2 novembre

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Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:38

Santi Abati di Agauno

2 novembre

 

Ad Agauno, il luogo dove, secondo la tradizione, furono uccisi e sepolti i principali martiri della legione tebana, che poi dal loro comandante venne chiamato San Maurizio nel Vallese, verso la metà del sec. IV il vescovo di Octodurum (Martigny) Teodoro edificò una chiesa accanto alla quale sorse contemporaneamente o poco dopo un cenobio, che alla fine del sec. V troviamo sotto il governo di s. Severino. Tale cenobio, dopo un breve periodo di decadenza, per impulso del vescovo di Ginevra, Massimo, fu restaurato da Sigismondo, figlio del re dei Burgundi, che lo affidò a Innemodo, fatto venire dal monastero di Grigny, presso Vienne. A Innemodo successe Ambrogio, già monaco a Insula Barbara presso Lione. Suo merito precipuo fu il restauro della chiesa di S. Maurizio e l’introduzione nel monastero di Agauno della “laus perennis” o “psalmodia perpetua”, per cui i religiosi (si parla di 900) si alternavano al coro senza interruzione giorno e notte. Ambrogio morì nel 520 o 521 e fu sepolto nella chiesa del suo monastero.
Ecco la lista dei primi dodici abati di Agauno dopo la riforma di s. Sigismondo, seguita dall’indicazione del giorno della morte e della durata del governo di ciascuno. Innemondo morì il 3 gennaio del 516 dopo sette mesi di governo; Ambrogio morì il 2 novembre del 520 o 521 dopo cinque anni di governo; Achivo morì il 29 marzo, dopo due anni e quattro mesi di governo; Tranquillo morì il 12 dicembre, dopo tre anni e sei mesi di governo; Venerando morì il 7 ottobre, dopo tredici anni di governo; Paolo morì l’8 novembre, dopo diciotto anni di governo; Placidiano morì il 5 marzo, dopo dieci anni e cinque mesi di governo; Eutropio morì il 19 settembre, dopo tre mesi e diciotto giorni di governo; Paolo morì il 15 maggio, dopo otto anni, tre mesi e ventitré giorni di governo; Martino morì il 13 marzo, dopo due anni e tredici mesi di governo; Ambrogio morì il 15 ottobre, dopo trent’anni, sei mesi e due giorni di governo; Leonzio morì il 27 marzo, dopo cinque anni, cinque mesi e otto giorni di governo. La loro festa si celebra il 2 novembre.


Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:39

Santi Acindino (Acendino), Pegasio, Aftonio, Elpidiforo, Anempodisto e compagni Martiri in Persia

2 novembre

† Isfahan (Persia), 341/345 ca.

I santi martiri Acindino, Pegasio, Aftonio, Elpidiforo, Anempodisto ed i numerosi loro compagni patirono il martirio in odio alla fede cristiana sotto il re Sapore II di Persia, tra gli anni 341 e 345.

Etimologia: Acindino = Acidinus (leggermente acido), soprannome romano

Martirologio Romano: In Persia, santi Acíndino, Pegasio, Aftonio, Elpidíforo, Anempodisto e molti compagni, martiri, che si tramanda abbiano subito la passione sotto il re Sabor II.


ACINDINO, PEGASIO, AFTONIO, ELPIDOFORO, ANEMPODISTO

Questi santi martiri in Persia, sono menzionati in una ‘passio’ greca del tempo di Eraclio (610-614), storicamente di scarso valore, che ci è pervenuta in una rielaborazione di Simeone Metafraste, agiografo bizantino del X secolo, e in una versione latina nel codice 1622 dell’Università di Padova.
La vicenda narrata dalla ‘passio’, si svolse al tempo del re di Persia Sapore II (310-379); infuriando le persecuzioni contro i cristiani, che in contrapposizione alla libertà di culto concessa dall’imperatore romano Costantino il Grande nel 313, furono considerati dai persiani, una ‘quinta colonna’ dell’Impero romano, con cui Sapore II era in ostilità.
Il re fece catturare Acindino, Pegasio e Anempodisto ferventi cristiani, i quali furono sottoposti ad interrogatorio e torturati secondo la prassi del tempo, ma poi furono miracolosamente risanati, le loro catene si spezzarono e si fusero, mentre una violenta bufera si abbatté sulla città reale di Isfahan; mentre Sapore II perdette la voce, che riacquistò per intercessione degli stessi martiri.
Come per altri racconti antichi sul martirio dei cristiani, il supplizio non si fermò qui; i tre cristiani furono immersi nel piombo fuso e ne uscirono illesi, fra lo stupore dei carnefici, dei quali uno, Aftonio, si convertì e fu subito decapitato; si tentò di ucciderli gettandoli in mare chiusi in un sacco, ma essi risalirono dalle onde incolumi.
Intanto nel Senato persiano, Elpidoforo e altri senatori, avevano preso le difese dei cristiani, pagando anch’essi con la vita il loro coraggio. Alla fine Acindino, Pegasio e Anempodisto, furono bruciati vivi a Isfahan, era circa il 350 d.C.
Le loro reliquie furono più tardi traslate a Costantinopoli e venerate in una chiesa a loro dedicata; nel 1204 durante la quarta crociata, una reliquia di Acendino finì in Francia a Vedans e da lì nell’abbazia di Rosières; fu perduta durante la Rivoluzione Francese e ritrovata un secolo dopo, nel 1892 a Grozon.
I santi martiri sono venerati in Oriente e in Occidente il 2 novembre e particolarmente ricordati dalla Chiesa Bizantina; sono raffigurati nella celebre Pala d’Oro della Basilica di San Marco a Venezia.
Sant’Acindino o Acendino, il cui nome deriva dal soprannome romano ‘Acidinus’, che significa “leggermente acido”, è venerato come titolare della Parrocchia di Gasponi (frazione del Comune di Drapia, in provincia di Vibo Valentia), la cui festa ricorre però il 3 novembre, a causa che il 2 è la Commemorazione dei Defunti.



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:39

Sant' Ambrogio Abate

2 novembre

Martirologio Romano: Nel monastero di Saint-Maurice-en-Valais nell’odierna Svizzera, sant’Ambrogio, abate, che fu dapprima superiore del monastero della Île-Barbe vicino a Lione e, trasferito poi in questa sede per l’insigne fama della sua condotta di vita religiosa, vi istituì l’usanza della lode perenne.



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:40

Santi Carterio, Stiriaco, Tobia, Eudosio, Agapio e compagni Martiri

2 novembre

Martirologio Romano: A Sivas nell’antica Armenia, santi Carterio, Stiriaco, Tobia, Eudossio, Agapio e compagni, martiri, che, soldati, si racconta siano stati gettati tra le fiamme, sotto l’imperatore Licinio, per aver perseverato nella fede in Cristo.



