18 luglio

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:31

Sant' Arnolfo di Metz Vescovo

18 luglio

Metz (?) (Francia), ca. 582 - Remiremont (Francia), 18 luglio 640-641

Di nobile famiglia, ebbe cariche amministrative sotto il re dell'Austrasia, Teodeberto. Si sposò ed ebbe due figli, uno dei quali fu Clodolfo, vescovo di Metz, mentre l'altro, Ansegiso, fu il primo dei grandi " maestri di palazzo " e quindi antenato dei Carolingi. Dopo aver riunito l'Austrasia ala neustrasia, benché laico, venne eletto vescovo, mantenendo la sua carica di consigliere a corte e di educatore del futuro re Dagoberto. Si dedicò comunque ad un'intensa attività pastorale. Dopo aver partecipato a due Concili, desideroso di una vita ascetica, finalmente ottenne da Dagoberto il permesso di entrare ad Habend, nella fondazione monastica di Romarico, un suo amico conte palatino che vi si era a sua volta ritirato.

Etimologia: Arnolfo = forte e astuto, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Metz in Austrasia, ora in Francia, sant’Arnolfo, vescovo, che fu consigliere di Dagoberto, re di Austrasia e, lasciato l’incarico, condusse vita eremitica sui monti Vosgi.

Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

’Arnolfo vescovo, temendo di non ottenere il perdono dei peccati, gettò il suo anello nel fiume Mosella, dicendo: “Signore, se mi perdoni, fammelo ritrovare”. E lo ritrovò nel ventre di un pesce’. Pura leggenda, ma con buoni appigli nella realtà: al tempo di Arnolfo è veramente difficile non peccare, specie se si sta in alto. La Gallia, dominata dai Franchi, è divisa in diversi regni che si combattono con tutte le armi: congiure, massacri familiari, corruzione. Un imbroglione famoso, per esempio, è il vescovo Egidio di Reims, che sarà degradato ed espulso.
La famiglia di Arnolfo dev’essere importante, perché lui studia, sposa un’aristocratica da cui ha due figli ed entra al servizio di Teodeberto II, re dell’Austrasia (la regione che comprende Alsazia, Lorena e una parte del Belgio, con capitale Metz), che prima ha regnato sotto la tutela della nonna Brunilde e poi, nel 599, l’ha cacciata brutalmente. Ma nel 613 Teodeberto viene sconfitto e ucciso da Teodorico II di Borgogna, che è suo fratello. Costui però muore, sempre nel 613, e l’Austrasia viene unita alla Neustria (Gallia occidentale) e alla Borgogna, sotto il governo di re Clotario II. Il quale fa uccidere la vecchia Brunilde in modo atroce.
In questo clima vive Arnolfo. Re Clotario, con il suo regno tanto vasto e tanto traballante, lo prende come consigliere. E affida ad Arnolfo (con un altro futuro santo, Pipino di Linden) l’educazione di suo figlio Dagoberto. Questi sarà guidato dai due futuri santi anche agli inizi del suo regno. (E morirà poi nel suo letto, senza commettere atrocità e ammazzare parenti prossimi).
Non basta: ancora nel 614, Arnolfo viene nominato vescovo di Metz, conservando gli incarichi a corte. Non è il primo padre di famiglia chiamato a questo ministero: all’epoca la disciplina del celibato ecclesiastico non ha ancora un’applicazione rigorosa e del tutto definita. (Della moglie di Arnolfo, che si chiama Doda, a quest’epoca non si hanno più notizie). Come capo della diocesi, Arnolfo risulta presente ai concili nazionali di Clichy e di Reims, e Metz lo ricorderà tra i suoi grandi vescovi.
Ma lui a un certo punto lascia tutto: vescovado e incarichi a corte. Sparisce da Metz nel 627, dopo aver strappato il consenso a Dagoberto, e va a nascondersi dove non lo conosce nessuno. Entra in un monastero fondato dall’amico suo Romarico, un altro che ha lasciato perdere la corte e il re. (Da Romarico prenderà il nome la cittadina sorta più tardi sul luogo: Remiremont). Qui Arnolfo vive i suoi anni più sereni, qui si sente davvero realizzato. E qui trova riposo da morto, anche se per poco: la città di Metz reclama il suo corpo, e lo accoglie solennemente, deponendolo nella basilica che porterà per sempre il suo nome.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:31

Beato Bernardo de Arenis Mercedario

18 luglio

Religioso mercedario francese, il Beato Bernardo de Arenis, venne inviato a redimere in terra d’Africa. Per il nome di Gesù sopportò molte umiliazioni e sofferenze finché, liberò 222 schiavi dalle prigioni dei mussulmani. Infine con lieto animo morì santamente.
L’Ordine lo feesteggia il 18 luglio.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:32

San Bruno di Segni Vescovo

18 luglio

Solero, 1049 - Montecassino, 18 luglio 1123

Bruno nacque a Solero d'Asti nel 1040. Dopo aver conseguito la laurea presso l'Università di Bologna, decise di ritirarsi nel monastero di Montecassino. Nominato canonico della Cattedrale di Siena dal vescovo Rodolfo, fu inviato a Roma per impegni della diocesi. Qui ebbe l'incarico di confutare l'eretico Berengario. La disputa si tenne davanti al Pontefice, e Bruno confutò così sapientemente l'eretico, che Gregorio VII stesso lo consacrò e nominò vescovo di Segni. Pochi anni dopo affiancherà il Papa nella gigantesca lotta alle elezioni simoniache e la prepotenza di Enrico IV. Tornò a Segni nell'aprile del 1082, ma giuntovi fu imprigionato dal conte Adolfo di Segni. Il Signore però vegliava su di lui e con un miracolo ripetuto per tre volte lo liberò. Tornato a Roma fu nuovamente imprigionato col Papa nella mole Adriana. Dopo la liberazione, Bruno, desideroso di pace, trascorse nel chiostro benedettino gli ultimi anni della propria vita, seguendo con cura la Regola, tanto che dopo soli cinque anni di vita monastica venne eletto abate di Montecassino. Qui morì il 18 luglio 1123. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Segni nel Lazio, san Bruno, vescovo, che molto lavorò e soffrì per il rinnovamento della Chiesa e, costretto per questo a lasciare la sua sede, trovò rifugio a Montecassino, dove divenne abate temporaneo del monastero.

