20 giugno

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scri789
00lunedì 20 giugno 2011 14:16

Beato Dermot (Dermizio) O’Hurley Vescovo e martire

20 giugno

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Emly, Irlanda, 1530 – Dublino, Irlanda, 20 giugno 1584

Martirologio Romano: A Dublino in Irlanda, passione del beato Dermizio O’Hurley, vescovo e martire, che, avvocato laico, divenne vescovo di Cashel per volontà di papa Gregorio XIII; sotto la regina Elisabetta I, interrogato e torturato per mesi, respinse fermamente ogni accusa e professò davanti al patibolo issato ad Hoggen Green di essere pronto a morire per la fede cattolica e per il suo ministero episcopale.


Dermot O’Hurley nacque nel 1530 nel distretto di Emly, contea di Tipperary, in Irlanda. Suoi genitori erano Guglielmo O’Hurley ed Onoria O’Brien, famiglia assai benestante. Frequentate nella sua patria le scuole elementari, proseguì gli studi nella prestigiosa università di Lovanio, ove divenne “Doctor Utriusque iuris” e decano della facoltà di legge. Dopo quindici anni, passò ad insegnare a Rheims per altri quattro. Dal 1570 si trasferì a Roma, ove undici anni dopo Papa Gregorio XIII lo consacrò Arcivescovo di Cashel, sebbene fosse a quel tempo ancora laico. Il 27 novembre fu dunque ordinato e gli venne imposto il pallio.
Nell’agosto seguente a Rheims organizzò il suo viaggio per raggiungere in segreto l’Irlanda. Le autorità protestaanti erano venute a conoscenza del suo rientro in patria ed egli si trovò dunque costretto a vestire abiti borghesi per passare inosservato.Esercitò il suo ministero a Waterford, poi nel castello di Slane ed ancora presso Carrikc-on-Shannon, ospite del conte Tommaso Butler di Ormone, simpatizzante cattolico seppur egli stesso apostata. Venuto a sapere i guai in cui era incorso il barone di Slane per averlo precedentemente ospitato, decise di consegnarsi spontaneamente agli agenti governativi venuti per arrestarlo.
Rinchiuso dapprima nelle prigioni di Kilkenny, venne trasferito il 7 ottobre 1583 nelle carceri di Dublino insieme a Margaret Ball. Fu qui sottoposto a varie torture, fra cui quella detta degli “stivali”: i suoi piedi, messi in scarponi di metallo pieni di olio, furono così riscaldati sopra il fuoco auspicando che il vescovo rivelasse il complotto escogitato dal Papa e dalla Spagna ai danni dell’Inghilterra. Egli sopportò tutto con fermezza eroica, non cedendo all’invito dei giudici ad abiurare la sua fede cattolica ed a riconoscere la supremazia spirituale della regina sulla Chiesa Anglicana.
Dermot O’Hurley, considerato reo di alto tradimento, il 19 giugno 1584 fu infine condannato senza però un regolare processo. All’alba del giorno seguente fu dunque impiccato alla periferia di Dublino. Papa Giovanni Paolo II ha beatificato questo glorioso martire il 27 settembre 1992, insieme ad altre sedici vittime della medesima persecuzione.




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00lunedì 20 giugno 2011 14:17

Santa Elia (Eliada) di Ohren Badessa

20 giugno

Etimologia: Elia = come il sole, splendente, dal greco


Fu la quinta badessa del monastero di Ohren (Treviri) e morì verso il 750. Ne fanno memoria, al 16 luglio, il breviario dell'arcivescovo Balduino, i calendari di S. Irmino, di S. Massimino, del sec. XIV, e il Greven, negli Auctaria ad martyrologium Usuardi. Dai martirologi benedettini, fin dal Wion, Elia è commemorata al 20 giugno, data della morte. Nel monastero francescano di Ohren è venerata una reliquia del braccio.




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00lunedì 20 giugno 2011 14:17

Sant' Ettore Martire

20 giugno

Etimologia: Ettore = che tiene saldo, tenace, sostenitore, dal greco

Emblema: Palma


Sappiamo che s. Ettore fu un martire al tempo di Diocleziano, probabilmente in Grecia, del resto non si trovano notizie nei testi più autorevoli, la sua festa è al 20 giugno, riportata in molti calendari, in alcune località è festeggiato il 23 dicembre.
La fortuna del nome, ancora oggi molto usato nel Nord Italia, specie in Lombardia e Trentino, più che al santo poco conosciuto, la si deve all’eroe omerico dell’Iliade, ucciso in una sfida a Troia da Achille, determinato a vendicare la morte dell’amico Patroclo, ucciso appunto da Ettore figlio di Priamo e strenuo difensore della città.
A diffondere ulteriormente il nome, contribuì l’ottocentesco popolare romanzo storico di Massimo d’Azeglio “Ettore Fieramosca”, condottiero di ventura, che guidò vittoriosamente la ‘Disfida di Barletta’ nel 1503 contro i cavalieri francesi.
Il nome deriva dal greco ‘Héktor’ latinizzato in Hèctor e significa ‘sostenitore’, ‘che trattiene fortemente’, ‘reggitore’ (del popolo).
E’ in uso anche il femminile Ettorina.