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:41

Commemorazione di tutti i fedeli defunti

2 novembre

Fino a quando il Signore Gesù verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita stanno purificandosi, altri infine godono della gloria contemplando Dio. Tutti però comunichiamo nella stessa carità di Dio. L’unione quindi di coloro che sono in cammino con i fratelli morti non è minimamente spezzata, anzi è conservata dalla comunione dei beni spirituali. La Chiesa fin dai primi tempi ha coltivato con grande pietà la la memoria dei defunti e ha offerto per loro i suoi suffragi. Nei riti funebri la chiesa celebra con fede il mistero pasquale, nella certezza che quanti sono diventati con il Battesimo membri del Cristo crocifisso e risorto, attraverso la morte, passano con lui alla vita senza fine. Si iniziò a celebrare la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, anche a Roma, dal sec. XIV. (Mess. Rom.)

Martirologio Romano: Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  

Non vogliamo, o fratelli, che ignoriate la condizione di quelli che dormono nel Signore, affinché non siate tristi come quelli che non hanno speranza (1Ts 4,12). La Chiesa ha oggi lo stesso desiderio che aveva l'Apostolo quando scriveva ai primi cristiani. La verità a riguardo dei morti mette in mirabile luce l'accordo della giustizia e della bontà in Dio, sicché anche i cuori più duri non resistono alla caritatevole pietà che questo accordo ispira, e, nello stesso tempo, offre la più dolce delle consolazioni al lutto di quelli che piangono. Se la fede ci insegna che esiste un purgatorio dove i peccati da espiare costringono i nostri cari, ci insegna anche che noi possiamo essere loro di aiuto (Concilio di Trento, Sess. XXV) ed è teologicamente certo che la loro liberazione, più o meno sollecita, è nelle nostre mani. Ricordiamo qui qualche principio di natura, per chiarire la dottrina.

L'espiazione del peccato.

Ogni peccato causa al peccatore due danni, perché insudicia l'anima e la rende passibile di castigo. Dal peccato veniale, che implica un semplice disgusto del Signore e la cui espiazione dura soltanto qualche tempo, si arriva alla colpa mortale, che implica difformità e rende il colpevole oggetto di abominio davanti a Dio, sicché la sanzione non può essere che un bando eterno, se l'uomo non previene col pentimento, in questa vita, la sentenza irrevocabile. Però, anche cancellando il peccato mortale, si evita la dannazione, ma non ogni debito del peccatore è sempre cancellato. È vero che un'eccezionale sovrabbondanza di grazia sul prodigo può talvolta, come avviene regolarmente nel battesimo e nel martirio, sommergere nell'abisso dell'oblio divino anche l'ultima traccia del peccato, ma è cosa normale che, in questa vita o nell'altra, la giustizia sia soddisfatta per ogni peccato.

Il merito.

In opposizione al peccato, qualsiasi atto di virtù porta al giusto un doppio profitto: merita per l'anima un nuovo grado di grazia e soddisfa per la pena dovuta per i peccati passati nella misura di una giusta equivalenza, che davanti a Dio spetta alla fatica, alla privazione, alla prova accettata, alla libera sofferenza di uno dei membri del suo Figlio prediletto.
Ora, mentre il merito non si può cedere e resta cosa personale di chi lo acquista, la soddisfazione si presta a spirituali transazioni come moneta di scambio, potendo Dio accettarla come acconto o come saldo in favore di altri, - chi è disposto a cedere può essere di questo mondo o dell'altro - alla sola condizione che chi cede deve lui pure in forza della grazia, far parte del corpo mistico del Signore, che è unito nella carità (1Cor 12,27).
Come spiega Suarez, nel trattato dei Suffragi, tutto ciò è conseguenza del mistero della Comunione dei santi, manifestato in questo giorno. Penso che questa soddisfazione dei vivi per i morti vale in giustizia (esse simpliciter de iustitia) ed è accettata secondo tutto il suo valore e secondo l'intenzione di colui che l'applica, sicché, per esempio, se la soddisfazione che deriva dal mio atto, serbata per me, mi valesse in giustizia la remissione di quattro gradi di purgatorio, ne rimette altrettanti all'anima per la quale mi piace offrirla (De suffragiis, sectio iv).

Le indulgenze.

È noto come la Chiesa in questo assecondi il desiderio dei suoi figli e, con la pratica delle Indulgenze, metta a disposizione della loro carità un tesoro inesauribile al quale di epoca in epoca le soddisfazioni sovrabbondanti dei Santi si aggiungono a quelle dei martiri, a quelle di Maria Santissima e alla riserva infinita delle sofferenze del Signore. Quasi sempre la Chiesa permette che queste remissioni di pena concesse col suo potere diretto ai viventi siano applicate ai morti che non appartengono più alla sua giurisdizione, per modo di suffragio, nel modo cioè che abbiamo veduto. Per cui ogni fedele può offrire a Dio, che lo accetta, il suffragio o soccorso delle proprie soddisfazioni. È sempre la dottrina di Suarez, il quale insegna pure che l'Indulgenza ceduta ai defunti nulla perde dell'efficacia e del valore che avrebbe per noi che siamo ancora in vita.
Le Indulgenze ci sono offerte dappertutto e in tutte le forme e dobbiamo saper utilizzare questo tesoro, ottenendo misericordia alle anime in pena. Vi è miseria più toccante della loro? È così pungente che nessuna miseria della terra l'uguaglia e tuttavia così degna che nessun lamento turba il "fiume di fuoco, che nel suo corso impercettibile le trascina poco a poco all'oceano del paradiso" (Mons. Gay, Vita e virtù cristiane. Della carità verso la Chiesa, 2). Per esse il cielo è impotente perché in cielo non si merita più e Dio stesso, infinitamente buono, ma infinitamente giusto, non può concedere la liberazione, se non hanno integralmente pagato il debito che le ha seguite oltre il mondo della prova (Mt 5,26). E il debito forse fu contratto per causa nostra, forse insieme con noi e le anime si volgono a noi, che continuiamo a sognare i piaceri mentre esse bruciano, e potremmo con facilità abbreviare i loro tormenti! Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me almeno voi che siete miei amici, perché la mano del Signore mi ha raggiunto (Gb 19,21).

La preghiera per le anime del Purgatorio.