Ascolta da RadioVaticana:
  

S. Bruno nacque a Solero d'Asti nel 1040: trascorsa la fanciullezza sotto la salutare e sapiente guida di monaci Martiniani, fu inviato dai genitori all'Università di Bologna dove, ancor giovane, si laureò. Benchè in ambiente non favorevole, si conservò virtuoso e fermo nella fede della prima educazione. Facendosi sempre più sentire la vocazione, desideroso di seguire i consigli del Signore, decise di ritirarsi nel monastero di Montecassino.
Però durante il viaggio, si fermò a Siena dove, per disposizione di Dio, fu trattenuto dal vescovo Rodolfo, che lo nominò canonico di quella cattedrale. Inviato a Roma per impegni della diocesi, qui ebbe l'incarico di confutare l'eretico Berengario.
La disputa si tenne davanti al Pontefice, e Bruno confutò così sapientemente l'eretico, che Gregorio VII stesso lo consacrò e nominò vescovo di Segni.
A Segni fu banditore della Buona Novella e apostolo di carità. Ma i confini della sua piccola diocesi erano troppo ristretti per la sua attività; eccolo quindi vicino al grande genio di Gregorio VII nella gigantesca lotta eontro l'incontinenza e specialmente contro le elezioni simoniache e la prepotenza di Enrico IV. E qui è bene accennare quanto abbia sofferto dai nemici.
Si era nell'aprile del 1082. Roma, fedele al Papa, dopo aver respinto i due assalti del falso penitente Enrico IV che aveva ripreso a eombattere la Chiesa, godeva un po' di tregua. Bruno ehe si trovava allora a Roma con Gregorio VII, si mise in viaggio per ritornare alla sua diocesi, ma giuntovi fu imprigionato dal eonte Adolfo di Segni.
Il Signore però vegliava su di lui e con un miracolo ripetuto per tre volte lo liberò.
Ritornò allora a Roma ma fu nuovamente imprigionato col Papa nella mole Adriana.
Con rincrescimento di molti, Bruno, sempre bramoso di pace, solitudine e unione con Dio, volle ad ogni costo seguire la sua aspirazione al chiostro. Perciò adempì diligentemente la regola benedettina nella pietà, nello studio e nel lavoro, tanto che dopo soli cinque anni di vita monastica venne eletto abate di Montecassino, da dove passò al Signore il 18 luglio 1123, giorno in cui la Chiesa ne celebra la festa.
S. Bruno fu pure un grande scrittore. Nonostante i molti incarichi, trovò tempo per commentare tredici libri della Sacra Bibbia; scrisse la vita di S. Leone IX e di S. Pietro vescovo di Anagni; un trattato sui Sacramenti e un altro sul santo Sacrificio della Messa. Di lui ci rimangono pure 145 omelie e 6 libri di sentenze.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:33

San Domenico Nicolao Dinh Dat Martire

18 luglio

Martirologio Romano: Nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, san Domenico Nicola Đinh Đạt, martire, che, soldato, costretto a rinnegare la fede cristiana, dopo atroci supplizi calpestò la croce; ma pentitosi subito, per espiare la colpa dell’apostasia, scrisse all’imperatore Minh Mạng di volere essere di nuovo processato come cristiano, morendo infine strangolato.


Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:33

Sant' Elio di Capodistria Diacono

18 luglio

I secolo

Nulla di certo si può dire sulla figura di S. Elio, il cui culto a Capodistria risale prima del Quattrocento. Forse nacque a Costabona, in diocesi di Capodistria, nella seconda metà del primo secolo; fu discepolo di S. Ermagora di Aquileia e diacono di Nazario, protovescovo di Capodistria. Morì un 18 luglio, giorno in cui è festeggiato, dopo aver edificato una chiesa in onore della Vergine. Verso la fine del Seicento le sue spoglie furono collocate sotto un altare nella cripta del coro della cattedrale di Capodistria.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:34

Sant’ Emiliano di Durostoro Martire

18 luglio

+ Durostoro (odierna Silistra), Romania, 18 luglio 362

Sant’Emiliano, martire presso Dorostoro in Mesia, disobbedì agli editti di Giuliano l’Apostata ed alle minacce del suo vicario Catulino, rovesciò l’altare degli idoli ed impedì il sacrificio e per questo fu dunque gettato nella fornace, conseguendo così la palma del martirio.

Martirologio Romano: A Silistra in Mesia, nell’odierna Bulgaria, sant’Emiliano, martire, che, disobbedendo agli editti di Giuliano l’Apostata e alle minacce del suo vicario Catulino, rovesciò l’altare degli idoli impedendo il sacrificio e, gettato nella fornace, ricevette la palma del martirio.


Sant’Emiliano, martire di Durostoro, compare in varie antiche fonti quali il Martirologio Geronimiano, San Girolamo, Teodoreto, la “Cronaca Pasquale” e forse anche Sant’Ambrogio. Esiste una “passio” greca di questo santo la quale, pur non essendo priva di errori ed elementi leggendari, fu redatta basandosi su una più antica e forse contemporanea al santo, dunque essenzialmente attendibile nel racconto delle circostanza in cui avvenne il martirio di Emiliano.
Al tempo dell’imperatore Giuliano l’Apostata, nella seconda metà del IV secolo, il vicario Capitolino si recò a Durostoro in Mesia, odierna Silistra in Romania, per farvi eseguire gli ordini imperiali di restaurazione del paganesimo ed a tal fine indisse una festa. Emiliano, figlio del prefetto della città Sabaziano, entrò in tempio incustodito e con un martello ridusse in frantumi la statua del dio pagano e l’altare. Pur di trovare un colpevole per infliggergli una punizione che risultasse per tutti esemplare, fu allora arrestato un contadino che casualmente passava di là, ma Emiliano a tal pnto preferì consegnarsi volontario e confessare di essere lui il colpevole dell’accaduto. Condotto al tribunale di Capitolino, fu crudelmente flagellato e condannato ad essere arso vivo, mentre al padre fu comminata la pena di una libbra d’argento da pagare all’erario per la sua disattenzione verso il figlio. La sentenza fu eseguita fuori città, sulle rive del Danubio, il 18 luglio 362.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:35

San Federico di Utrecht Vescovo

18 luglio

Etimologia: Federico = potente in pace, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Utrecht in Austrasia, nel territorio dell’odierna Olanda, san Federico, vescovo, che rifulse nello studio delle Sacre Scritture e mise cura e impegno nell’evangelizzazione dei Frisoni.