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00lunedì 20 giugno 2011 14:18

Beati Francesco Pacheco e compagni Gesuita, martire in Giappone

20 giugno

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Ponte di Lima (Braga), Portogallo, 1556 - Nagasaki (Giappone), 20 giugno 1626

Questi martiri missionari appartenevano alla Compagnia di Gesù e furono condannati al rogo durante i primi anni del 1600 a Nagasaki. Francesco Pacheco, Giovanni Battista Zolam, Paolo Xinsuki, Pietro Rinscei, Vincenzo Caun, Giovanni Kinsaco, un collaboratore dei gesuiti, terziario francescano, Baldassarre de Torres e Michele Tozò vennero tutti beatificati nel 1867 da Pio IX.

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, beati martiri Francesco Pacheco, sacerdote, e otto compagni, della Compagnia di Gesù, condannati al rogo in odio alla fede.


I Gesuiti con s. Francesco Saverio (1506-1552) furono i primi ad incominciare l'evangelizzazione del Giappone, che si sviluppò con notevoli risultati nei decenni successivi al 1549, tanto che nel 1587 i cattolici giapponesi erano circa 300.000, con centro principale a Nagasaki.
Ma proprio nel 1587 lo 'shogun' (maresciallo della corona) Hideyoshi, dai cristiani denominato 'Taicosama', che fino allora era stato condiscendente verso i cattolici, emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti (allora unico Ordine religioso presente nel Giappone) per delle ragioni non chiarite.
Il decreto fu in parte eseguito, ma la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese, mettendo in atto una strategia di prudenza, in silenzio e senza esteriorità, continuando con cautela l'opera evangelizzatrice.
Tutto questo fino al 1593, quando provenienti dalle Filippine sbarcarono in Giappone alcuni Frati Francescani, i quali al contrario dei Gesuiti, iniziarono senza prudenza una predicazione pubblica, a ciò si aggiunsero complicazioni politiche tra la Spagna e il Giappone, che provocarono la reazione dello 'shogun' Hideyoshi, che emanò l'ordine di imprigionare i francescani e alcuni neofiti giapponesi.
I primi arresti ci furono il 9 dicembre del 1596 e i 26 arrestati, fra cui tre gesuiti giapponesi, subirono il martirio il 5 febbraio 1597, i protomartiri del Giappone furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina” e proclamati santi da papa Pio IX nel 1862.
Subentrato un periodo di tregua e nonostante la persecuzione subita, la comunità cattolica aumentò, anche per l'arrivo di altri missionari, non solo gesuiti e francescani ma anche domenicani e agostiniani.
Ma nel 1614 la numerosa comunità cattolica subì una furiosa persecuzione decretata dallo shogun Ieyasu (Taifusama), che si prolungò per alcuni decenni distruggendo quasi completamente la comunità in Giappone, causando moltissimi martiri, ma anche molte apostasie fra gli atterriti fedeli giapponesi.
I motivi che portarono a questa lunga e sanguinosa persecuzione, furono vari, a partire dalla gelosia dei bonzi buddisti che minacciavano la vendetta dei loro dei; poi il timore di Ieyasu e dei suoi successori Hidetada e Iemitsu, per l'accresciuto influsso di Spagna e Portogallo, patria della maggioranza dei missionari, che erano ritenuti loro spie, per gli intrighi dei violenti calvinisti olandesi e infine per l'imprudenza di molti missionari spagnoli.
Dal 1617 al 1632 la persecuzione toccò il picco più alto di vittime; i supplizi secondo lo stile orientale, furono vari e raffinati, non risparmiando nemmeno i bambini; i martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, dai missionari e catechisti, ai nobili di famiglia reale; da ricche matrone a giovani vergini; da vecchi a bambini; dai padri di famiglia ai sacerdoti giapponesi.
La maggior parte furono legati ad un palo e bruciati a fuoco lento, cosicché la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane per parecchie sere e notti; altri decapitati o tagliati membro per membro.
Non stiamo qui ad elencare le altre decine di tormenti mortali cui furono sottoposti, per non fare una galleria degli orrori, anche se purtroppo testimoniano come la malvagità umana, quando si sfrena nell'inventare forme crudeli da infliggere ai suoi simili, supera ogni paragone con la ferocia delle bestie, che perlomeno agiscono per istinto e per procurarsi il cibo.
Oltre i primi 26 santi martiri del 1597 già citati, la Chiesa raccogliendo testimonianze poté riconoscere la validità del martirio per almeno 205 vittime fra le migliaia che persero la vita anonimamente e papa Pio IX il 7 luglio 1867 poté proclamarli beati.
Dei 205 beati, 33 erano dell'Ordine della Compagnia di Gesù (Gesuiti); 23 Agostiniani e Terziari agostiniani giapponesi; 45 Domenicani e Terziari O.P.; 28 Francescani e Terziari; tutti gli altri erano fedeli giapponesi o intere famiglie, molti dei quali Confratelli del Rosario.
Non c'è una celebrazione unica per tutti, ma gli Ordini religiosi a gruppi o singolarmente, hanno fissato il loro giorno di celebrazione.

