21 ottobre

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Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:03

Sant' Agatone d'Egitto Eremita

21 ottobre

Sec. IV

Etimologia: Agatone = buono, dal greco


Santi Ilarione e Agatone

Ilarione e Agatone furono ambedue solitari nel IV secolo, in Egitto: monaci cioè che, dietro l'esempio di Sant'Antonio Abate, si ritirarono nel deserto della Tebaide, conducendovi vita di isolamento e di rigore.
Nel ricordo che di loro ci è pervenuto, appaiono ambedue pieni di saggezza, di pazienza e di devozione. Da giovani, gravi e dignitosi come vecchi; da vecchi, freschi e lieti come giovani .Sempre umili e sereni, fecero guerra sempre e soltanto alle tentazioni, sia da giovani che da vecchi, e al demonio, che abita anch'esso i luoghi deserti.
Su Sant'Ilarione, esiste uno scritto di San Girolamo, nel quale si trovano episodi di freschissima suggestione. I ladroni del deserto, per esempio, si presentano un giorno a lui. Ilarione li accoglie senza timore. " Che cosa diresti se i briganti ti assalissero? ", gli chiedono. " Quando non si possiede nulla - risponde, -i briganti non fanno paura ". " E non avresti paura di essere ucciso? ". " lo paura? Io paura? No davvero, poiché anche senza di essi dovrò morire ".
Giunto a più di ottant'anni, ecco Ilarione dire alla propria anima: " Esci dunque dal corpo: che cosa temi? Esci, anima mia, perché esiti? Sono quasi sessant'anni che servi Cristo, e hai paura di morire? ".
Ad Agatone, che in greco vuol dire " ottimo ", sono attribuiti detti spirituali e morali bellissimi. " Con il lavoro - egli asseriva - si provvede alla nostra salute e si fa guerra al demonio ".
" Siate - insegnava poi - come una colonna di pietra, che non monta in collera quando viene maltrattata, ma che neanche diventa più alta quando viene lodata ".
La Leggenda Aurea narra poi altri esempi della vita virtuosa di questi eremiti. Ne basterà uno per farsi un'idea dell'incantevole clima spirituale del loro mondo.
" Una volta - si legge - disse l'uno all'altro: - Abbiamo briga insieme, come hanno gli uomini del mondo? - Rispuose l'altro: - Io non so come la briga nasce. - Disse quel frate: - Poni fra te e me uno mattoncello; e io dirò: Mio è. Tu dirai: "Anzi è mio". E quindi nascerà la briga.
" Sì che fu posto il mattone in mezzo, e disse l'uno: - Egli è mio. - Disse l'altro: - No, anzi è mio. - Rispuose il primo: - Ed elli sia tuo; tollilo, e va' con Dio. - Partirono insieme, e non poterono contendere ".
Uomini pacifici, giusti, mansueti, sullo sfondo dei deserto. Uomini irsuti e barbuti di fuori, come fiere; ma di dentro, teneri e delicati più che bambini.


Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:04

San Bertoldo di Parma

21 ottobre

Parma, 1072 c. - Parma, 1106

Etimologia: Bertoldo = famoso, illustre, splendente, dall'antico germanico


Il Santo - non unico di questo nome nei calendari - visse a Parma, e mori nel 1106.
Non ebbe nulla in comune con il goffo contadino pavese, arguto e astuto, narrato da Giulio Cesare Croce nel famoso libro di Bertoldo. Il Santo invece discendeva da una famiglia straniera: inglese il padre, Abbondio, brèttone la madre, Berta. Erano giunti in Italia, poverissimi artigiani, fuggendo l'invasione normanna dell'Inghilterra, e in un primo tempo si stabilirono a Milano, dove Abbondio esercitò il mestiere del calzolaio, ma con poca o punta fortuna.
Passarono allora di là dal Po, fissandosi a Parma, dove nacque, verso il 1072, il loro unico figlio, Bertoldo.
A sette anni, il ragazzo lavorava già nella bottega paterna, aiutando nello stentato mestiere. Ma a dodici, Bertoldo abbandonò lesina e trincetto, per servire il Signore con pari zelo e immutata umiltà.
Dovette vincere la resistenza dei genitori, del padre soprattutto, che forse nutriva per quell'unico figlio l'ambizione di tutto quanto era stato a lui negato dalla vita.
Ma la vocazione di Bertoldo, pur nella sua semplicità, fu più forte delle ambizioni paterne, e il ragazzo poté così cambiare la bottega del calzolaio per la chiesa parmense di Sant'Alessandro, presso la quale esisteva un monastero di monache Benedettine.
Nella storia degli Ordini religiosi, Bertoldo è considerato così un precursore di quei conversi, o fratelli laici, detti Oblati Regolari, che divennero più tardi comuni - e ancora lo sono - presso le abbazie e i monasteri benedettini. Le sue mansioni, nella chiesa di Sant'Alessandro, furono quelle di un sagrestano; un sagrestano che faceva parte della comunità, e ne viveva la Regola con puntualissimo zelo.
Viveva alla base del campanile, ed era desto prima dell'alba, per pregare davanti all'altare, dopo aver tutto preparato per le prime Messe. Indossava un cilicio, e ogni venerdì si flagellava. Sempre obbediente, umile e sereno, le monache lo additavano addirittura come modello alle giovani novizie.
Con il permesso del Superiore, fu pellegrino a Roma e poi in Francia, dove visitò l'ospedale di Sant'Antonio Abate, lasciandosi dietro il ricordo di prodigiose guarigioni. E umili, toccanti miracoli gli vennero attribuiti anche dopo il ritorno a Parma, dove morì ancora giovane, mentre pregava, salutato da un insistente stormo di campane.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:05

Beato Carlo I d’Asburgo Imperatore e re

21 ottobre

Persenburg (Austria), 17 agosto 1887 – Funchal - Madeira (Portogallo), 1 aprile 1922

Nacque nel 1887 in Austria, Carlo ebbe un grande amore per la Santa Eucaristia e per il Cuore di Gesù. Nel 1911 sposò la Principessa Zita di Borbone e, mentre imperversava la Prima Guerra Mondiale, con la morte dell'Imperatore Francesco Giuseppe, divenne Imperatore d'Austria. Anche questo compito venne visto da Carlo come una via per seguire Cristo: nell'amore per i popoli a lui affidati, nella cura per il loro bene e nel dono della sua vita per loro.

