2 agosto

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Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:49

Sant' Alfreda (Etelreda) di Crowland Monaca Benedettina

2 agosto

Mercia (Gran Bretagna), VIII secolo - Crowland (Inghilterra), 833 ca.

Alfreda è uno dei sei -sette nomi con cui è conosciuta santa Eteldreda, reclusa a Crowland in Inghilterra. Nacque nell'VIII secolo Dopo essere stata fidanzata di Etelberto, re dell'Anglia orientale, ucciso a causa di una congiura. Si ritirò successivamente nella badia di Crowland nello Yorkshire, dive occupò una cella da reclusa nella parte meridionale della chiesa vicino all'altare maggiore. Alfreda morì dopo l'833, le sue reliquie vennero distrutte quando nell'870, l'abbazia fu saccheggiata dai Danesi. La sua festa è celebrata il 2 agosto. (Avvenire)

Etimologia: Alfreda = forma femminile di Alfredo, guidata dagli elfi, dall'anglosassone

Alfreda è uno dei sei-sette nomi con cui è conosciuta s. Eteldreda, reclusa a Crowland in Inghilterra; nacque nell’VIII secolo in Mercia, uno dei tre regni anglosassoni, fondati nel V-VI secolo dall’antica popolazione germanica degli Angli, dalla quale deriva l’attuale nome dell’Inghilterra (England = terra degli Angli).
Alfreda o Eteldreda era figlia di Offa re di Mercia († 796) e di Coenthryth, il suo nome si trova menzionato tra le figlie di re Offa in un ‘privilegio’ concesso dal sovrano nel 787. Notizie su di lei provengono dalla ‘Cronaca’ di Crowland del secolo XIV o XV che si ipotizzava fosse opera dell’abate Ingulf († 1109) nel quale si narra che s. Alfreda o Eteldreda sarebbe stata fidanzata di Etelberto, re dell’Anglia Orientale (altro regno fondato dagli Angli), il quale fu assassinato (794) sembra da Offa.
L’omicidio è documentato, ad ogni modo dopo la sua morte, la fidanzata Alfreda come volesse riparare al violento delitto, si ritirò nella badia di Crowland nello Yorkshire, nell’Inghilterra nord-orientale, dove occupò una cella da reclusa, nella parte meridionale della chiesa, presso l’altare maggiore.
Nella suddetta abbazia di Crowland, trovò rifugio per quattro mesi nell’827, suo cognato Wiglaf re di Mercia, che era stato sconfitto da Egbert re del Wessex, altra regione della futura Inghilterra.
Nell’830 Wiglaf riconquistò il regno e volle ricambiare l’ospitalità ricevuta, confermando alla badia tutti i possedimenti, nello stesso tempo esaltò la santità della cognata, lì reclusa.
Alfreda morì dopo l’833; le sue reliquie vennero distrutte quando nell’870, l’abbazia fu saccheggiata dai Danesi. La sua festa è celebrata al 2 agosto.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:50

San Basilio il Benedetto Taumaturgo russo

2 agosto

1468 - 1552

Basilio nacque nel dicembre 1468 da genitori contadini, in un sobborgo alla periferia di Mosca, fu avviato al mestiere di calzolaio, ma già da fanciullo dimostrò di apprezzare la preghiera solitaria e la vita ascetica. A16 anni predisse la morte di un uomo e a quel punto lasciò la bottega per intraprendere una vita da «folle per Cristo». Trascorreva le giornate nelle strade di Mosca in mezzo alla folla, seminudo e scalzo in tutte le stagioni, rimproverando i viziosi ed esortando tutti a praticare la verità e il bene, e passava le notti sulle soglie delle chiese, penitente per i peccati degli uomini. L'ammirazione popolare per Basilio indusse lo zar Ivan il Terribile ad invitarlo a corte. Nonostante Basilio lo rimproverasse continuamente per i suoi comportamenti sanguinari, Ivan il Terribile portò per lui una profonda venerazione. Basilio morì a 88 anni il 2 agosto 1557; ai funerali partecipò una folla immensa con il patriarca di Mosca, Macario; lo stesso zar portò a spalla il feretro fino alla Piazza Rossa nella cattedrale poi intitolata a Basilio il Benedetto. (Avvenire)


Il culto per s. Basilio il Grande vescovo di Cesarea del IV secolo, Dottore della Chiesa, è sin dall’antichità molto diffuso nei Paesi Orientali compresa la Russia.
Ma il più grande tempio, famosissimo, eretto a Mosca nel 1555-60 sulla odierna Piazza Rossa, adiacente il Cremlino, dedicato a s. Basilio, non tutti sanno che si tratta di un altro santo omonimo, tipicamente russo, conosciuto come san Basilio il Benedetto.
Egli è anche chiamato il Beato o il Buono e appartiene a quella ristretta categoria di quasi eremiti venerati nella Chiesa russa, chiamati “folli per Cristo”, penitenti che spogli di tutto, avevano comportamenti stravaganti non facilmente comprensibili, senza casa, vivevano di elemosine, seminudi e scalzi in tutte le stagioni, avevano però un carisma che attirava il rispetto della gente, pregavano, quando occorreva rimproveravano i viziosi e gli ingiusti, avevano spesso il dono della profezia.
Basilio nacque nel dicembre 1468 da genitori contadini, in un sobborgo alla periferia di Mosca, fu avviato al mestiere di calzolaio, ma già da fanciullo dimostrò di apprezzare la preghiera solitaria e man mano che cresceva, preferiva la vita ascetica, desideroso di arricchirsi di doni spirituali.
Già a 16 anni mentre era nel negozio di calzolaio, si mise a ridere alla richiesta di un cliente facoltoso che ordinava scarpe che dovevano durare svariati anni, interrogato dal padrone del perché del suo ridere, rispose: ”Mi sembra strano che quel signore ordini delle scarpe per alcuni anni, dato che morirà domani”.
La sua predizione si avverò e a quel punto il giovane Basilio non volle rimanere più nella bottega del calzolaio, sentendosi chiamato alla vita di “folle per Cristo”.
Trascorreva le giornate nelle strade e piazze di Mosca in mezzo alla folla vociante e cercava la compagnia dei mendicanti e dei disgraziati. Qualche volta accettava l’ospitalità della vedova boiara Stefanida Jurlova, ma le notti le passava sulle soglie delle chiese, lacrimando per i peccati degli uomini.
In tutte le stagioni camminava seminudo e scalzo fingendo di essere muto; affermava di continuo: “Se l’inverno è atroce, il paradiso è dolce”. Condusse questo genere di vita fino alla morte, rimproverando i viziosi, esortando tutti a praticare la verità e il bene.
Si comportava a volte proprio come un pazzo, rovesciando le bancarelle del mercato del pane e le brocche del ‘kvas’ (bevanda fermentata russa), suscitando le ire dei venditori, i quali lo percuotevano e lui accettava tutto con gioia ringraziando Dio; più in seguito si comprese il motivo di ciò, i prodotti erano preparati con sostanze pericolose e il ‘kvas’ non era genuino.
Compì un giorno un gesto sacrilego, distrusse l’icona della Madonna venerata presso la Porta S. Barbara a Mosca, il motivo era che solo lui riusciva a vedere, dipinta sotto l’immagine di Maria, quella del demonio.
L’ammirazione popolare per Basilio cresceva di giorno in giorno come uomo di Dio e castigatore di costumi perversi, veniva considerato successore di Massimo altro “folle per Cristo” morto 50 anni prima e venerato in tutta la città.
La sua fama di santità raggiunse anche la corte, infatti lo zar Ivan il Terribile, volle provare se Basilio si facesse corrompere dall’oro; lo convocò a corte, lo rivestì di splendidi vestiti e gli regalò dei lingotti d’oro, poi lo fece seguire per osservare il suo comportamento. Questi lasciato il palazzo reale, si recò sulla Piazza Rossa per consegnare l’oro ad un commerciante straniero, meravigliato di ciò lo zar chiese spiegazioni del perché avesse dato l’oro ad un ricco invece che ai poveri e Basilio rispose: “Quel commerciante era molto ricco, ma la sua flotta affondò lasciandogli come sola ricchezza il lussuoso vestito che portava addosso, da tre giorni non mangiava e vestito così si vergognava di chiedere l’elemosina, mentre i poveri non arrossiscono e riescono a procurarsi il necessario”.
Nonostante che rimproverasse continuamente lo zar per i suoi comportamenti sanguinari, Ivan il Terribile portò per lui una profonda venerazione, lo andò perfino a visitare insieme alla famiglia quando Basilio fu affetto da grave malattia. Il prevedere l’avvenire fu uno dei doni carismatici di cui fu rivestito e questo lo portò ad essere fortemente venerato sia dal popolo, che dai potenti; nonostante la vita di stenti che condusse, Basilio “il folle di Cristo”, visse fino agli 88 anni, morendo il 2 agosto 1557; ai funerali partecipò una folla immensa con il patriarca di Mosca, Macario; lo stesso zar portò a spalla il feretro fino alla chiesa eretta nella Piazza Rossa in onore della Protezione della Madre di Dio. Il popolo cambiò il nome alla cattedrale chiamandola appunto di S. Basilio il Benedetto; dopo la morte cominciarono ad avvenire numerosi miracoli e fu subito venerato dai fedeli, la Chiesa russa lo annoverò fra i suoi santi nel 1588.
Fino allo scoppio della rivoluzione bolscevica, le reliquie si trovavano nella cattedrale di Mosca, di cui s. Basilio è patrono. La festa liturgica è celebrata il 2 agosto e una volta veniva fatta alla presenza dello zar.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:50