La Vita (BHL, I, p. 474, n. 3157), scritta da Otberto nel sec. XI, circa due secoli, cioè, dopo la sua morte, è priva di valore: "Fide minime digna", la giudicano i Bollandisti nel Commento al Martirologio Romano. Di certo si sa che intervenne al concilio di Magonza dell'829. Fu ricordato poi in una carta del 26 dicembre 833, e nella Vita di s. Odulfo, da lui mandato ad evangelizzare i Frisoni. Rabano Mauro gli dedicò, nell'834, il suo commento al libro di Giosuè e scrisse un carme in suo onore.
Stando alla Vita, sarebbe nato verso il 781 da famiglia probabilmente di origine inglese, non è chiaro se in Inghilterra o in Frisia. Eletto vescovo di Utrecht dopo la morte di Ricfredo, tra 1'825 e 1'828, grazie anche all'appoggio dell'imperatore Lotario, lottò contro il paganesimo, risorto in Frisia dopo l'invasione Normanna, e contro l'uso dei matrimoni incestuosi. Avendo rimproverato l'imperatore Ludovico il Pio per aver sposato, vivente ancora la prima moglie Irmingarda, Giuditta, sarebbe stato da questa fatto assassinare il 18 luglio 838. Altri però attribuiscono l'assassinio del santo ad un nobile dell'isola di Walcheren da lui rimproverato. Sepolto nella cripta della chiesa del S.mo Salvatore ad Utrecht, fu venerato come martire in diverse località dei Paesi Bassi e a Fulda.
Nel 1362 il cranio del santo, separato dal corpo dal vescovo Folkert, fu racchiuso in un reliquiario d'oro e d'argento ed esposto alla venerazione. Durante la Riforma fu salvato in una casa privata dove, secondo il bollandista G. Cuypers, era ancora conservato al principio del sec. XVIII. Del resto del corpo, invece, già al suo tempo non si sapeva più niente.
Tramite il Molano il nome di Federico fu iscritto nel Martirologio Romano al 18 luglio.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:35

San Filastrio di Brescia Vescovo

18 luglio

† Brescia, 18 luglio 387

Sesto vescovo di Brescia, Filastrio nacque intorno al 330 e poi divenne prete a 30 anni e vescovo a 50. Anche la sua origine non è certa: c'è chi ipotizza che fosse italiano, spagnolo o egiziano. Predicò contro gli ariani in Lombardia e a Roma, entrando in rapporti con sant'Ambrogio e sant'Agostino, che lo cita nelle sue opere contro gli eretici. Partecipò al Sinodo di Aquileia del 381. Si conosce il giorno della morte, il 18 luglio, ma non la data, ritenuta anteriore a quella della morte di Ambrogio, avvenuta nel 397. Le reliquie sono venerate con quelle di sant'Apollonio nella cripta dell'antico duomo romanico di Brescia. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Brescia, san Filastrio, vescovo, la cui vita e morte furono lodate da san Gaudenzio, suo successore.


Nel quattordicesimo anno dalla sua morte, il vescovo di Brescia s. Gaudenzio tenne un’approfondita omelia dedicata a s. Filastrio, suo predecessore all’episcopio della città.
E questa è la maggiore se non l’unica fonte che parla della sua vita, ad ogni modo le notizie sono scarse.
Non si sa dove s. Filastrio nacque, ma ben presto lasciò la sua terra e la famiglia dopo essere stato consacrato sacerdote e prese a predicare un po’ dovunque la parola di Dio, contrastando i pagani, i giudei e gli eretici ariani.
Si sa che visse per un certo tempo a Milano prima che s. Ambrogio (340-397) diventasse vescovo e si oppose con decisione al vescovo ariano Aussenzio I (355-374), poi si spostò a Roma dove con le sue argomentazioni convertì molti alla fede cattolica.
Quando diventò vescovo non si sa di preciso, ma nel 381 era già vescovo di Brescia, perché partecipò al Concilio di Aquileia. Lo stesso s. Agostino nei suoi scritti, afferma di averlo visto fra il 384 e 387 varie volte ospite di s. Ambrogio a Milano.
Anche la data della sua morte non è certa, alcuni calcoli incrociati con i dati di s. Ambrogio e s. Gaudenzio, fanno supporre che sia morto attorno all’anno 387; la sua celebrazione come santo al 18 luglio, era considerata come data della sua morte, sia da s. Gaudenzio, sia dalla Chiesa di Brescia.
Fu sepolto nell’antica cattedrale di S. Andrea, forse da lui stesso edificata, le sue reliquie ebbero una prima traslazione il 9 aprile 838 nella chiesa di S. Maria, detta anche la ‘Rotonda’; ancora subirono spostamenti nel 1456, 1572 e 3 giugno 1674, quando furono collocate nell’arca preziosa ancora esistente nel nuovo duomo di Brescia.
Risulta che san Filastrio abbia composto tra gli anni 385 e 391 un catalogo di 136 eresie. La sua festa viene celebrata ancora oggi il 18 luglio.
Nell’omelia di s. Gaudenzio citata sopra, è detto che s. Filastrio aveva uno spirito ardente, dolcezza ed estrema moderazione, molta scienza, costumi santi, una sublime umiltà, rivolto alle cose celesti non dava valore alle cariche terrene.
Il servizio del Signore lo occupava continuamente, non si adirava ma sempre pronto a comprendere e giustificare. Amava i più piccoli e gli umili, con tutti era amabile e riconoscente.


Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:36

Beato Giovanni Battista de Bruxelles Martire

18 luglio

Martirologio Romano: All’ancora in mare davanti a Rochefort sulla costa francese, beato Giovanni Battista di Bruxelles, sacerdote di Limoges e martire, che durante la rivoluzione francese morì sfinito dall’inedia e dalla peste in una sordida galera.


Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:37

Santa Maria Greca

18 luglio

Patronato: Corato (BA)

Emblema: Pastorale, diadema, campanello, globo


Nel 1656 una grave pestilenza infestava il regno di Napoli e le Puglie non ne furono risparmiate. Anche la ridente cittadina di Corato (attualmente nella provincia di Bari) contò numerose vittime: invano la scienza si appellava agli umani rimedi. Il popolo, sfiduciato ed atterrito, invece, fece ricorso ai suoi Santi Patroni, e principalmente a Maria SS. Intanto gli anziani sapevano, per antica tradizione, che nel sotterraneo di una delle 25 torri che incoronavano la cittadina, quella che guardava verso sud-ovest, la c.d. Torre Greca, doveva esservi conservata una Immagine prodigiosa della Madonna.
Molti pensavano che, se in una tale calamità, quell’icona fosse stata esposta al pubblico culto, il paese sarebbe stato liberato dal terribile flagello.
Molti allora corsero alla Torre, vi praticarono un foro, ma non si vedeva che un oscuro ed umido antro. Un pio e dotto Sacerdote, Don Francesco Loiodice o Lo Jodice, soprannominato “Saccone”, passando di là, vedendo tanta gente radunata, ad evitare la diffusione del contagioso morbo, nonché per timore che si cadesse in manifestazioni superstiziose o che si verificasse una qualche disgrazia, cercò di allontanare la folla, ma invano.
Anzi, questa, accesa una lampada votiva sull’orlo dell’apertura praticata, cominciò a richiedere l’aiuto divino, invocando il nome della Vergine.
Ad eliminare qualsiasi incertezza, allora quel sacerdote fece allargare la buca, sino a consentirvi l’agevole passaggio di un uomo. Quindi, calata una scala a pioli, munito di fiaccole, vi scese. Entratovi, non vide alcuna Immagine, se non una piccola finestrella ed alcune tracce di un’antica pittura. Ma nient’altro.
Uscito da quell’antro, tuttavia, cominciò a provare una strana inquietudine. Si affidò dunque alla preghiera ed a Dio, dispensatore di ogni consiglio ed alla Madonna, madre del Buon Consiglio.
All’alba del 17 luglio 1656, mentre il pio sacerdote era raccolto in preghiera, ebbe una visione della Vergine nella medesima posizione con cui oggi è la Sacra Effigie. Gli disse: "Coraggio, o mio diletto, consola quest’afflitto popolo, poiché subito sarà liberato dal tremendo flagello dell’ira di Dio, se dedicherà in mio onore ed al mio culto il sotterraneo a te ben noto". Detto questo, la Vergine scomparve, lasciando al Sacerdote tanta pace e consolazione. Fatto giorno, senza indugio, si portò a Trani, dall’allora Arcivescovo, il domenicano spagnolo Mons. Tommaso Sarria, per consiglio ed anche per ottenere da lui l’autorizzazione a trasformare quel sotterraneo in oratorio aperto al pubblico culto.
Ricevuto il permesso richiesto, il giorno dopo, il 18 luglio, terzo sabato del mese, di buon mattino, assistito da diversi operai, si portò all’ingresso del sotterraneo per sgombrarlo dai calcinacci e dal terriccio, per biancheggiare le mura e livellare il suolo, rendendolo un degno luogo di preghiera.
Intanto il pio sacerdote, chiamato un pittore, si sforzava di descrivere l’immagine vista in visione. Ma questi, nonostante vari bozzetti non riusciva a riprodurre l’Immagine apparsa.
Era intanto verso mezzogiorno quando don Francesco Lo Jodice, col popolo lì riunitosi, cominciarono a supplicare la Vergine con il saluto angelico, pregandola di portare a termine l’opera da Lei iniziata.
E così, mentre una fiduciosa preghiera saliva al Cielo, si udì provenire dal sotterraneo il melodioso e squillante suono di un campanello. A questo segno se ne accompagnò un altro. Una povera donna cieca lì pre-sente, certa Beatrice Dell’Oglio, aprendo miracolosamente i suoi occhi spenti, ed additando una tavola in noce dipinta lì apparsa, cominciò ad esclamare: "Ecco Maria, ecco Maria!".
A quel grido, il sacerdote, scosso dalla sua preghiera, riconoscendo l’Immagine apparsagli, proruppe: "È dessa, è dessa l’Immagine apparsami in visione" e più volte, con le lacrime agli occhi, ripeteva più forte "È dessa, è dessa".
Al diffondersi della voce del prodigio vi fu un grande afflusso di popolo orante. Da quel lontano giorno, in Corato, cessò completamente la peste per singolare beneficio mariano, mentre nelle città limitrofe continuava il contagio. Ad Andria, infatti, a pochi chilometri da Corato, la popolazione si ridusse ad un terzo, essendo perite circa quattordicimila persone. Questa ne fu liberata solo nel gennaio 1657, per un voto fatto a S. Sebastiano martire.
Grazie a quel rinvenimento, l'ignoto sotterraneo, da allora, diveniva centro di fede e di numerosi pellegrinaggi e la Madonna, miracolosa-mente apparsa dipinta, si è mostrata sempre, con i suoi molteplici miracoli, Madre di tutti e speciale Pro-tettrice di Corato.
L’Immagine appare tuttora come all’epoca del suo prodigioso ritrovamento. I suoi colori, nonostante tanti secoli e l’umidità esistente nell’ambiente (si conserva, infatti, ancora nell’antico oratorio, ricavato nelle fondamenta della Torre Greca), sono ancora vividi. A chi osserva l’Icona, la Vergine appare come una matrona, assisa sulle nubi, con il Bambino Gesù sulle ginocchia, circondata da otto figure angeliche, e con il curioso pastorale all’uso greco, nella destra. La foggia dell’abito della Madonna appare tipicamente greca, così come greca è la tunica di Gesù Bambino. La veste della Madonna è rosso vivo ed è stretta alla vita da una cintura; il manto è azzurro.
Il piede destro (l’unico visibile) è fornito di calzare. Il capo è ricoperto di un velo ed è cinto da un diadema. Ai piedi della Vergine si vede dipinto un campanello, il cui suono melodioso fu udito al momento della scoperta dell’Immagine ed anche in altre circostanze, ogni volta variando la tonalità. Alle volte era dolce ed armonioso, altre invece tonante e cupo e qualche volta lo si è udito suonare con forza e strepito, quasi volesse manifestare un segno di premio o di castigo.
Incerta, infine, è l’attribuzione dell’aggettivo “greca”. Per alcuni ciò sarebbe dovuto al fatto che l’Icona fosse stata rinvenuta nell’antica Torre Greca (così chiamata perché, forse, risalente, nelle sue fondamenta, ad un’opera lasciata dai Greci in epoca bizantina) o alla foggia dell’abito o ancora al pastorale che impugna.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:37