Lo Spirito Santo non si contenta oggi di conservare lo zelo delle vecchie confraternite, che nella Chiesa si propongono il suffragio dei trapassati, quasi che il purgatorio rigurgiti più che mai per l'affluenza di moltitudini precipitate in esso ogni giorno dalla mondanità del secolo, e forse per l'approssimarsi del rendiconto finale e universale, che chiuderà i tempi. Suscita infatti nuove associazioni e anche famiglie religiose con l'unico compito di promuovere in ogni maniera la liberazione o il sollievo delle anime sofferenti. In quest'opera di nuova redenzione dei prigionieri vi sono cristiani che si espongono e si offrono a prendere sopra se stessi le catene dei fratelli, rinunciando totalmente, come a tale scopo è consentito, non solo alle proprie soddisfazioni, ma anche ai suffragi che potessero ricevere dopo la morte: atto eroico di carità questo, che non deve essere compiuto senza riflessione, ma che la Chiesa approva [1], perché molto glorifica il Signore e perché il rischio che si corre di un ritardo temporaneo nella felicità eterna merita al suo autore di essere per sempre più vicino a Dio, in terra con la grazia e in cielo con la gloria.
Se i suffragi del semplice fedele sono così preziosi, sono molto più preziosi quelli della Chiesa intera nella solennità della preghiera pubblica e nell'oblazione dell'augusto sacrificio, in cui Dio soddisfa a se stesso per ogni peccato degli uomini! Come già la Sinagoga (2Mac 12,46), la Chiesa fin dalla sua origine ha pregato per i morti. Mentre onorava con azioni di grazie i suoi figli martiri nell'anniversario del loro martirio, ricordava con suppliche l'anniversario della morte degli altri suoi figli, che potevano non essere ancora giunti al cielo. Nei sacri Misteri pronunciava quotidianamente il nome degli uni e degli altri col doppio scopo di lode e di supplica; e allo stesso modo non potendo ricordare in ogni chiesa particolare tutti i beati del mondo intero, tutti li comprendeva in un unico ricordo, così, dopo le raccomandazioni relative al giorno e al luogo, ricordava i morti in generale. Chi non aveva parenti, né amici, osserva sant'Agostino, non restava privo di suffragi, perché riceveva, per ovviare alla loro mancanza, le tenerezze della Madre comune (De cura pro mortuis, iv).

Sant'Odilone.


Siccome la Chiesa aveva sempre seguito la stessa linea nel ricordare i beati e i morti, era da prevedersi che l'istituzione di una festa di tutti i Santi avrebbe portato con sé l'attuale Commemorazione dei defunti. Nel 998, secondo la Cronaca di Sigeberto di Gembloux, l'abate di Cluny, sant'Odilone, la istituì in tutti i monasteri da lui dipendenti, stabilendo che fosse sempre celebrato il giorno dopo la festa dei santi. Egli rispondeva così alle rampogne dell'inferno che, con visioni - che troviamo ricordate nella sua vita (Jostsald, 2,13) - accusava lui e i suoi monaci di essere i più intrepidi soccorritori di anime che le potenze dell'abisso avessero a tenere nel luogo di espiazione. Il mondo applaudì al decreto di sant'Odilone, Roma lo adottò e divenne legge per tutta la Chiesa latina.
I Greci fanno una prima Commemorazione dei morti nella vigilia della nostra domenica di Sessagesima, che per essi è di fine carnevale o di Apocreos, nella quale ricordano la seconda venuta del Signore. Essi danno il nome di Sabato delle anime a quel giorno e al sabato precedente la Pentecoste, in cui di nuovo pregano solennemente per tutti i morti.

Messa dei Morti

La Chiesa Romana raddoppiava una volta in questo giorno la fatica del suo quotidiano servizio verso la Maestà divina. Il ricordo dei morti non escludeva l'Ottava dei santi e faceva precedere all'Ufficio dei morti l'Ufficio del secondo giorno dell'Ottava. Recitata Terza di Ognissanti, si celebrava la Messa corrispondente e, solo dopo Nona dello stesso Ufficio, si celebrava il Sacrificio dell'altare per i defunti. Oggi la Chiesa, consacra loro tutta la giornata.
Quanto all'obbligo di considerare di precetto nel giorno delle anime, gli usi erano diversi. In Inghilterra il giorno era di mezzo precetto e i lavori più necessari erano permessi; in molti altri luoghi il precetto terminava a mezzogiorno; in altri era prescritta soltanto l'assistenza alla Messa. Parigi osservò per qualche tempo la festa come una di quelle di primaria obbligazione e nel 1673 l'arcivescovo Francesco de Harlay prescriveva ancora di osservare il precetto fino a mezzogiorno. Ora anche a Roma il precetto più non esiste.
[...]

Morte e Risurrezione.

Mentre l'anima, uscita dalla vita presente, supplisce nel purgatorio l'insufficienza delle sue espiazioni, il corpo, che ha abbandonato, ritorna alla terra, in esecuzione della sentenza inflitta ad Adamo e alla sua discendenza all'inizio del mondo (Gen 3,19). Ma la giustizia è anche amore per il corpo del fedele, come lo è per l'anima. L'umiliazione del sepolcro è giusto castigo del primo peccato, ma san Paolo ci fa vedere in questo ritorno dell'uomo al fango dal quale è stato tratto una seminagione necessaria alla trasformazione del grano predestinato, che deve un giorno riprendere vita in condizioni ben diverse. In effetti, la carne e il sangue non potrebbero possedere il regno di Dio, né potrebbero gli organi destinati a dissolversi raggiungere l'immortalità. Frumento di Cristo, secondo la espressione di Ignazio di Antiochia, il corpo dei cristiani è gettato nel solco della tomba, per lasciarvi alla corruzione la forma del primo Adamo con il suo peso e le sue infermità; ma per virtù del nuovo Adamo, che lo riforma a propria immagine, dalla tomba uscirà tutto celeste, spiritualizzato, agile, impassibile e glorioso. Onore a Colui che volle morire come noi, per distruggere la morte e fare della sua vittoria la nostra vittoria.
Una volta la Chiesa non escludeva l'Alleluia nelle funzioni funebri dei suoi figli ed esprimeva con esso la sua allegrezza, che trova il motivo nella speranza che una morte santa ha assicurato al cielo un nuovo eletto, anche se il cristiano, per il quale la prova della vita è terminata, debba per qualche tempo prolungare la sua espiazione. L'adattamento della Liturgia dei morti ai riti degli ultimi giorni della Settimana santa modificò l'uso antico e parve allora che la Sequenza, sviluppo festivo e all'origine seguito dell'Alleluia, non potesse conservare il suo posto nella Messa per i defunti. Roma tuttavia, a questo riguardo faceva una eccezione alle regole tradizionali, in favore del poema attribuito (a torto) a Tommaso da Celano. Il Dies irae cantato in Italia fin dal secolo XIV, nel XVI fu adottato da tutta la Chiesa.
[...]

