20 settembre

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00domenica 20 settembre 2009 09:56

Santi Martiri Coreani (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 compagni)

20 settembre

L'azione dello Spirito, che soffia dove vuole, con l'apostolato di un generoso manipolo di laici è alla radice della santa Chiesa di Dio in terra coreana. Il primo germe della fede cattolica, portato da un laico coreano nel 1784 al suo ritorno in Patria da Pechino, fu fecondato sulla meta del secolo XIX dal martirio che vide associati 103 membri della giovane comunità. Fra essi si segnalano Andrea Kim Taegon, il primo presbitero coreano e l'apostolo laico Paolo Chong Hasang. Le persecuzioni che infuriarono in ondate successive dal 1839 al 1867, anziché soffocare la fede dei neofiti, suscitarono una primavera dello Spirito a immagine della Chiesa nascente. L'impronta apostolica di questa comunità dell'Estremo Oriente fu resa, con linguaggio semplice ed efficace, ispirato alla parabola del buon seminatore, del presbitero Andrea alla vigilia del martirio. Nel suo viaggio pastorale in quella terra lontana il Papa Giovanni Paolo II, il 6 maggio 1984, iscrisse i martiri coreani nel calendario dei santi. La loro memoria si celebra nella data odierna, perché un gruppo di essi subì il martirio in questo mese, alcuni il 20 e il 21 settembre. (Mess. Rom.)

Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Memoria dei santi Andrea Kim Tae-gon, sacerdote, Paolo Chong Ha-sang e compagni, martiri in Corea. In questo giorno in un’unica celebrazione si venerano anche tutti i centotrè martiri, che testimoniarono coraggiosamente la fede cristiana, introdotta la prima volta con fervore in questo regno da alcuni laici e poi alimentata e consolidata dalla predicazione dei missionari e dalla celebrazione dei sacramenti. Tutti questi atleti di Cristo, di cui tre vescovi, otto sacerdoti e tutti gli altri laici, tra i quali alcuni coniugati altri no, vecchi, giovani e fanciulli, sottoposti al supplizio, consacrarono con il loro prezioso sangue gli inizi della Chiesa in Corea.

Ascolta da RadioRai:
  

La Chiesa coreana ha la caratteristica forse unica, di essere stata fondata e sostenuta da laici; infatti agli inizi del 1600 la fede cristiana comparve in Corea tramite le delegazioni che ogni anno visitavano Pechino in Cina, per uno scambio culturale con questa Nazione, molto stimata in tutto l’Estremo Oriente.
E in Cina i coreani vennero in contatto con la fede cristiana, portando in patria il libro del grande padre Matteo Ricci “La vera dottrina di Dio”; e un laico, Lee Byeok grande pensatore, ispirandosi al libro del famoso missionario gesuita, fondò una prima comunità cristiana molto attiva.
Intorno al 1780, Lee Byeok pregò un suo amico Lee-sunghoon, che faceva parte della solita delegazione culturale in partenza per la Cina, di farsi battezzare e al ritorno portare con sé libri e scritti religiosi adatti ad approfondire la nuova fede.
Nella primavera del 1784 l’amico ritornò con il nome di Pietro, dando alla comunità un forte impulso; non conoscendo bene la natura della Chiesa, il gruppo si organizzò con una gerarchia propria celebrando il battesimo e non solo, ma anche la cresima e l’eucaristia.
Informati dal vescovo di Pechino che per avere una gerarchia occorreva una successione apostolica, lo pregarono di inviare al più presto dei sacerdoti; furono accontentati con l’invio di un prete Chu-mun-mo, così la comunità coreana crebbe in poco tempo a varie migliaia di fedeli.
Purtroppo anche in Corea si scatenò ben presto una persecuzione fin dal 1785, che si incrudeliva sempre più, finché nel 1801 anche l’unico prete venne ucciso, ma questo non bloccò affatto la crescita della comunità cristiana.
Il re nel 1802 emanò un editto di stato, in cui si ordinava addirittura lo sterminio dei cristiani, come unica soluzione per soffocare il germe di quella “follia”, ritenuta tale dal suo governo. Rimasti soli e senza guida spirituale, i cristiani coreani chiedevano continuamente al vescovo di Pechino e anche al papa di avere dei sacerdoti; ma le condizioni locali lo permisero solo nel 1837, quando furono inviati un vescovo e due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi; i quali penetrati clandestinamente in Corea furono martirizzati due anni dopo.
Un secondo tentativo operato da Andrea Kim Taegon, riuscì a fare entrare un vescovo e un sacerdote, da quel momento la presenza di una gerarchia cattolica in Corea non mancherà più, nonostante che nel 1866 si ebbe la persecuzione più accanita; nel 1882 il governo decretò la libertà religiosa.
Nelle persecuzioni coreane perirono, secondo fonti locali, più di 10.000 martiri, di questi 103 furono beatificati in due gruppi distinti nel 1925 e nel 1968 e poi canonizzati tutti insieme il 6 maggio 1984 a Seul in Corea da papa Giovanni Paolo II; di questi solo 10 sono stranieri, 3 vescovi e 7 sacerdoti, gli altri tutti coreani, catechisti e fedeli.
Di seguito diamo un breve tratto biografico dei due capoelenco liturgico del gruppo dei 103 santi martiri: Andrea Kim Taegon e Paolo Chong Hasang.
Andrea nato nel 1821 da una nobile famiglia cristiana, crebbe in un ambiente decisamente ispirato ai principi cristiani, il padre in particolare aveva trasformato la sua casa in una ‘chiesa domestica’, ove affluivano i cristiani ed i neofiti della nuova fede, per ricevere il battesimo, scoperto tenne con forza la sua fede, morendo a 44 anni martire.
Aveva 15 anni quando uno dei primi missionari francesi arrivati in Corea nel 1836, lo inviò a Macao per prepararlo al sacerdozio. Ritornò come diacono nel 1844 per preparare l’entrata del vescovo mons. Ferréol, organizzando una imbarcazione con marinai tutti cristiani, andando a prenderlo a Shanghai, qui fu ordinato sacerdote e insieme, di nascosto con un viaggio avventuroso, penetrarono in Corea, dove lavorarono insieme sempre in un clima di persecuzione.
Con la nobiltà del suo atteggiamento, con la capacità di comprendere la mentalità locale, riuscì ad ottenere ottimi risultati d’apostolato. Nel 1846 il vescovo Ferréol lo incaricò di far pervenire delle lettere in Europa, tramite il vescovo di Pechino, ma durante il suo incontro con le barche cinesi, fu casualmente scoperto ed arrestato.
Subì gli interrogatori e gli spostamenti di carcere prima con il mandarino, poi con il governatore e giacché era un nobile, alla fine con il re e a tutti manifestò la fedeltà al suo Dio, rifiutando i tentativi di farlo apostatare, nonostante le atroci torture; alla fine venne decapitato il 16 settembre del 1846 a Seul; primo sacerdote martire della nascente Chiesa coreana.
Paolo Chong Hasang. Eroico laico coreano, era nato nel 1795 a Mahyan, il padre Agostino e il fratello Carlo vennero martirizzati nel 1801, la sua famiglia composta da lui, la madre Cecilia e la sorella Elisabetta, venne imprigionata e privata di ogni bene, furono costretti ad andare ospiti di un parente, ma appena gli fu possibile si trasferì a Seul aggregandosi alla comunità cristiana; perlomeno quindici volte andò in Cina a Pechino in viaggi difficilissimi fatti a piedi, spinto dall’eroismo di una fede genuina, professata nonostante i gravi pericoli.
Collaborò alacremente affinché il primo sacerdote Yan arrivasse in Corea e poi dopo di lui i missionari francesi: il vescovo Imbert ed i sacerdoti Maubant e Chastan.
Fu accolto con la madre e la sorella dal vescovo Imbert, il quale desiderava farlo diventare sacerdote, ma la persecuzione infuriava e un apostata li tradì, facendoli imprigionare.
Paolo Chong Hasang venne interrogato e torturato per fargli abbandonare la religione straniera a cui si era associato, ma visto la sua grande fermezza, venne condannato e decapitato il 22 settembre 1839, insieme al suo caro amico Agostino Nyon, anche lui firmatario di una petizione al papa per l’invio di un vescovo in Corea. Anche la madre e la sorella vennero uccise dopo alcuni mesi.
Il vescovo e i due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi, vennero decapitati anche loro nel 1839.
Per brevità di spazio si omettono i nomi degli altri 101 santi martiri che sono comunque consultabili nell’"Index ac Status Causarum"; Città del Vaticano, 1999, pag. 633-635.