San Betario di Chartres Vescovo

2 agosto

Martirologio Romano: A Chartres in Neustria, sempre in Francia, san Betario, vescovo.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:51

Santa Centolla Martire

2 agosto

Martirologio Romano: Nel territorio di Burgos in Spagna, santa Centolla, martire.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:52

Sant' Eusebio di Vercelli Vescovo

2 agosto - Memoria Facoltativa

Sardegna, inizio IV secolo - Vercelli, 1 agosto 371/372

Il primo vescovo del Piemonte nacque in Sardegna tra la fine del III e l'inizio del IV secolo. Durante gli studi ecclesiastici a Roma si fece apprezzare da papa Giulio I che verso il 345 lo nominò vescovo di Vercelli. Qui stabilì per sé e per i suoi preti l'obbligo della vita in comune, collegando l'evangelizzazione con lo stile monastico. I vercellesi vennero conquistati dalla sua arte oratoria: non solo parlava bene, ma esprimeva ciò che sentiva dentro. Si attirò così l'ostilità degli ariani e dello stesso imperatore Costanzo che lo mandò in esilio in Asia insieme a Dionigi, vescovo di Milano. Venne torturato, soffrì la fame, ma nel 362 ebbe finalmente la fortuna di ritornare a Vercelli. Riprese l'evangelizzazione delle campagne, istituendo la diocesi di Tortona. Ma si spinse anche in Gallia, insediando un vescovo a Embrun. La tradizione lo considera anche fondatore di due noti santuari: quello di Oropa (Biella) e di Crea (Alessandria). Nel 371 la morte lo colse nella sua città episcopale, che ne custodisce tuttora le reliquie nel Duomo. (Avvenire)

Patronato: Vercelli, Regione Pastorale Piemontese

Etimologia: Eusebio = uomo pio, timorato di Dio, dal greco

Emblema: Bastone pastorale, Mitra

Martirologio Romano: Sant’Eusebio, primo vescovo di Vercelli, che consolidò la Chiesa in tutta la regione subalpina e per aver confessato la fede di Nicea fu relegato dall’imperatore Costanzo a Scitopoli e poi in Cappadocia e nella Tebaide. Ritornato otto anni più tardi nella sua sede, si adoperò strenuamente per ristabilire la fede contro l’eresia ariana.
(1 agosto: A Vercelli, anniversario della morte di sant’Eusebio, vescovo, la cui memoria si celebra domani).

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Arriva in gioventù dalla nativa Sardegna a Roma, segue gli studi ecclesiastici e si fa apprezzare da papa Giulio I, che verso il 345 lo nomina vescovo di Vercelli: è il primo vescovo del Piemonte. Qui stabilisce per sé e per i suoi preti l’obbligo della vita in comune, collegando l’evangelizzazione con lo stile monastico. Ora i cristiani, non più perseguitati, cominciano a litigare tra loro: da una parte, quelli che seguono la dottrina del concilio di Nicea (325) sul Figlio di Dio, "generato, non creato, della stessa sostanza del Padre"; dall’altra, i seguaci dell’arianesimo, che nel Figlio vede una creatura, per quanto eminente. Con l’appoggio della corte imperiale, gli ariani hanno il sopravvento in molte regioni, e faranno esiliare per cinque volte il più energico sostenitore della dottrina nicena: Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, ammirato da Eusebio che l’ha conosciuto a Roma.
Annullato il secondo suo esilio, un concilio ad Arles (Francia), con decisione illegale, condanna Atanasio per la terza volta. Allora il papa Liberio manda all’imperatore Costanzo (figlio di Costanzo il Grande) appunto Eusebio, già suo compagno di studi, con Lucifero, vescovo di Cagliari. Ed essi ottengono di rimettere la questione a un nuovo concilio, che si riunisce nel 355 a Milano, dove viene anche il sovrano. E subito si riparla di condannare ed esiliare Atanasio. Replica lucidamente Eusebio: prima di esaminare i casi personali, mettiamoci piuttosto tutti d’accordo sui problemi generali di fede, firmando uno per uno il Credo di Nicea. Una proposta ragionevole, che però scatena il tumulto tra i vescovi e un altro tumulto dei fedeli contro i vescovi. Costanzo fa proseguire i lavori nella residenza imperiale (senza i fedeli) e tutti approvano la ri-condanna di Atanasio. Tutti meno tre: Eusebio, Lucifero, e Dionigi, vescovo di Milano. Questi non cedono, e Costanzo li esilia.
Eusebio viene mandato a Scitopoli di Palestina, e di lì scrive ai suoi vercellesi una lettera giunta fino a noi. Poi è trasferito in Cappadocia (Asia Minore) e poi nella Tebaide egiziana. Nel 361, morto l’imperatore Costanzo, si revocano le condanne: Atanasio torna ad Alessandria e indice un concilio, presente anche Eusebio, che poi però non torna subito a Vercelli: lo chiamano ad Antiochia di Siria, dove l’estremismo del vescovo Lucifero fa litigare i cattolici tra di loro. Ritrova infine Vercelli nel 362. Studia, scrive, riprende l’evangelizzazione delle campagne, istituisce la diocesi di Tortona. Ma si spinge anche in Gallia, insediando un vescovo a Embrun. La tradizione lo considera pure fondatore di due illustri santuari: quello di Oropa (Biella) e di Crea (Alessandria). La morte lo coglie nella sua città episcopale, che ne custodisce tuttora le reliquie nel Duomo, ricordandolo anche a fine XX secolo col nome del giornale della diocesi: L’Eusebiano.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:53

Beato Federico Campisani Eremita

2 agosto

Siracusa, 1250/1260 - 2 agosto 1335


Il Beato Federico nacque a Siracusa dalla nobile famiglia dei Campisano tra il 1250 e il 1260.
Sin da ragazzo fu attratto dall’ascolto della Parola di Dio e appena poté, vestì l’abito francescano come penitente.
Si ritirò eremita solitario nella Penisola della Maddalena, chiamata così da una chiesetta intitolata alla santa penitente che poi divenne il luogo ove visse il beato Federico, nella zona del Plemmirio in Contrada Isola. Con la visione dell’immenso mare e della mitica Ortigia, visse una vita piena di virtù e densa per i miracoli che avvenivano per sua intercessione; si racconta della liberazione dal demonio di vari ossessi, guarigioni da varie infermità e della risuscitazione di un morto, ebbe il dono della profezia.
Il 2 agosto 1335, il solitario della Maddalena si addormentò nel Signore, pieno di meriti e fra il compianto di quanti a lui ricorrevano per il soccorso del corpo e dello spirito.
Il primo processo canonico nel 1336 fu voluto dal vescovo di Siracusa Pietro De Montecateno; nel 1761 il vescovo Giuseppe Antonio De Requesens ne dispose la ricognizione canonica delle reliquie.
La devozione e il culto per il beato Federico ha avuto alti e bassi nel corso dei secoli, è riaffiorata nei nostri tempi, quasi a volerci indicare la strada della perfezione da ricercare nel silenzio, oggi talmente difficile con i ritmi e il frastuono della vita moderna. Ma se si riuscirà a creare il silenzio intorno a noi, ritornerà la contemplazione della natura e saremo ancora in grado di ascoltare la Parola di Dio.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:53