Al gruppo dei 33 gesuiti appartiene il portoghese padre Francesco Pacheco, il quale nacque a Ponte di Lima (diocesi di Braga) nel 1556 da nobili genitori e fin da adolescente fu attratto dalle imprese dei missionari, in quell'epoca di grandi scoperte geografiche e di avvicinamento di popoli di altre civiltà.
A 30 anni entrò nella Compagnia di Gesù e sei anni dopo nel 1592, ottenne di essere inviato missionario in Estremo Oriente, facendo sosta per 12 anni, prima in India poi a Macao; nel 1604 gli fu accordato il permesso di spostarsi in Giappone, dove svolgendo il suo apostolato in varie zone, ottenne ottimi risultati.
Ci fu poi un periodo altalenante con il suo ritorno a Macao per dirigere l'Istituto dei Gesuiti, poi di nuovo in Giappone da dove fu espulso a causa della persecuzione.
Rientrò nella Terra del Sol Levante quasi subito e collaborò col vescovo Cerqueira, del quale divenne vicario e poi sostituendolo come Amministratore Apostolico; si stabilì invece che a Nagasaki a Cocinotzu d'Arima, località vicino al mare e ritenuta più sicura.
Ripresa la persecuzione, un cristiano apostata riferì il suo nascondiglio presso due fratelli fedeli cristiani e con loro fu catturato il 18 dicembre 1625, stessa sorte toccò al fratello coadiutore Gaspare Sadamatzu e i coniugi che l'ospitavano.
Trasferiti nel carcere di Samabara ebbero un pessimo trattamento, essendo esposti alle intemperie proprio nel periodo invernale; durante la prigionia, ammise nella Compagnia di Gesù i suoi tre catechisti giapponesi, Rinscei, Xinsuki, Kinsaco.
Il 17 giugno 1626 furono trasferiti a Nagasaki per ordine del governatore Cavaci e il 20 giugno 1626 fu arso vivo sulle colline della città, con altri otto religiosi della Compagnia di Gesù, le loro ceneri furono poi disperse in mare.
Il gruppo, la cui celebrazione è al 20 giugno, era così composto: Francesco Pacheco portoghese, Baldassarre De Torres spagnolo, Giambattista Zola italiano, Pietro Rinscei giapponese, Vincenzo Caun coreano, Giovanni Kinsaco giapponese, Paolo Xinsuki giapponese, Michele Tozò giapponese e Gaspare Sadamatzu fratello coadiutore giapponese.
Il 12 luglio 1626 morirono anche i fedeli che li avevano aiutati, i fratelli Mancio e Mattia Araki e i coniugi Pietro Cioboie e Susanna Araki.





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00lunedì 20 giugno 2011 14:20

San Giovanni (Scalcione) da Matera Abate

20 giugno

Matera, 1070 (1080) - Foggia, 20 giugno 1139

Nacque nel 1070 a Matera da una famiglia di nobili. Da giovane si trasferì a Taranto dove chiese ospitalità e lavoro ai monaci basiliani dell'Isola di San Pietro. Ispirato da una visione si recò in Calabria e poi in Sicilia continuando a condurre un'esistenza nel segno della penitenza e della rinuncia. Ritornato in Puglia, a Ginosa, si fece conoscere come predicatore nella zona e attirando l'ammirazione di molti. Imprigionato a causa di false calunnie fu liberato miracolosamente. Allontanatosi dalla terra natia, vi fece ritorno in seguito a una visione. Dopo un incontro e un periodo di permanenza con l'eremita san Guglielmo da Vercelli decise di andare in Palestina. Tuttavia passando per Bari comprese che la sua missione doveva svolgersi in quella città. Dopo un periodo di predicazione si fermò vicino a Pulsano, dove fondò una comunità che in sei mesi vide l'adesione di 50 monaci. La Congregazione monastica fu detta degli «Scalzi». Morì nel monastero di Foggia nel 1139. (Avvenire)

Patronato: Matera

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Martirologio Romano: Nel monastero di San Giacomo di Foggia in Puglia, san Giovanni da Matera, abate, che, insigne per austerità di vita e per la predicazione al popolo, fondò sul Gargano la Congregazione di Pulsano di osservanza benedettina.

Ascolta da RadioRai:
  