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00domenica 20 settembre 2009 09:57

Beato Adelpreto di Trento Vescovo e martire

20 settembre

† Rovereto (Trento), 1177 ca.

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Martirologio Romano: Presso la città di Arco in Trentino, beato Adelpreto, vescovo, che, strenuo difensore dei poveri, degli orfani e della libertà della Chiesa, fu tratto dai nemici in un agguato e morì crudelmente percosso.


La devozione per s. Adelpreto a Trento, ha avuto alti e bassi e anche contestazioni sulla santità della sua figura; dal 1913 la sua festa, che almeno dal XVI secolo era al 27 marzo, non compare più nel calendario diocesano, nonostante che fosse insieme a s. Vigilio, contitolare dell’altare maggiore della Cattedrale.
Di lui si ignora la sua origine, né la data della nascita; fu vescovo di Trento dal 1156 o 1157 e si sa che nel 1158 accompagnò scortandoli nelle valli trentine, i legati del papa Adriano IV (1154-1159) diretti in Germania, dall’imperatore Federico.
Federico Barbarossa già si era fatto incoronare imperatore nel 1155 ed era in piena guerra con il Papato e con i Comuni italiani, per affermare i diritti universali dell’Impero e proprio in quell’anno, fece la sua seconda discesa in Italia, conquistando Milano.
Non è stato chiarito tuttora, quale fu il contegno di Adelpreto, di fronte allo scisma provocato dalla lotta fra Impero e Papato; politicamente si appoggiò all’imperatore, forse era proprio originario della Germania e per la posizione geografica di Trento, gravitante con i suoi vescovi-principi nell’ambito imperiale.
Fautore quindi del partito ghibellino, forse rivestì la carica di Vicario imperiale; sul suo governo della diocesi e principato tridentino, si hanno scarse notizie per poter ricostruire un quadro credibile.
Morì di morte violenta verso il 1177, ucciso da un certo Aldrigitus, membro della nobile famiglia di Castelbarco nei pressi di Rovereto; Adelpreto fu sepolto nel duomo di Trento.
La diocesi tridentina, gli tributò sempre un culto di martire, sul suo sepolcro fu messa una lamina romanica di rame dorato, raffigurante la scena dell’uccisione, ora conservata nel tesoro del Duomo.
Nel Settecento lo storico Girolamo Tartarotti (1706-1761), accese una polemica sul suo culto, basandosi sulla contrastante figura del vescovo-guerriero, caduto in battaglia, quale si era formata nella tradizione popolare.
Nel 1703 la città fece un voto, invocando s. Adelpreto, contro l’assalto dei Francesi.





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00domenica 20 settembre 2009 09:58

Santa Candida Martire a Cartagine

20 settembre

Etimologia: Candida = semplice, innocente, dal latino

Emblema: Palma


Secondo il Martirologio Romano subì il martirio a Cartagine al tempo dell'imperatore Massimiano il 20 settembre d'un anno imprecisato. Tuttavia, il Baronio non cita documenti antichi all'infuori del Galesino e del calendario della Chiesa di Cordova in Spagna. La menzione di Santa Candida vergine e martire si trova anche nei calendari mozarabici.




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00domenica 20 settembre 2009 09:58

Beata Candida da Como

20 settembre

m. 1515

Etimologia: Candida = semplice, innocente, dal latino


Da un antico codice del monastero di S. Croce in Brescia, che, come informa il Tatti, è la fonte originaria per la conoscenza della vita di Candida, lo storiografo bresciano Bernardino Fayni desunse le notizie in seguito passate nei martirologi di Brescia e di Como e nelle varie Memorie sulla beata. Si sa quindi che ella nacque a Como e la sua figura di monaca agostiniana è sobriamente delineata nel Martirologio comense del Tatti al 20 settembre, suo probabile dies natalis: giovanissima, si asteneva dalle carni, viveva in insolita austerità e in continua preghiera (anche notturna), vincendo le tentazioni diaboliche. Entrata nel monastero della S. Croce a Brescia, fu arricchita di nuove grazie da Dio, ebbe delle visioni del Cristo benedicente e il dono delle profezie. Morì nel 1515, in giorno e mese a noi ignoti, mentre Brescia teneva accuratamente serrate e custodite le sue porte per tema di essere nuovamente invasa e saccheggiata dai nemici.



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00domenica 20 settembre 2009 09:59

San Dorimedonte Martire

20 settembre


Martirologio Romano: A Sinnada in Frigia, nell’odierna Turchia, san Dorimedonte, martire.





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00domenica 20 settembre 2009 09:59

Sant' Eustachio Placido Martire

20 settembre

Etimologia: Eustachio = ricco di spighe, dal greco

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Roma, commemorazione di sant’Eustachio martire, il cui nome è venerato in un’antica diaconia dell’Urbe.

Ascolta da RadioVaticana:
  