Beati Filippo di Gesù Munarriz Azcona, Giovanni Diaz Nosti e Leonzio Perez Ramos Martiri

2 agosto

Martirologio Romano: A Barbastro sempre in Spagna, beati Filippo di Gesù Munárriz Azcona, Giovanni Díaz Nosti e Leonzio Pérez Ramos, sacerdoti Missionari Figli del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria e martiri, fucilati dai miliziani alle porte del cimitero durante la persecuzione contro la Chiesa in odio alla vita religiosa.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:54

Beato Francesco Calvo Burillo Sacerdote domenicano, martire

2 agosto

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Híjar, Spagna, 21 novembre 1881 - 2 agosto 1936

Martirologio Romano: Nel villaggio di Híjar vicino a Teruel in Spagna, beato Francesco Calvo Burillo, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e martire, che patì il martirio nel corso della medesima persecuzione contro la fede.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:55

Beato Francesco Tomas Serer Sacerdote e martire

2 agosto

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Martirologio Romano: A Madrid sempre in Spagna, beato Francesco Tomás Serer, sacerdote del Terz’Ordine di San Francesco degli Incappucciati della beata Vergine Addolorata e martire, che nella stessa persecuzione meritò di versare il sangue per Cristo.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:55

Beata Giovanna d'Aza Madre di S. Domenico

2 agosto

Aza (Spagna), 1140 circa – Caleruega (Spagna), 1190/1200 circa

Discendente della nobiltà castigliana, nata ad Aza, vide i suoi tre figli ascendere l’altare: Antonio, Mannes e Domenico. Quest’ultimo sembra aver occupato un posto di predilezione nel suo cuore: fu ottenuto e atteso nella più fervorosa preghiera, preannunziato alla mamma come un fremente segugio che stringe fra i denti una fiaccola con la quale illuminerà e incendierà il mondo. Giovanna morì a Caleruega intorno al 1200.

Martirologio Romano: A Caleruega sempre nella Castiglia, commemorazione della beata Giovanna, madre di san Domenico, che, piena di fede, usò grande misericordia verso i miseri e gli afflitti.


La Chiesa ci presenta svariate figure di sante madri spesso associate al culto di uno o più figli: è per esempio il caso degli imperatori Elena e Costantino I il Grande ed Irene e Costantino VI, nonchè di Monica e del celebre Agostino d’Ippona, Bianca di Castiglia e Luigi IX di Francia, Margherita Occhiena e Giovanni Bosco. Il caso preso oggi in considerazione è assai simile a quest’ultimo, in quanto trattasi della madre di un grande fondatore, San Domenico.
Giovanna fu dunque santa ma al tempo stesso madre di santi, ispiratrice di santità. Nacque ad Aza nel 1140 circa, discendente della nobiltà castigliana, figlia del Gran Maresciallo di Castiglia Don Garcia d’Aza, tutore del Re Alfonso VIII. Andò in sposa a Felice di Guzman, Governatore del borgo di Galaruega, e da questa unione nacquero ben tre figli che poi presero tutti la via del sacerdozio. Il primo, Antonio, dedicò l’intera sua vita al servizio dei malati in un ospedale. Il secondo, il beato Mannes, è invece colui che avrebbe poi cooperato con il fratello minore. Quest’ultmo, il grande patriarca San Domenico, terzo ed ultimo figlio, nacque il 24 giugno 1170, venne a rallegrare l’animo di Giovanna che, non più giovanissima, aveva fatto un pellegrinaggio all’abbazia benedettina di Silos per invocare sulla tomba del fondatore, San Domenico di Silos, protettore delle par¬torienti, la grazia di un altro figlio che per¬petuasse il nome della famiglia.
Ma il Signore concede sempre infinitamente più di quanto gli venga chiesto e volle perciò così darle attraverso Domenico una posterità assai più gloriosa di quella sanguinea. Fon¬dò infatti l’Ordine dei Frati Predicatori e, mar¬tello degli eretici e colonna della Chiesa medioevale, fu “santo atleta” della fede cri¬stiana, come amò definirlo Dante. Ma anche entrambi i genitori di Domenico meritarono di essere citati da Dante
nel dodicesimo canto del “Paradiso”: “Oh padre suo veramente Felice! Oh madre sua veramente Giovanna, Se, interpretata, val come si dice!”. Quest’ultima esclamazione allude all’etimologia ebraica del nome Giovanni/a che significa “il Signore è la sua grazia”. La madre di Domenico, secondo Dante, fu dunque veramente “Gio¬vanna”, perché trovò pienamente la propria gra¬zia nel Signore che le fece dono di tale figlio.
Proprio mentre Giovanna era in attesa di Domenico, sognò una notte di portare nel grembo un cane, che poi fuggì da lei tenendo tra i denti una torcia accesa. La madrina invece vide il futuro figlioccio con una stella sulla fronte. All’insaputa delle due il cane simboleggiava la fedeltà e la torcia l’ar¬dore della carità con la quale San Domenico avrebbe incendiato il mondo, mentre la stella significava lo splendore della verità con cui il nascituro avrebbe ri¬schiarato le menti offuscate dall’errore. Il cane, la torcia e la stella divennero così i simboli di San Domenico e dei frati dell’ordine da lui fondato, vestiti di bian¬co e nero, cani fedeli a Dio, segugi dell’er¬rore.
Giovanna si dimostrò sempre quale angelo tutelare della sua casa: prima maestra dei figli, li educò alla santità e ad una vita virtuosa. Avviò Domenico alla formazione intellettuale ed alla perfezione spirituale, affidandolo ancora bambino ad un suo fratello arciprete. Nonostante ella avesse sperato di poter coccolare un nipo¬tino, non si oppose al di¬segno della Provvidenza ed assecondò i precocissimi segni della vocazione del figlio. Dio non tardò a mostrarle gli splendidi frutti di quei semi da lei piantati nei loro cuori con tanto amore. Ma dopo i figli, ecco comparire i poveri al secondo posto nei confronti dei quali ebbe le più affettuose cure, a tal punto che a volte capitò di vedere miracolosamente moltiplicate le sue elemosine quando non erano sufficienti. Questi straordinari segni della Divina Provvidenza dimostrarono agli occhi di tutti l’altezza di perfezione e d’intimità con Dio a cui era giunta Giovanna.
Per il resto non si posseggono ulteriori dettaagliate notizie storiche sulla vita di questa donna. Quando morì a Calaruega, tra il 1190 ed il 1200, suo figlio Domenico si era ormai al¬lontanato da lei proprio come il cane del sogno, ma la sua torcia luminosa cominciava a risplendere nel mondo. I malati, i poveri e gli afflitti presero a rivolgersi spontaneamente a lei invocandola come una santa ai piedi delle sue reliquie, conservate nella chiesa parrocchiale, ed ottenendo così grazie e protezione. Il pontefice Leone XII confermò il culto “ab Immemorabili” della Beata Giovanna d’Aza il 1° ottobre 1828. Con la nuova legislazione in materia di canonizzazioni, la beata madre di San Domenico potrà essere riconosciuta come “santa” e proposta alla venerazione ed all’imitazione delle spose di tutto il mondo, cosiccome le sue beate compatriote Beatrice de Suabia, moglie del re San Ferdinando III, e Maria Toribia de la Cabeza, moglie di Sant’Isidoro l’Agricoltore.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:56