Emblema: Corona, Scettro, Globo, Spada


Carlo Francesco Giuseppe di Asburgo Lorena, nacque nel castello di Persenburg (Austria) il 17 agosto 1887, dall’arciduca Ottone d’Austria e dall’arciduchessa Maria Giuseppina di Sassonia; ed era pronipote dell’imperatore Francesco Giuseppe I (1830-1916).
La buona e devota madre, influenzò fortemente l’animo del giovane principe; ebbe una formazione umanistica sotto la guida di eccellenti precettori; poi proseguì i suoi studi presso il famoso “Schottengymnasium” dei Benedettini di Vienna, dove dai compagni veniva chiamato ‘arcicarlo’.
Seguendo le tradizioni della dinastia, finiti gli studi liceali, Carlo divenne ufficiale di cavalleria; uomo di viva intelligenza e dotato di un’enorme memoria, ricevette una formazione universitaria e l’istruzione di Stato Maggiore; fu dislocato in piccole guarnigioni della Baviera e della Galizia e poi a Vienna.
Sposò nel 1911 la principessa Zita di Borbone - Parma, dalla loro unione nacquero cinque figli maschi e tre figlie. Per la serie di disgrazie familiari che colpì la dinastia di Francesco Giuseppe, il pronipote Carlo venne a trovarsi in linea di successione, ad essere inaspettatamente erede al trono imperiale.
Nel 1915 l’anziano imperatore cercò di introdurre Carlo negli affari di governo; senza coinvolgerlo però in settori essenziali e vitali. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale, comandando il XX Corpo dei Cacciatori imperiali “Edelweiss”, dimostrando le sue capacità militari e di coraggio fisico-morale; poi gli fu dato il comando della XII Armata in Galizia, poi ancora quello delle Armate contro i russi diretti da Brusilov, la cui offensiva venne fermata.
Dopo l’entrata in guerra della Romania, Carlo vinse la battaglia di Hermannstadt e si accingeva a conquistare anche Bucarest; le sue qualità militari gli vennero riconosciute dal suo Capo di Stato Maggiore, il prussiano Hans von Seeckt, che lo considerava un bigotto.
Il 21 novembre 1916 morì l’imperatore Francesco Giuseppe I e Carlo in piena Guerra Mondiale, divenne imperatore d’Austria (Carlo I) e re d’Ungheria (Carlo IV).
Sin da fanciullo aveva dimostrato una particolare inclinazione verso la religione e la preghiera, si sentiva chiamato alla carità per il prossimo e fin da ragazzo raccoglieva soldi per i poveri. Da giovane ufficiale in Galizia, cercò sempre con successo di elevare la vita morale dei suoi soldati, i quali vedevano in lui il modello dell’uomo cattolico.
I suoi principi religiosi lo portarono, da imperatore, a sostituire il feldmaresciallo Conrad, perché agnostico e che all’età di 64 anni aveva sposato una donna divorziata, inoltre aveva usato indiscriminatamente le corti marziali, alienando i cechi dalla Casa d’Austria.
Benché fornito di ottima preparazione militare, fu l’unico fra i belligeranti ad accogliere le iniziative di pace di papa Benedetto XV; del resto sin dall’inizio del suo governo era deciso a riportare la pace ai suoi popoli.
Intraprese varie iniziative di pacificazione con le altre potenze, senza riuscire a prevalere però nella cerchia dei generali e statisti tedeschi; non andarono in porto nemmeno due tentativi di pace separata, a causa della fiera resistenza del governo italiano e che si seppero poi in giro.
Così da parte degli alleati, da parte tedesca e da parte di austriaci pangermanici, fu imbastita una enorme propaganda contro il giovane sovrano, il quale con calunnie venne accusato di essere un debole, un donnaiolo, incompetente, ubriacone e molto dipendente dalla volontà della moglie ‘italiana’.
Non riuscì a realizzare una riforma costituzionale dello Stato in forma confederale, per l’opposizione dei nazionalisti austro-pangermanisti e dei circoli governanti ungheresi, capeggiati dal conte Tisza, i quali si rifiutarono in modo assoluto, di dare delle concessioni agli oltre otto milioni di non magiari, presenti in Ungheria.
Attorno a sé non trovò nessun uomo politico, disposto ad appoggiare i suoi piani di riforma, anzi il ministro degli esteri conte Czernin, ligio alla prepotenza germanica, entrò ben presto in piena divergenza con il suo sovrano. L’unico consigliere politico di cui dispose, il conte Polzer-Hoditz, divenne bersaglio e vittima di una ben orchestrata campagna denigratoria.
Il 4 novembre 1918, a seguito del crollo militare sul fronte italiano, si firmò l’armistizio con l’Italia e come conseguenza la monarchia danubiana decadde e in Austria, il 12 novembre, venne proclamata la Repubblica Austriaca. Carlo si ritirò dapprima in Ungheria, rinunciando ad ogni partecipazione agli affari di Stato, ma senza abdicare come sovrano; poi fino al 24 marzo 1919 visse con la famiglia nel castello di Eckartsan presso Vienna, da dove dovette trasferirsi, sotto protezione britannica in Svizzera; ritenendosi fedele al giuramento fatto all’incoronazione di re dell’Ungheria, fece due tentativi di riprendere il potere in questo Stato, ambedue nel 1921.
Ma essi fallirono per l’ostilità di alcune potenze della Piccola Intesa, contrarie ad una restaurazione, nonostante le simpatie verso la sua persona, mostrate dalla Francia e dalla Romania; inoltre il reggente d’Ungheria Nicola von Horthy, si mise contro il re legittimo, nonostante il giuramento che lo legava al sovrano esiliato.
I tentativi di riprendere il trono, furono espletati per sua volontà, senza usare la forza militare, risparmiando così un alto costo di vite umane; tale atteggiamento gli costò la corona.
Fu fatto prigioniero dal governo del reggente Horthy e consegnato agli inglesi, i quali lo condussero insieme alla moglie Zita ed ai figli a Funchal nell’isola portoghese di Madeira. Senza risorse economiche, la famiglia dovette vivere in uno stato precario, lasciato presto l’albergo che li ospitava, si sistemarono in una villa isolata denominata ‘Villa Quinta do Monte’, che non poteva essere riscaldata.
A causa del clima umido e freddo del monte, Carlo si ammalò di una complicata polmonite; il suo cuore già debole non superò la malattia e quindi morì il 1° aprile 1922; venne sepolto nel santuario di ‘Nossa Senhora do Monte’.
Sia nella vita privata che in quella pubblica, Carlo aveva cercato in modo sempre più perfetto di ubbidire alle leggi di Dio e della Chiesa, vivendo in modo straordinario le virtù cristiane. Con coraggio straordinario soppresse il duello, disposizione che lo rese fortemente impopolare negli ambienti militari; unito da devozione filiale alla persona del Sommo Pontefice, dimostrava una ubbidienza spirituale al suo magistero.
Dotato di una fortissima coscienza di responsabilità sociale, conduceva anche una vita ricca di preghiera che ne tratteggiava l’ascetica. Divenuto sovrano, soppresse le manifestazioni sfarzose della vita di corte, abolì i supplementi per le cariche supreme della corte imperiale-reale, introducendo uno stile di vita decisamente sobrio.
Tutta una serie di iniziative sociali a favore dei suoi sudditi, specie i più poveri, furono interrotte per la caduta della monarchia, ma anche nella condizione di esiliato, divenne popolare per il suo senso della giustizia e per la cordialità con i dipendenti, certamente non usuale nella severa corte asburgica.
Ultimo sovrano della duplice monarchia austro-ungarica, ne dovette subire il crollo, pur essendo tanto diverso dai suoi predecessori, per la sua religiosità, dirittura morale, visione sociale e riforma di uno Stato assolutista in uno confederale.
La Radio Vaticana, il 3 novembre 1949 annunziava l’apertura del processo di beatificazione, gli atti furono consegnati alla Congregazione dei Riti il 22 maggio 1954; a maggio 2003 sono state riconosciute le ‘virtù eroiche’ e quindi il titolo di venerabile.
E' stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:06