E’ detto anche da Pulsano, dal luogo ove fondò la sua ultima opera monastica. Nacque verso il 1070 in Matera da una ricca e nobile famiglia, ma ancora giovanetto, animato da uno straordinario spirito di pietà, abbandonò la casa paterna e si diresse a Taranto dove chiese ospitalità e lavoro ai monaci basiliani dell’Isola di S. Pietro, qui gli fu affidata la custodia delle pecore.
Quando aveva lasciato i fasti della sua casa, aveva scambiato i suoi lussuosi abiti con quelli di un povero, certo il gesto di s. Francesco che si spoglia dei suoi abiti per indossare un saio, era già stato fatto tante volte nei secoli precedenti da questi iniziali eremiti e monaci.
Giovanni fu molto provato da questo lavoro e quando stava per cedere, sentì una voce interna “Dio è con te” che lo rianimò; alla vista di una barca credette di vedere un volere di Dio e quindi si fece trasportare in Calabria, dove fece una vita di solitudine e mortificazione, da lì passò in Sicilia standoci due anni e proseguendo la sua vita di penitente.
Ritornò in Puglia a Ginosa che era vicino Taranto e Matera e lì continuò la sua consueta vita, ospitato dai parenti che nel frattempo si erano trasferiti per motivi politici, ma ridotto quasi ad un scheletro, riuscì a non farsi riconoscere.
Prese a girare fra il popolo di vari paesi predicando ed esortando ad una vita di preghiera, attirando la benevolenza di molti ed anche l’accodarsi di alcuni discepoli, subì anche delle calunnie per cui finì in prigione per ordine del conte Roberto di Chiaromonte. Fu liberato miracolosamente e dovette allontanarsi da tutti, continuando a predicare in altre zone, giunto a Capua, sentì di nuovo la sua voce guida che gli disse di ritornare in Puglia; sui monti dell’Irpinia a Bagnoli incontrò s. Guglielmo da Vercelli che con alcuni discepoli conduceva vita eremitica, si fermò con loro finché ebbe una visione che indicava per entrambi le loro strade, opposte ma sempre nell’Italia Meridionale, infatti Giovanni operò in Puglia mentre Guglielmo avrebbe poi fondato il monastero e santuario di Montevergine.
Decise di andare in Palestina passando per Bari, la città in quel periodo godeva di importante vivacità, da poco erano arrivate le reliquie di s. Nicola (1087) e celebrato un Concilio presieduto dal papa Urbano II con eminenti vescovi cattolici, ma tutto ciò non impediva il proliferare di disordini morali e politici, allora Giovanni comprese che la sua Palestina era lì, in Puglia.
Riprese le sue peregrinazioni, attirando tanta ammirazione dal popolo ma anche tanti nemici al punto che corse il pericolo di essere bruciato vivo. Visitò i suoi discepoli a Ginosa e proseguì per il Gargano, già celebre per il santuario dell’Arcangelo Michele e lì vicino a Pulsano si fermò in una valle solitaria insieme a sei discepoli.
Iniziò così una nuova comunità che in capo a sei mesi raggiunse l’aggregazione di 50 monaci e acquistando gran fama. La Congregazione monastica detta degli “Scalzi” si ingrandì ricevendo lasciti e terreni per cui fu aperta un’altra casa presso la chiesa di s. Giacomo a Foggia e poi un monastero a Meleda in Dalmazia di fronte alle coste del Gargano, lì fu inviato a reggerlo il monaco Giovanni Bono, morto in concetto di santità.
Dopo dieci anni di conduzione e dopo aver guadagnato la stima del re Ruggero II e del papa Innocenzo II morì nel monastero di Foggia il 20 giugno 1139 e lì sepolto.
E’ stato il precursore, insieme ad altri movimenti religiosi sorti fra il X e l’XI secolo, della vita penitenziale, povera ed associata che porterà al sorgere degli Ordini mendicanti più organizzati e vasti.
La Congregazione di Pulsano, nel sec. XV era quasi estinta, ma restano i molti frutti di santità prodotti dai suoi monasteri. Il corpo di s. Giovanni, da Foggia fu poi trasportato a Pulsano e nel 1830 traslato nella cattedrale di Matera di cui è compatrono e la cui festa si commemora il 23 giugno.
Le sacre reliquie del Santo Abate fondatore di S. Maria di Pulsano sono custodite nella Cattedrale di Matera in una artistica urna dal 1830.




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00lunedì 20 giugno 2011 14:20

Beato Giovanni Battista Zola Sacerdote e martire

20 giugno

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Brescia, 1575 – Nagasaki (Giappone), 20 giugno 1626

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, beati martiri Francesco Pacheco, sacerdote, e otto compagni, della Compagnia di Gesù, condannati al rogo in odio alla fede.


