20 gennaio

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scri789
00giovedì 20 gennaio 2011 16:09

San Fabiano Papa e martire

20 gennaio - Memoria Facoltativa

sec. III

Fabiano, pontefice a Roma per quattordici anni (dal 10 gennaio del 236 al 20 gennaio del 250), promosse il consolidamento e lo sviluppo della Chiesa. Divise Roma in sette diaconie per l’assistenza dei poveri. Con lui la figura del vescovo di Roma assunse tale prestigio da destare preoccupazione nell’imperatore Decio, sotto il quale subì il martirio. Fu sepolto nel cimitero di Callisto. (Mess. Rom.)

Patronato: Idraulici

Etimologia: Fabiano = dalla romana gens Fabia

Emblema: Palma

Martirologio Romano: San Fabiano, papa e martire, che da laico fu chiamato per grazia divina al pontificato e, offrendo un glorioso esempio di fede e di virtù, subì il martirio durante la persecuzione dell’imperatore Decio; san Cipriano si felicita del suo combattimento, perché diede una testimonianza irreprensibile e insigne nel governo della Chiesa; il suo corpo in questo giorno fu deposto a Roma sulla via Appia nel cimitero di Callisto.

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L’hanno fatto Pontefice sebbene al momento fosse un semplice laico, di origine probabilmente non romana, anche se residente nell’Urbe. Succede a papa Antero, che ha governato la Chiesa per meno di due mesi; e ha la fortuna di vivere tempi tranquilli sotto gli imperatori Gordiano III (morto sui vent’anni) e Filippo, detto l’Arabo per le sue origini. Una parentesi pacifica, che vede anche feste solennissime per i mille anni della città di Roma, nel 248.
Papa Fabiano tiene rapporti con i cristiani dell’Africa e dell’Oriente, e si dedica all’organizzazione ecclesiale nell’Urbe, dividendone il territorio in sette ripartizioni territoriali. Provvede inoltre a sistemare i cimiteri cristiani, e dà sepoltura a papa Ponziano, deportato in Sardegna ad metalla, cioè nelle miniere, e morto nel 235. Tutte opere da tempi di pace.
Nel 249, però, Filippo l’Arabo viene ucciso presso Verona dalle truppe del suo rivale Decio, che prende il potere con un programma di rafforzamento interno dell’Impero, contro i pericoli d’invasione ad opera dei barbari, che lo minacciano da tante parti. Per lui, rafforzamento vuol dire anche ritorno all’antica religione romana, per pure ragioni politiche. Si decreta perciò che tutti i sudditi dell’Impero romano dovranno proclamare solennemente e pubblicamente la loro adesione al paganesimo tradizionale, compiendo pubblicamente un atto di culto, che consiste essenzialmente nell’immolazione di qualche animale. Fatto questo, ognuno riceverà il libello, una sorta di certificato attestante la sua qualità di buon seguace degli antichi culti.
Chi non sacrifica in questa forma pubblica, diventa un fuorilegge, un nemico dello Stato. In Roma, tre commissioni chiamano via via tutti i cittadini alla scelta, che per i pagani costituisce un gesto semplice e naturale, mentre per i cristiani immolare un animale agli dèi di Roma significa rinnegare l’unico Dio di Gesù Cristo, respingere la sua legge. Come sempre, c’è una varietà di comportamenti: alcuni cedono in pieno, per paura o per interesse, compiendo l’atto di culto. Altri cercano scappatoie di ogni genere per avere il libello senza prestare il culto richiesto. E ci sono i cristiani convinti, che dicono un risoluto no, respingendo a viso aperto l’imposizione e affrontando la morte.
Tra i primi a rifiutarsi di sacrificare agli dèi c’è papa Fabiano, che si spegne nel carcere Tullianum, ma non per morte violenta. Si ritiene, infatti, che l’abbiano lasciato morire di fame e di sfinimento in quella prigione. I cristiani lo hanno poi sepolto nel cimitero di San Callisto, lungo la Via Appia, onorandolo come martire, e l’iscrizione posta allora sul suo sepolcro è giunta fino a noi.




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00giovedì 20 gennaio 2011 16:10

San Sebastiano Martire

20 gennaio - Memoria Facoltativa

Milano, 263 ca. – Roma, 304 ca.

Le notizie storiche su san Sebastiano sono davvero poche, ma la diffusione del suo culto ha resistito ai millenni, ed è tuttora molto vivo. Ben tre Comuni in Italia portano il suo nome, e tanti altri lo venerano come santo patrono. San Sebastiano fu sepolto nelle catacombe che ne hanno preso il nome. Il suo martirio avvenne sotto Diocleziano. Secondo i racconti della sua vita sarebbe stato un cavaliere valsosi dell'amicizia con l'imperatore per recare soccorso ai cristiani incarcerati e condotti al supplizio. Avrebbe fatto anche opera missionaria convertendo soldati e prigionieri. Lo stesso governatore di Roma, Cromazio, e suo figlio Tiburzio, da lui convertiti, avrebbero affrontato il martirio. Tutto ciò non poteva passare inosservato a corte, tanto che Diocleziano stesso convocò Sebastiano. Inizialmente si appellò alla vecchia familiarità: «Ti avevo aperto le porte del mio palazzo e spianato la strada per una promettente carriera e tu attentavi alla mia salute». Poi passò alle minacce e infine alla condanna. Venne legato al tronco di un albero, in aperta campagna, e saettato da alcuni commilitoni. (Avvenire)

Patronato: Atleti, Arcieri, Vigili urbani, Tappezzieri

Etimologia: Sebastiano = venerabile, dal greco

Emblema: Freccia, Palma

Martirologio Romano: San Sebastiano, martire, che, originario di Milano, venne a Roma, come riferisce sant’Ambrogio, al tempo in cui infuriavano violente persecuzioni e vi subì la passione; a Roma, pertanto, dove era giunto come ospite straniero, ebbe il domicilio della perpetua immortalità; la sua deposizione avvenne sempre a Roma ad Catacumbas in questo stesso giorno.