Il ricco, vittorioso generale Placido, benché pagano, era per sua natura una persona spinta a fare grandi beneficenze, come il centurione Cornelio. La leggenda racconta che un giorno (100-101) andando a caccia, inseguì un cervo di rara bellezza e grandezza e quando questi si fermò sopra una rupe e volgendosi all’inseguitore, aveva tra le corna una croce luminosa e sopra la figura di Cristo che gli dice: “Placido perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu onori senza sapere”.
Riavutosi dallo spavento, il generale di Traiano decise di farsi battezzare prendendo il nome di Eustachio o Eustazio e con lui anche la moglie e i due figli con i nomi di Teopista, Teopisto e Agapio.
Ritornato sul monte, riascoltò la misteriosa voce che gli preannunciava che avrebbe dovuto dar prova della sua pazienza. E qui iniziano i guai, la peste gli uccide i servi e le serve e poi i cavalli e il bestiame; i ladri gli rubano tutto.
Decide di emigrare in Egitto, durante il viaggio non potendo pagare il nolo, si vede togliere la moglie dal capitano della nave che se n’era invaghito. Ridisceso a terra prosegue il viaggio a piedi con i figli, che gli vengono rapiti uno da un leone e l’altro da un lupo, ma poi salvati dagli abitanti del luogo; i due ragazzi crescono nello stesso villaggio senza conoscersi.
Rimasto solo, Eustachio si stabilisce in un villaggio vicino chiamato Badisso, guadagnandosi il pane come guardiano, sta lì per 15 anni, finché avendo i barbari violati i confini dell’Impero, Traiano lo manda a cercare per riportarlo a Roma.
Di nuovo comandante delle truppe, arruola soldati da ogni luogo; così fra le reclute finiscono anche i suoi due figli, robusti e ben educati, al punto che Eustachio sempre non riconoscendoli, li nomina sottufficiali, tenendoli presso di sé.
Vinta la guerra, le truppe sostano per un breve riposo in un piccolo villaggio, proprio quello in cui vive coltivando un orto, Teopista, che era rimasta sola dopo la morte del capitano della nave e abitando in una povera casupola; i due sottufficiali le chiedono ospitalità, e nel raccontarsi le loro vicissitudini, finiscono per riconoscersi come fratelli, anche Teopista li riconosce ma non lo dice, finché il giorno dopo presentatasi al generale, per essere aiutata a rientrare in patria, riconosce il marito, segue un riconoscimento fra tutti loro e così la famiglia si ricompone.
Intanto morto Traiano, gli era succeduto Adriano (117), il quale accoglie il vincitore dei barbari con feste e trionfi. Però il giorno dopo si doveva partecipare al rito di ringraziamento nel tempio di Apollo ed Eustachio si rifiuta essendo cristiano; l’imperatore per questo lo condanna al circo insieme ai suoi familiari (140); ma il leone per quanto aizzato non li tocca nemmeno e allora vengono introdotti vivi in un bue di bronzo arroventato, morendo subito, ma il calore non brucia loro nemmeno un capello.
I cristiani recuperano i corpi e gli danno sepoltura, in questo luogo dopo la pace di Costantino (325) fu eretto un oratorio, dove venivano celebrati il 1° novembre.
Questa leggenda ebbe una diffusione straordinaria nel Medioevo e ci è pervenuta in molte redazioni e versioni greche, latine, orientali e lingue volgari, quasi tutte le europee, diverse nei particolari ma concordanti nella sostanza.
La leggenda presenta assonanze ricorrenti nell’agiografia cristiana e nella novellistica popolare; il racconto del cervo compare anche nelle ‘Vite’ di molti santi cristiani e ha radici nella letteratura indiana; le avventure familiari di Eustachio sono un motivo ricorrente in India passato poi nell’antica letteratura greca, araba, giudaica e altre leggende cristiane.
Il culto per il martire Eustachio e familiari è antichissimo e innumerevoli sono le chiese, citazioni, racconti, documenti, ecc. in cui compare il suo nome, già agli inizi del secolo VIII. La sua festa inizialmente al 1° novembre fu spostata al 2 novembre, quando fu istituita la festa di Tutti i Santi e poi dopo l’inserimento della Commemorazione dei Defunti, fu spostata al 20 settembre, data che compare già negli evangeliari dalla metà del sec. VIII.
È protettore dei cacciatori e guardiacaccia e della città di Matera. Il nome deriva dal greco ‘Eystachios’ e significa “producente molte e buone spighe”.





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00domenica 20 settembre 2009 10:00

Santa Fausta di Narni Martire

20 settembre

Etimologia: Fausta = propizia, favorevole, dal latino

Emblema: Palma

Ascolta da RadioRai:
  

“A Cizico, nella Propontide (nell'Asia Minore), si festeggia il natale dei santi Martiri Fausta Vergine ed Evilasio, sotto l'imperatore Massimiliano; dei quali Fausta, dallo stesso Evilasio, sacerdote degli idoli, spogliata dei capelli e rasa per ischerno, fu appesa e tormentata. Quindi, volendola segare per mezzo, nè potendo i carnefici offenderla, Evilasio, di ciò meravigliato, si convertì a Cristo; e mentre anche lui, per ordine dell'Imperatore era acerbamente tormentato, Fausta, trivellata nella testa, trafitta con chiodi per tutto il corpo e posta in una padella infuocata, finalmente, insieme col medesimo Evilasio, chiamata da una voce celeste, passò al Signore”.
Così il Martirologio Romano fissa il ricordo della santa di oggi. Come spesso accade, queste informazioni sono state ricavate esclusivamente dagli Atti, o più propriamente da una Passione, alla quale gli storici odierni attribuiscono un valore pressoché nullo, soprattutto per talune stravaganze. E del resto il "racconto" non è andato immune neppure da correzioni e varianti più o meno contemporanee. Il documento venne utilizzato tuttavia anche dal celebre storico Venerabile Beda nel suo Martirologio, in cui si leggono pressappoco le stesse notizie già riferite. E’ interessante anzi com'egli abbia accolto insieme due varianti. Il primo supplizio di S. Fausta, "spogliata dei capelli e rasa per ischerno", è stato ampliato infatti da lui sintetizzando due documenti diversi, uno dei quali attestava soltanto che la martire era stata "spogliata dei capelli". Questo supplizio poi era evidentemente uno dei "numeri" preferiti dai carnefici, poiché viene ricordato anche nel caso di altre sante vergini martiri, e lo stesso si dica del tentativo (fallito nel caso di Fausta) di segarla "per mezzo", "quasi fosse un pezzo di legno", come aggiunge il Beda.
Gli stessi Atti, ricordando il supplizio dei chiodi, dicono, con una certa bonarietà, che il corpo punzecchiato di Fausta era divenuto somigliante alla "suola di uno stivaletto". La martire di Cizico consumò il suo sacrificio supremo solo quando la chiamò "una voce celeste". Le reliquie della Fausta di Cizico furono oggetto di una doppia traslazione: alla metà del sec. VI a Narni e poi nel sec. IX a Lucca. A Narni infatti fu vescovo dal 537 al 558 S. Cassio, che edificò per la defunta amatissima moglie, appunto di nome Fausta, un sepolcro, che poi volle arricchire con le reliquie della santa omonima di Cizico. Cominciò così ad essere venerata anche una S. Fausta di Narni.





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00domenica 20 settembre 2009 10:00

Beato Francesco de Posadas Domenicano

20 settembre

Cordova 1644 - 1713

A 18 anni entrò nel convento di Scala Coeli, presso Cordova, costruito e santificato dal suo concittadino il b. Alvaro. Ardente propagatore del Rosario, vivace predicatore, apostolo instancabile, ottenne dai contemporanei l'elogio di "San Vincenzo redivivo". Rifiutò umilmente le sedi vescovili di Alghero in Sardegna e di Cadice. Morì semplice religioso il 20 settembre 1713 a Cordova sua città natale.

Martirologio Romano: A Córdova in Spagna, beato Francesco de Posadas, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, insigne per penitenza, umiltà e carità, annunciò Cristo per quarant’anni in questa regione.


Francesco De Posadas nacque a Cordova, il 25 novembre 1644, dalla nobile famiglia decaduta di Orense, tanto che i suoi genitori, per vivere, facevano i fruttivendoli. Francesco prese il bianco Abito nella sua città natale, nel Convento fondato da Padre Alvaro. Dette segni di santità fin dalla culla, in quanto, ancora in fasce, si asteneva dal prendere il latte tutti i venerdì e, appena balbettante, già pronunziava con gran sentimento il nome dolcissimo di Maria. Tanta ardente pietà crebbe con lui, e ancor fanciullo sapeva persuadere anche i grandi a praticare la virtù. Erano questi i primi segni di quello zelo che tanto lo avrebbe distinto. Perso il babbo all’età di cinque anni, ancora giovanissimo, nel 1662, entrò nell’Ordine Domenicano, così rispondente ai suoi vivi desideri di apostolato. Parve portasse radicato nel cuore l’ideale di Frate Predicatore e si può immaginare con quale ardore si preparasse alla sua missione. Iniziato il sacro ministero, con l’obbedienza e la benedizione dei superiori, parve rivivere in lui San Vincenzo Ferreri. Andò incontro non solo ai bisogni delle anime, predicando, insegnando, amministrando i Sacramenti, ma si sforzò ancora di più nel portare soccorso a ogni umana miseria. Gli infermi, i poveri, i carcerati furono oggetto delle sue più tenere sollecitudini, e per loro si privava anche del necessario. Come il suo glorioso Padre Domenico, ricusò i Vescovadi di Algesiras e di Radice, come pure ogni altro incarico onorifico nell’Ordine, per potersi spendere senza tregua a pro delle anime. Fu questa la sua nobilissima passione, e per quarant’anni si profuse in si sante fatiche. Si spense beatamente nel suo convento di Cordova, il 20 settembre 1713. Dio onorò con i miracoli la sua tomba presso la chiesa cittadina di San Paolo. Papa Pio VII il 20 settembre 1818 lo ha proclamato Beato.