I Gesuiti con s. Francesco Saverio (1506-1552) furono i primi ad incominciare l’evangelizzazione del Giappone, che si sviluppò con notevoli risultati nei decenni successivi al 1549, tanto che nel 1587 i cattolici giapponesi erano circa 300.000, con centro principale a Nagasaki.
Ma proprio nel 1587 lo ‘shogun’ (maresciallo della corona) Hideyoshi, dai cristiani denominato ‘Taicosama’, che fino allora era stato condiscendente verso i cattolici, emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti (allora unico Ordine religioso presente nel Giappone) per delle ragioni non chiarite.
Il decreto fu in parte eseguito, ma la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese, mettendo in atto una strategia di prudenza, in silenzio e senza esteriorità, continuando con cautela l’opera evangelizzatrice.
Tutto questo fino al 1593, quando provenienti dalle Filippine sbarcarono in Giappone alcuni Frati Francescani, i quali al contrario dei Gesuiti, iniziarono senza prudenza una predicazione pubblica, a ciò si aggiunsero complicazioni politiche tra la Spagna e il Giappone, che provocarono la reazione dello ‘shogun’ Hideyoshi, che emanò l’ordine di imprigionare i francescani e alcuni neofiti giapponesi.
I primi arresti ci furono il 9 dicembre del 1596 e i 26 arrestati, fra cui tre gesuiti giapponesi, subirono il martirio il 5 febbraio 1597, i protomartiri del Giappone furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina” e proclamati santi da papa Pio IX nel 1862.
Subentrato un periodo di tregua e nonostante la persecuzione subita, la comunità cattolica aumentò, anche per l’arrivo di altri missionari, non solo gesuiti e francescani ma anche domenicani e agostiniani.
Ma nel 1614 la numerosa comunità cattolica subì una furiosa persecuzione decretata dallo shogun Ieyasu (Taifusama), che si prolungò per alcuni decenni distruggendo quasi completamente la comunità in Giappone, causando moltissimi martiri, ma anche molte apostasie fra gli atterriti fedeli giapponesi.
I motivi che portarono a questa lunga e sanguinosa persecuzione, furono vari, a partire dalla gelosia dei bonzi buddisti che minacciavano la vendetta dei loro dei; poi il timore di Ieyasu e dei suoi successori Hidetada e Iemitsu, per l’accresciuto influsso di Spagna e Portogallo, patria della maggioranza dei missionari, che erano ritenuti loro spie, per gli intrighi dei violenti calvinisti olandesi e infine per l’imprudenza di molti missionari spagnoli.
Dal 1617 al 1632 la persecuzione toccò il picco più alto di vittime; i supplizi secondo lo stile orientale, furono vari e raffinati, non risparmiando nemmeno i bambini; i martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, dai missionari e catechisti, ai nobili di famiglia reale; da ricche matrone a giovani vergini; da vecchi a bambini; dai padri di famiglia ai sacerdoti giapponesi.
La maggior parte furono legati ad un palo e bruciati a fuoco lento, cosicché la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane per parecchie sere e notti; altri decapitati o tagliati membro per membro.
Non stiamo qui ad elencare le altre decine di tormenti mortali cui furono sottoposti, per non fare una galleria degli orrori, anche se purtroppo testimoniano come la malvagità umana, quando si sfrena nell’inventare forme crudeli da infliggere ai suoi simili, supera ogni paragone con la ferocia delle bestie, che perlomeno agiscono per istinto e per procurarsi il cibo.
Oltre i primi 26 santi martiri del 1597 già citati, la Chiesa raccogliendo testimonianze poté riconoscere la validità del martirio per almeno 205 vittime, fra le migliaia che persero la vita anonimamente e papa Pio IX il 7 luglio 1867 poté proclamarli beati.
Dei 205 beati, 33 erano dell’Ordine della Compagnia di Gesù (Gesuiti); 23 Agostiniani e Terziari agostiniani giapponesi; 45 Domenicani e Terziari O.P.; 28 Francescani e Terziari; tutti gli altri erano fedeli giapponesi o intere famiglie, molti dei quali Confratelli del Rosario.
Non c’è una celebrazione unica per tutti, ma gli Ordini religiosi a gruppi o singolarmente, hanno fissato il loro giorno di celebrazione.

Dei 33 Gesuiti fa parte anche l’italiano Giovanni Battista Zola, nato a Brescia nel 1575; conosciuta la spiritualità della Compagnia di Gesù, fondata da qualche decennio da s. Ignazio di Loyola (1491-1556), entrò ventenne fra i Gesuiti.
Per la sua inclinazione fu destinato all’attività missionaria e la sua prima destinazione fu nel 1602 l’India, dove rimase fino al 1606; in seguito fu destinato alla Corea, ma per diverse circostanze alla fine giunse in Giappone.
Si stabilì nella regione del Tacacu, densa di isole, dove per 20 anni svolse il suo ministero apostolico nonostante la sua cagionevole salute, riuscì anche a pubblicare piccole riviste cattoliche.
Alcune testimonianze così lo descrissero: “ Apostolo infaticabile nell’operare; di soda e provata virtù, di una soavissima carità nel trattare, per cui fu caro e stimato dai giapponesi, i cui costumi e la cui lingua aveva appreso ottimamente. Scrisse anche un libro sulla devozione alla Madonna, verso la quale nutriva un tenerissimo amore; molto si adoperò per diffonderne il culto fra i cristiani”.
Quando scoppiò la persecuzione nel 1614, le difficoltà aumentarono fino a mettere a repentaglio la vita; fra l’altro poté recare in carcere conforto religioso al padre gesuita Pietro Paolo Navarra prima del suo martirio ( † 1-11-1622), rimanendone edificato per la sua fede e l’ardente desiderio di dare la propria vita per il Regno di Cristo; dal padre Navarra ebbe la profezia che sarebbe stato martire anche lui.
Nel 1625 la persecuzione assunse toni più violenti e sanguinari; ci fu la caccia al cristiano o per ucciderlo o per farlo apostatare e il 22 dicembre anche padre Giovanni Battista Zola fu arrestato insieme al suo catechista Vincenzo Caun coreano.
Per più di sei mesi fu detenuto a Scimabara, sopportò questa dura prigionia, aggravata dalla malferma salute, ringraziando Dio, abbandonato alla Sua volontà e secondo un suo scritto al Padre Provinciale, stavano contenti ed allegri aspettando la loro ora, dispiaciuti solo di non aver arredi per celebrare Messa né qualche libro spirituale, né breviario, né corone del rosario.
Il 17 giugno i prigionieri da Scimabara furono trasferiti a Nagasaki dove il 20 giugno del 1626, padre Zola insieme ad altri otto martiri gesuiti, fu arso vivo sulle colline della città.

Il gruppo, la cui celebrazione è al 20 giugno, era così composto: Francesco Pacheco portoghese, Baldassarre De Torres spagnolo, Giambattista Zola italiano, Pietro Rinscei giapponese, Vincenzo Caun coreano, Giovanni Kinsaco giapponese, Paolo Xinsuki giapponese, Michele Tozò giapponese e Gaspare Sadamatzu fratello coadiutore giapponese.