Santa Celina Madre di S. Remigio

21 ottobre

Etimologia: Celina = abitatore del cielo, dal latino

Martirologio Romano: Presso Laon sempre in Francia, santa Cilinia, madre dei santi vescovi Princípio di Soissons e Remigio di Reims.


Scarse e leggendarie sono le notizie intorno a Celina, nota soprattutto perché fu la madre di s. Remigio, vescovo di Reims. Secondo il racconto dello pseudoFortunato, ripreso e ampliato più tardi da Incmaro di Reims, Celina dette miracolosamente alla luce Remigio, perché ormai in età assai avanzata; subito dopo rese la vista all'eremita Montano, che per tre volte aveva profetizzato l'avvento del santo vescovo, spalmando con alcune gocce di latte i suoi occhi senza luce. L'anno 458 è il terminus post quem si deve porre la morte della santa; fu sepolta là dove era vissuta, nei pressi di Laon, probabilmente a Cerny; ma le sue reliquie andarono distrutte durante la Rivoluzione francese.
Il suo culto a Laon e a Reims nacque, secondo le fonti, assai tardi. Nel Martirologio Romano è iscritta al 21 ottobre, giorno in cui si celebra la sua festa a Reims.


Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:07

Santa Cordula Martire a Colonia

21 ottobre

Bretagna, ? – Colonia, 304 ca.