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00domenica 20 settembre 2009 10:01

San Giancarlo Cornay Sacerdote e martire

20 settembre

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Loudun, Francia, 27 febbraio 1809 – Son Tây, Vietnam, 20 settembre 1837

Oggi la Chiesa ricorda molti martiri antichi e moderni. Ad esempio il numerosissimo gruppo di quelli uccisi in Corea nell’Ottocento. Jean-Charles Cornay era un sacerdote francese che, invece, fu ucciso in spregio alla fede nel Tonchino (Vietnam). E in modo molto cruento: fu fatto a pezzi. Apparteneva all’Istituto missioni estere di Parigi ed era approdato a Macao. Precusagli la via della Cina, suo obiettivo, restò nel Tonchino. Qui venne tradito, falsamente accusato di fomentare un’insurrezione, torturato, e – dopo il rifiuto di abiurare – condannato a morte nel 1837 a 28 anni.```` (Avvenire)

Etimologia: Gianni = accorciativo di Giovanni; Gian- o Giam- nei nomi composti

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nella fortezza di Son-Tây nel Tonchino, ora Viet Nam, san Giovanni Carlo Cornay, sacerdote della Società per le Missioni Estere di Parigi e martire, che, dopo crudeli torture, per decreto dell’imperatore Minh M?ng fu fatto a pezzi e infine decapitato per la sua fede cristiana.


Numerosi missionari e cristiani indigeni irrorarono con il loro sangue la terra vietnamita venendo uccisi in dio alla fede. Ben 117 di essi, martiri nel Tonchino, furono canonizzati a Roma il 19 giugno 1988 da papa Giovanni Paolo II e tra di essi vi era il sacerdote francese Jean-Charles Cornay.
``Nato a Loundun, nel dipartimento francese di Vienne, il 27 febbraio 1809, i suoi genitori Jean-Baptiste (commerciante) e Françoise Mayaud fecero crescere nella fede lui e le due sorelle. Studiò successivamente al collegio di Saint-Louis di Saumur e poi in quello dei Gesuiti di Montmorillon. Si rivelò ben presto un allievo regolare, umile e di carattere dolce.
``La sua vocazione sorprese i suoi genitori e quando espresse il desiderio di divenire missionario incontrò da parte loro reticenza ed incomprensione. Dovettere così iniziare la sua prima battaglia volta a poter rispondere positivamente alla chiamata di Dio, opponendosi al parere dei genitori pur affermando il suo amore filiale.
``Trascorse un breve periodo presso il seminario della Missioni Estere di Parigi, periodo di insicurezza dovuto alla rivoluzione di luglio, in cui il seminario fu preso quale bersaglio. Jean-Charles annotò infatto tra le sue memorie: “Hier on a pénétré dans notre séminaire et l'on a affiché sept ou huit billets portant Mort aux Jésuites de la rue du Bac, et un poignard comme signature”.
``La partenza del Cornay per le missioni fu repentina per rimpiazzare un altro missionario. La sua destinazione doveva essere Seu-Tchouan in Cina a duemila chilometri dalla costa, sbarcò a Macao dopo sei mesi di viaggio. Doveva raggiungere il Tonchino, ma le due guide mandate incontro a lui non arrivarono mai. Jean-Charles Cornay approdò infine nel Tonchino nel 1831, nel pieno della persecuzione anticristiana.
``Più il tempo passava, più calavano le speranze di raggiungere un giorno la Cina. Decise allora di restare in questa terra ed il 26 aprile 1834 ricevette l’ordinazione presbiterale da Monsignor Havard presso Hanio dopo un viaggio sul Fiume Rosso camuffato da cinese. Durante l’estenuante periodo in cui esercitò il suo ministero fu sempre calmo, allegro ed improntato ad uno spirito di santità.
``Nel 1835 fu arrestato con altri missionari francesi e contro di lui le autorità forgiarono un accusa di tradimento per aver seppellito delle armi in un terreno che coltivava. Lo rinchiusero allora in una serie di gabbie di bambù, tortura assai comune nel Vietnam di quel tempo, e poichè era giovane e dotato di una bella voce fu obbligato a cantare per i suoi persecutori, ma egli preferì intonare la Salve Regina. Infine fu condannato a morte dal tribunale subremo e, su ordine dell’imperatore Minh Mang, decapitato il 20 settembre 1837 presso la fortezza di Son Tây.
``Nella sua ultima lettera indirizzata ai genitori scrisse loro: “Lorsque vous recevrez cette lettre, mon cher père, ma chère mère, ne vous affligez pas de ma mort; en consentant à mon départ, vous avez déjà fait la plus grande partie du sacrifice”. Rispettando i termini della sentenza, il suo corpo fu allora “fatto a pezzi e [...] la testa, dopo essere stata esposta per tre giorni, [...] gettata nel fiume”. Il valoroso esempio del Cornay determino la vocazione di San Teofano Venard. Il Martyrologium Romanum commemora in data odierna San Giancarlo Cornay, nell’anniversario della nascita al Cielo.