Beato Giustino Maria Russolillo Sacerdote e fondatore

2 agosto

Pianura - Napoli, 18 gennaio 1891 - 2 agosto 1955

Il venerabile Giustino Maria Russolillo, nacque a Pianura, oggi quartiere occidentale di Napoli, ma in quel tempo Comune autonomo, il 18 gennaio 1891, il padre Luigi era muratore, la madre Giuseppina Simpatia casalinga.
Da ragazzo studiò con le zie paterne, poi entrò nel Seminario di Pozzuoli per gli studi liceali, proseguendoli poi con quelli teologici nel Pontificio Seminario Campano di Napoli (1911-1913).
Ancora seminarista cominciò a pensare alla realizzazione di un Istituto religioso a carattere vocazionale, per il quale cominciò a stendere anche le Costituzioni. Ordinato sacerdote il 20 settembre 1913, prese a dedicarsi con generosità all’apostolato, specie all’insegnamento del catechismo ai fanciulli di Pianura.
Pieno di fervore sacerdotale, tentò anche un esperimento di vita comune con alcuni giovani del paese, che più chiaramente erano orientati alla vita sacerdotale; ma l’iniziativa non venne accettata dal vescovo di Pozzuoli nella cui diocesi si trovava e si trova tuttora Pianura, il quale la proibì.
Dopo aver partecipato nei reparti sanitari, alla Prima Guerra Mondiale, ritornato a Pianura, vide lentamente realizzarsi i suoi progetti.
Il 1° febbraio 1919 veniva riconosciuta la Pia Unione delle Divine Vocazioni, che accoglieva le fanciulle del paese, che aspiravano alla vita religiosa, con la guida di Rachela Marrone, sua collaboratrice. Ad esse spettò il compito dell’istruzione religiosa dei fanciulli; di animare l’apostolato missionario e di collaborare alla nascente e parallela Opera maschile.
Il 18 ottobre 1920 il vescovo di Pozzuoli, mons. Ragosta diede il consenso di riprendere la vita in comune dei giovani, questa volta nella casa canonica della parrocchia di S. Giorgio, dove don Giustino Maria Russolillo, era stato nominato parroco da pochi mesi.
Così nasceva la Società delle Divine Vocazioni, che ebbe un rapido sviluppo nei due rami dell’Opera, il vescovo mons. Petrone firmò il decreto di erezione canonica diocesana, il 26 maggio 1927. Nonostante gli ulteriori progressi e la apertura di nuove Case anche oltre Oceano, i due rami dei Vocazionisti (come saranno chiamati i padri e le suore) dovettero affrontare numerose e serie difficoltà, prima di ottenere l’approvazione pontificia.
L’Opera dovette subire due severe visite canoniche, una nel 1941 dal padre Raffele Baldini dei Servi di Maria e l’altra nel 1945 dal padre Serafino Cuomo francescano. Ma poi la luce poté risplendere liberamente e il 3 gennaio 1948, il sospirato riconoscimento pontificio, finalmente giunse.
Don Giustino guidò le sue Congregazioni infondendo nei suoi figli e figlie, una spiritualità ed un carisma che ruotano intorno al suo motto: “Fatti santo”; ad un giovane diceva: “Fatti santo davvero, che tutto il resto è zero”.
In tempi in cui la santità era ancora un traguardo riservato solo ad alcune categorie di persone, agli aristocratici dello spirito, agli addetti ai lavori, come si suol dire, don Giustino seppe cogliere i segni dei tempi, si fece promotore e sostenitore convinto, del movimento della santificazione universale, che allora nasceva in Europa.
Dall’Associazione da lui fondata è nato poi l’Istituto secolare delle “Apostole Vocazioniste della Santificazione Universale” che secondo il carisma del fondatore, ha come scopo principale la santificazione dei suoi membri e di tutto il popolo di Dio; esse come Vocazioniste collaborano con i padri e le suore nella pastorale vocazionale, estendendo da consacrate laiche, la loro opera nel sociale, facendosi compagne di viaggio degli anziani, delle persone sole ed abbandonate, dei sofferenti.
Padre Giustino Maria Russolillo oltre a guidare le sue Famiglie religiose, portò avanti con zelo, il compito di parroco della chiesa di S. Giorgio martire per oltre 30 anni, parrocchia che è considerata la culla dell’Opera Vocazionista.
Morì a Pianura il 2 agosto 1955 e il 14 aprile 1956 le sue spoglie furono solennemente tumulate nella Casa-madre dei Vocazionisti di Pianura.
Il 18 gennaio 1980 fu aperto a Napoli il processo per la sua beatificazione; la Congregazione delle Cause dei Santi, ha riconosciuto le sue virtù, dandogli il titolo di venerabile, il 18 dicembre 1997.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:57

Sant' Habib Figlio di Gamaliele il Vecchio

2 agosto

Kefar-Gamla (Gerusalemme) - I secolo


Il suo nome e il successivo culto, è legato al racconto fatto da Luciano, sacerdote del villaggio di Kefar-Gamla, distante una ventina di miglia a nord di Gerusalemme, il quale ebbe in sogno, per ben tre volte, specificando anche le date, cioè il 3, il 10 e il 17 dicembre 415, l’apparizione di Gamaliele il Vecchio.
L’antico maestro di s. Paolo, che allora si chiamava Saulo, lo invitava ad adoperarsi, perché fossero dati i dovuti onori ai resti del protomartire s. Stefano, che si trovavano sepolti nel territorio dello stesso villaggio.
Infatti dopo il martirio, per ordine del sommo sacerdote, il corpo del martire fu gettato tra i rifiuti, ma Gamaliele lo fece raccogliere e portare nella sua proprietà di Kefar-Gamla in un sepolcro nuovo. Sempre nei sogni il vecchio Gamaliele rivelava a Luciano, che nel sepolcro stesso vi erano anche i resti del suo corpo, di suo figlio Habib e quelli di Nicodemo, membro del Sinedrio, che convertitosi al cristianesimo, dovette lasciare la carica e rifugiarsi nella sua casa di campagna, dove poi morì e venne sepolto vicino al santo protomartire.
Contemporaneamente, sempre in sogno, Gamaliele rivelava al monaco Megezio il luogo preciso del sepolcro, mentre il sacerdote Luciano avvertiva del sogno il vescovo Giovanni. Effettivamente, individuato il sepolcro e sollevata la pietra tombale con incisi in greco quattro nomi ebraici, si trovarono i corpi, presente anche il vescovo Giovanni.
Su invito di s. Avito di Braga, il sacerdote Luciano scrisse il racconto delle rivelazioni, che lo stesso Avito tradusse dal greco al latino e che ebbe poi una larga diffusione e senza nessuna contraddizione; la devozione per s. Stefano si diffuse in tutta la Chiesa e le sue reliquie vennero chieste dovunque, con numerosissimi miracoli dovuti alla sua intercessione.
Questo racconto portò dovunque, oltre i nomi già conosciuti di Gamaliele e Nicodemo, anche quello di Habib (Abibo, Abibas, Abibabel). Secondo il già citato racconto, Habib sarebbe stato il secondo figlio prediletto dell’esponente del Sinedrio Gamaliele e compagno di Saulo, quando questi era alla scuola di Gamaliele; convertitosi insieme al padre al cristianesimo, sarebbe stato battezzato dagli apostoli, mentre il fratello maggiore e la madre, rimasti fedeli al giudaismo, sarebbero andati a vivere da soli in una proprietà di quest’ultima.
Rimasto solo con il padre, Habib gli premorì appena ventenne; nel sogno Gamaliele indicava il sepolcro del figlio con la visione di un cestello argenteo, contenente fiori di zafferano esalanti un soave profumo, simbolo del candore e della verginità di Habib.
Al tempo delle crociate, come attestano alcune iscrizioni, le reliquie di Habib, Gamaliele e Nicodemo, furono portate a Pisa ed esposte alla venerazione dei fedeli nella cattedrale della città.
I tre santi, dopo il racconto di Luciano, vennero ricordati ovunque nei Martirologi, nella ricorrenza dell’invenzione delle reliquie di s. Stefano, che aveva comunque date diverse, secondo i vari Martirologi, maggiormente al 2 agosto. Dal 1961 tale ricorrenza fu abolita ed i tre santi hanno una menzione propria a volte da soli, a volte accomunati fra loro.

Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:57

San Massimo di Padova Vescovo

2 agosto

Martirologio Romano: A Padova, san Massimo, vescovo, che si ritiene sia succeduto a san Prosdócimo.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:58

Perdono di Assisi (Indulgenza della Porziuncola)

2 agosto

 

La maestosa Basilica di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola, costruita su interessamento di S. Pio V a partire dal 1569 e che sorge a circa 4 chilometri da Assisi, racchiude tra le sue mura l’antica cappella della Porziuncola, legata alla memoria di S. Francesco d’Assisi, essendo la stessa culla degli ordini francescani.
Oggi, essa sulla sua facciata ha un affresco raffigurante l’istituzione del Perdono di Assisi, opera di G. F. Overbek di Lubecca (1829-1830), il quale ha così voluto decorare quell’insigne luogo. Le volte annerite, le pareti sobrie con tracce di affreschi del XIV sec., all’interno, creano un ambiente suggestivo che invita alla preghiera. Dietro l’altare vi è uno splendido polittico, con fondo in oro del prete Ilario da Viterbo (1393), nel cui centro è raffigurata “L’Annunciazione” e nei riquadri circostanti episodi della vita di S. Francesco in relazione sempre alla concessione dell’indulgenza del Perdono.
Il santo pontefice Pio X ha elevato la Chiesa di S. Maria degli Angeli alla dignità di Basilica Patriarcale, con Cappella Papale e le ha confermato il titolo di “Capo e Madre di tutto l'Ordine dei Frati Minori”.
E non poteva essere diversamente, visto il grande affetto che Francesco nutriva per questo posto. Il Santo fissò “qui la sua dimora - dice S. Bonaventura nella “Legenda Major” - per la riverenza che aveva verso gli Angeli e per il grande amore alla Madre di Cristo”, cui la chiesina era dedicata (Leg Maj III, 1).
Lo stesso Poverello – racconta il suo biografo Tommaso da Celano – raccomandava ai suoi frati: “Guardatevi dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte, rientratevi dall’altra, perché questo è luogo santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravamo pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicato; qui ha illuminato con la sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che ha chiesto, e chi lo profanerà sarà maggiormente punito. Perciò, figli miei, stimate degno di ogni onore questo luogo, dimora di Dio, e con tutto il vostro cuore, con voce esultante, qui, inneggiate al Signore” (1 Cel. 106:503).
In questa umile chiesa, già appartenuta ai monaci benedettini di Subasio e restaurata dallo stesso Poverello, fu fondato l’Ordine dei Frati Minori (nel 1209). Qui, nella notte tra il 27 e 28 marzo 1211, Chiara di Favarone di Offreduccio ricevette dal Santo l'abito religioso, dando origine all’ordine della Clarisse. Nella Porziuncola, nell’anno 1221, si riunì il famoso “Capitolo delle stuoie”, al quale presero parte ben cinquemila frati, provenienti da ogni parte d'Europa, per pregare, ragionare della salute dell'anima e per discutere la nuova Regola francescana. Sempre qui Francesco piamente spirò, steso sulla nuda terra, al tramonto del 3 ottobre 1226.
Ancora in tale santo luogo, il Santo d’Assisi ebbe la divina ispirazione di chiedere al papa l’indulgenza che fu poi detta, appunto, della Porziuncola o Grande Perdono, la cui festa si celebra il 2 agosto.
È il Diploma di fr. Teobaldo, vescovo di Assisi, uno dei documenti più diffusi, a riferirlo.
S. Francesco, in una imprecisata notte del luglio 1216, mentre se ne stava in ginocchio innanzi al piccolo altare della Porziuncola, immerso in preghiera, vide all’improvviso uno sfolgorante chiarore rischiarare le pareti dell’umile chiesa.
Seduti in trono, circondati da uno stuolo di angeli, apparvero, in una luce sfavillante, Gesù e Maria. Il Redentore chiese al suo Servo quale grazia desiderasse per il bene degli uomini.
S. Francesco umilmente rispose: “Poiché è un misero peccatore che Ti parla, o Dio misericordioso, egli Ti domanda pietà per i suoi fratelli peccatori; e tutti coloro i quali, pentiti, varcheranno le soglie di questo luogo, abbiano da te o Signore, che vedi i loro tormenti, il perdono delle colpe commesse”.
“Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande - gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza”.
Era l’Indulgenza del Perdono.
Alle prime luci dell’alba, quindi, il Santo d’Assisi, prendendo con sé solo frate Masseo di Marignano, si diresse verso Perugia, dove allora si trovava il Papa. Sedeva sul soglio di Pietro, dopo la morte del grande Innocenzo III, papa Onorio III, uomo anziano ma molto buono e pio, che aveva dato ciò che aveva ai poveri.
Il Pontefice, ascoltato il racconto della visione dalla bocca del Poverello di Assisi, chiese per quanti anni domandasse quest’indulgenza. Francesco rispose che egli chiedeva “non anni, ma anime” e che voleva “che chiunque verrà a questa chiesa confessato e contrito, sia assolto da tutti i suoi peccati, da colpa e da pena, in cielo e in terra, dal dì del battesimo infino al dì e all’ora ch’entrerà nella detta chiesa”.
Si trattava di una richiesta inusitata, visto che una tale indulgenza si era soliti concederla soltanto per coloro che prendevano la Croce per la liberazione del Santo Sepolcro, divenendo crociati.
Il papa, infatti, fece notare al Poverello che “Non è usanza della corte romana accordare un’indulgenza simile”. Francesco ribatté: “Quello che io domando, non è da parte mia, ma da parte di Colui che mi ha mandato, cioè il Signore nostro Gesù Cristo”.
Nonostante, quindi, l’opposizione della Curia, il pontefice gli accordò quanto richiedeva (“Piace a Noi che tu l’abbia”).
Sul punto di accomiatarsi, il pontefice chiese a Francesco – felice per la concessione ottenuta – dove andasse “senza un documento” che attestasse quanto ottenuto. “Santo Padre, - rispose il Santo - a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l'opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni”.
L’indulgenza fu ottenuta, quindi, “vivae vocis oraculo”.
Il 2 agosto 1216, dinanzi una grande folla, S. Francesco, alla presenza dei vescovi dell’Umbria (Assisi, Perugina, Todi, Spoleto, Nocera, Gubbio e Foligno), con l’animo colmo di gioia, promulgò il Grande Perdono, per ogni anno, in quella data, per chi, pellegrino e pentito, avesse varcato le soglie del tempietto francescano.
Tale indulgenza è lucrabile, per sé o per le anime del Purgatorio, da tutti i fedeli quotidianamente, per una sola volta al giorno, per tutto l’anno in quel santo luogo e, per una volta sola, dal mezzogiorno del 1° agosto alla mezzanotte del giorno seguente, oppure, con il consenso dell’Ordinario del luogo, nella domenica precedente o successiva (a decorrere dal mezzogiorno del sabato sino alla mezzanotte della domenica), visitando una qualsiasi altra chiesa francescana o basilica minore o chiesa cattedrale o parrocchiale.
Nel 1279, il frate Pietro di Giovanni Olivi scriveva che “essa indulgenza è di grande utilità al popolo che è spinto così alla confessione, contrizione ed emendazione dei peccati, proprio nel luogo dove, attraverso san Francesco e Santa Chiara, fu rivelato lo stato di vita evangelica adatto a questi tempi”.
Nel 1303, Perugia, città che aveva avuto l’onore di ospitare in più occasioni la curia papale, ricevette dal pontefice Benedetto XI (1302-1304), ancora solo “vivae vocis oracolo”, un’indulgenza “ad instar Portiuncule”, cioè plenaria come quella della Porziuncola.
La diffusione del movimento francescano contribuì anche all'espansione dell’indulgenza legata al Perdono di Assisi, tanto che divenne una pratica consolidata in tutta la cristianità.
Paolo VI, nel riordinare le indulgenze, nella Costituzione Apostolica “Indulgentiarum doctrina” del 1° gennaio 1967, chiariva che “l’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi” (Norme n. 1). Prescriveva, ancora, che “l’indulgenza plenaria può essere acquistata una sola volta al giorno … Per acquistare l’indulgenza plenaria è necessario eseguire l’opera indulgenziata ed adempiere tre condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del sommo pontefice (almeno un Padre nostro, un Ave ed un Gloria al Padre, ndr). Si richiede inoltre che sia escluso qualsiasi affetto al peccato anche veniale” (Norme nn. 6 e 7).
Ed, infine, stabiliva che “nelle chiese parrocchiali si può lucrare inoltre l’indulgenza plenaria due volte all’anno, cioè nella festa del santo titolare e il 2 agosto, in cui ricorre l’indulgenza della Porziuncola, oppure in altro giorno opportunamente stabilito dall’ordinario. Le predette indulgenze si possono acquistare o nei giorni sopra stabiliti, oppure, col consenso dell’ordinario, la domenica antecedente o successiva” (Norme n. 15) e che “l’opera prescritta per lucrare l’indulgenza plenaria annessa a una chiesa o a un oratorio consiste nella devota visita di questi luoghi sacri, recitando in essi un Pater e un Credo” (Norme n. 16).
La Sacra Penitenzieria Apostolica il 29 giugno 1968 pubblicava l'“Enchiridion indulgentiarum” o “Manuale delle indulgenze” il cui par. 65, intitolato “Visitatio ecclesiae paroecialis”, statuiva che l'indulgenza plenaria al fedele che piamente visita la chiesa parrocchiale nella festa del Titolare od il giorno 2 agosto, in cui ricorre l'indulgenza della “Porziuncola”, può essere acquistata “o nel giorno sopra indicato, oppure in un altro giorno da stabilirsi dall'Ordinario secondo l'utilità dei fedeli. La chiesa cattedrale e, eventualmente, la chiesa concattedrale, anche se non sono parrocchiali, ed inoltre le chiese quasi-parrocchiali, godono delle medesime indulgenze. Nella pia visita, in conformità alla Norma 16 della Costituzione Apostolica (Indulgentiarum doctrina, ndr), il fedele deve recitare un Padre Nostro e un Credo”.
Tale disposizione è stata sostanzialmente mantenuta inalterata anche nell’attuale edizione (la quarta) dell’“Enchiridion indulgentiarum - Normae et concessiones” pubblicato il 16 luglio 1999 dalla Paenitentiaria Apostolica (conc. 33, par. 1, nn. 2°, 3°, 5°).
Nel santuario della Porziuncola, ad Assisi, invece, grazie anche ad uno speciale decreto della Penitenzeria Apostolica datato 15 luglio 1988 (Portiuncolae sacrae aedes) si può lucrare, alle medesime condizioni, durante tutto l‚anno, una sola volta al giorno.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 17:01