S. Cordula, compagna di s. Orsola, segue nell’agiografia il racconto leggendario del martirio della grande vergine brettone. Forse non vi è santa più rappresentata nell’arte dei secoli passati, di s. Orsola, il suo martirio subìto insieme alle numerose compagne, ha sempre stimolato la fantasia degli artisti.
Secondo una prima ‘passio’ scritta intorno al 975, la pia e bella figlia di un re brettone, aveva consacrato a Dio la sua verginità, l’epoca della sua vita è il IV secolo; ma fu chiesta in matrimonio da Erterio, figlio di un re pagano. Poiché un suo rifiuto avrebbe provocato una guerra, Orsola consigliata da una visione angelica, chiese una dilazione di tre anni, facendosi promettere dal promesso sposo, che si sarebbe convertito al cristianesimo.
Trascorsi i tre anni, Orsola fuggì con una flotta di undici triremi, insieme ad undicimila compagne. Una tempesta spinse le navi ad approdare alla foce del fiume Waal; le vergini proseguirono il viaggio lungo il fiume, fino a Colonia. La leggenda racconta ancora, che incoraggiate da un angelo, decisero di fare un pellegrinaggio a Roma, quindi navigarono fino a Basilea, continuando il viaggio a piedi.
Nello stesso modo ritornarono a Colonia, che nel frattempo era stata conquistata dagli Unni, i quali le uccisero tutte, Orsola, che aveva rifiutato di sposare il capo dei barbari, fu trafitta con una freccia; morirono tutte per la fede e per la purezza.
L’eccidio provocò la reazione dei nemici degli Unni, i quali dopo questo misfatto fuggirono; gli abitanti di Colonia recuperarono i corpi ed un uomo venuto dall’Oriente certo Clematius, costruì sul luogo del martirio una basilica consacrata alle vergini; una lapide marmorea giudicata dagli esperti autentica, attesta la costruzione a proprie spese della basilica, da parte di Clematius.
L’importanza di questa iscrizione assegnata al secolo IV-V è fondamentale per attestare l’autenticità e la realtà del martirio a Colonia di un gruppo di vergini cristiane, la cui epoca del martirio, si può inquadrare nella persecuzione di Diocleziano (304); a questo punto rimane da chiarire il punto più controverso e direi più incredibile, cioè il numero di undicimila martiri; la tradizione primitiva ne parla in modo imprecisato, ma fin dal secolo VIII viene indicato il numero di undici, che poi divenne undicimila; si pensa che il numero romano XI, fu erroneamente letto come undicimila per esservi stata sovrapposta una lineetta trasversale, che sta ad indicare le migliaia nella numerazione romana; ad ogni modo la consistenza del gruppo è rimasta incerta.
Per i nomi, Orsola compare per la prima volta nel secolo IX e successivamente ne vengono altri come Brittola, Martha, Saula, Sambatia, Saturnina, Gregoria, Pinnosa, Palladia, Cordula.
Quando nel 1106 fu ampliata la città di Colonia, si trovò nelle vicinanze della chiesa di s. Orsola, un cimitero, le ossa lì rinvenute furono ritenute quelle delle martiri vergini. Il ritrovamento delle supposte reliquie di s. Orsola e compagne, diede luogo a diverse traslazioni in tante Nazioni europee, come Germania, Italia, Spagna, Francia, Danimarca, Polonia e altre, dove il culto si diffuse rapidamente.
Ed a tutto questo va collegato il culto per s. Cordula, che era venerata a Colonia, Vicogne (Valenciennes), a Marchiennes nella diocesi di Cambrai-Arras, a Osnabrück, a Tortosa in Spagna.
A Colonia il culto è conosciuto sin dal secolo X; le sue reliquie furono scoperte, perdute, ritrovate e trasferite tanta volte; tanto è vero che nel secolo XVII ben dodici chiese asserivano di possedere il suo corpo o il suo capo, si pensò anche che nel gruppo di martiri vi fossero più sante con questo nome, ma ciò non è confortato da nessuna notizia, s. Cordula dovrebbe essere una sola.
Come si vede sia per Cordula che per tutte le altre compagne, conosciute o no, non si sa niente della loro vita personale precedente il loro martirio. A conclusione, aggiungiamo che nella Cappella delle Reliquie del Tempio Malatestiano di Rimini, esiste un busto reliquiario di s. Cordula, di anonimo del sec. XV; a Lanciano credo che vi sia qualche reliquia nella cattedrale, non l’intero corpo, oltretutto quasi impossibile dato il tempo trascorso.


Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:08

San Dasio, Zotico e Caio (Gaio) Martiri a Nicomedia

21 ottobre

† Nicomedia, 303

Martirologio Romano: A Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, santi Dasio, Zotico e Caio, che, domestici di Diocleziano, ingiustamente accusati dell’incendio del palazzo imperiale, furono condannati a morte e affogati in mare con pesanti massi legati al collo.


Il nome Gaio o Gaia (specie il femminile è uno dei nomi nuovi più usati) ha le sue origini antichissime; Gaia veniva attribuito in pratica come “primo nome” a tutte le cittadine di Roma.
La forma originale latina è Gaius, ma le sue radici più antiche non sono conosciute; il significato attuale è evidente: gaio, allegro, ma bisogna dire che questo significato non corrisponde immediatamente a quello originale latino, ma ci perviene attraverso la mediazione del provenzale ‘gai’, ‘gazza’ (nel senso di “allegro come una gazza”).
Ci sono 5-6 santi con questo nome e tutti martiri dei primi tempi del cristianesimo, quello che si celebra il 21 ottobre, fa parte di un gruppo di tre martiri a Nicomedia, Gaio, Dasio e Zotico.
Prima di essere inseriti nel ‘Martirologio Romano’ alla stessa data, essi erano menzionati nel ‘Martirologio Siriaco’ del secolo IV senza indicazione del martirio; poi con l’indicazione di “martiri a Nicomedia”, sono menzionati nel ‘Martirologio Geronimiano’, inoltre esiste anche una breve ‘passio’ greca, da cui sono tratte le poche notizie riportate nei sinassari bizantini.
Si ritiene che Gaio, Dasio e Zotico fossero domestici dell’imperatore Diocleziano (243-313) nella sua sede imperiale di Nicomedia (antica città della Bitinia, odierna Izmit, capitale del regno di Bitinia e poi dal 74 a.C. capitale della provincia romana di Ponto e Bitinia).
I tre domestici cristiani furono fra le prime vittime della persecuzione, che Diocleziano nel 303, proclamò con un editto contro i cristiani, i quali erano ritenuti responsabili dell’incendio del palazzo imperiale; secondo quanto raccontano anche gli storici antichi Lattanzio ed Eusebio (IV sec.).
I tre domestici, di cui non si sa altro della loro vita, come del resto per la gran parte dei primi martiri, furono annegati in mare, per la loro fedeltà a Cristo. Deve essere stato un martirio eclatante, se i loro nomi pur essendo solo dei semplici domestici, sono pervenuti nei secoli fino a noi.

Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:09

Beato Giuliano Nakaura Sacerdote geesuita, martire

21 ottobre

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Nakaura, Giappone, ca. 1567 – Nishizaka, Giappone, 21 ottobre 1633

Sacerdote gesuita indigeno del Giappone, Giuliano Nakaura subì il martirio nella sua patria nel contesto di feroci ondate persecutorie contro i cristiani. In seguito ad un rapido processo iniziato con il Nulla Osta della Santa Sede concesso in data 2 settembre 1994, è stato riconosciuto il suo martirio il 1° luglio 2007 ed è stato beatificato il 24 novembre 2008, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, unitamente ad altri 187 martiri giapponesi.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:10

Sant' Ilarione di Gaza Abate

21 ottobre

Tabata, Palestina, 291 circa - Pafo, Cipro, 372

Nacque da genitori pagani verso il 291, a Tabata, piccola città della Palestina. Fu mandato ad Alessandria d'Egitto per compiere gli studi. Si distinse da subito grazie a un ingegno particolarmente vivo e un'integrità morale che applicò con maggior fervore dopo la conversione al cristianesimo. Abbandonata l'opulenta città egiziana si ritirò in Tebaide presso sant'Antonio abate. Nel 307, però, fece ritorno alla casa paterna dove venne a conoscenza della morte dei genitori. Decise così di donare parte dei suoi beni ai fratelli e parte ai poveri e di ritirarsi definitivamente a Maiumma, in Palestina, zona frequentata da malviventi. I suoi giorni era divisi tra la preghiera, lo studio delle Scritture e il lavoro manuale. Nonostante la rigidità delle condizioni di vita che si impose arrivò all'età di 80 anni. Morì a Pafo, nel 372. Il suo corpo fu riportato al monastero di Maiumma dal discepolo Eusebio. (Avvenire)

Etimologia: Ilarione = gaio, allegro, dal latino

Martirologio Romano: Nell’isola di Cipro, sant’Ilarione, abate, che, seguendo le orme di sant’Antonio, dapprima condusse vita solitaria vicino a Gaza e fu poi fondatore e modello di vita eremitica in questa provincia.


Questo santo eremita nacque da genitori pagani verso il 291, a Tabata, piccola città della Palestina. Fu mandato ancor fanciullo ad Alessandria d’Egitto per compiere gli studi, e si distinse per vivacità d’ingegno e integrità di costumi. Rapidi furono i progressi nelle scienze umane: non meno rapido fu l’avanzamento nella pratica delle cristiane virtù, allorchè conosciuta la vera religione si convertì al Cristianesimo.
Avido di udire la divina parola, fu sempre sollecito nell’intervenire alla sacra predicazione e nell’assistere ai divini uffici. Nauseato della vita licenziosa in Alessandria e mosso dall’ardente desiderio della perfezione cristiana, abbandonò quella città per recarsi in Tebaide presso S. Antonio abate.
Fu a quella scuola che apprese vivo amore alla solitudine, all’orazione e alla penitenza. Ma il grande concorso delle persone che venivano ad Antonio per ammirarne la santità o riceverne consiglio presto lo annoiò; sicchè, abbandonato quel luogo nel 307, fece ritorno al tetto paterno, dove, con suo profondo dolore apprese della morte degli amati genitori. Privo ormai d’ogni umano conforto si abbandonò totalmente nelle mani della Divina Provvidenza e donata parte dei suoi beni ai fratelli e parte ai poveri, lasciò definitivamente la casa paterna, per ritirarsi a Maiumma, luogo solitario della Palestina.
L’ardore con cui si diede alla vita monastica, cambiò quel deserto che fin allora aveva servito di covo agli assassini, in un’oasi di santi uomini, che da lui diretti, eressero diversi monasteri. Interrogato una volta il Santo da alcuni malviventi sul come si sarebbe comportato qualora i ladri l’avessero assalito, rispose: “Un uomo povero e nudo non teme i ladri”. “Ma ti potrebbero togliere la vita” soggiunsero. “Questo è vero, replicò il Santo, ma io non temo la morte, perchè sono sempre apparecchiato a ben morire”.
Mirabilmente soggiogò le sue passioni con la preghiera e con le continue e aspre penitenze, riducendo all'ubbidienza della volontà il corpo ribelle. Spendeva i suoi giorni unicamente nel servizio del Signore, alternando la preghiera e la contemplazione con lo studio delle Sacre Scritture e il lavoro manuale. Vestì molto poveramente e si cibò sempre di erbe e di pochi fichi: solo negli ultimi mesi fu costretto a prendere un po’ di minestra. Nonostante le macerazioni e le mortificazioni che infliggeva al suo corpo, toccò la bell'età di 80 anni.
Scrive S. Girolamo che prima di rendere l'anima a Dio, il vecchio steso in terra su di una rude stuoia, sorpreso dal timore del giudizio, andasse ripetendo a se stesso: “Di che temi o anima mia? Perchè ti conturbi se per quasi settant’anni hai servito il tuo Signore?”.
A Pafo, nel 372, il Signore lo chiamò a ricevere il premio. Il suo corpo glorioso fu dal discepolo Eusebio riportato al monastero di Maiumma.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:10

Sant' Ilarione di Moglena Vescovo

21 ottobre

+ 21 ottobre 1164

Ilarione visse nel XII secolo e combattè contro gli eretici, specialmente i bogomili e i manichei, stabilitisi nella parte montagnosa della sua regione. Morì il 21 ottobre 1164 e viene onorato come santo specialmente dalle Chiese slave. La Vita di Ilarione è stata scritta da Eutimio Vulgaris (1375-1393) e la sua commemorazione cade il 21 ottobre, giorno in cui, secondo M. Langhis, morì e in cui sarebbe stata fatta la traslazione delle reliquie.



Moglena è una regione montana della Macedonia occidentale, posta a Sud-Est del lago di Prespa, a Sud di Bjtoli (Monastir); essa è formata essenzialmente da una catena di montagne chiamate oggi Neretchka Planina (l'Almopia dell'antichità). Ci fu una sede vescovile di questo nome fin dal Medio Evo (probabilmente già dal sec. X), il cui titolare risiedeva a Florina.

