine, perché benedica questo tuo figlio adesso e durante tutta la laboriosa esistenza che si apre davanti a lui”.
Il 29 agosto dello stesso anno Padre Néel s'imbarcò a Bordeaux per la città cinese di Canton, ove giunse dopo ben sette mesi di navigazione. Con altri compagni raggiunse la regione del Kouy-tcheou, dopo molte soste e mille difficoltà derivanti dall’anarchia che regnava in Cina a causa della guerra scoppiata con la Francia. A Kouy-yang, capitale della provincia, Jean-Pierre studiò la lingua e gli usi cinesi con tale applicazione da meritarsi in breve tempo un distretto da evangelizzare. La sua dolcezza non tardò a concuistare l'animo sia dei credenti che dei non credenti. Nel dicembre 1861, monsignor Faurie, vicario apostolico della regione, inviò il Néel a visitare una famiglia di Kia-cha-long che i catechisti avevano preparata al battesimo. Giunto nella città, il missionario trovò numerose altre famiglie pronte a convertirsi ed un buon numero di donne desiderose di accostarsi al cattolicesimo. I neofiti salirono rapidamente ad una cinquantina, tanto che le autorità locali, allarmate, minacciarono di farli arrestare. Monsignor Faurie attestò infatti a tal proposito: “Il generale Tien-Ta-jen, aveva inviato una lettera segreta a tutti i mandarini della provincia, eccitandoli a massacrarci ovunque ci trovassero, considerandoci come dei capi di ribelli e non come europei: solo a questo patto essi si sarebbero fatti un merito dinanzi a lui e avrebbero ottenuto una promozione”.
Verso la metà di febbraio del 1862, alcune spie delle autorità civili iniziarono ad aggirarsi per le vie di Kia-cha-long ed il capo della guardia nazionale fece uccidere un neofita, ma queste purtroppo non erano che le prime avvisaglie di un’imminente persecuzione. Domenica 16 febbraio Padre Néel scrisse al proprio vescovo: “Dovevo mettermi in cammino domani per la capitale, ma ecco che il demonio viene a turbare la mia piccola stazione; io resto sul posto per sostenere i miei neofiti, il più anziano dei quali, Giovanni Tchang, mio ospite, è stato battezzato questa mattina”. Due giorni dopo, verso le quattro del pomeriggio, un centinaio di guardie nazionali agli ordini dei mandarini a cavallo, entrarono nel villaggio e circondarono improvvisamente la casa del neofita Giovanni Zhang Tianshen, ove oltre al missionario alloggiavano anche il catechista Martino Wu Xuesheng, catechista e Giovanni Chen Xianheng: tutti e quattro furono arrestati ed ammanettati. L’abitazione fu abbandonata al saccheggio ed il missionario, con i capelli legati alla coda di un cavallo, venne trascinato con gli altri tre prigionieri sino alla vicina città di Kay-tcheou.
Martino Wu Xuesheng era nato a Chuchangbo nel 1815 circa da genitori cristiani. All’età di vent'anni si era sposato, ma la moglie poi lo aveva abbandonato. Martino ricorse ad ogni mezzo possibile per ricondurla sulla retta via ma, non riuscendo nel suo intento, d'intesa con i missionari si separò definitivamente da lei per dedicarsi alla catechizzazione, alla diffusione di libri religiosi ed alla ricerca di bambini morenti per somministrare urgentemente loro il battesimo.
Giovanni Zhang Tianshen, nato nel 1805 a Kia-cha-long, era un piccolo commerciante. Sposatosi due volte, ebbe una quindicina di figli che morirono quasi tutti in tenera età. Colpito dunque negli affetti più cari, aveva scelto lo stato dei bonzi e in seguito aveva aderito alla setta dei digiunatori, finchè finalemtne un cristiano lo istruì nelle verità della fede cristiana ed egli, divenuto catecumeno, poté adoperarsi nel farle conoscere ai familiari ed agli amici.
Giovanni Chen Xianheng, nato da genitori pagani a Tchen-tou verso il 1820, all’età di trent'anni si era recato a Kouy-yang per affari di famiglia ed in seguito ad alcune conversazioni avute con i cristiani, decise di convertirsi. In principio prestò il suo servizio presso i missionari di Gan-chouen in qualità di farmacista e di battezzatore, ma in seguito fu inviato a Kia-cha-long in aiuto del Padre Néel.
Questi quattro integerrimi cristiani furono condotti a Kay-tcheou e subito sottoposti ad interrogatorio. Tra il mandarino ed il missionario francese si svolse questo serrato confronto: “Come ti chiami?” – “Qui mi chiamano Ouen: in francese il mio cognome è Néel”. – “Mettiti in ginocchio come gli altri” – “Non sono un cinese, sono venuto dalla Francia a predicare la religione, all'ombra del trattato concluso tra i nostri due imperi. Non m'inginocchierò perché sono un ospite e non un reo”. Un soldato colpì allora violentemente il sacerdote alle spalle con una sedia e questi cadde a terra, ma subito si risollevò sulle ginocchia per presentare il passaporto di cui era regolarmente munito. “Lo conosco, lo conosco!”, disse il mandarino, “Questo passaporto ti è stato rilasciato dal tuo governo e non dal nostro. Del resto, quello che importa è che rinunzi a questa religione sotto pena di morte”. – “Non ne parliamo neppure. Uccidetemi se vi piace”. – “Tra poco sarai esaudito. E voialtri, imbecilli, rinunziate alla vostra religione?” – “Mai, mai” risposero insieme gli altri tre prigionieri laici. Il mandarino redasse duqnue questa laconica sentenza: “Ho scoperto una cospirazione prima che scoppiasse e ne ho punito di morte gli autori”. Mentre i condannati stavano per avviarsi al luogo dell'esecuzione pregando con le mani legate dietro la schiena, furono anche spogliati delle loro vesti. I parenti di Giovanni Zhang Tianshen gli si strinsero attorno per scongiurarlo di apostare, ma egli rispose loro: “II mio padre spirituale non teme la morte: io morrò con lui”. Il carnefice, dopo che alla luce delle torce di bambù aveva decapitato il missionario e i due catechisti, risparmiò quest’ultimo, nella speranza che le promesse di beni terreni fattegli dagli amici lo inducessero a ritrattare, ma invece egli rispose: “Io non desidero altro all'infuori dell'eredità eterna del cielo”. Subì così anch’egli la sorte dei compagni e le loro teste furono poi sospese in alto sui bastioni della città, mentre i loro corpi finirono in pasto alle bestie feroci.
La Chiesa non ha però dimenticato questi servi fedeli sino all’effusione del sangue: Giovanni Pietro Neel, Martino Wu Xuesheng, Giovanni Zhang Tianshen e Giovanni Chen Xianheng furono beatificati dal Papa San Pio X l’11 aprile 1909 ed infine canonizzati da Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000 insieme ad un gruppo complessivo di 120 martiri in Cina.





scri30
00giovedì 18 febbraio 2010 09:12

18 febbraio


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