Autore: Fabio Arduino



``

````Nato a Londun il 28 febbraio 1809, studiò nei seminari di Saumur e di Mont-Morillon e nel 1830 entrò in quello delle Missioni Estere di Parigi. L'anno seguente, ancora diacono, salpò per l'Oriente, sbarcando a Macao nel luglio 1832. Di là avrebbe dovuto proseguire per la provincia cinese del Su-Tchouen, cui era destinato, ma, per la morte della guida, fu costretto a fermarsi nella città vietnamita di Hanoi, dove fu ordinato sacerdote il 20 aprile 1834. Preclusa ancora una volta la via alla Cina, restò nel Tonchino e si fissò con i suoi due catechisti, i beati martiri Duong e Truat, nel villaggio di Bau-No. Un capo dei briganti che infestavano il territorio fu preso dagli abitanti del villaggio, cristiani per lo più, e consegnato al mandarino. Il brigante, per vendicarsi, accusò i cristiani di tenere nascosto un missionario, ma il mandarino, benevolo, finse di non avere inteso. Allora la moglie del prigioniero, raccolte nottetempo molte armi, le seppellì nel campo del Cornay e corse ad accusarlo di preparare un'insurrezione armata. La storia fu creduta, i soldati inviati, le armi trovate e il padre arrestato con i catechisti. Impostagli la "canga" e gettato su di una stuoia, fu lasciato a lungo esposto ai raggi del sole cocente; il giorno seguente, tolta la "canga" e chiuso in una gabbia, il Cornay fu portato a Son-Tay, capoluogo della provincia. Vi restò per quindici giorni, visitato da pagani e da autorità che lo interrogavano sulla religione ed egli, oltre al rispondere a tono, si divertiva anche cantando devote aspirazioni e tratti di salmi che rendevano estatici gli astanti.
Giunta, il 15 luglio 1837, la risposta del re, che lo condannava alla massima pena (squartamento, seguito dalla decapitazione), come traditore e istigatore alla ribellione, cominciarono i tentativi più assillanti per indurlo a confessare il delitto di ribellione e a rinnegare la fede calpestando il crocifisso. Il Cornay fu torturato e sotto i suoi occhi furono torturati anche tre catechisti: tutto riuscì vano e la sentenza venne eseguita il 20 settembre 1837, con una variante, però, poiché il mandarino ordinò di decapitare il Cornay e poi di smembrarlo.
Il 27 maggio 1900 il Cornay fu beatificato; la sua festa ricorre il 20 settembre.




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00domenica 20 settembre 2009 10:02

San Giuseppe Maria de Yermo y Parres Sacerdote

20 settembre

Jalmolonga, Messico, 10 novembre 1851 - Puebla de los Angeles, 20 settembre 1904

Nacque nella tenuta di Jalmolonga, municipio di Malinalco, nello Stato del Messico il 10 novembre 1851. All'età di 16 anni lasciò la casa paterna per fare ingresso nella Congregazione della Missione a Città del Messico. Dopo una sofferta crisi vocazionale abbandonò quella famiglia religiosa e continuò la strada verso il sacerdozio nella diocesi di León, e ivi fu ordinato sacerdote il 24 agosto 1879. Nel suo ministero sentì l'esigenza di fondare una casa di accoglienza per i bambini abbandonati. Il 13 dicembre 1885, seguito da quattro giovani coraggiose, diede inizio all'Asilo del Sagrado Corazón sulla collina del Calvario. Quel giorno è anche l'inizio della nuova famiglia religiosa delle «Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri». Fondò poi scuole, ospedali, case di accoglienza per anziani, orfanotrofi, una casa di rigenerazione della donna, e poco prima della sua morte avvenuta nel 1904, portò la sua famiglia religiosa nella difficile missione tra gli indigeni tarahumaras del nord del Messico. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 6 maggio 1990. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Puebla in Messico, beato Giuseppe Maria de Yermo y Parres, sacerdote, che fondò la Congregazione delle Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri per soccorrere i bisognosi nelle necessità dell’anima e del corpo.


Anche quando la vita sembra andare completamente per storto si può fare qualcosa di bello per Dio. Per José Maria de Yermo y Parres la vita comincia a “girare storta” cinquanta giorni dopo la nascita, con la morte improvvisa di mamma. Buon per lui che una sorella di papà, zia Carmen, se lo prende in casa, allevandolo ed educandolo con tenerezza di mamma, senza dimenticare di trasmettergli l’istruzione religiosa e l’amore per la preghiera. Nato nel 1851 a Città del Messico, studia da privatista con ottimi risultati fino quando a 16 anni entra nella Congregazione della Missione di san Vincenzo de’ Paoli. Il Messico sta attraversando un buio periodo di persecuzione religiosa, e così a 18 anni il giovane novizio viene inviato a Parigi per gli studi di teologia. Torna a casa portandosi dietro, insieme a problemi di salute, una tormentata crisi vocazionale, che a 26 anni gli fa abbandonare definitivamente la Congregazione. Completa i suoi studi nel seminario diocesano e a 28 anni viene ordinato prete. A questo punto le cose per lui sembrano finalmente girare per il verso giusto: inizia brillantemente il suo ministero, predica con successo, la gente apprezza lo stile brillante con cui scrive articoli di formazione per le mamme sul giornale cattolico locale. Arrivano però nuovi problemi di salute e il vescovo lo solleva da ogni incarico di predicazione e di catechesi, affidandogli la cura di due piccoli santuari posti nelle vicinanze della città di Leon. Per il brillante oratore il nuovo modesto incarico pastorale equivale ad un umiliante declassamento. Anche gli amici soffiano sul fuoco, e lo consigliano di non accettare un incarico che sottovaluta le sue capacità. Quando è sul punto di cedere e di contestare il suo vescovo, ecco farsi strada in lui il principio che ispirerà da quel momento in poi tutta la sua vita: “amo devotamente la chiesa ed è mia ferma volontà obbedirla e rispettarla sempre”. Questa sofferta obbedienza gli fa aprire gli occhi sulle povertà del suo tempo. Un giorno vede sulla riva del fiume alcuni maiali che stanno divorando due bambini appena nati e subito abbandonati dalla loro mamma. Da questo fatto orrendo di cui è testimone arriva la scintilla che gli fa fare una radicale “opzione per i poveri”. Apre immediatamente una casa di assistenza per i poveri, ma non trova nessuna congregazione di suore disposta a prendersene cura. Raduna allora quattro giovani volontarie con le quali pochi mesi dopo inaugura il primo “Asilo del Sagrado Corazon de Jesùs”. Padre Yermo non sa che in quel modo semplice e per niente programmato nasce la sua congregazione delle “Serve del Sacro Cuore di Gesù e dei Poveri”, che oggi conta 700 suore, ancora impegnate nelle scuole, nelle case-famiglia, negli ambulatori e accanto ai bambini disabili. Difficoltà, maldicenze e persecuzioni non abbandonano Padre Yermo, che però ha imparato ad affrontarle confidando in Dio e con il sorriso sulle labbra. E sorridendo muore a 53 anni appena, il 20 settembre 1904. Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato “beato” il 6 maggio 1990 ed infine “santo” il 21 maggio 2000.




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00domenica 20 settembre 2009 10:02

Santi Ipazio, Asiano e Andrea Martiri

20 settembre


Martirologio Romano: A Costantinopoli, santi martiri Ipazio e Asiano, vescovi, e Andrea, sacerdote, che per aver difeso il culto delle sacre immagini sotto l’imperatore Leone l’Isaurico, dopo crudeli e atroci torture, furono dati in pasto ai cani.





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00domenica 20 settembre 2009 10:03

Santi Lorenzo Han I-hyong e compagni Martiri

20 settembre


Martirologio Romano: A Seul in Corea, santi Lorenzo Han I-hyŏng, catechista, e sei compagni, martiri, che, strangolati in diverse carceri, subirono il martirio per Cristo. La loro memoria si celebra oggi insieme a quella degli altri martiri di questa regione.





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00domenica 20 settembre 2009 10:03

Beata Maria Teresa di San Giuseppe (Anna Maria Tauscher van den Bosch) Fondatrice

20 settembre

Sandow, Germania, 19 giugno 1855 – Sittard, Olanda, 20 settembre 1938