Ilarione, che l'ha illustrata nel XII sec., è molto poco noto. Egli era iscritto nei calendari slavi alla data del 21 ottobre, ma la sua personalità rimaneva oscura. Fortunatamente la sua vita, scritta dall'ultimo patriarca Eutimio (1375-1393), fu pubblicata nel testo originale (bulgaro) da E. Kaluzniacky. Posteriore di due secoli agli avvenimenti, essa però ci dà pochi particolari.

Dopo aver condotto vita monastica, Ilarione venne nominato vescovo di Moglena in data sconosciuta. La sua attività pastorale consistette soprattutto nel lottare contro gli eretici, numerosi nella regione: manichei, armeni, e principalmente bogomili. Egli ne ricondusse alla Chiesa un certo numero e abbandonò gli altri al braccio secolare. Morí il 21 ottobre 1164.

Verso il 1205, Calogiovanni zar di Bulgaria, trasportò il suo corpo a Trnovo. Ivan Assen II, figlio di Assen I, costruí nel 1230 la chiesa dei Quaranta Martiri, nella quale furono deposte le sue reliquie. Questa chiesa, trasformata in moschea, esiste ancor oggi e conserva la maggior parte della sua antica decorazione.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:12

Beata Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upegui Fondatrice

21 ottobre

Jerico, Colombia, 26 maggio 1874 - Medellin, 21 ottobre 1949

Colombiana, nata nel 1874. Seguendo la sua vocazione di maestra nel 1914 fonda le 'Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina da Siena' e con il gruppo delle 'Missionarie catechiste degli indios' si reca presso le popolazioni indigene, superando le discriminazioni razziali del tempo. Muore a Medellín nel 1949. Durante la sua vita furono aperte altre cento case nei territori della Colombia, Ecuador e Venezuela.

Martirologio Romano: Nel villaggio di Belencito vicino a Medellín in Colombia, beata Laura di Santa Caterina da Siena Montoya y Upeguí, vergine, che si dedicò con grande profitto ad annunciare il Vangelo tra le popolazioni indigene ancora prive della fede in Cristo e fondò la Congregazione delle Suore Missionarie di Maria Immacolata e di Santa Caterina da Siena.


Nasce in un piccolo paese colombiano il 26 maggio 1874 e, dato che la mamma si rifiuta di vederla prima del battesimo, la battezzano quattro ore dopo la nascita, in tutta fretta. Talmente in fretta che a papà manca il tempo di concordare con la moglie il nome da darle. E’ il parroco a scegliere per lei il nome di Maria Laura di Gesù e al papà stupito, che obbietta di non sapere se esiste una “santa Laura”, sbrigativamente risponde che, in questo caso, la bambina avrebbe un motivo in più per farsi santa. Per il momento, però, la piccola Laura deve fare i conti con la sofferenza: non ha ancora tre anni quando suo papà muore assassinato, in quegli anni particolarmente sanguinosi della storia colombiana. Per sua fortuna ha accanto una mamma esemplarmente cristiana, che le insegna a perdonare e ogni giorno le fa recitare un “Padre nostro” per l’assassino di papà. La piccola orfana sente particolarmente “fame di affetto”, perché i nonni la accolgono, insieme alla mamma e alle sorelline, più per pietà che per amore. Non la mandano a scuola, perché la casa è troppo distante dal centro abitato ed è mamma ad insegnarle a leggere, scrivere e, soprattutto, ad amare Dio. Più grandicella, viene mandata in collegio e a sedici anni decide di diventare maestra. Studentessa-lavoratrice, per pagarsi gli studi va ad accudire gli ottanta malati del manicomio e ruba ore al sonno per studiare sui libri, presi in prestito dalla biblioteca magistrale. L’intelligenza prodigiosa di cui è dotata non solo le consente di superare brillantemente l’esame di ammissione, ma le permette anche di vincere una borsa di studio statale, grazie alla quale a 19 anni si diploma maestra. Prende con sé la mamma e per qualche anno va ad insegnare in varie scuole, giovane maestrina che non vuole soltanto insegnar nozioni ma anche trasmettere i valori cristiani. Laura, che sempre ha sentito l’attrattiva per la vita consacrata e più volte ha pensato di farsi carmelitana, viene sconsigliata a fare questo passo dai suoi stessi direttori spirituali: troppo irrequieta per un convento di clausura; troppo estroversa e dinamica per la vita contemplativa. Scopre la sua vocazione per puro caso, quando viene a conoscenza della situazione discriminata e misera in cui vivono gli indigeni colombiani. Pensare agli indios e decidere di fare qualcosa per la loro promozione umana e per la loro evangelizzazione è per lei un tutt’uno, ma non trova neppure una congregazione che voglia farsene carico. Soltanto un vescovo “sposa” la sua idea e dal niente nascono le “missionarie catechiste degli indios” che nel 1914 lasciano Medellin e raggiungono nella giungla gli indios catios. Insieme a Laura partono in quella prima spedizione la sua mamma, ormai settantenne, e alcune amiche, che abbinano all’eroismo un pizzico di follia e che dal nome della loro fondatrice, verranno poi conosciute come “Laurite”. Madre Laura, dopo aver rivoluzionato il concetto di missione con nuovi mezzi pedagogici e nuovi metodi di evangelizzazione, trascorre i suoi ultimi nove anni sulla sedia a rotelle, sempre missionaria con il cuore e, comunque, anima della sua congregazione. Muore il 21 ottobre 1949, quando le sue suore sono ormai quasi 500 e le novizie un centinaio, a servizio di 22 popoli indigeni. Negli anni questi numeri sono più che raddoppiati e la loro presenza è segnalata in 19 stati, mentre Madre Maria Laura Montoya Upeguì il 25 aprile 2004 è stata proclamata beata. E’ la prima donna colombiana ad essere beatificata, avverando così la profezia del suo sbrigativo ma illuminato parroco.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:13

Santa Letizia

21 ottobre

 

Notizie su santa Letizia, purtroppo, non se ne trovano, segno che una santa o beata con questo nome non c’è, ciò nonostante la tradizione vuole che la ricorrenza sia il 21 ottobre.
E' citata una s. Laetitia (latino) vergine al 13 marzo.
Il significato del nome è evidente, cioè ‘lieta’ ma in precedenza significava ‘grasso’. Molto diffuso in Corsica (si chiamava così la madre di Napoleone) in Francia; Inghilterra (Letycie) e in Spagna (Leticia). Leticia è anche il nome di una città e porto della Colombia.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:15

San Malco Eremita

21 ottobre

Martirologio Romano: Commemorazione di san Malco, monaco, il cui spirito ascetico e la cui insigne vita a Maronia vicino ad Antiochia in Siria furono celebrate da san Girolamo.


Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:16

San Mauronto di Marsiglia Vescovo

21 ottobre

Martirologio Romano: A Marsiglia nella Provenza in Francia, san Mauronto, vescovo, che fu anche abate della chiesa di San Vittore.


Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:17

Sant' Odilia Martire

21 ottobre

Principessa. Amica di Sant'Orsola, ha viaggiato e fu martirizzata con lei.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:18

Sant' Orsola e compagne Martiri

21 ottobre

Vissero probabilmente nel IV secolo e non nel V come vuole la leggenda. Una Passio del X secolo, infatti, narra di una giovane bellissima, Orsola, figlia di un re bretone, che accettò di sposare il figlio di un re pagano con la promessa che si sarebbe convertito alla fede cristiana. Partì con 11.000 vergini per raggiungere lo sposo, ma l'incontro con gli Unni di Attila provocò il loro martirio. Orsola fu trafitta da una freccia perché non aveva voluto sposare lo stesso Attila. Questa leggenda, comunque, a una base storica, come ha dimostrato il ritrovamento di una iscrizione presso una chiesa di Colonia. L'iscrizione parla del martirio di Orsola e di altre dieci vergini (divenute 11.000 per un piccolo segno sul numero romano XI), martirio avvenuto probabilmente sotto Diocleziano.

Patronato: Ragazze, Scolare

Etimologia: Orsola = piccola orsa, forte

Emblema: Donna sotto un mantello, Palma

Martirologio Romano: Presso Colonia in Germania, commemorazione delle sante vergini, che terminarono la loro vita con il martirio per Cristo nel luogo in cui fu poi costruita la basilica della città dedicata in onore della piccola Orsola, vergine innocente, ritenuta di tutte la capofila.

Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Quale, tra le Sante dei primi mille anni di storia cristiana, è stata, nel Medioevo, più celebre e più amata della Santa di oggi, Orsola Martire, accompagnata da uno stuolo di undicimila fanciulle, tutte vergini e tutte Martiri? Nessuna, possiamo dire, perché la leggenda di Sant'Orsola è stata per secoli amata e ripetuta, ed ha ispirato numerose composizioni letterarie e opere d'arte, fra le quali, celeberrime quella dei Memling a Colonia e del Carpaccio a Venezia.
Secondo tale fiaba, c'era una volta una principessa d'Inghilterra, cristiana e figlia di un Re cristiano. Fanciulla di eccezionale bellezza, venne chiesta in sposa da un Principe pagano. Orsola, che si era consacrata segretamente a Dio, non disse di no, ma chiese tre anni di tempo, per meglio conoscere la volontà del Signore. Chiese anche la conversione del futuro sposo, e mille compagne per sé e per ciascuna delle dieci ancelle del suo seguito.
Si formò così una schiera di undicimila fanciulle che, guidate da Orsola, attraversò il mare tra l'Inghilterra e il continente su una flotta di undici navi. Poi risalì il corso del Reno fino alla Svizzera, dove proseguì fino a Roma, in devoto e variopinto pellegrinaggio.
Nel viaggio di ritorno, sempre per la stessa via, le undicimila fanciulle trovarono la città di Colonia assediata dagli Unni. La furia dei barbari si sfogò su quelle donne cristiane, che furono tutte martirizzate in un solo giorno. Tutte meno una, e cioè Orsola.
Della sua bellezza si invaghì infatti il famigerato capo degli Unni, Attila, il quale la chiese anch'egli in sposa, promettendole salva la vita. Orsola rifiutò, e morì anch'essa, trafitta da innumerevoli frecce.
Questa, in breve, è la leggenda di Sant'Orsola e delle sue compagne; una leggenda, come abbiamo detto, di incredibile successo nel Medioevo, benché oggi la critica l'abbia facilmente ridotta a nulla, o a quasi nulla.
Diciamo " quasi " perché qualcosa c'è, e ci aiuta a comprendere l'origine di questo pittoresco romanzo agiografico.
A Colonia si ritrovarono, nell'VIII secolo, le reliquie di giovani donne, presso una chiesa dedicata ad alcune Vergini fino allora sconosciute.
E fu trovato, tra altri nomi femminili, anche quello di Orsola, una bambina di undici anni, cioè, latinamente, undecimilia. Quell'indicazione di età, a quanto sembra, venne letta come undecimilia, cioè undicimila. Da qui, la storia delle undicimila compagne, e della Principessa d'Inghilterra, che le avrebbe condotte al suo seguito.
Così, per imprevedibili vie, la leggenda più fantasiosa, la favola più commovente venne a formarsi intorno al nome di una sconosciuta bambina di Colonia, riempiendo dei suoi colori il mondo della devozione e anche dell'arte, finché la critica del nostro tempo ha fatto scoppiare questo vivacissimo palloncino, non lasciandone nulla, fuor del rimpianto.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:18

Beato Piero Capucci Domenicano

21 ottobre

Città di Castello, 1390 - ? 1445

Si offrì a Dio fin dalla giovinezza, entrando a quindici anni nel convento di Città di Castello, sua città natale. Studiò a Cortona, forse a Fiesole e a Foligno, avendo come condiscepolo s. Antonino. Fu religioso osservante e predicatore genuino, come li voleva san Domenico: nutrito alla meditazione dei misteri e formato nella penitenza, alieno da ricercatezze e leziosità, annunciatore convinto ed efficace della Parola di Dio. Nella sua meditazione e nella sua predicazione insisteva particolarmente sui "novissimi". Morì nel convento di san Domenico di Cortona.