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Le notizie storiche su s. Sebastiano sono davvero poche, ma la diffusione del suo culto ha resistito ai millenni, ed è tuttora molto vivo, ben tre Comuni in Italia portano il suo nome, e tanti altri lo venerano come santo patrono.
Le fonti storiche certe sono: il più antico calendario della Chiesa di Roma, la ‘Depositio martyrum’ risalente al 354, che lo ricorda al 20 gennaio e il “Commento al salmo 118” di s. Ambrogio (340-397), dove dice che Sebastiano era di origine milanese e si era trasferito a Roma, ma non dà spiegazioni circa il motivo.
Le poche notizie storiche sono state poi ampliate e diciamo abbellite, dalla successiva ‘Passio’, scritta probabilmente nel V secolo dal monaco Arnobio il Giovane.
Ne facciamo qui il riassunto integrando le due fonti, dando prima una introduzione storica.
Nel 260 l’imperatore Galliano aveva abrogato gli editti persecutori contro i cristiani, ne seguì un lungo periodo di pace, in cui i cristiani pur non essendo riconosciuti ufficialmente, erano però stimati, occupando alcuni di loro, importanti posizioni nell’amministrazione dell’impero.
E in questo clima favorevole, la Chiesa si sviluppò enormemente anche nell’organizzazione; Diocleziano che fu imperatore dal 284 al 305, desiderava portare avanti questa situazione pacifica, ma poi 18 anni dopo, su istigazione del suo cesare Galerio, scatenò una delle persecuzioni più crudeli in tutto l’impero.
Sebastiano, che secondo s. Ambrogio era nato e cresciuto a Milano, da padre di Narbona (Francia meridionale) e da madre milanese, era stato educato nella fede cristiana, si trasferì a Roma nel 270 e intraprese la carriera militare intorno al 283, fino a diventare tribuno della prima coorte della guardia imperiale a Roma, stimato per la sua lealtà e intelligenza dagli imperatori Massimiano e Diocleziano, che non sospettavano fosse cristiano.
Grazie alla sua funzione, poteva aiutare con discrezione i cristiani incarcerati, curare la sepoltura dei martiri e riuscire a convertire militari e nobili della corte, dove era stato introdotto da Castulo, domestico (cubicolario) della famiglia imperiale, che poi morì martire.
La leggendaria ‘Passio’, racconta che un giorno furono arrestati due giovani cristiani Marco e Marcelliano, figli di un certo Tranquillino; il padre ottenne un periodo di trenta giorni di riflessione prima del processo, affinché potessero salvarsi dalla certa condanna sacrificando agli dei.
Nel tetro carcere i due fratelli stavano per cedere alla paura, quando intervenne il tribuno Sebastiano riuscendo a convincerli a perseverare nella fede; mentre nel buio della cella egli parlava ai giovani, i presenti lo videro circondato di luce e tra loro c’era anche Zoe, moglie del capo della cancelleria imperiale, diventata muta da sei anni. La donna si inginocchiò davanti a Sebastiano, il quale dopo aver implorato la grazia divina fece un segno di croce sulle sue labbra, restituendole la voce.
A ciò seguì una collana di conversioni importanti, il prefetto di Roma Cromazio e suo figlio Tiburzio, Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio; tutti in seguito subirono il martirio, come pure i due fratelli Marco e Marcelliano e il loro padre Tranquillino.
Sebastiano per la sua opera di assistenza ai cristiani, fu proclamato da papa s. Caio “difensore della Chiesa” e proprio quando, secondo la tradizione, aveva seppellito i santi martiri Claudio, Castorio, Sinforiano, Nicostrato, detti Quattro Coronati, sulla via Labicana, fu arrestato e portato da Massimiano e Diocleziano, il quale già infuriato per la voce che si diffondeva in giro, che nel palazzo imperiale si annidavano i cristiani persino tra i pretoriani, apostrofò il tribuno: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me, ingiuriando gli dei”.
Sebastiano fu condannato ad essere trafitto dalle frecce; legato ad un palo in una zona del colle Palatino chiamato ‘campus’, fu colpito seminudo da tante frecce da sembrare un riccio; creduto morto dai soldati fu lasciato lì in pasto agli animali selvatici.
Ma la nobile Irene, vedova del già citato s. Castulo, andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura, secondo la pia usanza dei cristiani, i quali sfidavano il pericolo per fare ciò e spesso venivano sorpresi e arrestati anche loro.
Ma Irene si accorse che il tribuno non era morto e trasportatolo nella sua casa sul Palatino, prese a curarlo dalle numerose lesioni. Miracolosamente Sebastiano riuscì a guarire e poi nonostante il consiglio degli amici di fuggire da Roma, egli che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede davanti a Diocleziano e al suo associato Massimiano, mentre gli imperatori si recavano per le funzioni al tempio eretto da Elagabolo, in onore del Sole Invitto, poi dedicato ad Ercole.