La voce del giudice.

Il Purgatorio non è eterno e la sentenza del giudizio particolare, che segue subito la morte, varia in modo infinito quanto alla durata. Può durare per secoli per anime particolarmente colpevoli o per anime, che, essendo escluse dalla comunione della Chiesa cattolica, restano prive dei suffragi della Chiesa stessa, sebbene la misericordia di Dio le abbia strappate all'inferno. Tuttavia la fine del mondo e di quanto esiste nel tempo deve porre fine all'espiazione temporanea e Dio saprà conciliare la sua giustizia e la sua grazia per la purificazione degli ultimi uomini e supplire con l'intensità della pena espiatrice a quanto potrebbe mancare nella durata. Per quanto riguarda il corpo la sentenza del giudizio particolare è sospensiva e dilatoria e lascerà il corpo del giusto come quello del reprobo alla comune sorte della tomba. Il giudizio finale invece avrà carattere definitivo e registrerà per il cielo o per l'inferno soltanto sentenze assolute, immediatamente e totalmente esecutorie. Viviamo dunque nell'attesa dell'ora solenne in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio. Colui che deve venire verrà, non può tardare, ci ricorda il Dottore delle genti (Ebr 10,37; Ab 2,3). Il suo giorno verrà all'improvviso come un ladro, ci dicono come lui (1Ts 5,2) il Principe degli Apostoli (2Pt 3,10) e Giovanni, il prediletto (Ap 16,15) facendo eco alla parola del Signore stesso (Mt 24,43): come il lampo esce dall'oriente e brilla già fino all'occidente, così sarà l'arrivo del Figlio dell'uomo (ivi 27).
Facciamo nostri i sentimenti che ispira l'Offertorio dei defunti. Sebbene l'eterna beatitudine resti finalmente assicurata alle anime purganti ed esse abbiano di questo coscienza, il cammino, ancora più o meno lungo, che le conduce al cielo, si apre tuttavia nel pericolo di un supremo assalto diabolico e l'angoscia del giudizio. La Chiesa, estendendo la sua preghiera a tutte le tappe di questa via dolorosa, non si preoccupa di custodirne l'inizio e non ha paura di mostrarsi qui tardiva. Per Dio, che con uno sguardo solo abbraccia tutti i tempi, la tua supplica di oggi, già presente all'ora del terribile passaggio, procura alle anime il soccorso implorato. Questa supplica le segue nelle peripezie della lotta contro le potenze dell'abisso, quando Dio permette che esse pure servano la sua giustizia per espiazione, come più volte hanno sperimentato i Santi. In questo momento solenne in cui la Chiesa offre i suoi doni per l'augusto e onnipotente Sacrificio, moltiplichiamo anche noi le nostre preghiere per i defunti. Imploriamo la loro liberazione dalle fauci del leone, otteniamo dal glorioso Arcangelo, preposto al Paradiso, appoggio delle anime all'uscita da questo mondo, loro guida inviata da Dio (Antifona e Responsorio della festa di san Michele), che le conduca alla luce, alla vita, a Dio, promesso come ricompensa ai credenti nella persona di Abramo, loro padre (Gen 15,1).

Le tre Messe.

Abbiamo dato il solo testo della Messa per tutti i defunti e ciascuno potrà trovare nel suo messale il testo delle altre due Messe. I sacerdoti possono infatti dal 1915 celebrare tre Messe, grazie alla pietà di Benedetto XV. Una delle Messe è lasciata all'intenzione del celebrante, la seconda è celebrata secondo le intenzioni del Papa e la terza per tutti i fedeli defunti.
L'intenzione di Benedetto XV era di venire in soccorso con questa generosità, non solo a quelli che cadevano a migliaia sui campi di battaglia, durante la guerra, ma anche alle anime che avevano visto le loro fondazioni di Messe spogliate dalla Rivoluzione e dalla confisca dei beni ecclesiastici.
Più recentemente Pio XI accordò una indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al Cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

[...]

Conclusione.


Ogni anima si raccoglie così nel culto delle persone più care e dei più nobili ricordi. È la festa dei nostri cari morti e prestiamo allora l'orecchio alle loro voci, che di campanile in campanile in tutto il mondo cristiano si fa supplichevole e dolce in queste prime notti di novembre. Per tutto l'ottavario facciamo la visita delle tombe in cui riposano in pace i loro resti mortali. Preghiamo per loro e preghiamoli: non abbiamo paura di parlare con essi degli interessi che davanti a Dio loro furono cari, perché Dio li ama e, per una specie di soddisfazione alla sua bontà, le ascolta meglio, se implorano per altri, mentre la sua giustizia li mantiene in una condizione di assoluta impotenza per se stessi.



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:41

Beati Corrado e Voislao Martiri in Prussia

2 novembre

+ 1289 circa

Frati Minori, si diedero a predicare con fervore il Vangelo in Prussia. Arrestati dagli infedeli, verso il 1289, dopo molti tormenti furono messi a morte. Ebbero onorevole sepoltura e sono ricordati il 2 novembre.


Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:42

San Donnino di Vienne Vescovo

2 novembre

Martirologio Romano: A Vienne nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Donnino, vescovo, che si adoperò per la liberazione dei prigionieri.



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:43

San Giorgio di Vienne Vescovo

2 novembre

Martirologio Romano: A Vienne, san Giorgio, vescovo.



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:43

San Giusto di Trieste Martire

2 novembre

Martire a Trieste nell’anno 303

Visse ai tempi degli imperatori Diocleziano e Massimiano. Sarebbe stato martirizzato nel 290 o nel 303. Giusto viveva ad Aquileia e la sua fede era ben nota ai concittadini. Quando giunse l’ordine di convincere i cristiani ad abiurare la loro fede, si rifiutò e fu tra i primi ad essere imprigionato. Il prefetto Manazio lo sotto pose ad atroci tormenti, senza riuscire a piegarne la volontà. Mai egli avrebbe sacrificato agli dei pagani. Il supplizio durò parecchi giorni, fino a che Manazio non decise di condannarlo a morte.

Etimologia: Giusto = onesto, probo (sign. Intuitivo)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Trieste, san Giusto, martire.