San Pietro di Osma Vescovo

2 agosto

Martirologio Romano: A Palencia nella Castiglia in Spagna, transito di san Pietro, vescovo di Osma, che, dapprima monaco e poi arcidiacono della Chiesa di Toledo, fu infine elevato alla sede di Osma, da poco liberata dalla dominazione dei Mori, che ricostituì con vivo zelo pastorale.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 17:02

San Pietro Giuliano Eymard Sacerdote

2 agosto - Memoria Facoltativa

La Mure d'Isère, Francia, 4 febbraio 1811 - 1 agosto 1868

Nasce a La Mure d’Isère (diocesi di Grenoble) nel 1811. Dopo aver frequentato il seminario diocesano viene ordinato sacerdote nel 1834. Nel 1839 entra nella nascente congregazione dei Padri Maristi a Lione, dove ben presto diventa il principale collaboratore del fondatore, padre Colin. Il suo ministero lo porterà nel 1851 a vivere un’intensa esperienza spirituale di devozione al Santissimo Sacramento nel santuario lionese di Fourvière. Deciso a coltivare la devozione all’Eucaristia, nel 1856 fonda la Congregazione del Santissimo Sacramento, che riceverà subito l’approvazione del vescovo diocesano e in seguito (1863) quella di papa Pio IX. Accanto all’adorazione del Santissimo i sacerdoti della crongregazione si occupano dei poveri dei quartieri periferici di Parigi e dei preti in difficoltà. Per questi religiosi anche nella formazione dei laici e nell’iniziazione degli adulti l’Eucaristia è sempre al centro della predicazione. Pietro Giuliano Eymard morirà nella terra natale nel 1868. Viene canonizzato nel 1962 e nel 1995 entra nel calendario romano come «Apostolo dell’Eucaristia». (Avvenire)

Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino

Martirologio Romano: San Pietro Giuliano Eymard, sacerdote, che, dapprima appartenente al clero diocesano e poi membro della Società di Maria, fu insigne cultore del mistero eucaristico e istituì due nuove Congregazioni, l’una maschile e l’altra femminile, per promuovere e diffondere la devozione verso il Santissimo Sacramento. Morì nel villaggio di La Mure presso Grenoble in Francia, dove era nato.
(1 agosto: Nel villaggio di La Mure nella regione dell’Isère in Francia, anniversario della morte di san Pietro Giuliano Eymard, sacerdote, la cui memoria si celebra domani).


Pietro Giuliano Eymard nasce in Francia, a La Mure d'Isère, il 4 febbraio 1811.
Dopo una travagliata vicenda familiare e vocazionale, nel 1834 viene ordinato sacerdote per la sua diocesi d'origine, Grenoble. Dopo alcuni anni di zelante ministero pastorale, nel 1839 inizia un'esperienza di vita religiosa entrando nella neonata Congregazione dei Padri Maristi, a Lione. Il suo cammino di ricerca della volontà di Dio, però, continua ancora e lo porta ad orientarsi sempre più verso l'Eucaristia, fino all'idea definitiva di fondare una Congregazione votata interamente ad essa. Non potendo realizzare quest'opera all'interno dei Maristi, Pietro Giuliano lascia l'Istituto, si reca a Parigi e qui, con l'approvazione dell'arcivescovo, il 13 maggio 1856 fonda la Congregazione del SS. Sacramento (Padri Sacramentini). Ad essa seguirà, nel 1859, la Congregazione femminile delle Ancelle del SS. Sacramento, fondata con l'aiuto di Margherita Guillot.
Il culto all'Eucaristia, celebrata e adorata, assume nel p. Eymard anche una dimensione ecclesiale e sociale, come lui stesso testimonia con il suo infaticabile apostolato rivolto ai poveri della periferia di Parigi e ai sacerdoti in difficoltà; con l'opera della prima comunione degli adulti; con vari e molteplici impegni di predicazione. Alla sua ispirazione, inoltre, si possono far risalire alcune iniziative particolari, iniziate dopo la sua morte: l'Aggregazione laicale del SS. Sacramento, l'Associazione dei Sacerdoti Adoratori, i Congressi eucaristici internazionali.
Sfinito dalle responsabilità e segnato da prove di ogni genere, soprattutto negli ultimi anni di vita, Pietro Giuliano muore nel suo paese natale a soli 57 anni, il 1° agosto 1868.
Beatificato da Pio XI nel 1925, viene proclamato Santo da Giovanni XXIII il 9 dicembre 1962. La sua memoria liturgica facoltativa, impedita nel giorno anniversario della morte dalla memoria obbligatoria di S. Alfonso, si celebra il giorno successivo: 2 agosto.