Santa Marina di Orense Martire

18 luglio

Etimologia: Marina = donna del mare, dal latino

Nel precedente Martirologio Romano veniva commemorata così al 18 luglio: "Gallaeciae in Hispania sanctae Marinae virginis et martyris"; il Baronio introdusse la notizia nella seconda ed. del Martirologio Romano, seguendo il Villegas e il Trujillo.
Marina avrebbe sofferto il martirio nelle vicinanze della città di Orense, nella località di Aguas Santas, dove se ne conservano le spoglie in una chiesa a lei dedicata. La grandissima diffusione del culto è attestata dalle innumerevoli chiese e santuari a lei intitolati nelle diocesi di Galizia, di Astorga e in altre piú lontane, come a Cordova e a Siviglia. Nelle vicinanze del presunto luogo del martirio sono indicate dalla leggenda diverse località messe in relazione col martirio stesso e coi miracoli da. Iei compiuti: ma non possediamo alcun dato sicuro sull'epoca o sulla vita di Marina, come gli stessi Villegas e Trujillo attestano.
I falsari posteriori applicarono a Marina, senza alcun fondamento, la passio di s. Marina o Margherita di Antiochia (v., cf. BHL, II, pp. 78788, nn. 5303-309).
Non è più presente nell'attuale Martirologio Romano.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:38

San Materno di Milano Vescovo

18 luglio

Sec. IV

Martirologio Romano: A Milano, san Materno, vescovo, che, restituita la libertà alla Chiesa, traslò con tutti gli onori i corpi dei martiri Nábore e Felice da Lodi nella sua città.

E' il settimo vescovo di Milano, successore immediato di Mirocle, che partecipò ai concili di Roma del 313 e di Arles del 314 ed antecessore immediato di Protasio, che partecipò al concilio di Sardica del 343-344; erroneamente gli Atti leggendari della sua vita lo antepongono a Mirocle, collocando il suo episcopato durante la persecuzione di Diocleziano e mettendolo in particolare relazione con i martiri milanesi Nabore e Felice (nella cui basilica egli fu sepolto) ed anche con i martiri Vittore, Fedele, Carpoforo ed Alessandro.
Gli antichi cataloghi dei vescovi milanesi lo dicono morto il 18 luglio: ed in questo giorno viene ricordato sia dalla liturgia ambrosiana, sia dal Martirologio Romano; tuttavia il Liber notitiae sanctorum Mediolani, del XIV sec., lo ricorda il 19 1uglio.
Gli vengono attribuiti dodici anni di episcopato. Le reliquie di s. Materno furono oggetto di una ricognizione privata da parte di s. Carlo Borromeo nel 1571.
La piú antica rappresentazione iconografica del santo si trova in un mosaico della basilichetta di S. Vittore in Ciel d'Oro, del sec. V, attualmente incorporata nella basilica di S. Ambrogio, in cui s. Materno è raffigurato, barbato e vestito d'una dalmatica tra i ss. Nabore e Felice.


Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:45

Beato Roberto da Salle (di Sala)