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00lunedì 20 giugno 2011 14:22

Beato Giovanni Gavan (Gawen) Martire in Inghilterra

20 giugno

Londra, 1640 - Tyburn, 20 giugno 1679

Nel 1687 fu scoperta in Inghilterra la cosiddetta «Congiura di Oates», pretesa cospirazione di «papisti» per uccidere il re, esautorare il governo e sradicare la religione protestante, denunziata da Titus Oates. In questa provocazione furono coinvolte eminenti personalità cattoliche e tra queste anche Tommaso Whitebrand, provinciale dei Gesuiti, che fu giudicato il 13 giugno 1679. Con lui comparvero dinanzi al tribunale altri quattro gesuiti, cioè Guglielmo Harcout, Giovanni Fenwich, Antonio Turèner e Giovanni Gavan o Gawen. Quest'ultimo, nato a Londra, fu educato nel seminario di Saint Omer, meritandosi per la sua bontà il soprannome di «Angelo» e poi, a venti anni, nel 1660, entrò nella Compagnia, completò i suoi studi a Liegi e a Roma e nel 1671 fu inviato in Inghilterra, dove per otto anni lavorò con zelo e profitto. Fu arrestato in casa dell'ambasciatore imperiale e, dopo un rapido processo, fu condannato a morte con i confratelli. La sentenza contro i cinque gesuiti fu eseguita il 20 giugno 1679 sulla forca di Tyburn. Giovanni fu beatificato con gli altri, nel 1929, da Pio XI. (Avvenire)

Emblema: Palma


Nel 1687 fu "scoperta" in Inghilterra la cosiddetta "Congiura di Oates", pretesa cospirazione di "papisti" per uccidere il re, esautorare il governo e sradicare la religione protestante, denunziata da Titus Oates. In questa provocazione furono coinvolte eminenti personalità cattoliche e tra queste anche Tommaso Whitebrand (v.), provinciale dei Gesuiti, che fu giudicato il 13 giugno 1679. Con lui comparvero dinanzi al tribunale altri quattro gesuiti, cioè Guglielmo Harcout, Giovanni Fenwich (v.), Antonio Turèner (v.) e Giovanni Gavan o Gawen. Quest'ultimo, nato a Londra, fu educato nel seminario di St. Omer, metitandosi per la sua bontà il soprannome di "Angelo" e poi, a venti anni, nel 1660, entrò nella Compagnia, completò i suoi studi a Liegi e a Roma e nel 1671 fu inviato in Inghilterra, dove per otto anni lavorò con zelo e profitto. Fu artestato in casa dell'ambasciatore imperiale e, dopo un rapido processo, fu condannato a morte con i confratelli.
La sentenza contro i cinque gesuiti fu eseguita il 20 giugno 1679 sulla forca di Tyburn.
Il Giovanni fu beatificato con gli altri, nel 1929, da Pio XI; la sua memoria è al 20 giugno.





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00lunedì 20 giugno 2011 14:24

San Gobano Eremita

20 giugno

Martirologio Romano: Nel territorio di Laon in Neustria, nell’odierna Francia, san Gobano, sacerdote, che, nato in Irlanda e divenuto in Inghilterra discepolo di san Fosco, per amore di Cristo partì per la Francia e condusse nei boschi vita eremitica.



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00lunedì 20 giugno 2011 14:24

San Guibsech di Cluain-Bairenn

20 giugno


I Mar­tirologi di Gorman e del Donegal commemorano questo santo il 20 giug. È il patrono di Cluain-Bairenn (Clonburren, contea di Roscommon) e po­trebbe esservi qualche connessione tra lui e Càirech Dergain, considerato fondatore di una comunità di monache a Cìuain-Bairenn.



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00lunedì 20 giugno 2011 14:25