C’è un imperatore a Nicomedia (nell’Asia Minore) e un altro a Milano: sono Diocleziano e Massimiano, entrambi col titolo di “Augusti”. Poi ci sono due “Cesari”, ossia due vice e successori designati: Galerio a Sirmio (ora Mitrovica, Serbia) e Costanzo a Treviri, in Germania. Questa è la tetrarchia, cioè il nuovo ordinamento di vertice che deve rinsaldare l’Impero romano, insieme alle vittorie contro i nemici e alla disciplina interna.
Per accrescere quest’ultima, Diocleziano usa la tecnica delle monarchie orientali, proclamando il carattere divino dell’imperatore. E qui la sua storia di grandioso stratega s’incrocia a sua insaputa con quella di Giusto, un cristiano della Venezia Giulia che ha una piccola, amabile fama nel suo ambiente triestino: uomo di grande penitenza e di larga generosità, cristiano fin dall’infanzia "grazie ai miei genitori". Così risulta dalla narrazione del suo martirio (Passio). Il documento è stato inserito negli Acta sanctorum dai bollandisti, come testo derivante dagli atti ufficiali del processo. Giusto è anche sacerdote? Il Dizionario ecclesiastico della Utet, editato nel 1952, ritiene di sì, senza però aggiungere elementi di conferma.
Quest’uomo pio è raggiunto nell’anno 303 dall’ordine imperiale che impone a tutti i cristiani di testimoniare la propria fedeltà al sovrano (anzi, ai quattro sovrani) sacrificando agli dèi di Roma, tra i quali Diocleziano colloca ormai anche sé stesso.
Il governatore romano locale, o preside, di nome Mannaccio, convoca ogni cristiano e gli comunica l’ordine. Per chi non obbedisce c’è la morte. Quando chiamano lui, Giusto non si comporta da nemico o da ribelle: è un suddito fedele dell’imperatore. Ma non può sacrificare alle divinità romane, perché il suo Dio è Gesù Cristo. La condanna è perciò inevitabile.
Il preside Mannaccio fa buttare Giusto in mare davanti a Trieste, legato a pesi che lo trascinano subito in fondo. Ma poi i legami si sciolgono e il corpo del martire riemerge, finendo sulla spiaggia. Accorrono un sacerdote e un gruppo di cristiani, che rendono le estreme cure alla salma e poi le danno sepoltura vicino al luogo del ritrovamento. Nel quinto secolo, su un’altura si costruisce una basilica cristiana, dove c’era stato un tempio dedicato alle antiche divinità. E lì viene poi trasferito il corpo del martire, che darà il suo nome all’altura: Colle di San Giusto.
Continua e si sviluppa il suo culto attraverso il tempo. La chiesa a lui dedicata sul Colle verrà fusa nel XIII secolo con quella adiacente, dedicata all’Assunta: e così nascerà la nuova cattedrale di Trieste, che sarà intitolata al suo nome. Patrono di Trieste, la festa di san Giusto cade il 2 novembre, ma per motivi liturgici (lo stesso giorno si fa la commemorazione dei fedeli defunti) viene posticipata al giorno successivo, il 3 novembre.



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:44

San Malachia di Armagh (Mael Madoc ua Morgair) Vescovo

2 novembre

1094/5 - 2 novembre 1148

Etimologia: Malachìa = inviato da Dio, messo del Signore, dall'ebraico

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Nel monastero di Chiaravalle in Burgundia, ora in Francia, deposizione di san Malachia, vescovo di Down e Connor in Irlanda, che rinnovò la vita della sua Chiesa e, giunto a Chiaravalle mentre era in cammino per Roma, rese lo spirito al Signore alla presenza dell’abate san Bernardo.


Il vescovo S. Malachia è una delle più belle glorie che la Chiesa Cattolica vanti nella terra d’Irlanda.
Nacque in quell’isola l’anno 1094 da nobili e pii genitori che lo educarono rettamente nella religione cristiana e l’avviarono assai per tempo per le vie del sapere, sotto la guida di dotti maestri.
Ancora giovanissimo si diede a vita eremitica, sotto la direzione di Imaro, uomo insigne nella santità e nella penitenza.
Dopo qualche tempo il pubblico venne a conoscenza delle virtù del giovane eremita e coloro che prima lo deridevano e disprezzavano furono presi da santa ammirazione. La fama della sua santità giunse anche alle orecchie dell’Arcivescovo di Armac, che per divina ispirazione lo volle ordinare sacerdote. Malachia, stimandosi indegno di tale dignità, si rifiutò, ma costretto dall’ubbidienza dovette sottomettersi.
Sostenuto dalla divina grazia e irreprensibile nei costumi, ebbe dapprima l’incarico di predicare la Parola. Si dedicò a quest’apostolato con tanto zelo che in pochi anni la diocesi mutò d’aspetto.
Rimasta vacante la chiesa di Cannoret, Malachia fu eletto alla dignità episcopale. Fu un nuovo rifiuto da parte sua, ma l’ubbidienza lo costrinse un’altra volta ad accettare. Fiducioso nell’aiuto divino, in breve stabilì tra quelle popolazioni una esemplare vita religiosa.
Prima di morire, l’Arcivescovo di Armac aveva manifestato il desiderio di avere per successore il Santo, e clero e popolo accolsero lieti la proposta: ma un parente del defunto Arcivescovo ne usurpò la sede. Malachia, fu perseguitato, calunniato, ma alla fine la giustizia trionfò. Lasciato allora il governo di quella chiesa a Gelasio, dotto e pio vescovo, ritornò a Connoret, che divise in due diocesi, tenendo per sè la più piccola, quella cioè di Duno.
In Duno formò un capitolo di Canonici Regolari, che associò a sé nel governo della diocesi, e intraprese con essi vita religiosa.
S’aceresceva intanto la stima e la venerazione verso di lui, sia per le sue eccelse virtù, sia per i prodigi che operava: ma quanto più veniva esaltato, tanto più il Santo si umiliava.
In un viaggio che fece in quel tempo a Roma, ricevette la potestà di Legato Apostolico d’Irlanda.
Desiderando che l’Arcivescovo di Armac fosse eletto cardinale ed essendo venuto in Francia il Pontefice Eugenio III, si recò a fargli visita, ma giunto sul suolo francese ebbe notizia che il Papa era ripartito per l’Italia. Allora si recò nel convento di Chiaravalle, dove fu ricevuto da S. Bernardo e dai suoi monaci con grande allegrezza.
Ma dopo pochi giorni Malachia venne colpito da improvvisa febbre: il male si aggravò e Malachià morì, secondo le sue predizioni, tra le preghiere di quei religiosi il giorno 2 novembre 1149.
S. Bernardo ne fece l’elogio funebre e ne scrisse la vita