18 luglio

Salle (Pescara), 1273 - 18 luglio 1341


Nato a Salle (Pescara), un paesino alle pendici della Majella intorno all’anno 1273, da Tommaso e Benvenuta, al suo battesimo gli fu imposto il nome di Santuccio, così come lo chiamerà più tardi per vezzo San Pier Celestino.
Dall’età di 7 anni rivelò un grande senso di amore fraterno e del perdono. Un giorno un vicino di casa della sorella le ammazzò un animale quasi per sfregio buttandoglielo davanti la porta di casa. La sorella sconvolta chiese vendetta al fratellino. La domenica in chiesa, giunti al momento del segno della pace, allora in uso durante la celebrazione dopo l’Agnus Dei, il piccolo Santuccio ricevuto il segno di pace dal celebrante, corse subito a restituirlo al dichiarato nemico della sorella.
A 16 anni seguendo una forte vocazione conobbe e seguì Pietro Angeleri da Isernia, l’eremita del Morrone il futuro Papa Celestino V.
Nel 1294 Roberto finito il Noviziato era già ormai fra i più cari discepoli del santo uomo, dedito con tutta l’anima alla pratica della virtù ed al culto del silenzio ed alla mortificazione del proprio corpo.
All’alba del 7 Luglio 1294 presso l’eremo di S.Spirito a Majella Pietro da Morrone dopo vari ripensamenti e preghiere accettò di divenire il Sommo Pontefice Celestino V e chiese al discepolo Roberto di seguirlo nella nuova via apertagli dal Signore. Ma il giovane, nonostante il grande amore e rispetto che lo legavano tenacemente al grande padre spirituale, rifiutò di seguirlo impegnandosi invece quale suo successore nell’esaltazione del suo esempio tra gli aspri eremi abruzzesi.
Probabilmente questa sua scelta determinò il motivo per cui nella sua iconografia spesso viene rappresentato con una croce sulle spalle ed il cappello cardinalizio ai piedi. Lo stesso Petrarca in “De Vita Solitaria” ebbe a parlare di lui e del suo dialogo nel momento del diniego nel seguire Celestino V.
Durante il Pontificato di Celestino Roberto si trasferì presso il Monastero di San Giorgio a Roccamorice dove continuò con tenacia le pratiche a lui più care.
Il 24 Dicembre del 1294 data memorabile per la storia della Chiesa, Celestino V rinunciò al Soglio Pontificio. Fu eletto al suo posto Bonifacio VIII. L’eremita Pietro da Morrone tornò sui suoi monti presso i suoi affezionati confratelli. Grande fu la gioia del Beato Roberto nell’accoglierlo in quei luoghi, ma di breve durata. Poco dopo infatti Celestino, ricercato da Bonifacio VIII per timore di uno scisma, dovette dapprima seguire il Papa ad Anagni mentre poi venne tenuto a Rocca di Fumone in una specie di eremo-prigione dove il pio uomo morì il 19 maggio del 1296. In quello stesso giorno, lontano centinaia di chilometri, il Beato Roberto ebbe l’apparizione di Celestino V che rendeva l’anima a Dio. Subito capì ed avvisò i propri confratelli della morte del Santo, notizia giunta al Monastero qualche giorno più tardi.
Benché la tradizione celestina ammettesse il sacerdozio solo dopo 31 anni, per Roberto fu applicata una eccezione e nel 1298 a soli 25 anni fu ordinato sacerdote. Per oltre 12 anni rimase quasi “sepolto” presso il Monastero di San Giorgio a Roccamorice mentre dal 1310 al 1317 venne nominato Procuratore a S. Spirito a Majella e da lì a Roccamontepiano dove si pensa abbia lui stesso fondato il Monastero di S.Croce. Inviato a Gessopalena nel 1320 fondò un altro Monastero e vi rimase come Priore fino al 1321. Tornato ancora a Roccamontepiano vi si stabilì per sei anni.
Nel 1327, nominato Procuratore Generale della Congregazione dei Celestini, fondò visitò e restaurò parecchi Monasteri, tra cui: S. Tommaso a Caramanico, Lama dei Peligni, Atessa e Gessopalena.
Oltre ai sei Monasteri più conosciuti, stando ad alcune informazioni non controllabili, Roberto avrebbe fondato pure alcuni Ospizi per i Pellegrini.
Fra tutte le opere da lui volute e seguite, particolarmente care ne furono tre: il Monastero della Civitella a Chieti, Santo Spirito a Majella dove ancora oggi sono riconoscibili alcune opere da lui stesso ordinate e dirette, e la cosiddetta Basilica della Madonna a Lama dei Peligni.
Fu tanto perfetto amministratore dei beni della Congregazione quanto estremo eremita, da eguagliare se non addirittura superare il suo maestro Celestino V.
La regola celestina ordinava :
1) Digiuno tutto l’anno eccetto nelle domeniche e nelle Feste.
2) Tre Quaresime l’anno (la normale, l’Assunta e l’Avvento)
3) Recita settimanale del Salterio
4) Cento prostrazioni di giorno ed altrettante di notte
5) Vigilia rigorosa Mercoledì e Sabato a pane nero e acqua di fonte
6) Confessione pubblica dei peccati prima del Mattutino
7) Vesti ruvidissime e cilicio
A tutte queste il Beato Roberto ne aggiungeva altre per proprio conto, mostrando di essere più un segno del Cielo che un eremita della terra.
Di lui si hanno notizie di segni miracolosi e di veri e propri miracoli a cui assistettero parecchi suoi confratelli. Da predizioni, segni premonitori a vere e proprie apparizioni, estasi, colloqui mistici e veri e propri miracoli a cui spesso assistettero i suoi confratelli. Tra le più eclatanti innumerevoli guarigioni.
Guarì un suo confratello dalla lebbra semplicemente segnando con un segno di croce le putride piaghe dopo averle addirittura baciate. Rinsavì un furioso pazzo, tale Roberto Galtieri imponendo sulla sua testa il Breviario. Ciò procurò al poveretto un sonno profondo al cui risveglio era perfettamente guarito.
A Morrone del Sannio, nel Molise, dove ancor oggi è profondamente venerato, guarì una piccola di nome Maria celebrando per lei una santa Messa alla fine della quale la piccola riacquistò l’uso delle membra atrofizzate.
MA il miracolo più eclatante fu la risurrezione di un Monaco morto in peccato mortale che resuscitato dalle preghiere di Roberto si svegliò, confessò pubblicamente i suoi peccati e si riaddormentò nella morte. (Enciclopedia Universal ilustrada – Tomo LI Madrid- Espana – 1926 pag 972).
Grande il suo potere taumaturgico, come grande in poco tempo divenne la sua fama: Tante le conversione ed altrettante le donazioni che riusciva a raccogliere intorno ai suoi monasteri. Tantissime le opere, come grandissima era la carità che riusciva ad elargire attorno a sé.
A causa di tanto clamore fu pure costretto a discolparsi davanti al Vescovo di Chieti di una fantomatica accusa di presunti abusi delle elemosine. Fu questa probabilmente la croce più onerosa che dovette portare il Beato Roberto e ne soffrì in maniera indicibile.
A 68 anni iniziò ad ammalarsi ed il 18 Luglio del 1341 morì tra il conforto dei suoi numerosi confratelli. Aveva 69 anni cui 52 vissuti nella vita religiosa.
Di Roberto da Salle si ricordano oltre 30 miracoli post mortem molti dei quali verificatisi proprio sul suo sepolcro. Nel 1342 la sua salma fu trasportata da Morrone del Sannio (CB) alla Badia di S.Spirito a Sulmona. Si presume tuttora che in quello stesso anno sia stato proclamato Beato. A Salle si venera il 18 Luglio mentreil 19 Maggio, giorno della morte di Celestino, il Beato Roberto viene festeggiato a Morrone del Sannio. L’urna contenente i suoi resti sono attualmente presso la chiesa parrocchiale di Salle Vecchia, dove incapsulate nella statua vi sono le sue ossa tra cui per intero le ossa del braccio con il quale soleva benedire e guarire.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:46

San Rufillo di Forlimpopoli Vescovo

18 luglio

Forlimpopoli, Forlì, V secolo

Un antico sermone del secolo XI ci dà alcune informazioni su Ruffillo, primo vescovo di Forlimpopoli. Il documento racconta che fra Forlimpopoli e Forlì, si annidava un mostruoso drago, che col solo fiato ammorbava l'aria, provocando la morte di diverse persone. Il vescovo Ruffillo esortò i fedeli della diocesi a fare digiuni e pregare, affinché la zona venisse liberata dal mostro, nel contempo invitò il vescovo di Forlì Mercuriale (anch'egli poi santo) a partecipare all'impresa. Si recarono ambedue alla tana del drago, qui gli strinsero attorno alla gola le loro stole e lo gettarono in un profondo pozzo, chiudendone l'imboccatura con un «memoriale» (un monumento o un'iscrizione). Questo episodio è raccontato anche nella «Vita» di san Mercuriale e in quella dei santi Grato e Marcello. Il dragone rappresentò il simbolo dell'idolatria ancora abbastanza diffusa, che vide il protovescovo di Forlimpopoli impegnato a debellarla insieme all'opera di altri santi vescovi della regione, suoi contemporanei. Si può fissare il periodo del suo episcopato nella prima metà del secolo V. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Forlimpopoli in Emilia, san Ruffillo, vescovo, che si ritiene abbia per primo governato questa Chiesa e condotto l’intera popolazione rurale a Cristo.