San Lucano (Lugano) Presunto vescovo di Sabiona

20 giugno

Sec. V


E' chiamato "l'Apostolo delle Dolomiti" ed in queste montagne parecchie località portano il suo nome e varie chiese gli sono dedicate. Visse nella prima metà del sec. V ed essendo vescovo di Sabiona (ora Chiusa a dieci chilometri da Bressanone, dove piú tardi quella sede vescovile fu trasferita), durante una carestia, permise ai suoi fedeli l'uso dei latticini in Quaresima. Denunciato per questo al papa Celestino I (422432), fu invitato a Roma a scusarsi; i miracoli che lo accompagnarono durante il viaggio e la permanenza nella città, valsero piú d'ogni scusa.
Al suo ritorno i nemici (gli ariani?) lo costrinsero a lasciare di nuovo la sede. Si ritirò allora a vita eremitica nella Valle di Fiemme, ove si trovano il piccolo villaggio e la chiesuola a lui intitolati. Non sentendosi sicuro neanche là, oltrepassò le crode e scese verso la conca agordina, in quella che ancor oggi si chiama Valle di S. Lugano; si rifugiò in una caverna, il "Col di S. Lugano", donde non si allontanava che per evangelizzare e curare spiritualmente le genti della zona.
In una di queste missioni conobbe a Listolade la beata Avazia o Vaza, la quale, ottenuto il permesso dal marito, si ritirò a vita eremitica sotto la direzione spirituale del santo. Sulla tomba di Lugano, presso Taibon, sorse una chiesa, che, distrutta da una valanga, fu riedificata nel 1635. G. Mezzacasa pensa che Vaza, vissuta almeno cinque secoli dopo s. Lucano, fu creduta dalla fantasia del popolo sua contemporanea e figlia spirituale, perché condusse vita ascetica presso questa chiesetta, dove anche lei fu sepolta.
Fin qui le leggende, fiorite attorno ai luoghi che dal santo prendono il nome, mutuando per lo piú temi di altre leggende. Una straordinaria fioritura del culto di s. Lugano si verificò nei secc. XIII e XIV e ne fanno testimonianza le tre chiese sorte in quel tempo in onore di lui, oltre a quella dov'era sepolto presso Taibon, al Passo di S. Lugano, con accanto un ospizio (1325-1332), a Villapiccola presso Auronzo (non dopo il 1352) e a Belluno (1396).
Nella cattedrale di quest'ultima città il corpo del santo fu trasportato da Taibon, ove si conserva solo una reliquia, probabilmente nel 1307 ed ivi fu sepolto entro un'arca contigua all'altare maggiore. Questa fu aperta il 17 giugno 1400 alla presenza del vescovo per la ricognizione delle reliquie e riaperta nel 1658 per estrarne alcune da donare ad Antonio Crosini, vescovo di Bressanone, per quella cattedrale.
Nella chiesa di S. Lugano presso Taibon, ogni anno, terminava la processione rogazionale della vigilia dell'Ascensione, dopo aver raccolto i fedeli dei paesi della comunità dell'Agordino attraverso i quali passava. Questa processione fu poi trasferita ed è tuttora celebrata al 20 giugno, festa anniversaria della morte del santo o, secondo i Bollandisti della traslazione del suo corpo a Belluno.



scri789
00lunedì 20 giugno 2011 14:30

Beato Luigi Matienzo Mercedario

20 giugno

XVI secolo

Mercedario del convento di Logrono (Spagna), il Beato Luigi Matienzo, nell’anno 1579 a Tunisi in Africa, realizzò una numerosa redenzione di 220 schiavi, tra i quali vi era un gruppo di importanti cavalieri portoghesi, ragione per cui aumentò il costo della redenzione. Non avendo abbastanza beni per il pagamento rimase in pegno per tre anni chiuso in un tenebroso carcere soffrendo molti maltrattamenti fino a quando non fu riscattato. Ritornato in patria con nel cuore e sulla bocca sempre la passione di Cristo, morì santamente nel suo convento.
L’Ordine lo festeggia il 20 giugno.