La beata Maria Teresa di San Giuseppe, al secolo Anna Maria Tauscher van den Bosch, nacque il 19 giugno 1855 a Sandow, nel Brandeburgo (oggi in Polonia), da genitori luterani profondamente credenti. In giovane età visse anni d'intensa, travagliata ricerca religiosa che la condussero al cattolicesimo: una scelta che le costò l'esclusione dalla famiglia e il licenziamento dall'ospedale psichiatrico di Colonia, che dirigeva. Rimasta senza casa né lavoro, dopo un lungo vagare trovò a Berlino la sua «via»: iniziò a dedicarsi ai tanti «ragazzi di strada» " molti, figli di italiani " che vi erano abbandonati o trascurati. A tal fine fondò la Congregazione delle Suore Carmelitane del Divino Cuore di Gesù, che presto iniziò a dedicarsi anche ad anziani, poveri, emigranti, operai senza tetto, mentre nuove comunità nascevano in altri Paesi d'Europa e in America. Il carisma: mettere lo spirito contemplativo del Carmelo al servizio attivo dell'apostolato diretto. La fondatrice morì il 20 settembre 1938 a Sittard, nei Paesi Bassi. Sempre in Olanda, nella cattedrale di Roermond, venne beatificata il 13 maggio 2006. (Avvenire)


Anna Maria Tauscher Van den Bosch nacque il 19 giugno 1855 a Sandow, nel Brandenburgo, oggi in territorio polacco, da genitori luterani profondamente credenti. Suo padre era un pastore della Chiesa Evangelica. Ad un certo punto, però, insoddisfatta della religione del padre Anna Maria approdò alla Chiesa cattolica. Ciò avvenne il 30 ottobre 1888, quando fece la sua professione di fede tridentina nella chiesa dei Santi Apostoli in Colonia. Questa meditata decisione le procurò, però, numerose umiliazioni e sofferenze, tanto da essere presto espulsa dalla casa paterna e licenziata dal suo incarico di direttrice dell'Ospedale psichiatrico di Colonia.
Rimasta così senza casa e senza lavoro, abbandonata da tutti, Anna Maria vagò a lungo prima di giungere in un asilo presso un Istituto religioso. Successivamente lavorò invece come dama di compagnia presso una famiglia. Fu allora che la giovane si accorse come nelle strade di Berlino tanti bambini, per lo più figli di italiani troppo impegnati nel lavoro per badare alla famiglia, fossero miseramente abbandonati a se stessi. Mossa da compassione, iniziò così a prendersi cura di loro. Per poter realizzare questo suo arduo scopo decise di fondare una comunità religiosa: la Congregazione delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù. Iniziò la sua prima Opera presso Berlino, ove il 2 luglio 1891 aprì una prima casa, che battezzò “Casa per i senza casa” ed il 1° agosto iniziò ad accogliere i primi tre bambini poveri, oltre a riunire attorno a sé altre compagne desiderose come lei di prestare soccorso ai più sfortunati.
La sua carità non si limitò però esclusivamente ai bambini. Madre Maria Teresa di San Giuseppe, questo il nome da lei assunto in religione, si prese infatti cura anche degli anziani, di coloro che erano soli, abbandonati, lontani dalla Chiesa, degli emigrati, dei semplici operai che in qualche modo si trovano ad essere senza tetto.
Nel 1897 avvenne la sua ammissione al Carmelo nella casa generalizia dei Carmelitani Scalzi. Fondò poi la prima casa in Olanda nel 1898, il primo noviziato a Sittard nel 1899 ed ancora un altro noviziato a Maldon nel 1901. La sua grande devozione per San Giuseppe, la spinse a porre tutte le case dell'Opera sotto la protezione dello Sposo di Maria.
Nel 1903 compì il primo viaggio a Roma e dopo alcuni mesi si recò a Cremona per dare inizio all'attività in favore dei bambini poveri, nella casetta dell'onorevole Ettore Sacchi. Nel 1904 Madre Maria Teresa di San Giuseppe tornò per la terza volta a Roma per inaugurare la Casa madre a Rocca di Papa, aperta con l'aiuto del Cardinale Francesco Satolli e dei Carmelitani Scalzi. Fu proprio in tale occasione che la congregazione ricevette la sua denominazione definitiva, già prima citata.
Dopo 10 anni la sua opera si era estesa in varie parti di Europa e anche in America, con la prima casa a Milwaulkee. Il carisma della madre fondatrice consisteva nel mettere lo spirito contemplativo del Carmelo al servizio attivo dell'apostolato diretto. In questo modo rispose con generosità alla chiamata di Dio e alle esigenze del suo tempo. “Quest'unione di preghiera e di servizio costituisce la nostra vita e missione, nonché il nostro dono alla Chiesa e al mondo” recita la Costituzione della congregazione al punto 6. A tal proposito, la fondatrice era solita ammonire le sue suore dicendo: “Noi non dobbiamo accontentarci di essere solo tabernacolo, abitazione di Dio, ma strumenti di Dio di cui il Divin Salvatore possa servirsi per la salvezza delle anime”. Madre Teresa di San Giuseppe sosteneva la necessità di accogliere i figli della Chiesa che hanno smarrito il vero cammino e sono in cerca di consolazione. “Ogni Carmelitana del Divin Cuore di Gesù deve, come un angelo di conforto e di pace, scendere dalle altezze del Carmelo agli uomini, carichi di dolori e senza pace”, era solita affermare.
Madre Maria Teresa di San Giuseppe spirò infine il 20 settembre 1938 presso Sittard, in Olanda. Fu dichiarata “venerabile” il 20 dicembre 2002 da Giovanni Paolo II ed un primo miracolo avvenuto per sua intercessione venne riconosciuto il 19 dicembre 2005. La solenne cerimonia di beatificazione ha avuto luogo il 13 maggio 2006 nella Cattedrale di Roermond (Paesi Bassi), presieduta dal Cardinale José Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.




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00domenica 20 settembre 2009 10:04

Santi Martiri Coreani (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 compagni)

20 settembre

L'azione dello Spirito, che soffia dove vuole, con l'apostolato di un generoso manipolo di laici è alla radice della santa Chiesa di Dio in terra coreana. Il primo germe della fede cattolica, portato da un laico coreano nel 1784 al suo ritorno in Patria da Pechino, fu fecondato sulla meta del secolo XIX dal martirio che vide associati 103 membri della giovane comunità. Fra essi si segnalano Andrea Kim Taegon, il primo presbitero coreano e l'apostolo laico Paolo Chong Hasang. Le persecuzioni che infuriarono in ondate successive dal 1839 al 1867, anziché soffocare la fede dei neofiti, suscitarono una primavera dello Spirito a immagine della Chiesa nascente. L'impronta apostolica di questa comunità dell'Estremo Oriente fu resa, con linguaggio semplice ed efficace, ispirato alla parabola del buon seminatore, del presbitero Andrea alla vigilia del martirio. Nel suo viaggio pastorale in quella terra lontana il Papa Giovanni Paolo II, il 6 maggio 1984, iscrisse i martiri coreani nel calendario dei santi. La loro memoria si celebra nella data odierna, perché un gruppo di essi subì il martirio in questo mese, alcuni il 20 e il 21 settembre. (Mess. Rom.)

Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Memoria dei santi Andrea Kim Tae-gon, sacerdote, Paolo Chong Ha-sang e compagni, martiri in Corea. In questo giorno in un’unica celebrazione si venerano anche tutti i centotrè martiri, che testimoniarono coraggiosamente la fede cristiana, introdotta la prima volta con fervore in questo regno da alcuni laici e poi alimentata e consolidata dalla predicazione dei missionari e dalla celebrazione dei sacramenti. Tutti questi atleti di Cristo, di cui tre vescovi, otto sacerdoti e tutti gli altri laici, tra i quali alcuni coniugati altri no, vecchi, giovani e fanciulli, sottoposti al supplizio, consacrarono con il loro prezioso sangue gli inizi della Chiesa in Corea.

Ascolta da RadioRai:
  

La Chiesa coreana ha la caratteristica forse unica, di essere stata fondata e sostenuta da laici; infatti agli inizi del 1600 la fede cristiana comparve in Corea tramite le delegazioni che ogni anno visitavano Pechino in Cina, per uno scambio culturale con questa Nazione, molto stimata in tutto l’Estremo Oriente.
E in Cina i coreani vennero in contatto con la fede cristiana, portando in patria il libro del grande padre Matteo Ricci “La vera dottrina di Dio”; e un laico, Lee Byeok grande pensatore, ispirandosi al libro del famoso missionario gesuita, fondò una prima comunità cristiana molto attiva.