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:45

San Marciano di Siria Confessore

2 novembre

Sec. IV

Monaco del IV secolo, abbandonò la carriera militare per vivere da eremita nel deserto dell'Asia minore. Di lui parla la «Storia dei monaci» scritta nel 423 da Teodoreto vescovo di Ciro che ne sottolinea lo spirito di penitenza. La sua piccola cella nella Calcide era meta di gente in cerca di conforto e saggezza. Una volta, interrogato da 5 vescovi stette a lungo senza parlare. Quando i suoi intervistatori gli fecero notare che il suo silenzio poteva essere segno di umiltà ma anche mancanza di carità, rispose: «Il Signore dell'universo ci parla continuamente per mezzo del creato; ci istruisce per mezzo delle Sacre Scritture; ci insegna quel che dobbiamo fare, spaventandoci con la minaccia dei castighi e spronandoci con la promessa dei premi divini. Che cosa potrebbe aggiungere Marciano a tutto ciò?». Marciano viveva poveramente e si mortificava, ma non faceva di queste cose lo scopo della sua vita. L'unico scopo dell'uomo è infatti la carità, anche se abita lontano dagli uomini. (Avvenire)

Martirologio Romano: Commemorazione di san Marciano, eremita, che, nato a Cirro nel territorio dell’odierna Turchia, si ritirò in monastero a Calcedonia, dove, vivendo in una angusta dimora, non si nutriva che la sera di poco pane e acqua, anteponendo tuttavia al digiuno l’amore fraterno.


San Marciano, eremita del IV secolo, visse in un deserto dell'Asia Minore. Egli ha avuto la fortuna di essere stato ricordato da uno scrittore d'eccezione, Teodoreto, Vescovo di Ciro, il quale compose, nel 423, una "Storia dei Monaci", dando larga parte a Marciano, nato a Ciro, quindi gloria di quella città.
Naturalmente anche Teodoreto parla della cella nel deserto, dove non c'era posto che per una sola persona; elogia lo spirito di penitenza di Marciano; esalta le sue doti soprannaturali e le sue mistiche elevazioni; descrive la vita ascetica dell'eremita, e ricorda l'ammirazione di cui era contornato nel deserto. Ha inoltre il pregio, non comune a tutti i biografi di simili personaggi, di riportare i detti dei monaco saggio e solitario.
Una volta, per esempio, si recarono a visitarlo cinque Vescovi, per interrogarlo, o come oggi si direbbe, per intervistarlo. Gli si posero intorno, seduti, in attesa della sua prima risposta, che però non veniva. Silenzioso e immobile, in mezzo a quei Vescovi, il vecchio Marciano sembrava un tronco d'albero, scuro e rugoso.
1 suoi intervistatori non erano però giunti da lui perché spinti dalla curiosità o eccitati dalla novità. Gli fecero capire che il suo silenzio poteva essere segno di umiltà, ma anche mancanza di carità. Marciano allora parlò:
" il Signore dell'universo - disse - ci parla continuamente per mezzo del creato; ci istruisce per mezzo delle Sacre Scritture; ci insegna quel che dobbiamo fare, spaventandoci con la minaccia dei castighi e spronandoci con la promessa dei premi divini. Che cosa potrebbe aggiungere Marciano a tutto ciò? Marciano che, come gli altri, non ascolta il suo Dio né segue i suoi santi consigli? ".
Un altro giorno, fu visitato da un eremita che viveva nello stesso deserto. Marciano gli offri qualcosa per sfamarsi. L'altro se ne scandalizzò. E il Santo allora parlò, per ristabilire quel la che noi diremmo la gerarchia dei valori.
"Non si deve - disse - stimare il digiuno più del nutrimento. Dobbiamo invece stimare soprattutto la carità. La carità ci è comandata dal Signore ed è a Lui gradita. Il digiuno invece dipende da una nostra scelta. Non c'è dubbio, dobbiamo avere in onore più il comandamento di Dio che la nostra austerità ". Nonostante ciò, egli era austero. Digiunava volontariamente e volentieri; si disciplinava e si mortificava, ma non faceva di queste cose lo scopo della sua vita. L'unico scopo dell'uomo è infatti la carità, anche se abita nel deserto, lontano dagli uomini e dal mondo.
Senza la carità, dice San Paolo, non siamo altro che cembali sonanti; tutti, anche se anacoreti o eremiti nel deserto!



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:47

Beata Margherita di Lorena Vedova

2 novembre

1463 - 2 novembre 1521

Moglie del duca di Alençon, Francia. Rimasta vedova, professò in un monastero di Clarisse che lei stessa aveva fatto costruire.

Martirologio Romano: A Mortagne nella Normandia, beata Margherita di Lorena, che, un tempo duchessa di Alençon, rimasta vedova, professò l’obbedienza alla vita regolare nel monastero di Clarisse da lei stessa fatto costruire.

A dieci anni, durante una passeggiata nel bosco, la nipotina del Re Renato di Sicilia, Duca d'Angiò e di Lorena, si nascose con alcune coetanee, destando apprensione tra le persone del seguito. Ritrovata prima di notte, confessò di aver voluto darsi alla vita eremitica.
Non furono molti a stupirsi, sapendo come il nonno facesse leggere alla bambina le Vite dei Padri del deserto e come il buon Sovrano angioino non si mostrasse né sorpreso né contrariato notando questa precoce vocazione all'ascetismo nella sua nipotina prediletta.
Nata nel 1463, Margherita era ancora adolescente quando il nonno morì. Tornata in Lorena , qualche anno dopo sposò il Duca d'Alençon, che si chiamava anch'egli Renato. Ma la vita dei due sposi non fu facile, perché i disastri della Guerra dei Cent'Anni angustiavano il piccolo Ducato. E peggio fu quando Renato d'Alençon morì, nel 1492, lasciando Margherita vedova a 32 anni, con tre figli ancora bambini.
Da allora, la vita della donna forte fu dedicata all'educazione dei tre orfani, che i parenti avrebbero voluto sottrarre alla sua tutela, e che ella invece seppe far crescere tra i più promettenti e ammirati giovani di sangue reale, e finalmente sposare con ottimi matrimoni.
Una volta libera dall'impegno dei figli, Margherita di Lorena volle anche liberarsi dal peso del ducato, portato con scrupolosa abnegazione durante 22 anni di vedovanza. Dei suoi beni personali fece tre parti: una destinata ai poveri, l'altra alla Chiesa, la terza al proprio sostentamento. Poi si ritirò nel castello di Essai, che divenne un vero monastero laico, in stretto contatto con le Clarisse di Alençon.
Il Vescovo della Diocesi dovette invitare la Duchessa a moderare il proprio zelo ascetico, che la portava non solo a trascorrere notti quasi insonni, in preghiera, a indossare cilici, a digiunare a lungo, ma anche a disciplinarsi con estremo rigore per provare, com'ella stessa soleva dire, " qualcosa della Passione di Gesù ".
Cedendo alle esortazioni del prelato, Margherita di Lorena accettò di mutare metodo: prese a curare le piaghe degli ammalati, presso un dispensario da lei aperto a Mortagne.
Finalmente, la vocazione religiosa della nipotina del buon Re Renato poté essere coronata nel modo più completo e anche più austero, quando Margherita entrò tra le povere Clarisse di Argentan, accettando di condividere la durissima vita delle figlie di Santa Chiara, che oggi la onorano come una loro Beata.
Dopo due anni, la Duchessa si ammalò. A chi le proponeva un cambiamento d'aria, rispose che era necessario obbedire alla Regola, ma non era necessario vivere. Infatti non visse a lungo, e si preparò alla morte rimettendosi completamente nelle mani della Madre Superiora, perché questa la rimettesse a sua volta nelle mani del Salvatore.
Morì da vera clarissa, la sera del giorno dei defunti, nel 1521. Sul petto le fu trovata una croce di ferro, con tre punte che penetravano nella carne della Duchessa di Lorena, nipotina preferita del Re Renato d'Angiò.


Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:47

Beato Pio Campidelli

2 novembre

Poggio Berni (Rimini), 29 aprile 1868 - 2 novembre 1889

Nato nel 1868 a Trebbio, nel Riminese, conobbe i Passionisti a 12 anni, durante una missione popolare. A 14 entrò nel noviziato di Casale (Rimini) e nel 1884 emise la professione religiosa. Mentre si preparava al sacerdozio, venne colpito dalla tubercolosi e morì il 2 novembre 1889 ad appena 21 anni e mezzo. È beato dal 1985, anno internazionale della gioventù. Riposa nel santuario della Madonna di Casale, a San Vito di Romagna (Rimini), meta di molti pellegrini, specialmente giovani. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Casale in Romagna, beato Pio di San Luigi (Luigi) Campidelli, religioso della Congregazione della Passione, che, ancora giovane, colpito da una violenta malattia, si abbandonò totalmente alla volontà di Dio.


Pio Campidelli nasce a Trebbio di Poggio Berni (Rimini) il 29 aprile 1868 da Giuseppe e Filomena Belpani, quarto di sei figli.Orfano di padre a sei anni, manifesta sin da piccolo un animo buono, incline alla preghiera e amante dello studio.A scuola è esemplare per serietà ed impegno tanto da essere il migliore della classe.
Spesso lo si vede togliere i sassi dalla strada per evitare le bestemmie dei passanti.Diventa anche il catechista dei suoi coetanei che accorrono numerosi a sentirlo.
Pio conosce i Passionisti a 12 anni, durante una missione popolare a Poggio Berni.Ascolta i due missionari e resta affascinato dal loro entusiasmo e dalla loro serenità.
Si reca subito a Casale di San Vito per chiedere di diventare passionista, ma è invitato ad attendere perché è ancora troppo piccolo.
Finalmente il 2 maggio 1882 entra in convento e veste l’abito passionista; emette la professione religiosa il 30 aprile 1884.Il giovane vive esemplarmente la sua giornata, dando a tutti testimonianza di vita coerente e gioiosa.Si distingue per la straordinaria devozione all'Eucarestia, il Crocifisso e per il suo tenero amore per la Madonna.
La sorella Teresa dirà di averlo visto sempre contentissimo quando andava a fargli visita.La mamma sente la mancanza del figlio tanto a lei caro e gli chiede un giorno se vuole tornarsene a casa, ma si sente rispondere: “Nemmeno per tutto l’oro del mondo”.
Pio non arriva all’ordinazione sacerdotale perché si ammala di tubercolosi.Però conserva sempre la sua serenità.Consola la mamma che è andata a trovarlo per l’ultima volta, dicendole: “ Coraggio mamma, ci rivedremo in Paradiso”.
Muore il 2 novembre 1889, come lui stesso aveva predetto.
Ha solo 21 anni.Durante la malattia più volte aveva ripetuto: “Offro la vita per la Chiesa, per il Sommo Pontefice, per la Congregazione, per la conversione dei peccatori e specialmente per il bene della mia diletta Romagna”.
Viene seppellito nel cimitero di San Vito alla presenza di una folla numerosa e commossa, poiché si era subito sparsa la voce che era morto il “santino di Casale”.
Nel 1923 i suoi resti furono trasportati del Santuario di Casale.
Il 21 marzo 1983 Giovanni Paolo II proclama Pio “Venerabile” riconoscendo nella sua vita i segni inequivocabili della santità.Il 6 dicembre 1984 è approvato il miracolo attenuto da Suor Maria Foschi per intercessione di Pio.
Il 17 giugno 1985 si procede alla ricognizione delle sue ossa, trovate in stato di perfetta conservazione.
Nella cornice maestosa della Basilica di San Pietro, a Roma, il 17 novembre 1985 Pio è dichiarato “Beato” dal Papa. Tutto il mondo assiste, in diretta TV, all’esaltazione di quest’umile romagnolo.
La Chiesa lo ricorda il 2 novembre, mentre le Congregazioni Passioniste ne celebrano il culto il 3 novembre.



Stellina788
00martedì 2 novembre 2010 16:48

Santa Vinfreda (Gwenfrewi, Winfred of Wales) Vergine e martire

2 novembre

Hollywell, Wales, 600 c. - Caradog of Hawarden, 3 novembre 660

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Presso la fonte in località Holywell in Galles, santa Vinfreda, vergine, venerata come illustre monaca.