Superata la sorpresa, dopo aver ascoltato i rimproveri di Sebastiano per la persecuzione contro i cristiani, innocenti delle accuse fatte loro, Diocleziano ordinò che questa volta fosse flagellato a morte; l’esecuzione avvenne nel 304 ca. nell’ippodromo del Palatino, il corpo fu gettato nella Cloaca Massima, affinché i cristiani non potessero recuperarlo.
L’abbandono dei corpi dei martiri senza sepoltura, era inteso dai pagani come un castigo supremo, credendo così di poter trionfare su Dio e privare loro della possibilità di una resurrezione.
La tradizione dice che il martire apparve in sogno alla matrona Lucina, indicandole il luogo dov’era approdato il cadavere e ordinandole di seppellirlo nel cimitero “ad Catacumbas” della Via Appia.
Le catacombe, oggi dette di San Sebastiano, erano dette allora ‘Memoria Apostolorum’, perché dopo la proibizione dell’imperatore Valeriano del 257 di radunarsi e celebrare nei cosiddetti “cimiteri cristiani”, i fedeli raccolsero le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo dalle tombe del Vaticano e dell’Ostiense, trasferendoli sulla via Appia, in un cimitero considerato pagano.
Costantino nel secolo successivo, fece riportare nei luoghi del martirio i loro corpi e dove si costruirono poi le celebri basiliche.
Sulla Via Appia si costruì un’altra basilica costantiniana la “Basilica Apostolorum”, in memoria dei due apostoli.
Fino a tutto il VI secolo, i pellegrini che vi si recavano attirati dalla ‘memoria’ di s. Pietro e s. Paolo, visitavano in quel cimitero anche la tomba del martire, la cui figura era per questo diventata molto popolare e quando nel 680 si attribuì alla sua intercessione, la fine di una grave pestilenza a Roma, il martire s. Sebastiano venne eletto taumaturgo contro le epidemie e la chiesa cominciò ad essere chiamata “Basilica Sancti Sebastiani”.
Il santo venerato il 20 gennaio, è considerato il terzo patrono di Roma, dopo i due apostoli Pietro e Paolo.
Le sue reliquie, sistemate in una cripta sotto la basilica, furono divise durante il pontificato di papa Eugenio II (824-827) il quale ne mandò una parte alla chiesa di S. Medardo di Soissons il 13 ottobre 826; mentre il suo successore Gregorio IV (827-844) fece traslare il resto del corpo nell’oratorio di San Gregorio sul colle Vaticano e inserendo il capo in un prezioso reliquiario, che papa Leone IV (847-855) trasferì poi nella Basilica dei Santi Quattro Coronati, dove tuttora è venerato.
Gli altri resti di s. Sebastiano rimasero nella Basilica Vaticana fino al 1218, quando papa Onorio III concesse ai monaci cistercensi, custodi della Basilica di S. Sebastiano, il ritorno delle reliquie risistemate nell’antica cripta; nel XVII secolo l’urna venne posta in una cappella della nuova chiesa, sotto la mensa dell’altare, dove si trovano tuttora.
S. Sebastiano è considerato patrono degli arcieri e archibugieri, tappezzieri, fabbricanti di aghi e di quanti altri abbiano a che fare con oggetti a punta simili alle frecce.
Patrono di Pest a Budapest e dei Giovani dell’Azione Cattolica, è invocato nelle epidemie, specie di peste, così diffusa in Europa nei secoli addietro.
Nell’arte antica s. Sebastiano fu variamente raffigurato come anziano, uomo maturo con barba e senza barba, vestito da soldato romano o con lunghe vesti proprie di un uomo del Medioevo.
Dal Rinascimento in poi diventò nell’arte, l’equivalente degli dei ed eroi greci, celebrati per la loro bellezza come Adone o Apollo, poi ispirandosi ad una leggenda dell’VIII secolo, secondo la quale il martire sarebbe apparso in sogno al vescovo di Laon, nelle sembianze di un efebo, pittori e scultori cominciarono a raffigurarlo come un bellissimo giovane nudo, legato ad un albero o colonna e trafitto dalle frecce.
Il soggetto si presentava ad una libera interpretazione del primo martirio delle frecce, (non si teneva conto che fosse poi morto con il flagello) e secondo l’estro dell’artista per un compiaciuto virtuosismo anatomico, applicato ad un soggetto religioso.
Anche Michelangelo nel “Giudizio Universale”, lo immaginò nudo e possente come un Ercole, mentre stringe in pugno un fascio di frecce, interpretazione guerriera del mite santo, beato nella comunione del Signore.
Innumerevoli sono le opere d’arte che lo raffigurano e quasi tutti gli artisti, pittori e scultori, si cimentarono nell’opera, anzi la semplicità del soggetto, uomo nudo legato ad una colonna, fu congeniale specie agli scultori.
Ancora vivente, il papa lo denominò “difensore della Chiesa”, e celeste patrono e difensore fu denominato da intere città, capolavoro di questo tema è l’affresco di Benozzo Gozzoli nella chiesa di S. Agostino, della turrita San Gimignano (1465), dove s. Sebastiano come le iconografie della Madonna della Misericordia, accoglie gli abitanti della città sotto il suo mantello, sorretto da angeli e contro il quale si spezzano le frecce scagliate dal cielo da Dio.
Infine è da ricordare che insieme a s. Giovanni Battista, è molto raffigurato nei gruppi di santi che circondano il trono della Madonna o che sono posti ai lati della Vergine.