Intorno al 1780, Lee Byeok pregò un suo amico Lee-sunghoon, che faceva parte della solita delegazione culturale in partenza per la Cina, di farsi battezzare e al ritorno portare con sé libri e scritti religiosi adatti ad approfondire la nuova fede.
Nella primavera del 1784 l’amico ritornò con il nome di Pietro, dando alla comunità un forte impulso; non conoscendo bene la natura della Chiesa, il gruppo si organizzò con una gerarchia propria celebrando il battesimo e non solo, ma anche la cresima e l’eucaristia.
Informati dal vescovo di Pechino che per avere una gerarchia occorreva una successione apostolica, lo pregarono di inviare al più presto dei sacerdoti; furono accontentati con l’invio di un prete Chu-mun-mo, così la comunità coreana crebbe in poco tempo a varie migliaia di fedeli.
Purtroppo anche in Corea si scatenò ben presto una persecuzione fin dal 1785, che si incrudeliva sempre più, finché nel 1801 anche l’unico prete venne ucciso, ma questo non bloccò affatto la crescita della comunità cristiana.
Il re nel 1802 emanò un editto di stato, in cui si ordinava addirittura lo sterminio dei cristiani, come unica soluzione per soffocare il germe di quella “follia”, ritenuta tale dal suo governo. Rimasti soli e senza guida spirituale, i cristiani coreani chiedevano continuamente al vescovo di Pechino e anche al papa di avere dei sacerdoti; ma le condizioni locali lo permisero solo nel 1837, quando furono inviati un vescovo e due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi; i quali penetrati clandestinamente in Corea furono martirizzati due anni dopo.
Un secondo tentativo operato da Andrea Kim Taegon, riuscì a fare entrare un vescovo e un sacerdote, da quel momento la presenza di una gerarchia cattolica in Corea non mancherà più, nonostante che nel 1866 si ebbe la persecuzione più accanita; nel 1882 il governo decretò la libertà religiosa.
Nelle persecuzioni coreane perirono, secondo fonti locali, più di 10.000 martiri, di questi 103 furono beatificati in due gruppi distinti nel 1925 e nel 1968 e poi canonizzati tutti insieme il 6 maggio 1984 a Seul in Corea da papa Giovanni Paolo II; di questi solo 10 sono stranieri, 3 vescovi e 7 sacerdoti, gli altri tutti coreani, catechisti e fedeli.
Di seguito diamo un breve tratto biografico dei due capoelenco liturgico del gruppo dei 103 santi martiri: Andrea Kim Taegon e Paolo Chong Hasang.
Andrea nato nel 1821 da una nobile famiglia cristiana, crebbe in un ambiente decisamente ispirato ai principi cristiani, il padre in particolare aveva trasformato la sua casa in una ‘chiesa domestica’, ove affluivano i cristiani ed i neofiti della nuova fede, per ricevere il battesimo, scoperto tenne con forza la sua fede, morendo a 44 anni martire.
Aveva 15 anni quando uno dei primi missionari francesi arrivati in Corea nel 1836, lo inviò a Macao per prepararlo al sacerdozio. Ritornò come diacono nel 1844 per preparare l’entrata del vescovo mons. Ferréol, organizzando una imbarcazione con marinai tutti cristiani, andando a prenderlo a Shanghai, qui fu ordinato sacerdote e insieme, di nascosto con un viaggio avventuroso, penetrarono in Corea, dove lavorarono insieme sempre in un clima di persecuzione.
Con la nobiltà del suo atteggiamento, con la capacità di comprendere la mentalità locale, riuscì ad ottenere ottimi risultati d’apostolato. Nel 1846 il vescovo Ferréol lo incaricò di far pervenire delle lettere in Europa, tramite il vescovo di Pechino, ma durante il suo incontro con le barche cinesi, fu casualmente scoperto ed arrestato.
Subì gli interrogatori e gli spostamenti di carcere prima con il mandarino, poi con il governatore e giacché era un nobile, alla fine con il re e a tutti manifestò la fedeltà al suo Dio, rifiutando i tentativi di farlo apostatare, nonostante le atroci torture; alla fine venne decapitato il 16 settembre del 1846 a Seul; primo sacerdote martire della nascente Chiesa coreana.
Paolo Chong Hasang. Eroico laico coreano, era nato nel 1795 a Mahyan, il padre Agostino e il fratello Carlo vennero martirizzati nel 1801, la sua famiglia composta da lui, la madre Cecilia e la sorella Elisabetta, venne imprigionata e privata di ogni bene, furono costretti ad andare ospiti di un parente, ma appena gli fu possibile si trasferì a Seul aggregandosi alla comunità cristiana; perlomeno quindici volte andò in Cina a Pechino in viaggi difficilissimi fatti a piedi, spinto dall’eroismo di una fede genuina, professata nonostante i gravi pericoli.
Collaborò alacremente affinché il primo sacerdote Yan arrivasse in Corea e poi dopo di lui i missionari francesi: il vescovo Imbert ed i sacerdoti Maubant e Chastan.
Fu accolto con la madre e la sorella dal vescovo Imbert, il quale desiderava farlo diventare sacerdote, ma la persecuzione infuriava e un apostata li tradì, facendoli imprigionare.
Paolo Chong Hasang venne interrogato e torturato per fargli abbandonare la religione straniera a cui si era associato, ma visto la sua grande fermezza, venne condannato e decapitato il 22 settembre 1839, insieme al suo caro amico Agostino Nyon, anche lui firmatario di una petizione al papa per l’invio di un vescovo in Corea. Anche la madre e la sorella vennero uccise dopo alcuni mesi.
Il vescovo e i due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi, vennero decapitati anche loro nel 1839.
Per brevità di spazio si omettono i nomi degli altri 101 santi martiri che sono comunque consultabili nell’"Index ac Status Causarum"; Città del Vaticano, 1999, pag. 633-635.





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00domenica 20 settembre 2009 10:05

Santa Susanna di Eleuteropoli Monaca e martire

20 settembre

Palestina - † Eleuteropoli, IV sec.

Etimologia: Susanna = giglio, la donna pura, dall'ebraico

Emblema: Palma


La vita e il martirio di s. Susanna, ci è nota per una ‘passio’ in lingua greca, riportata dalla “Bibliotheca Hagiografica Graeca”, gli avvenimenti vanno inquadrati nel IV secolo.
Susanna originaria della Palestina, era figlia di un sacerdote pagano di nome Artemio, la madre Marta era ebrea; rimasta orfana di entrambi, venne istruita e convertita da un certo prete Silvano e quindi battezzata.
In seguito donò tutti i suoi beni ai poveri e sotto spoglie maschili, entrò in un monastero per condurre vita ascetica, con il nome fittizio di Giovanni.
Nelle ‘Vite’ dei santi, specie di quel periodo storico, dove non esisteva ancora un monachesimo femminile, si ritrovano varie sante che con questo stratagemma, vissero spesso fino alla morte, in monasteri maschili, senza che nessuno se ne accorgesse; del resto specie per i primi monaci, la vita in comune era ridotta, perché ognuno aveva una cella o un eremitaggio, salvo a riunirsi per le cerimonie comuni.
Susanna (Giovanni) andò avanti così per molto tempo, conducendo una vita di perfetta asceta, finché accusata da una donna di avere avuto rapporti sessuali con lei, per dimostrarne la menzogna, dovette rivelare il suo vero sesso.
Anche questa parte riguardante una presunta violenza sessuale, denunziata da qualche donna, attratta da quel che sembrava un monaco e da questi respinta, e che si vendica accusandolo di rapporti inesistenti, fa parte spesso del racconto della vita, di quell’elenco di monache-monaci, che usarono questo sotterfugio per vivere una vita monastica, allora per loro preclusa.
Fu talmente usato questo metodo che parecchie di esse, sono diventate sante, per l’austerità della vita che vollero scegliere; ne diamo alcuni nomi oltre s. Susanna di Eleuteropoli, s. Marina-Marino del Libano, s. Anastasia, s. Atanasia moglie di Andronico, s. Apollinaria, s. Eufrosina-Smaragdo, s. Eugenia, s. Teodora di Alessandria, ecc.
Lasciato così il monastero, Susanna si recò ad Eleuteropoli (Grecia), dove venne ordinata diaconessa dal vescovo del luogo; il racconto verso la fine dice, che essendo nell’epoca delle persecuzioni contro i cristiani (sec. IV?), Susanna venne arrestata, per il suo zelo nell’annunciare Cristo Gesù, quindi trasferita davanti al governatore Alessandro, subì vari tormenti, poi venne rinchiusa in carcere dove morì.