Autore: P. Flavio Fumagalli, SSS





«Buttiamo nel fiume quel prete!».Accade a Lione nel 1848, durantela rivoluzione che caccia re Luigi Filippo:rivoluzionari vocianti voglionoaffogare un sacerdote nel Rodano, ma,riconoscendolo, si fermano; tutta Lionevuol bene a quel prete, considerato unsanto: è padre Eymard, e anche la rivoluzionelo rispetta. PietroGiuliano Eymard era il piùpiccolo di dieci figli, otto deiquali morti nell’infanzia. Fragiledi salute anche lui, hadovuto abbandonare l’ideadi farsi missionario. E il padrenon lo voleva sacerdote,cosicché solo dopo la mortedi lui ha potuto entrare nelseminario di Grenoble, avent’anni. Ricevuta l’ordinazionenel 1834, sembrava destinato alruolo di sacerdote diocesano: collaboratoreparrocchiale, poi parroco, e intantocappellano delle carceri, direttore spiritualedi collegi.
A 28 anni, nel 1839, entra nella Societàdi Maria (Padri Maristi), un istitutocomposto di sacerdoti e di fratelli con ivoti, nato nel 1816 per le missioni popolariin Francia e per la formazione delclero, ma già impegnato anche nell’attivitàmissionaria in Oceania. Sono gli anniin cui tutta Lione impara a conoscerlo,per la sua capacità di dividersi tral’opera di formazione e di direzione nellasua comunità, e le minute necessitàdelle persone che gli si rivolgono, e inparticolare per i volenterosi disorientati.Alla fine, questo impegno lo “chiamafuori” anche dalla Società di Maria, doveè rimasto per 17 anni, diventandonesuperiore provinciale.
Ottenuta la dispensa daivoti, si dedica a un’impresanuova: fondare un istitutoreligioso che lavori per il rinnovamentodella vita cristiana,partendo dall’adorazionedel Sacramento eucaristico;e, anzi, facendo di essa ilmomento centrale della praticareligiosa: prima di ogni cosa vieneCristo, con il suo amore per gli uomini.Nel 1858 padre Eymard fonda a Parigila Congregazione del Santissimo Sacramento,formata da sacerdoti detti Sacramentini,e in questo lavoro lo aiuta unex ufficiale di Marina, Raimondo deCuers. Nel 1864 fa nascere, sempre a Parigi,la comunità femminile delle Ancelledel Santissimo Sacramento; e la suaprima aiutante è un’operaia da lui conosciutaa Lione, Margherita Guillot.
Attraverso i due istituti, egli può oramoltiplicare le opere di orientamentodei cristiani e di richiamo alla fede perchi se ne è allontanato: una delle iniziativein questa direzione è la “prima comunionedegli adulti”. Per alcuni anniha fatto parte delle Sacramentine ancheMaria Marta Emilia Tamisier, di Tours:un altro personaggio formato da padreEymard. Uscita poi dalla congregazionedi suore, è stata la prima organizzatricedi pellegrinaggi ai santuari eretti in memoriadi miracoli eucaristici; questiviaggi di fede, più tardi, si accompagnerannoa iniziative di studio, e darannoinfine vita ai Congressi eucaristici.
Padre Eymard, il “prete dell’Eucaristia”,pensa anche alla situazione dei sacerdotiche nella vecchiaia si ritrovanosoli, e fa in modo che la sua congregazionemaschile li accolga in serenità negliultimi anni di vita. A lui la fragilità del fisicoe le fatiche abbreviano la vita. Muorea 57 anni. Giovanni XXIII lo proclameràsanto nel 1962. La reliquia di partedel capo si trova in una statua che lo raffigurasopra l’altare a destra nella chiesadei Santi Andrea e Claudio dei Borgognonia Roma, mentre il corpo si trovanella chiesa di Friedland a Parigi.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 17:03

San Rutilio Martire

2 agosto

Martirologio Romano: In Africa, commemorazione di san Rutilio, martire, che, dopo essere sfuggito alla persecuzione passando di luogo in luogo e aver evitato i pericoli talvolta anche con il denaro, arrestato un giorno inaspettatamente e consegnato al governatore, fu sottoposto a molteplici supplizi e, posto infine sul rogo, fu coronato da glorioso martirio.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 17:03

San Sereno di Marsiglia Vescovo

2 agosto

 

Le notizie relative alla vita di Sereno, vescovo della città francese di Marsiglia, si possono trarre dal ricco epistolario di papa Gregorio Magno; il pontefice li inviò ben quattro lettere, dalle quali è possibile trarre utili indicazioni per ricostruire la storia del santo. Molto interessanti sono le epistole degli anni 599 – 600, con le quali il papa ribadisce al vescovo la legittimità del culto per le immagini sacre, da lui contestato. Risulta, infatti, che egli fece distruggere alcune icone nella sua cattedrale nel timore che la venerazione di cui erano oggetto potesse sconfinare nell’idolatria, specialmente da parte di persone provenenti dall’oriente, che per motivi commerciali frequentavano quello che già allora era uno dei maggiori porti del Mediterraneo. Nei suoi scritti Gregorio invitò il santo a considerare l’immagine non tanto e non solo come un oggetto di venerazione, quanto piuttosto come utile strumento di catechesi per chi meno colto o illetterato trovava difficoltà ad accostarsi direttamente al testo sacro. Sempre lo stesso pontefice aveva già raccomandato a Sereno, nel 596, il monaco Agostino che, inviato come evangelizzatore della penisola britannica, avrebbe sostato presso la sua città; ugualmente nel 601 fece riguardo i suoi collaboratori. Null’altro è possibile riferire di storicamente provato in riferimento alla vita di San Sereno, mentre ulteriori dati sono forniti dalla tradizione popolare. Essa, partendo da quanto si è appena ricordato, ci descrive il santo in viaggio verso Roma per incontrare il papa e chiarire personalmente la sua posizione in merito alla questione motivo di divergenza. Durante il ritorno, ammalatosi improvvisamente, morì nei pressi di Biandrate, centro agricolo della pianura piemontese tra Novara e Vercelli. Il suo corpo venne deposto in un campo nei pressi del paese: col tempo si perse memoria della sepoltura e soltanto nel medioevo le sue reliquie vennero ritrovate da un agricoltore durante l’aratura di un campo. Il prodigioso ritrovamento suscitò molto scalpore tra la popolazione locale, che volle collocare i sacri resti nella chiesa del borgo dedicata a San Colombano, ove ancora si trovano custoditi in un’artistica urna, donata nel 1678 dal feudatario Gerardo de Silva, all’interno di un elegante scurolo. Purtroppo è difficile stabilire quanta attendibilità si possa attribuire a questa tradizione se considerata nell’ambito di una seria critica agiografica. In particolare risulta difficile comprendere i motivi per cui, se effettivamente il santo fosse morto nella località piemontese, il suo corpo non sia stato comunque trasportato fino a Marsiglia, sua sede episcopale. La motivazione della distanza tra le due località non sembra sufficiente, basti pensare, ad esempio, al caso di San Germano di Auxerre, morto a Ravenna ma deposto nella città francese di cui era vescovo. Il feretro compì un lunghissimo percorso attraverso la pianura padana, lasciando molte tracce nella storia e nella tradizione di numerosi centri. E’ del resto comprovato come a Marsiglia non si ebbe mai traccia nell’antichità di un culto, con la venerazione di una sepoltura o di reliquie, relativo al suo nono vescovo: soltanto dal 1730 la sua celebrazione venne inserita nel calendario diocesano, mentre si deve attendere la metà dell’ottocento per la richiesta di una reliquia alla diocesi di Vercelli, cui Biandrate appartiene. Già Carlo Bascapè, vescovo di Novara dal 1593 al 1615, si premurò di effettuare ricerche per legittimare il pellegrinaggio alla chiesa di Biandrate da parte dei fedeli della bassa novarese. Non del tutto chiaro è, inoltre, il problema relativo all’atteggiamento iconoclasta di Sereno e le dinamiche socio - culturali che possono averlo determinato. Popolarmente il santo è invocato, a motivo del nome, per ottenere il bel tempo e un raccolto favorevole; la sua festa è celebrata a Biandrate la prima domenica di agosto, mentre a Marsiglia l’11 dello stesso mese. L’iconografia del santo non è molto diffusa e non presenta particolari caratterizzazioni: egli viene, infatti, genericamente raffigurato nelle sembianze di un vescovo.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 17:04

Santo Stefano I Papa

2 agosto

m. 257

Romano, papa dal 12 marzo 254 al 2 agosto 257, fu sepolto nel Cimitero di Callisto sulla via Appia e da Paolo I trasferito, il 17 agosto 761, a S. Silvestro in Capite.
Fu molto caritatevole verso i Libellatici (cristiani che nel tempo delle persecuzioni avevano ottenuto da un magistrato un libello attestante di aver sacrificato agli idoli, per quanto ciò non fosse avvenuto).
Si oppose fermamente al ribattesimo dei convertiti dall’eresia; stabilì che i paramenti sacri si indossero unicamente in chiesa.
La “Passio” che lo riguarda e lo vuole martire, quasi sicuramente, dà com sue le gesta del successore S. Sisto II.