scri789
00lunedì 20 giugno 2011 14:31

Madonna della Consolata di Torino

20 giugno


La devozione torinese verso la Consolata, Patrona dell’ Arcidiocesi, è certamente la più sentita oltre ad essere la più antica. Le origini sono remote, secondo la tradizione il protovescovo S. Massimo fu il costruttore di un’antica chiesa mariana proprio a ridosso delle mura cittadine, presso la torre angolare i cui resti sono ancora visibili. Simbolicamente allineato alle antiche mura, a prova della protezione, sorge oggi l’altare maggiore in cui è collocata la veneratissima effige. Originale è il titolo di “Consolata”, probabilmente un’antica storpiatura dialettale, “la Consolà”, del più consueto “Consolatrix afflictorum”. Per noi è bello pregare Maria meditando che Consolata da Dio è più che mai Consolatrice nostra.
Nella storia remota sull’origine del Santuario troviamo l’anziano Re Arduino di Ivrea che, ritiratosi nell’Abbazia di Fruttuaria, ebbe in sogno disposizione dalla Madonna, insieme a S. Benedetto e S. Maria Maddalena, di costruire tre chiese a lei dedicate: la Consolata, Belmonte nel Canavese e Crea nel Monferrato. Nel 1104 la Vergine apparve anche ad un cieco di Briancon, Giovanni Ravachio, a cui disse di recarsi a Torino dove, trovando un quadro che la rappresentava, avrebbe acquistato la vista. Il cieco ottenne ascolto solo dalla donna di servizio. Messosi in viaggio per un momento gli si aprirono gli occhi presso Pozzo Strada (oggi vi sorge la parrocchia dedicata alla Natività di Maria) e vide da lontano il campanile di S. Andrea (antico titolo del Santuario). Giunto finalmente alla meta, scavando, trovò l’immagine della Vergine e acquistò la sospirata vista. Probabilmente l’icona era stata nascosta durante l'imperversare dell’eresia del vescovo iconoclasta Claudio, affinché non fosse distrutta. Accorse il vescovo Mainardo, allora residente a Testona di Moncalieri, e la miracolosa immagine venne ricollocata con i dovuti onori. Quest’effige oggi non esiste più mentre vi è nella parte bassa del Santuario la cappella sotterranea detta “delle Grazie”. Il complesso abbaziale di S. Andrea era retto dai benedettini che vi avevano trovato rifugio dopo essere fuggiti dalla Novalesa a causa delle scorribande saracene. Della loro presenza ci restano il millenario imponente campanile in stile romanico-lombardo, opera del monaco-costruttore Bruningo, e le reliquie di S. Valerico Abate, collocate nell’altare a lui dedicato. Ai benedettini subentrarono poi i Cistercensi Riformati, detti Fogliensi.
Il quadro oggi venerato è invece dono del Cardinale Della Rovere (il costruttore del Duomo) ed è attribuito ad Antoniazzo Romano. Opera della fine del XV secolo si ispira alla Madonna del Popolo di Roma.
La devozione della città verso la Vergine fu sempre accompagnata a quella della Casa Regnante. I Savoia furono attenti ai vari interventi costruttivi facendo sì che vi lavorassero i migliori artisti al loro servizio. A Guarino Guarini si deve l’attuale impostazione dell’edificio, nato dalla trasformazione dell’antica chiesa di S. Andrea, mentre lo splendido altare maggiore è opera di Filippo Juvarra. Nel 1904 Carlo Ceppi, su commissione del Rettore Beato Giuseppe Allamano, aggiunse quattro cappelle laterali dando il definitivo assetto che si presenta assai originale e adatto al raccoglimento e alla preghiera. Colpisce inoltre la ricchezza di marmi e stucchi dorati.
La devozione della città verso la Vergine Consolata è rimasta costante nei secoli, il popolo con i suoi sovrani vi si raccoglieva in preghiera sia nelle occasioni felici, sia in quelle infauste: centinaia di ex-voto lo testimoniano.
Tra i vari avvenimenti che videro la Consolata particolarmente invocata, ricordiamo l’assedio alla città da parte dei francesi nel 1706. Torino resistette eroicamente per mesi agli attacchi del forte esercito nemico. Autentico padre spirituale della città fu il già anziano Beato Sebastiano Valfrè, oratoriano, confidente del Duca, cappellano militare, sostegno morale del popolo e ispiratore del voto alla Madonna di Vittorio Amedeo II che si concretizzerà nella costruzione della Basilica di Superga sul colle più alto della città. Dalla clausura anche la carmelitana Beata Maria degli Angeli indicava Maria Bambina come liberatrice. Dopo l’eroico gesto di Pietro Micca la vittoria avvenne il 7 settembre, vigilia della festa della Natività di Maria. Decine di pilastrini con scolpita l’immagine della Consolata furono collocati lungo il campo di battaglia (l’attuale Borgo Vittoria). Una palla di cannone, rimasta conficcata vicino alla cupola, è ancora oggi visibile.
Nel 1835 durante l’epidemia di colera la municipalità fece un nuovo voto di cui il principale promotore fu il decurione Tancredi di Barolo, Servo di Dio. In ringraziamento per il limitato numero di vittime fu eretta all’esterno del Santuario una colonna con la statua della Vergine. In quegli anni un assiduo devoto fu Silvio Pellico, un semplice busto all’interno lo ricorda.
Nel 1852 lo scoppio della vicina polveriera di Borgo Dora vide Paolo Sacchi, novello Pietro Micca, scongiurare la tragedia. Il vicino ospedale del Cottolengo subì gravissimi danni, tra le macerie restò illesa un’immagine della Consolata e fortunosamente non si registrò alcuna vittima.
Anche durante le due guerre mondiali i torinesi si rivolsero alla loro Patrona: centinaia di spalline militari, croci di guerra, un’edicola all’esterno e una lapide all’interno ce lo ricordano.
Il Santuario fu meta di numerosi santi. L’elenco sarebbe lungo, ricordiamo S. Carlo Borromeo e S. Francesco di Sales, S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, Don Bosco che portava qui i suoi ragazzi dal vicino Valdocco, S. Giuseppe Cafasso (qui sono venerate le sue spoglie), S. Leonardo Murialdo fuori dal portone faceva la questua per le sue opere, S. Ignazio da Santhià si raccoglieva lungamente in preghiera durante il suo giro in città prima di salire al Monte, il Beato Pier Giorgio Frassati vi sostava per la Messa prima di recarsi nelle soffitte dai poveri, S. Giuseppe Marello vi fu miracolato da ragazzo, la Beata Enrichetta Dominici del vicino Istituto S. Anna, il Venerabile Pio Brunone Lanteri fondatore degli Oblati di Maria Vergine che nell’800 ressero il Santuario.
Diversi istituti religiosi hanno preso il loro nome dalla Consolata: le Figlie della Consolata, le Suore di Maria SS. Consolatrice (dette le “Consolatine”), i Missionari e le Missionarie della Consolata. Questi ultimi due Istituti furono fondati dal Beato Giuseppe Allamano, nipote del Cafasso e Rettore del Santuario per 46 anni. Oggi questi suoi figli e figlie spirituali sono presenti negli angoli più remoti del pianeta. Nel 1906 S. Pio X conferì al Santuario il titolo di Basilica Minore.
La festa si celebra, preceduta dalla solenne novena, il 20 giugno. Al tramonto del sole la statua argentea viene condotta in processione per le vie del centro cittadino. Migliaia di fedeli la seguono preceduti da tutti i religiosi e le religiose della città, da tutte le confraternite e dalle associazioni cattoliche di volontariato.
Cuore pulsante della Diocesi il Santuario è un’oasi, in pieno centro cittadino, per temprare lo spirito. Le celebrazioni si susseguono quasi ininterrottamente tutti i giorni e numerosi sacerdoti sono sempre presenti per riconciliare con Dio chiunque lo desidera.




scri789
00lunedì 20 giugno 2011 14:32

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