La sua commemorazione nei Sinassari bizantini è posta al 19 settembre, invece Cesare Baronio, il quale compilò il primo Martirologio Romano nel secolo XVI, la pose al 20 settembre.




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00domenica 20 settembre 2009 10:06

Santi Teopista ed Agapio Martiri

20 settembre


Emblema: Palma


EUSTACHIO, PLACIDO (lat. Placidus), TEOPISTA, TEOPISTO e AGAPIO, santi, martiri a ROMA.
Placido, ricco e vittorioso generale di Traiano, benché pagano era spinto a grandi beneficenze per sua bontà naturale, come già il centurione Cornelio. Un giorno, a caccia, inseguì un cervo di straordinaria bellezza e grandezza che, fermatosi sopra un'alta rupe, si volse all'inseguitore. Aveva tra le corna una croce luminosa e, sopra, la figura di Cristo: "Placido", disse, "perché mi perseguiti? Io sono Gesù, che tu onori senza sapere". Riavutosi dallo spavento, Placido fu invitato a farsi battezzare insieme coi suoi. Egli prese il nome di Eustachio o Eustazio, la moglie quello di Teopista e i figli quelli di Teopisto e Agapio. Ritornato sulla montagna, udì la voce misteriosa preannunziare che, novello Giobbe, avrebbe dovuto dar prova della sua pazienza. Infatti, la peste gli rapì i servi e le serve e, poco dopo, i cavalli e il bestiame. I ladri gli tolsero ogni altro suo avere. Allora decise di emigrare in Egitto; durante il viaggio, non avendo di che pagare il nolo, si vide togliere la moglie dal capitano della nave, che se n'era invaghito. Ridiscese a terra e continuò con i figli il viaggio a piedi; ma poco dopo questi gli furono rapiti, da un leone l'uno, da un lupo l'altro. Salvati dagli abitanti del luogo, i due giovanetti crebbero nello stesso villaggio senza conoscersi.
Eustachio, rimasto solo, si stabilì in un villaggio vicino, detto Badisso, ridotto a guadagnarsi il pane custodendo i raccolti degli ospiti. Quindici anni dopo, avendo i barbari violato i confini dell'Impero, Traiano si ricordò di Placido e lo fece cercare. Due commilitoni lo ritrovarono e lo condussero a Roma. Nuovamente a capo delle truppe, trovandole insufficienti, fece reclutare dovunque nuovi soldati: tra le reclute c'erano, sempre ignari l'uno dell'altro, i suoi figli, così robusti e ben educati che li fece sottufficiali e anche suoi commensali. Ricacciati gli invasori e occupato il loro territorio, le truppe sostarono per un breve riposo in un oscuro villaggio, proprio quello dove Teopista, dopo la morte del capitano della nave, viveva coltivando l'orto d'un abitante del luogo, dimorando in un povero abituro; i due ufficiali le chiesero ospitalità. Al racconto delle vicende della propria vita, i due si riconobbero; anche Teopista li riconobbe, ma non rivelò loro la propria identità. Il giorno seguente presentatasi al generale per chiedergli d'essere rimandata in patria, riconobbe in lui il proprio marito. La famiglia cos1 si ricompose. Nel frattempo, a Traiano era succeduto Adriano, il quale accolse il vincitore in trionfo. Però, all'indomani, essendosi Eustachio rifiutato di partecipare al rito di ringraziamento nel tempio di Apollo, perché cristiano, fu condannato al circo insieme con i suoi. Tuttavia il leone, quantunque aizzato contro di loro, neanche li toccò. Allora furono introdotti entro un bue di bronzo arroventato: morirono all'istante, ma il calore non arse loro un capello. I corpi, sottratti dai cristiani, ebbero una conveniente sepoltura sulla quale, dopo la pace di Costantino, sorse un oratorio, dove il loro dies natalis era festeggiato il 1o novembre.
Questa leggenda ebbe nel Medio Evo straordinario successo. Ci è pervenuta in molte redazioni e versioni, greche, latine, orientali (armena, siriaca, georgiana, copta, slava, eoc.) e volgari (italiana, francese, spagnola, inglese, tedesca, irlandese, ecc.), diverse nei particolari, ma concordi nella sostanza. W. Meyer, argomentando dal fatto che si tratta d'un martire romano, conclude essere la redazione originaria quella latina; il Delehaye lo esclude in modo assoluto; la Depositio martyrum Ecclesiae Romanae e il Martirologio Geronimiano non conoscono affatto Eustachio. La redazione originaria è invece quella greca; il suo autore non partì da alcun dato reale (storico, monumentale, liturgico), ma ricucì insieme alla meno peggio motivi ricorrenti nella novellistica popolare e nell'agiografia cristiana. Nella sua opera si distinguono chiaramente tre racconti: la conversione miracolosa, le avventure familiari e il martirio. Il racconto di quest'ultimo rientra nel genere delle passiones romanzesche. Invece, il racconto del cervo prodigioso ripete un motivo che compare spesso nell'agiografia cristiana (v. s. GIULIANO lo Spedaliere, s. MEINULFO, s. GIOVANNI di Matha e s. FELICE di Valois, s. FANTINO, s. UBERTO di Liegi, ecc.) e ha radici nella letteratura indiana. La stessa cosa va detta pure del racconto delle avventure familiari di Eustachio. Il motivo ricorreva in India ancor prima di Buddha: da quel fondo comune passò alla novellistica universale. Lo ritroviamo, infatti, nell'antica letteratura greca, in quella araba, armena, giudaica, kabila, ecc., in molti romanzi del Medio Evo ed anche nelle Omelie pseudo-clementine e nella leggenda di s. Senofonte, Maria e i suoi figli. Concludendo il suo ampio studio, il Delehaye dice che nessun testo agiografico è, ora, più conosciuto della leggenda di s. Eustachio, ma anche nessuno s'è rivelato altrettanto privo di valore storico.
Eppure, l'eroe del pio romanzo agiografico, grazie all'abilità del narratore, s'impose alla credulità popolare, che ne fece un personaggio reale. La prima traccia, che si conosca finora, d'un culto in suo onore è la diaconia S. Eustachii o basilica beati Eustacii che compare già all'inizio del sec. VIII in documenti del papa Gregorio II. Ne parla il Liber Pontificalis, nella biografia dei papi Leone III (795-816) e Gregorio IV (827-844). Era detta in platana, perché sorgeva in mezzo ai platani fra le rovine delle terme di Nerone e di Alessandro Severo, "iuxta templum Agrippae". Fu ricostruita durante il pontificato di Celestino III (1191-1198), che la consacrò il 12 maggio 1196, dopo aver rimesso nell'altare maggiore i presunti corpi di s. Eustachio e dei suoi familiari. S. Eustachio diede il nome al XIII rione della città. La celebrità del santo spiega il sorgere di altre leggende, come quella che identifica il luogo del prodigio del cervo nei monti della Mentorella, là dove sorge il santuario di S. Maria in Vulturella, sopra Ceciliano (Tivoli), e l'altra, che faceva discendere il santo dalla casa Ottavia, quella dell'imperatore Ottaviano Augusto, e, a sua volta, faceva discendere dal santo i conti di Tuscolo, che presero appunto il nome di conti di S. Eustachio.
La leggenda mette la sua festa al 1 novembre, alla cui data compare anche nel corbeiese majus (sec. XII) del Martirologio Geronimiano. Fu spostata al 2 novembre, dopo l'introduzione della commemorazione di tutti i santi e poi in altro giorno dopo l'introduzione della commemorazione dei defunti. Alla data del 20 settembre compare negli evangeliarii di tipo romano puro dalla metà del sec. VIII e nel Sinassario di Costantinopoli nella quale città era festeggiato nella chiesa (col. 61). Questa data, passata nel Martirologio Romano, finì per diventare universale. S. Eustachio figura tra i santi Ausiliatori ed è protettore dei cacciatori e guardiacaccia.





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00domenica 20 settembre 2009 10:06

Beato Tommaso Johnson Sacerdote certosino, martire

20 settembre

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Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beato Tommaso Johnson, sacerdote della Certosa di questa città e martire, che, sotto il re Enrico VIII, per la sua fedeltà alla Chiesa morì consunto dalla fame e dalla malattia nel carcere di Newport, nono del novero dei suoi confratelli.




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