Le notizie che si hanno del primo vescovo di Forlimpopoli (Forlì), san Rufillo, provengono da fonti letterarie tarde e di poca certezza, invece le testimonianze del suo culto in tutta l’Emilia Romagna, sono indice della sua esistenza e della venerazione ricevuta nei secoli.
Le fonti medioevali citano ben tredici chiese a lui dedicate nella regione, una a Bologna, vicino al ponte San Rufillo, una a Casola Valsenio (diocesi di Imola), una a Vitignano di Meldola (Forlì), una a Ravenna, tre in diocesi di Faenza, tre in diocesi di Forlimpopoli, una a Firenze e infine la Basilica sepolcrale del santo (Collegiata di S. Rufillo) esistente nella città di Forlimpopoli, ma che al tempo della costruzione era situata fuori dalle mura cittadine.
Recenti scavi hanno fatto datare l’abside al V secolo, mentre tutto il resto dell’antico edificio di culto, ebbe varie distruzioni, ricostruzioni e rifacimenti, fino all’attuale risalente al 1378; essa è l’unica basilica paleocristiana della città ed eminenti studiosi ritennero che fosse la primitiva cattedrale di Forlimpopoli.
Verso il 971 la basilica fu ceduta ai Benedettini e divenne così un’abbazia, mentre la sede cattedrale fu trasferita ad altra chiesa, all’interno delle mura di difesa, probabilmente nella basilica rintracciata sotto le fondamenta della celebre Rocca del XIV secolo, oggi sede di un Museo Archeologico.
Tutto questo per ribadire, che al di là delle incertezze agiografiche su s. Rufillo, l’esistenza di così vasto culto, fa di lui un santo molto venerato e quindi di santa vita e zelante opera apostolica fra la popolazione.
Un antico sermone del sec.XI, recitato nel giorno della festa del santo, scritto in buon latino, ci dà alcune informazioni su s. Rufillo, dotato delle virtù proprie del vescovo.
Il documento riporta la data della festa al 18 luglio e racconta l’episodio della vittoria sul drago; fra Forlimpopoli e Forlì distante 8 km, si annidava un mostruoso dragone, che col solo fiato ammorbava l’aria, provocando la morte di diverse persone.
Il vescovo Rufillo esortò i fedeli della diocesi a fare digiuni e pregare, affinché la zona venisse liberata dal mostro pestifero, nel contempo invitò il vescovo di Forlì s. Mercuriale (30 aprile) a partecipare all’impresa.
Si recarono ambedue alla tana del drago, qui gli strinsero attorno alla gola le loro stole e lo gettarono in un profondo pozzo, chiudendone l’imboccatura con un ‘memoriale’ (un monumento o un’iscrizione).
Detto episodio è raccontato anche nella ‘Vita’ di s. Mercuriale e in quella dei santi Grato e Marcello; il dragone rappresentò il simbolo dell’idolatria ancora abbastanza diffusa, che vide per questo la lotta del protovescovo di Forlimpopoli impegnato a debellarla insieme all’opera di altri santi vescovi della regione, suoi contemporanei, come Mercuriale di Forlì, Leo di Montefeltro, Gaudenzio di Rimini e Geminiano di Modena.
E con loro fu pure impegnato a contrastare l’eresia ariana, il cui centro propulsore era a Rimini; dai documenti che riguardano i suddetti vescovi e di s. Pietro Crisologo vescovo di Ravenna, anche lui suo contemporaneo, si può fissare il periodo del suo episcopato nella prima metà del secolo V.
Morì secondo alcune fonti, novantenne a Forlimpopoli; nel 1362 dopo la distruzione della città da parte delle truppe favorevoli allo Stato Pontificio, comandate dal cardinale spagnolo Gil Alvarez Carrillo de Albornoz, le sue reliquie furono trasportate a Forlì nella Chiesa di S. Giacomo in Strada; da lì nel maggio 1964 esse ritornarono nella Basilica collegiale di Forlimpopoli.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:46

San Simone da Lipnica Sacerdote

18 luglio

Lipnica, Polonia, 1435/1440 – Cracovia, Polonia, 18 luglio 1482

Simone da Lipnica, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori, fu predicatore e grande devoto del nome di Gesù. Trovò la morte nel curare gli appestati. Ricevette la conferma di culto da parte della Santa Sede il 24 febbraio 1685, ma solo il 19 dicembre 2005 sono state riconosciute le sue virtù eroiche. Benedetto XVI lo ha canonizzato il 3 giugno 2007.

Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, beato Simone da Lipnica, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che fu insigne per la predicazione e la devozione verso il nome di Gesù e, mosso dalla carità a provvedere alla cura dei malati di peste moribondi, trovò egli stesso fra loro la morte.


Simone nacque a Lipnica Murowana, in Polonia, tra il 1435 ed il 1440. Sin da giovane si rivelò particolarmente quanto insolitamente devoto alla Vergine Maria. Essendo studente presso l’università di Cracovia, venne a contatto con San Giovanni da Capestrano, che aveva appena aperto nel 1453 il primo convento di frati francescani. Simone, assai desideroso di entrarvi, fu però persuaso a concludere prima i suoi studi. Divenne poi finalmente frate e ricevette l’ordinazione presbiterale entro il 1465.
La sua devozione e la fama di predicatore gli meritarono svariati incarichi all’interno dell’ordine: dal 1465 fu guardiano della casa di Tarnow e membro del capitolo provinciale a Cracovia. Ma già due anni prima era stato scelto quale predicatore ufficiale delle cattedrale di Wawel, primo del suo ordine ad occupare un ruolo tradizionalmente in mano ai domenicani. Divenne così presto famoso per le sue omelie, in particolar modo per la chiarezza nell’interpretazione delle Sacre Scritture, a tal punto che parecchie conversioni furono ritenute frutto della sua grande semplicità anche nel trattare difficili questioni di fede.
Nel 1478 fu nominato definitore dell’ordine a Cravovia. Si recò poi a Pavia in occasione di un capitolo generale dei Frati Minori, nonché in pellegrinaggio a Roma ed in Terra Santa, quest’ultima meta forse sognando di poter morire martire per mano turca.
Fece ritorno a Cracovia nel 1482, mentre una terribile epidemia di peste imperversava in città. Simone non mancò con altri suoi confratelli di prestarsi nel soccorso dei malati, contraendo così l’infezione letale. Sul letto di morte formulò una richiesta alquanto singolare: essere sepolto sotto l’ingresso della chiesa, in modo tale da essere calpestato da tutti i visitatori. La morte lo colse dunque presso Cracovia il 18 luglio 1482.
Il 24 febbraio 1685 Simone da Lipnica fu dichiarato “beato” per conferma di culto dal papa Beato Innocenzo XI. Il 19 settembre 2000 l’Arcivescovo Metropolita di Cracovia, cardinale Francesco Macharski, dichiarò conclusa l’inchiesta diocesana sulla vita e le virtù, nonché la continuazione della fama di santità del Beato Simone da Lipnica, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori, istruita su richiesta della Postulazione Generale OFM in vista della sua auspicata canonizzazione. Gli “Atti”, trasmessi a Roma, furono aperti con regolare Decreto il 16 novembre 2000 ed il 19 dicembre 2005 il pontefice Benedetto XVI decretò il riconoscimento ufficiale dell’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane da parte del beato. Il medesimo pontefice ha canonizzato Simone da Lipnica il 3 giugno 2007.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:47

Santa Sinforosa e sette figli Martire

18 luglio

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Roma al nono miglio della via Tiburtina, commemorazione dei santi Sinforosa e sette compagni, Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Stacteo ed Eugenio, martiri, che subirono il martirio con diversi generi di tortura, divenendo fratelli in Cristo.