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00giovedì 20 gennaio 2011 16:10

Beato Angelo (Francesco) Paoli Sacerdote carmelitano

20 gennaio

Casola in Lunigiana, Massa Carrara, 1 settembre 1642 - Roma, 20 gennaio 1720


Francesco Paoli nacque il 1° settembre 1642 ad Argigliano di Casola, un borgo della Lunigiana. Primogenito di tre fratelli e tre sorelle, fin da giovane si distinse per religiosità e attenzione ai poveri, amava molto le funzioni e la liturgia. Dopo aver ricevuto un po’ di istruzione dallo zio materno, vicario parrocchiale di Minacciano, non aveva ancora compiuto diciotto anni che si presentò al vescovo di Luni-Sarzana per chiedere gli ordini minori e la tonsura che ricevette nella locale cattedrale. Il 27 novembre 1660 Francesco e il fratello Tommaso si presentarono al convento di Cerignano per essere ammessi nell’Ordine Carmelitano. Quindi il padre li accompagnò a Siena, all’antichissimo convento di san Nicola, dove iniziarono il noviziato. Francesco, divenuto frate Angelo, l’anno successivo emise i voti solenni e partì per il convento di Santa Maria del Carmine di Pisa dove per cinque anni studiò filosofia. Era ancora giovane, ma la sua indole caritatevole iniziò ad emergere e diversi notabili della città portavano a lui le elemosine da distribuire ai poveri. Dopo gli studi teologici, il 7 gennaio 1667, festa di Sant’Andrea Corsini, nella Basilica fiorentina di Santa Maria del Carmine, celebrò finalmente la prima Messa. Rimase a Firenze come organista e sacrista fino al 1674, quando dovette tornare in famiglia, ad Argigliano, per motivi di salute. Il 15 agosto di quell’anno fu protagonista di un “miracolo”. La distribuzione del pane ai poveri non aveva mai fine e ancora oggi, in ricordo, annualmente, il 20 gennaio, l’illustre cittadino e il fatto prodigioso vengono ricordati. Angelo, quel giorno, volle sfuggire alla notorietà e si ritirò sulle montagne dell’alta Garfagnana per fare vita eremitica insieme ai pastori. Ogni giorno, all’alba, saliva al santuario di s. Pellegrino per celebrare la messa. Soggiornò quindi a Pistoia ma, invece di curarsi, si dedicò nuovamente ai poveri. Trascorso un anno, ristabilitosi in salute, fece ritorno a Firenze con il delicato compito di maestro dei novizi. Tra dicembre 1676 e ottobre 1677 fu parroco a Corniola di Empoli, dove c’era una comunità carmelitana, ma sovente andava a piedi a visitare i malati dell’ospedale di Pistoia. Fu nuovamente a Siena tra il 1677 e il 1680 e anche nella città di Santa Caterina si dedicò ad opere di carità. Erano anni difficili, a causa di una carestia, e il frate carmelitano, con il permesso dei superiori, organizzò nell’orto del convento una mensa alla quale accorrevano poveri provenienti anche dalle campagne. Nel 1680 fu inviato a Montecatini con il compito di insegnare grammatica ai novizi, ma puntualmente anche lì si diede da fare per i bisognosi. Nel 1682 fu destinato a Cerignano; partì di notte, come era solito fare per non ricevere ringraziamenti. Fu sacrista, organista e lettore ma, soprattutto, per indole innata, si dedicò alle persone in difficoltà. Per trovare un po’ di quiete e pregare solitario si recava in una grotta vicina. Passarono cinque anni, poi giunse l’ordine del Padre Generale di andare a Roma. Padre Angelo prese solo il breviario, la cappa bianca e una bisaccia con un po’ di pane, e si mise in viaggio nel buio della notte. Passò da Argigliano per salutare l’anziano padre e i fratelli, mentre a Siena si accomiatò dal fratello padre Tommaso.
Fece il suo ingresso nella città eterna il 12 marzo 1687, dopo un viaggio lungo e avventuroso. Nel convento dei Ss. Silvestro e Martino ai Monti fu accolto con gioia, la sua fama l’aveva preceduto. Un giorno del mese di luglio, dopo aver fatto la Scala Santa, decise di visitare l’ospedale del Laterano. Quanta miseria umana e spirituale vide in quelle corsie. Tornato dal superiore chiese, nelle ore libere dagli incarichi che ricopriva, di dedicarsi ai malati. Gli fu accordato, a patto che non trascurasse la formazione dei novizi che era sotto la sua responsabilità.
Nei trentatre anni romani il Beato Angelo divenne il “padre dei poveri”, il suo apostolato raggiunse livelli altissimi. Alla sua mensa venivano sfamati fino a trecento poveri al giorno. Si preoccupò inoltre dei malati che venivano dimessi dall’ospedale ma non erano abili a lavorare e aprì un convalescenziario. Organizzò, per quei tempi, servizi innovativi ed efficienti. Il suo apostolato fu anche per le carceri di Via Giulia e le famiglie dei detenuti. Nel 1689 gli fu affidata l’assistenza spirituale del conservatorio della Beatissima Vergine, presso l’Arco di s. Vito, fondato dalla nobildonna Livia Viperteschi per l’educazione delle fanciulle. La sua fama era tale che veniva chiamato anche fuori Roma per risolvere liti mentre dai certosini di Trisulti andava a parlare con i giovani che avevano dubbi sulla vocazione. Strinse vincoli di amicizia e collaborazione con nobili ed ecclesiastici, tra cui il cardinale teatino San Giuseppe Maria Tomasi.
Il Colosseo, santuario dei martiri dei primi tempi, per incuria era quasi pericolante e rifugio per gente di malaffare. Padre Angelo si rivolse a Clemente XI, con cui era in amicizia, e ricevette i fondi per alcuni lavori e per chiudere gli ingressi con le cancellate. Innalzò quindi tre croci davanti alle quali ancora oggi si celebra la Via Crucis. Anche sul Monte Testaccio fece mettere tre croci come aveva pure fatto sulle Alpi Apuane, in Lunigiana, sua terra di origine. La sua devozione per la croce era forte, per tutta la vita la tradusse in carità dedicandosi al prossimo, coinvolgendo altre persone che su suo esempio compresero il valore del Vangelo vissuto. Diceva: “chi cerca Iddio deve andarlo a trovare tra i poveri”.
Dal 1713 al 1716 fu delegato da Clemente XI alla consegna delle reliquie nelle diocesi, compito importante, solitamente affidato ad un vescovo. Per due volte rinunziò alla dignità cardinalizia propostagli da Innocenzo XII e Clemente XI.
La mattina del 14 gennaio 1720, mentre suonava l’organo, fu assalito da febbre e portato in cella. L’ultima malattia durò pochi giorni. Alle ore 6.45 del 20 gennaio spirava venerato come un santo, all’età di 78 anni. Al suo funerale accorse tutta Roma, cardinali, nobili e una moltitudine di popolo. Il corpo venne portato in processione, la gente per strada espose gli arazzi delle occasioni solenni. Papa Clemente XI sulla tomba in S. Martino fece scrivere il “venerabile” “padre dei poveri”. Molti miracoli gli furono attribuiti in vita e dopo la morte. Nel 1781 papa Pio VI riconobbe le sue virtù eroiche, oggi, riconosciuto il miracolo, è assunto alla gloria dei beati.
Nel 1999 Giovanni Paolo II, per il 7° centenario della presenza dei Carmelitani nella Basilica di S. Martino ai Monti, disse: "Come non far memoria di quell’umile frate, il Ven. Angelo Paoli, "Padre dei Poveri" e "Apostolo di Roma," che possiamo definire il fondatore “ante litteram” della "caritas" nel rione Monti? Egli, per primo, collocò la croce nel Colosseo, dandovi inizio al pio esercizio della Via Crucis."





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00giovedì 20 gennaio 2011 16:11

Sant' Ascla Martire

20 gennaio

Martirologio Romano: Ad Antinoe nella Tebaide, in Egitto, sant’Ascla, martire, che al cospetto del governatore non temette le minacce, perché la sua più grande preoccupazione era quella di non rinnegare Cristo, e dopo torture di vario genere fu gettato nel fiume.