Il nome di Gwenfrewi, patrona del Galles, appare piú spesso nella forma inglese Winifred o Winifrid; un'altra forma è Guineura. Non c'è alcuna testimonianza della santità e neppure dell'esistenza di Gwenfrewi anteriore a due Vitae del sec. XII, cioè cinque secoli dopo l'epoca presunta della santa. La cosiddetta Vita prima fu scritta probabilmente da un monaco di Basingwerk intorno all'anno 1200; la secunda, che invece è la piú lunga e piú antica, è opera di Roberto, priore di Shrewshury intorno all'anno 1139. Il nome di Gwenfrewi non appare, d'altra parte, prima del sec. XIII nei Calendari gallesi.
Dalle due Vitae la storia di Gwenfrewi risulta abbastanza interessante; suo padre era Teuyth, figlio di Eylud, il quale visse nel Tegeingl (Flintshíre) e fu valoroso soldato e comandante sotto re Eliuth. Madre di Gwenfrewi era Gweolo, figlia di Bugi e sorella di s. Beuno (v.).
Teuvth dette a s. Beuno della terra a Svchnant, ove questi costruí una chiesetta. In cambio s. Beuno divenne il maestro spirituale di Gwenfrewi, figlia unica di Teuyth. Una domenica, era il 22 giugno, i genitori di Gwenfrewi la lasciarono sola in casa per andare alla Messa. Disgraziatamente Caradog di Hawarden, figlio del re Alauc, che era andato a caccia ed era assetato, venne alla casa di Teuvth a cercare acqua. Quando comprese che Gwenfrewi era sola le fece proposte sconvenienti; benché allarmata, Gwenfrewi saggiamente disse di volersi ritirare in un'altra camera per indossare il suo abito migliore, e scappò, andando a Sychnant a chiamare in aiuto s. Benno. Adirato, Caradog la inseguí a cavallo e, raggiuntala davanti alla chiesa, l e tagliò la testa. Nel punto in cui cadde la testa scaturí una sorgente, chiamata poi Holvwell. Quando lo zio s. Beuno giunse. rimise la testa di Gwenfrewi al suo posto e, come fu detto, solo una cicatrice, come una linea bianca, rimase attorno al collo della santa, quindi maledisse Der la sua perfidia Caradog, che morí in una maniera orribile.
Vi sono diversi resoconti contrastanti su quello che accadde a Gwenfrewi dopo la sua meravigliosa guari gione. La Vita prima afferma che Gwenfrewi si recò a Roma, ma ne tornò per presenziare ad un concilio di monaci e eremiti britannici sulla riunione degli eremiti in conventi. La Vita seconda, invece, narra che s. Beuno lasciò Holywell per Clynnog, nel regno di re Cadvallon, figlio di Cadfan, intorno al 630. mentre, probabilmente, Gwenfrewi vi rimase dopo la sua partenza per sette o otto anni, fondando un convento per vergini. Si dice pure che trascorse un periodo di tempo a Bodfari con s. Deifer (v.), che la mandò a Henllan da s. Sadwrn (v.), che a sua volta la mandò a Gwytherin da s. Elerio (v.) il quale mise Gwenfrewi nel vicino convento di sua madre, Theonia. Gwenfrewi succedette a Theonia come superiora di undici vergini. e morí a Gwytherin il 2 o 3 novembre, circa quindici anni dopo la sua decapitazione (650?). Fu sepolta da s. Elerio.
La sorgente di Holywell, ora molto impoverita da scavi vicini, è stata sempre nota per il volume dell'acqua che vi scaturiva ed è la piú famosa fonte sacra delle isole britanniche continuando ad attrarre molti pellegrini, che vi si curano con risultati positivi confermati dalle autorità mediche. Altre fonti dedicate a Gwenfrewi si trovano a Woolston (Shropshire) e ad Oxford (Holywell).
Le reliquie di Gwenfrewi furono translate con grande solennità nell'abbazia di Shrewsbury nel 1138, come riferisce la Vita secunda scritta da Roberto priore di Shrewsbury, nel 1139 o 1140. Nel 1398 l'arcivescovo Arundel di Canterbury ordinò che si celebrasse la festa di Gwenfrewi nell'arcidiocesi di Canterbury, ordine rinnovato dal successore Chichele nel 1415 . Da allora la sua popolarità è cresciuta: Gwenfrewi è diventata la patrona del Galles e la sua intercessione è invocata ovunque si reciti la preghiera per il paese. La festa di Gwenfrewi è celebrata il 3 novembre probabilmente il giorno della sua morte, mentre il 22 giugno si celebrava la ricorrenza della sua decollazione; alcuni calendari menzionano invece Gwenfrewi al 19 ed al 20 settembre.
Gwenfrewi e lo zio s. Beuno sono effigiati su un pulpito del XIV sec. nel refettorio dell'abbazia di Shrewsbury. Una statua di Gwenfrewi, conservata alla sua fonte, la mostra con un ramo di palma ed un pastorale e, sebbene non fosse una principessa, il capo è coronato.



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00martedì 2 novembre 2010 16:49

San Vittorino Vescovo e martire

2 novembre

+ 303

San Vittorino, celebre esegeta, fu vescovo nell'Alta Pannonia, precisamente presso Poetavium, poi Pettau, odierna Ptuj in Slovenia. Poche sono le notizie tramandate sul suo conto. I pochi frammenti si devono a casuali riferimenti nelle opere di san Girolamo, Optato di Milevis e Cassiodoro. Da questi emerge che Vittorino, dopo essere stato retore, divenne vescovo di Pettau e scrisse commentari relativi all'Antico e Nuovo Testamento. Girolamo giudicò l'operato del santo vescovo assai qualificanto, sebbene gravi l'ipotesi della sua adesione all'eresia del milleranismo che a qual tempo dilagava in quelle zone. Essa sosteneva che Cristo sarebbe ritornato sulla terra per regnarvi mille anni. Vittorino pare essere morto martire della fede durante la violenta persecuzione scoppiata al termine del regno dell'imperatore Diocleziano, verso l'anno 303. Il suo culto sopravvisse ai travagli che nel corso dei secoli colpirono la zona dove esercitò il suo ministero e, per un certo periodo, venne erroneamente indicato come primo vescovo di Poitiers. (Avvenire)

Martirologio Romano: Commemorazione di san Vittorino, vescovo di Ptuj in Pannonia, nell’odierna Slovenia, che pubblicò molti scritti di esegesi della Sacra Bibbia e fu coronato dal martirio durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.


San Vittorino, celebre esegeta, fu vescovo nell’Alta Pannonia, precisamente presso Poetavium, poi Pettau, odierna Ptuj in Slovenia. La sua “passio” è andata persa e perciò assai poche notizie sono state tramandate sul suo conto, grazie ad alcuni casuali riferimenti nelle opere di San Girolamo, Optato di Milevis e Cassiodoro. Da questi preziosi documenti emerge che Vittorino, dopo essere stato retore, ascese alla cattedra episcopale di Pettau e redasse commentari relativi all’Antico e Nuovo Testamento.
Proprio da tali opere il grande San Girolamo trasse delle citazioni e dell’autore asserì che fosse un buon studioso, notando, come riportò l’agiografo Alban Butler, che “le sue opere erano sublimi nel significato, sebbene il latino fosse semplice, poiché l’autore era greco di nascita”.
Girolamo giudicò inoltre l’operato del santo vescovo assai qualificanto, sebbene gravi l’ipotesi della sua adesione all’eresia del milleranismo che a qual tempo dilagava in quelle zone. Essa sosteneva che Cristo sarebbe ritornato sulla terra per regnarvi mille anni.
Vittorino pare essere morto martire della fede durante la violenta persecuzione scoppiata al termine del regno dell’imperatore Diocleziano, verso l’anno 303. Il suo culto e la fama di santità sopravvissero ai travagli che nel corso dei secoli afflisserò la zona ove esercitò il suo ministero e, ad un certo punto, si pensò erroneamente che fosse stato il primo vescovo di Poitiers.


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