Santa Sinforosa era la moglie di San Getulio.
Sulla via Tiburtina, al IX milliario (oggi km. 17,450) viveva una donna chiamata Sinforosa con i suoi 7 figli che si chiamavano Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Statteo ed Eugenio.
La donna viveva nei pressi della maestosa villa dell’imperatore Adriano, colui che aveva ordinato la morte del marito Getulio, del cognato Amanzio e dell’amico di questi Primitivo.
L’imperatore Adriano dopo aver ultimato la sua grandiosa villa, si dice che volesse, prima di inaugurarla, consultare gli dei, i quali gli dissero, che la vedova Sinforosa e i suoi sette figli, li “straziavano ogni giorno invocando il suo Dio, perciò, se Sinforosa e i suoi figli sacrificheranno per loro, essi faranno quanto l’imperatore gli chiedeva”. Adriano allora, chiamò il prefetto Licinio, e ordinò che Sinforosa fosse insieme ai suoi figli arrestata e condotta al tempio di Ercole.
Poi con lusinghe, con minacce e con ricatti, cercò di farla desistere e a sacrificare agli idoli, ma la Santa con animo nobile si appella all’esempio di Getulio e degli altri compagni di martirio del marito. Visto che la donna non si piegava ai suoi voleri, l’imperatore rinnovò di sacrificare insieme ai suoi figli agli dei pagani, oppure sarebbero stati sacrificati essi stessi, ma la Santa fu irremovibile, come pure lo fecero i suoi sette figli.
L’imperatore, visto vano ogni tentativo, ordinò che Santa Sinforosa fosse torturata a sangue. Dalla tortura però l’imperatore non ci ricavò nulla, e spazientito da quella resistenza, diede ordine alle guardie di legare un grosso sasso al collo di Sinforosa, e di gettarla nel fiume Aniene, affinché annegasse.
Poi venne la volta dei figli; furono presi da parte, e l’imperatore chiese a loro di sacrificare agli dei. Vista la resistenza dei ragazzi, ordinò che fossero condotti anch’essi al tempio di Ercole, dove con minacce e con lusinghe tentava condurli dalla sua parte; ma visto che non ci riusciva, ne con le buone e ne con le cattive, l’imperatore ordinò che tutti e sette fossero posti alla tortura, ed infine fossero trafitti con la spada, poi li fece gettare in una fossa comune e profonda del territorio tiburtino, che i pontefici chiamarono “ai sette assassinati”.
Dopo circa 2 anni, essendosi calmato il furore delle persecuzioni contro i cristiani, il fratello della martire Sinforosa, Eugenio “principalis curiae Tiburtinae”, ne raccolse i corpi e li seppellì “in suburbana eiusdem civitatis”.
Il giorno 18 luglio il M.R. riporta quanto segue: “A Tivoli santa Sinforosa, moglie di san Getulio Martire, con sette suoi figlioli, cioè Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Statteo ed Eugenio. La loro madre, sotto il Principe Adriano, per l’insuperabile costanza, prima fu lungamente percossa con guanciate, quindi sospesa per i capelli, e da ultimo legata ad un sasso, precipitata nel fiume; i figli poi, legati a pali e stirati cogli argani, con diverso genere di morte compirono il martirio. I loro corpi furono trasportati a Roma, e sotto il Papa Pio quarto, furono ritrovati nella Diaconia di sant’Angelo in Pescheria”.
La passio ci dice ancora che il “Natalis vero sanctorum martyrum Christi beatae Symphorosae et septem filiorum ejus Crescentis, Juliani, Nemesii, Primitivi, Justini, Stattei et Bugenii celebratur sub die XV Kalendas Augusti. Eorum corpora requiescunt in Via Tiburtina milliario ab Urbe nono…”.
Oggi noi consociamo una chiesa dedicata alla Santa nei pressi di Bagni di Tivoli. Durante le lotte per le investiture tra papato e impero, l’imperatore Enrico V nel ricondurre Papa Pasquale II a Roma, si accampò nel “Campo qui Septem fratum dicitur”, dove un tempo si vedevano dei ruderi di un’antica chiesa dedicata a Santa Sinforosa e sette figli, e dove i proprietari di questo terreno hanno eretto nel 1939, proprio sulla collinetta dinanzi al nuovo santuario, una magnifica cappella, dedicandola a questa Santa e ai suoi sette figli martiri.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:48

Beata Tarcisia (Olga) Mackiv Vergine e martire

18 luglio

>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

Khodoriv, Ucraina, 23 marzo 1919 - Krystynopil, Ucraina, 19 luglio 1944

Martirologio Romano: Nel villaggio di Krystonopil in Ucraina, beata Tarcisia (Olga) Mackiv, vergine della Congregazione delle Suore Ancelle di Maria Immacolata e martire, che, in tempo di guerra, per avere difeso la fede davanti ai suoi persecutori conseguì la duplice vittoria della verginità e del martirio.


Olha Mackiv nacque il 23 marzo 1919 nel villaggio di Khodoriv, nella regione ucraina di Lviv (Leopoli) dans la région de Lviv. Il 3 marzo 1938 entrò tra le Suore Ancelle di Maria Immacolata. Due anni e mezzo dopo, il 5 novembre 1940, emise i suoi primi voti e ricevette il nome religioso di Tarsykia. Priora del suo convento sino all’arrivo dei comunisti a Lviv, Suor Tarcisia fece un voto privato alla presenza del suo direttore spirituale, Padre Volodomyr Kovalyk, rendendosi disponibile a sacrificare la propria vita per la conversione della Russia e per il bene della Chiesa Cattolica.
Decisi a distruggere il monastero, i bolscevichi la mattina del 17 luglio 1944 suonarono alla porta del convento di Krystonopil ed uccireso con un colpo Tarsykia per aver difeso la gemma della verginità e la sua fede. Fu beatificata da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 24 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina.



Stellina788
00venerdì 16 luglio 2010 10:48

Santa Teodosia di Costantinopoli Martire

18 luglio

Martirologio Romano: A Costantinopoli, santa Teodosia, monaca, che patì il martirio per aver difeso un’antica immagine di Cristo, che l’imperatore Leone l’Isaurico aveva ordinato di rimuovere dalla Porta Bronzea del suo Palazzo.


Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 04:50.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com