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00giovedì 20 gennaio 2011 16:12

Beato Basilio Antonio Maria Moreau Sacerdote e fondatore

20 gennaio

Laigné-en-Belin, Francia, 11 febbraio 1799 - Le Mans, Francia, 20 gennaio 1873

Basile- Antoine-Marie Moreau nacque l‚11 febbraio 1799 a Laigné-en-Belin (Francia) e morì il 27 gennaio 1873 a Le Mans (Francia). Sacerdote diocesano, fondò la Congregazione della Santa Croce. La sua causa di canonizzazione, introdotta il 12 maggio 1955, ha portato al riconoscimento delle sue virtù eroiche il 12 aprile 2003 ed al riconoscimento di un miracolo avvenuto per sua intercessione il 28 aprile 2006. E' stato beatificato il 15 settembre 2007.


La Chiesa cattolica venera ben cinque santi e beati di cognome Moreau: Santa Maria di San Giusto (Anne-Francoise Moreau) missionaria francese martire in Cina, Beato Joseph Moreau martire durante la Rivoluzione francese, Beato Luigi Zeffirino Moreau vescovo in Canada ed infina, ultimo ad essere elevato alla gloria degli altari, Basile- Antoine-Marie Moreau. Quest’ultimo, oggetto della presente scheda agiografica, fu una grande figura della storia religiosa francese del XIX secolo, ingiustamente caduto nell’oblio.
Basile- Antoine-Marie Moreau nacque l’11 febbraio 1799 a Laigné-en-Belin, nei pressi di Le Mans in Francia, e nel 1821 fu ordinato sacerdote diocesano. Eccellente predicatore, uomo di azione e di preghiera, fondò due società strettamente collegate: i Sacerdoti di Santa Croce e le Suore di Santa Croce. Ben presto i suoi figli e le sue figlie spirituali si sparsero nel vecchio e nel nuovo mondo ed in tal modo il Moreau poté contribuire all’introduzione ed al progresso della Chiesa cattolica negli Stati Uniti, alla fondazione delle prime scuole cristiane in Algeria, sotto il laborioso episcopato di mons. Dupuch, a quella del primo orfanotrofio rurale di Roma per volontò del beato pontefice Pio IX. Non poche dure lotte accompagnarono come è facile immaginare cotante realizzazioni.
Pieno di meriti materiali e spirituali, Basile- Antoine-Marie Moreau si spense a Le Mans il 20 gennaio 1873.
La sua causa di canonizzazione, introdotta il 12 maggio 1955, ha portato al decreto sulle sue virtù eroiche il 12 aprile 2003 ed al riconoscimento di un miracolo avvenuto per sua intercessione il 28 aprile 2006. E’ stato infine beatificato il 15 settembre 2007 sotto il pontificato di Benedetto XVI.







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00giovedì 20 gennaio 2011 16:12

Beato Benedetto Ricasoli da Coltibuono Eremita

20 gennaio

Gaiole in Chianti, Siena, ca. 1040 - 20 gennaio 1107

Il beato Benedetto Ricasoli fu monaco ed eremita vallombrosano della Badia di Coltibuono.

Martirologio Romano: A Coltibuono in Toscana, beato Benedetto Ricásoli, eremita della Congregazione di Vallombrosa.


Nac­que nel villaggio di Montegrossi, nella diocesi di Fiesole, verso il 1040, e dopo essere vissuto lun­gamente nel mondo, verso il 1093 entrò nel mo­nastero di Coltibuono, donato da poco ai Vallombrosani. In seguito, col consenso dell'abate, andò a vivere in un eremo non lontano, detto il Castel­laccio, dove, tra grandi penitenze, morì il 20 genn. 1107. Fu sepolto nel chiostro del monastero di Coltibuono, donde il suo corpo, il 20 magg. 1430, fu trasferito nella chiesa, sotto l'altare maggiore. Il suo culto, già celebrato nella diocesi di Fiesole e in seno all'Ordine vallombrosano, fu approvato dalla Chiesa il 14 magg. 1907, in occasione del­l'ottavo centenario della morte.





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00giovedì 20 gennaio 2011 16:13

Beato Bernardo di Poncelli Mercedario

20 gennaio

Commendatore dei mercedari di Tolosa (Francia), il Beato Bernardo di Poncelli, si distinse per la sua santità. Nel 1333, innanzi a lui Santa Natalia fece la professione solenne, il Beato le consigliò di ricevere l’abito di terziaria per non lasciare soli i genitori e fu per lei grande guida verso la perfezione. Pieno di meriti, spirò santamente nella città di Tolosa.
L’Ordine lo festeggia il 20 gennaio.



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00giovedì 20 gennaio 2011 16:14

Beato Cipriano Michele Iwene Tansi Religioso

20 gennaio

Primo beato della Nigeria, è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 22 marzo 1998 ad Onitsha. Nacque nel 1903 ad Igboezunu nel Sud della Nigeria nella tribù degli Igbo, protagonisti negli anni 1967-70 della guerra civile del Biafra. Iwene (questo il suo primo nome) fu mandato a scuola dai missionari, che erano in Nigeria dal 1890. A nove anni venne battezzato col nome di Michele. Vincendo l'opposizione dei genitori nel 1925 entrò in seminario a Igbarian, diventando sacerdote nel 1937 nella cattedrale di Onitsha. Nominato parroco a Dunukofia, si impegnò in una vasta opera di evangelizzazione permettendo a molti di superare superstizioni e ingiustizie vissute nel nome della religione tradizionale. Dal 1945 al 1949 fu parroco ad Aguleri. Seguendo il desiderio del vescovo di avere in diocesi un'esperienza monastica, padre Tansi si recò in Inghilterra, entrando nel 1950 nell'abbazia trappista di Mount St. Bernard. Nel 1952 fu ammesso al noviziato, diventando fra' Cipriano ed emettendo nel 1956 i voti perpetui. Nel 1964, al momento di recarsi in Camerun per guidare la nuova comunità monastica, fu colpito da un aneurisma aortico che il 20 gennaio lo portò al decesso nell'ospedale di Leicester. (Avv.)

Martirologio Romano: Nel monastero di Mount Saint Bernard presso Leicester in Inghilterra, beato Cipriano (Michele) Iwene Tansi, sacerdote dell’Ordine cistercense: nato nella regione di Onitsha in Nigeria, ancora fanciullo professò, contro la volontà della famiglia, la fede cristiana e, ordinato sacerdote, con grande zelo si dedicò alla cura pastorale, finché fattosi monaco meritò di coronare la sua santa vita con una morte santa.