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Callisto, santo Stefano I, papa, il quale, per affermare con chiarezza il principio che l’unione battesimale dei cristiani con Cristo si compie una sola volta, proibì che quanti intendevano volgersi alla piena comunione con la Chiesa fossero nuovamente battezzati.


E' romano di origine e suo padre si chiamava Giulio. Altro non sappiamo della sua famiglia. Viene eletto al pontificato come successore di Lucio I al tempo di Valeriano (253-260 ca.), che per qualche tempo lascia in pace i cristiani, già agitati per conto loro.
C’è il problema di come trattare i lapsi (“caduti”), ossia quei cristiani che in tempo di persecuzione hanno ceduto per paura e che poi, pentiti, chiedono di essere riaccolti: un aspro terreno di scontro tra rigoristi e indulgenti. Ci sono stati poi in Spagna due vescovi, Basilide e Marziale, che hanno rinnegato Cristo durante una persecuzione: ora, i fedeli sono sì disposti ad accettarli, ma solo come semplici fedeli. E costoro invece rivogliono pure i vescovadi, arrivando a ingannare papa Stefano, che dà loro ragione, facendo infuriare i fedeli di Spagna e anche quelli del Nordafrica, col grande Cipriano vescovo di Cartagine.
Altro motivo di discordia: il cosiddetto “battesimo degli eretici”. Si tratta di quei seguaci delle molte sètte di allora, che poi chiedevano di entrare (o di ritornare) nella Chiesa. A Roma e in altre parti del mondo cristiano del tempo, questi pentiti vengono riaccolti senza esigere un secondo battesimo.
In Africa, invece, lo si richiede, non considerano valido il “battesimo eretico”(ed è anche vero che in certe comunità staccate dalla Chiesa non tutti battezzano rigorosamente "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo": c’è chi infila nella formula anche altri nomi). Un’altra spina nel breve e afflitto pontificato di Stefano.
La Chiesa, all’epoca, non ha una sua compiuta teologia dei sacramenti; e non è ancora comparso sant’Agostino a chiarire per tutti che la grazia sacramentale proviene unicamente da Cristo. Cipriano motiva il suo rifiuto, e Stefano ribadisce la posizione di Roma, ma giustificandola solo con la sua consuetudine. Il conflitto si fa duro, ma nel 257 sull’intera Chiesa piomba la persecuzione di Valeriano, che torna al regime duro per tenere insieme l’Impero nella guerra contro la Persia.
In questo stesso anno muore papa Stefano; ma non ci sono prove del suo martirio, al di là delle annotazioni del Sacramentario Gregoriano e del Martirologio Geronimiano. Il suo corpo viene sepolto nel cimitero a San Callisto, e poi sarà trasferito a Santa Prassede. L’anno successivo, la persecuzione raggiunge l’Africa, dove muore per la fede Cipriano, decapitato nella sua Cartagine.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 17:05

Beato Zeffirino (Ceferino) Gimenez Malla Martire

2 agosto

Benavent de Sangría, Spagna, 26 agosto 1861 - Barbastro, Spagna, 2 agosto 1936

Uno zingaro sugli altari! Ceferino Giménez Malla detto "El Pelé", nato a Benavent de Lérida nel 1861 e fucilato presso il cimitero di Barbastro nell'estate del 1936. Nei primi mesi della guerra civile che insanguinò la Spagna fu arrestato per aver difeso un sacerdote; al momento dell'esecuzione stringeva tra le mani la corona del rosario. È il primo zingaro beato nella storia della Chiesa, proclamato il 4 maggio 1997 da Giovanni Paolo II a Roma. La notizia ha suscitato una certa sorpresa e ha ridestato in noi il ricordo e il fastidio provato dall'incontro con gli zingari per strada, dove esibiscono lattanti e mocciosi per muovere a compassione la gente, o sorpresi ad armeggiare in chiesa dietro le cassette delle elemosine.

Martirologio Romano: Nello stesso luogo (Barbastro in Spagna), beato Zefirino Giménez Malla, martire, che, di origine zingara, si adoperò per promuovere la pace e la concordia tra il suo popolo e i vicini, finché fu arrestato in quella stessa persecuzione mentre difendeva un sacerdote trascinato per le vie dai miliziani. Rinchiuso in carcere e condotto infine al cimitero, fu fucilato con la corona del Rosario tra le mani, ponendo così fine al suo pellegrinaggio terreno.


Il nome di battesimo, Ceferino, è la forma spagnola di Zefirino, il santo del giorno in cui è nato. Ceferino Jiménez Malla, detto El Pelé, è il primo zingaro che la Chiesa pone sugli altari. Nasce nella povertà, che diventa miseria quando suo padre abbandona la famiglia per andarsene con un’altra donna. Ceferino non va a scuola, aiuta in casa come può (fa e vende ceste di vimini) e sui vent’anni si trasferisce a Barbastro, sposando Teresa Jiménez Castro al modo zingaro, senza rito religioso (che sarà celebrato soltanto nel 1912). Non avendo figli, adottano Pepita, una nipote di Teresa.
Figura imponente, espertissimo di cavalli e muli, diventa un mediatore stimato per la sincerità (dote piuttosto rara, in questo mestiere). Ma poi si fa negoziante in proprio, per un gesto che incanta tutta Barbastro: un potente del luogo, malato di tbc, sviene un giorno per strada, tra sbocchi di sangue che fanno scappare tutti, anche chi precedentemente lo riveriva. E soltanto lui, Ceferino, senza paura, accorre, lo aiuta e lo porta sulle spalle a casa. La ricca famiglia del malato lo ringrazia con una somma di denaro, e lui può così avviare un prospero commercio.
Diventa un notabile. Ma soprattutto pratica anche sulle piazze la fede, che ha raggiunto completamente da adulto. Prega per strada, con la corona del Rosario in mano. Gira d’inverno a soccorrere gli zingari più poveri, ma non solo loro. Tutti sono “prossimo” per lui, che costruisce giorno per giorno il capolavoro della sua vita di credente, convalidata dalle opere. Analfabeta, ha ugualmente “letto” gli ammonimenti dell’apostolo Paolo ai Corinzi, e realizza in sé la carità che "tutto copre, tutto crede, tutto sopporta".
E pure le calunnie sopporta, accusato falsamente di furto ("È uno zingaro...") e poi trionfalmente assolto. Torreggia nei gruppi dei “Giovedì eucaristici”, della San Vincenzo, del Terz’Ordine francescano... tutti lo vogliono, questo zingaro comunicatore di speranza, questo promotore di gioia. Ancora in vita, c’è chi già lo chiama “santo”.
Luglio 1936, guerra civile in Spagna. Ceferino è arrestato da un reparto di anarchici perché, a 75 anni, si è lanciato tra loro per liberare un prete che portavano via. (C’è una strage di clero a Barbastro).
E lui prega a voce alta, a testa alta, non chiede pietà. Quando lo fucilano, alcuni giorni dopo presso il cimitero, l’ultimo suo grido è "Viva Cristo Re!". L’ultimo gesto è quello della mano che tiene alta la coroncina del Rosario come una bandiera. L’indomani si ordina agli zingari di scavare una fossa comune per tutti i fucilati, tra cui c’è El Pelé. Poi sui corpi si butta calce viva. Per questo non c’è la sua tomba.
Il 4 maggio 1997, in Roma, alla presenza di migliaia di zingari, Giovanni Paolo II proclama Ceferino beato. E con lui è beatificato il vescovo Florentino Asensio, ucciso come lo zingaro nell’estate del 1936.



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