Primo beato della Nigeria, è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 22 marzo 1998 ad Onitsha – Nigeria. Ha la caratteristica di aver avuto nella sua vita ben tre nomi, Iwene alla sua nascita, Michele quando divenne cristiano e Cipriano come frate trappista.
Nacque nel 1903 ad Igboezunu ai margini della foresta, vicino all’antichissima città di Aguleri, nel Sud della Nigeria; era della nota e gloriosa tribù degli Igbo, che fu protagonista negli anni 1967-70 della sanguinosa guerra civile del Biafra.
Il Vangelo era arrivato nella sua zona nel 1890, portato dai primi missionari cattolici alsaziani, sostituiti poi dagli irlandesi della Congregazione dello Spirito Santo; i genitori di Iwene, contadini, erano praticanti della religione tradizionale degli Igbo e secondo le loro aspirazioni, desideravano per il figlio una istruzione e quindi a sei anni lo mandarono dai missionari, che avevano in quel tempo l’iniziativa dell’educazione scolastica, in un villaggio cristiano Nduka, dove visse ospite di una zia.
Suo insegnante nella scuola della missione, fu il cugino cristiano Robert Orekie; a nove anni nel 1912, venne battezzato con il nome di Michele, l’anno successivo insieme al cugino si trasferì ad Onitsha, iscrivendosi alla Scuola Primaria gestita dal sistema dell’allora possedimento britannico della Nigeria, che frequentò per sei anni con serietà e impegno agli studi, fino a conseguire nel 1919 il diploma d’insegnante.
Restò come professore nella stessa scuola fino al 1924, quando rientrato ad Aguleri divenne direttore della School St. Joseph; nel contempo in lui maturava la vocazione sacerdotale e quindi vincendo l’opposizione dei genitori, a 22 anni, nel 1925 entrò nel seminario di San Paolo a Igbarian.
Dopo aver percorso con profitto tutto il piano di studi necessari, il 19 dicembre 1937, fu ordinato sacerdote nella cattedrale di Onitsha, primo sacerdote della zona di Anguleri e secondo come clero indigeno della Diocesi. Nel 1939 fu nominato parroco di Dunukofia, vastissima zona i cui abitanti erano in massima parte legati alla religione tradizionale, non molto favorevoli ad accogliere il messaggio evangelico.
Padre Michele Iwene Tansi non disperò e intraprese una coraggiosa opera di conversione dei fedeli sia in campo dottrinale, sia in campo di revisione dei costumi locali alquanto maschilisti; combatté il concubinato prematrimoniale con l’istituzione di centri per la preparazione al matrimonio; sfatò il mito di una ‘foresta maledetta’; istituì l’Associazione della ‘Legione di Maria’ con risultati sorprendenti.
Esercitò il ministero come parroco in quella zona per sei anni percorrendo il vasto territorio a piedi o in bicicletta; dal 1945 al 1949 passò alla parrocchia di Akpu ad Aguleri, con lo stesso impegno e zelo pastorale.
Tra il 1949 e il 1950 il vescovo mons. Heerey, espresse il desiderio che uno dei suoi sacerdoti indigeni abbracciasse l’esperienza monastica, per poter portare in seguito, nella diocesi, il seme della vita contemplativa. Padre Tansi che già in cuor suo aspirava a questa forma di vita spirituale, vide nella richiesta del vescovo, come una risposta dall’alto alle sue aspirazioni, quindi si propose per questa esperienza, affiancato dal suo vice parroco Marco Ulogu.
Furono presi contatti con l’abbazia trappista di Mount St. Bernard, nella contea di Leichester in Inghilterra e fu deciso che Padre Tansi sarebbe entrato come oblato. Durante il pellegrinaggio parrocchiale fatto a Roma durante l’Anno Santo 1950, padre Tansi invece di ritornare in Nigeria, proseguì per l’abbazia trappista, dove giunse il 2 luglio 1950.
Qui avvenne la metamorfosi spirituale del religioso nigeriano, da pioniere ed organizzatore della giovane Chiesa nigeriana, divenne un monaco umile e docile, impegnato a realizzare l’’ora et labora’ nell’austera e silenziosa vita quotidiana trappista. Dopo circa tre anni trascorsi come oblato, il 7 dicembre 1952, fu ammesso al noviziato, assumendo il nome di fra’ Cipriano e l’8 dicembre 1956, emise i voti perpetui.
Per altri sette anni visse la rigorosa vita di trappista in piena umiltà, ubbidienza e nascondimento, nella preghiera, nel silenzio, nella separazione dal mondo, impegnato nelle più umili mansioni, tutto secondo l’austera regola della Congregazione dei Certosini Riformati, noti appunto con il nome di trappisti, nome scaturito dall’abbazia di Notre-Dame-de-la-Trappe, in Francia da dove iniziò la Riforma nel 1664.
Nel 1963 sembrò che i tempi fossero maturi per fondare in terra nigeriana quella comunità contemplativa desiderata dal vescovo nel 1950. Ma le vicissitudini politiche nigeriane, che sfoceranno nella guerra civile del Biafra, sconsigliarono i superiori, che optarono per il confinante Camerum; per padre Cipriano Tansi, che era stato nominato maestro dei novizi della nascente comunità, fu un colpo non facile da assorbire, visto il forte legame per la sua terra e il motivo iniziale della sua scelta, ma la sua grande formazione spirituale fece sì che accettasse anche questo come volontà di Dio.
Ma mentre si preparava a questo nuovo impegno, nel gennaio 1964 frate Cipriano ebbe improvvisi e grandi disturbi ad una gamba che si gonfiò enormemente. Venne ricoverato d’urgenza nell’Ospedale di Leichester, dove gli fu diagnosticato un’aneurisma aortico; il monaco che l’accompagnava, ritornò al monastero con l’intento di ritornare il mattino seguente, ma durante la notte il male peggiorò e il mattino del 20 gennaio 1964, morì completamente solo, in un’anonima stanza di un ospedale straniero, senza aver potuto più rivedere la sua terra, da quando era partito nel 1950.
La salma fu riportata al monastero e il 22 furono celebrati i funerali con la presenza di altri sacerdoti nigeriani residenti a Londra. Il centro monastico in Camerum, si aprì dopo la sua morte e quando nel 1986 a 22 anni dalla sua dipartita, si aprì nella cattedrale di Omitsha il processo per la beatificazione, in Nigeria funzionavano due Comunità trappiste una maschile e l’altra femminile e una di benedettine.
Nel 1988 il corpo fu esumato e traslato con l’aereo in Nigeria; nella cattedrale di Onitsha fu tenuto il solenne rito funebre durante il quale avvenne un miracolo, riconosciuto tale come di ‘prima categoria’ su una ragazza di 17 anni affetta da grave tumore inoperabile, che il vescovo aveva concesso di accostarsi a toccare il feretro, e che dopo il rito le scomparve completamente.
In suo nome è sorta in Nigeria la Pia Associazione ‘Fr. Tansi Solidarity Prayer Movement’, composta da 40.000 iscritti che indossando un abito particolare, si riuniscono nelle parrocchie a pregare e cantare lodi nello spirito trappista.

Autore: Antonio Borrelli





Nel 1998 la Nigeria ha avuto il suo primo beato nella persona di Padre Cyprian Michael Iwene Tansi, che dal sacerdozio attivo e superimpegnato è passato con estrema naturalezza ed eccezionale efficacia al silenzio ed alla vita contemplativa della Trappa. Nasce nel 1903 ai margini della foresta, nella Nigeria meridionale, in una famiglia pagana, da una tribù che sessant’anni dopo sarà protagonista della tristemente famosa e sanguinosa guerra civile del Biafra. I genitori, anche se ferventi praticanti della religione locale, non trovano affatto disdicevole mandare il loro figlio di sei anni a studiare in una scuola gestita dai missionari cattolici. Iwene, insieme alle prime nozioni, può così frequentare regolarmente il catechismo e tre anni dopo viene battezzato con il nuovo nome di Michael. L’intelligenza viva di cui è dotato gli permette di concludere brillantemente anche gli studi superiori, diplomarsi insegnante e diventare addirittura direttore della scuola cattolica della sua città, mentre sempre più prepotente sente nascere in lui la vocazione sacerdotale. Scontata la ferma opposizione dei genitori e dell’intero clan, che tuttavia non gli impedisce a 22 anni di entrare in seminario e a 34 anni di essere ordinato sacerdote: è il secondo sacerdote indigeno della diocesi ed il primo in assoluto della sua zona natale. Dopo due anni di esperienza pastorale gli affidano una zona vastissima che percorre in lungo e in largo con la sua bicicletta e con una vecchia motocicletta che lo lascia spesso a piedi. Ora quella sua enorme parrocchia è suddivisa in ben 14 parrocchie e testimonia l’immensa mole di lavoro svolto da quel sacerdote che si spende per la sua gente con un’inesauribile generosità, con una catechesi semplice e profonda, con una preghiera prolungata davanti all’eucaristia. Vuole affrancare la donna nigeriana dalla condizione subalterna rispetto all’uomo, organizza incontri prematrimoniali, coltiva le vocazioni sacerdotali che fioriscono numerosissime durante il suo ministero, dedica molto tempo all’istruzione dei ragazzi, senza dimenticare, da buon giocatore di calcio qual era stato da giovane, di inserire l’attività sportiva nel suo progetto di educazione della gioventù. Sulla soglia dei 50 anni accetta l’invito del vescovo a fare un’esperienza monastica, per poter poi trapiantare in Nigeria il seme della vita contemplativa. Quanti gli costi separarsi dalla sua gente e dalla sua comunità lo dimostra il fatto che parte alla chetichella, durante il pellegrinaggio a Roma per l’Anno Santo, prendendo la direzione dell’Inghilterra anziché quella del ritorno in Africa. Nell’abbazia inglese gli danno il nuovo nome di Padre Cyprian e lui si lascia immergere nel clima contemplativo dei monaci, passando con naturalezza dal vorticoso lavoro missionario al silenzio della Trappa. Così per 14 anni, edificando tutti con la sua preghiera e la sua penitenza, fino a quando, quasi alla vigilia del suo ritorno in Nigeria, il 20 gennaio 1964 muore improvvisamente nella solitudine di un ospedale inglese, dove è stato ricoverato per aneurisma aortico. Dopo 24 anni la sua salma rientra in Nigeria e durante le solenni esequie una ragazza, toccando la sua bara, guarisce in modo istantaneo e definitivo da un tumore che l’aveva portata in fin di vita: la firma di Dio su una straordinaria testimonianza di vita sacerdotale intensamente e profondamente donata.





scri789
00giovedì 20 gennaio 2011 16:14

Sant' Enrico di Uppsala Vescovo e martire

20 gennaio

Inghilterra - XII secolo - Finlandia

Martirologio Romano: In Finlandia, sant’Enrico, vescovo e martire, che, nato in Inghilterra, ebbe l’incarico di reggere la Chiesa di Uppsala, adoperandosi con grande zelo nell’evangelizzazione dei Finni; fu, infine, crudelmente trucidato da un omicida, che egli aveva cercato di correggere secondo la disciplina ecclesiastica.


Sant’Enrico visse nel XII secolo e divenne apostolo della Finlandia. Originario dell’Inghilterra, operò in Svezia lottando contro il paganesimo anche se purtroppo non sappiamo di preciso quando giunse in Scandinavia. Verso la metà del XII secolo compare quale vescovo di Uppsala, ove secondo la tradizione locale avrebbe innaugurato la nuova cattedrale edificata da Sant’Erick IX, re di Svezia. In seguito accompagnò il sovrano in una crociata volta alla cristianizzazione della Finlandia e si fermò nella regione per continuare l’opera intrapresa. Vinti i capi locali, li battezzò forzataemente alla fonte di Kuppis, nei pressi di Abo. Poche notizie sono comunque state tramandate circa la sua attività missionaria: secondo la tradizione sarebbe giunto sino al villaggio di Ylistaro, nella contrada di Kumo, ove ancora oggi sopravvivono le rovine della casa in cui il santo vescovo avrebbe predicato.
Enrico trovò la morte nel primo inverno dal suo arrivo in Finlandia per mano di un indigeno di nome Lalli, cui egli aveva imposto penitenza per un precedente omicidio. L’omicidio avvenne nella palude di Kjulo e secondo le leggende Lalli avrebbe anche staccato il pollice del vescovo al quale era infilato l’anello pastorale sulla cui pietra era inciso il suo sigillo. In primavera il dito con l’anello ancora infilato fu rinvenuto su un pezzo di ghiaccio galleggiante ed un cieco riacquistò immediatamente la vista stroppiciandosi gli occhi con la reliquia. Il capitolo del duomo di Abo, in Finlandia, assunse e conserva ancora oggi quale suo sigillo particolare l’immagine del dito con l’anello.
Enrico avrebbe predetto per tempo la sua morte e diede disposizione ai suoi compagni che il suo cadavere fosse attaccato ad un paio di buoi e ove questi lo avrebbero casualmente trascinato fosse sepolto e venisse eretta una chiesa. Così avvenne presso Nouis, ma in seguito i suoi resti furono racchiusi in un prezioso reliquiario e traslati nel nuovo duomo di Abo. Durante l’occupazione russa della Finlandia, lo zar Pietro I nel 1720 fece spedire in Russia il reliquiario e da allora scomparve. La sua tomba originaria nella chiesa di Nouis continuò comunque ad essere considerata un luogo sacro, tanto che dopo secoli vi fu eretto un monumento recante l’immagine del santo ed alcune scene della sua vita.
Ufficialmente pare che Enrico di Uppsala non sia mai stato canonizzato, ma abitualmente al suo nome da tempo immemorabile venne anteposto l’attributo di “santo”. Invocato quale particolare protettore della Finlandia, gli furono dedicate le feste del 20 gennaio e del 18 giugno ed in molte chiese finlandesi e svedesi era posta la sua effige. Oggi la cristianità Finlandia è difisa fra cattolicesimo, luteranesimo ed ortodossia, ma ormai da tempo è iniziata una consuetudine secondo cui ogni anno il 20 gennaio, festa che cade provvidenzialmente durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, una delegazione ecumenica dalla Finlandia si reca in visita dal Vescovo di Roma.





scri789
00giovedì 20 gennaio 2011 16:15

Sant' Eusebio Eremita

20 gennaio


Nome frequente nel calendario dei santi e dei beati, quello di Eusebio: se ne contano ben 43, oltre a sette nella versione femminile Eusebia. L’Eusebio che la Chiesa ricorda alla data odierna apparteneva a una nobile e ricca famiglia ungherese e dopo l’ordinazione sacerdotale fu nominato canonico del capitolo metropolitano di Strigonia, nome latino medievale dell’odierna Esztergom, città che sorge sulla destra del Danubio in un pittoresco luogo addossato al massiccio montuoso di Pilis, di fronte alla confluenza del fiume Hron che scende dai Carpazi occidentali. Esztergom è sede arcivescovile del primate d’Ungheria; santo Stefano, primo re cristiano di quel paese, vi fece erigere una basilica di cui rimangono alcune vestigia; quella nuova, costruita nel XIX secolo, è la più grande chiesa ungherese. Nel 1246 il canonico Eusebio rinunciò alla carica - importante e redditizia a quei tempi - e si ritirò sulle montagne di Pilis, dedicandosi alla vita eremitica. La fama della sua santità si diffuse e presto attorno a lui si riunirono gli altri eremiti della regione. Così nel 1250 Eusebio fece costruire per loro, attingendo a quanto restava del suo patrimonio, un monastero e una chiesa dedicata alla Santa Croce. Dodici anni dopo partì per Roma per incontrare il papa Urbano IV e chiedergli la costituzione di un Ordine religioso che raccogliesse i suoi eremiti. Ottenuto il permesso, ne scelse il nome: Ordo sancti Paoli primi eremitae, dal nome dello straordinario santo che per primo nel III secolo scelse la vita eremitica ritirandosi nel deserto della Tebaide, dove trascorse ben novant’anni e dove, ormai ultracentenario, ricevette la visita di sant’Antonio abate prima di morire, sembra nel 341; lo stesso Antonio, recatosi una seconda volta a trovarlo, lo trovò morto e lo seppellì. I seguaci di Eusebio vennero però chiamati anche Eremiti della Santa Croce, dalla chiesa da lui fatta costruire. L’Ordine - il primo fondato da un ungherese - si sviluppò assai e quando Eusebio morì, nel 1270, contava già numerose case. MOLACCA - Irlandese, nato da vecchi e poveri genitori, fu battezzato da san Cuimin Foda, capo della scuola monastica di Clonfert e fondatore e abate del monastero di Kilcummin dove difese strenuamente il computo romano della data della Pasqua contro i suoi confratelli celti. Molacca, fattosi monaco ancora giovinetto, costruì un monastero, che poi abbandonò per recarsi nell’Irlanda settentrionale, quindi in Scozia e nel Galles, presso san David di Menevia, da cui ricevette in dono una campana. Tornò poi in Irlanda e morì nella seconda metà del VII secolo nel monastero da lui fondato. Gli si attribuisce la resurrezione della moglie di Cathal, re del Munster. Le vicende di questo santo sono assai incerte; tuttavia i molti luoghi che ancora portano il suo nome attestano che si trattò di una figura di qualche rilievo.


scri789
00giovedì 20 gennaio 2011 16:16

20 gennaio

38340 > Santa Eustochia (Smeralda) Calafato di Messina 20 gennaio MR

92493 >
Sant' Eutimio Abate 20 gennaio MR

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San Fechin di Fobhar Abate 20 gennaio

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Beata Maria Cristina dell'Immacolata Concezione (Adelaide Brando) Religiosa e fondatrice 20 gennaio MR

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San Neofito di Nicea Martire 20 gennaio MR

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San Sebastiano Martire 20 gennaio - Memoria Facoltativa MR

38365 >
Santo Stefano Min Kuk-ka Catechista e martire 20 gennaio MR

92663 >
San Vulstano di Worcester Vescovo 20 gennaio MR


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