Martirologio Romano: A Cortona in Toscana, beato Pietro Capucci, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che, meditando sulla morte, guidò se stesso alle realtà celesti e nella sua attività di predicazione esortò i fedeli a non cadere nella morte eterna.


Pietro Capucci nacque a Città di Castello nel 1390 da antica e nobile famiglia. Sentì presto la vocazione religiosa e, quindicenne, entrò nella fiorente comunità domenicana della sua città. Esemplare per costumi e impegno, venne ammesso dopo un anno alla professione dei voti religiosi. Proseguì quindi gli studi nell’importante convento di Cortona che, fondato nel 1230, fu tra i più solerti nell’aderire al movimento dei beati Giovanni Dominici e Raimondo da Capua per portare l’Ordine alla primitiva osservanza. Il beato Lorenzo da Ripafratta, che aveva seguito spiritualmente il giovane Pietro, era il maestro dei novizi pure di sant’Antonino Pierozzi e del beato Angelico. Mirabile incontro di santi!
Frate Pietro si distinse per uno zelo religioso davvero singolare. Digiunava, faceva penitenze, riduceva il sonno al minimo, amava la Sacra Scrittura, tenendo in disprezzo i beni del mondo. Certamente in questo influì una vicenda occorsa in Cortona in quegli anni: la tragedia di palazzo Casali. L’11 ottobre 1407 il governatore della città venne barbaramente assassinato dal nipote che gettò dalla finestra, tra la folla inorridita, il corpo insanguinato. Tra i beneficiati della città che piansero il governatore vi erano anche i domenicani che dovettero trasferirsi nel convento di Fiesole. Sant’Antonino narrò il nefasto evento nelle sue cronache.
Per la Chiesa erano i tempi difficili e tristi dello scisma avignonese. A Pisa, nel 1409, fu eletto l’antipapa Alessandro V, mentre Cortona veniva occupata dal re di Napoli Ladislao che fece, tra l’altro, imprigionare il sanguinario assassino del governatore. Pietro e compagni si trasferirono nella tranquilla Foligno, in territorio dipendente dal papa (Gregorio XIII) e lì stettero circa sei anni, durante i quali il Capucci fu ordinato sacerdote ed ebbe modo di mettere in pratica l’amore verso il prossimo. Assistette infatti i contagiati di un’epidemia, unendo al soccorso materiale quello spirituale, verso gli infelici, tra cui alcuni confratelli, che in quella circostanza persero la vita. Riaperto il convento di Cortona, vi fecero ritorno Frate Pietro, il Pierozzi e il Beato Angelico. Il nostro beato vi resterà per tutta la vita, i due compagni scriveranno in altri conventi pagine indelebili per la storia dell’Ordine e realizzeranno opere d’arte oggi patrimonio dell’umanità.
Il Beato Pietro cercò la perfezione evangelica per tutta la vita, senza mezze misure. La sua umiltà era d’esempio ai confratelli e quando si rese necessaria la costruzione di una nuova chiesa, egli, il dotto frate di origine nobile, si fece questuante per le strade della città, conquistando stima e affetto. Il suo apostolato fu generoso e fecondo. Fu padre, maestro e consigliere apprezzato in tutto il territorio di Cortona. In quegli anni Bernardino da Siena saliva in città per predicare e diverse volte il nostro beato ebbe la gioia di incontrarlo.
Frate Pietro ebbe come tema ricorrente delle sue omelie i “novissimi”, a quei tempi molto venerati. Portando con sé un teschio, parlavadella morte, non per incutere terrore, ma per spronare quanti vivevano lontani dalla fede. Iniziava il lavoro di conversione dal pulpito, per concluderlo poi nel confessionale. Al capezzale dei malati portava soccorso e conforto e cominciarono a fiorire sui suoi passi i miracoli: conversioni di peccatori incalliti, guarigioni (il braccio paralizzato di una donna), la salvezza per due condannati a morte. Avrebbe potuto raggiungere incarichi importanti, ma per umiltà preferì vivere soprattutto di preghiera. La sua carica maggiore la condivise nel priorato con s. Antonino Pierozzi e alla loro fattiva collaborazione si deve l’erezione della monumentale chiesa che ancora oggi a Cortona possiamo ammirare. Raccolse personalmente offerte, aiuti e un sussidio da Papa Eugenio IV. Commissionò all’amico beato Angelico la stupenda pala dell’Annunciazione e la lunetta sopra il portale d’ingresso dell’edificio. Nel 1438 ottenne da Cosimo de’ Medici la pala dell’altare maggiore del convento di s. Marco di Firenze.
Dopo breve malattia, tra il compianto dei confratelli e di tutta Cortona, spirò il 21 ottobre 1445 a cinquantacinque anni, di cui quaranta vissuti da religioso.
Il corpo fu posto nella sala capitolare ma, secondo la consuetudine, nella terra, senza imbalsamazioni. Si commissionò però un ritratto. Dopo circa settant’anni, perdurando la fama di santità, si riesumarono le ossa per collocarle in un’urna su cui vennero dipinti fatti e miracoli salienti della sua vita, da Tommaso Bernabei, detto Papascello, allievo di Signorelli. Nel 1597 si rinnovò l’urna, conservando però le antiche tavolette del Papascello. Nel 1746 una nuova cassetta raccolse le reliquie che per l’occasione furono portate in processione solenne per la città. Nel 1786, quando i frati vennero espulsi dal convento, le spoglie, su interessamento del duca di Parma Ferdinando I Borbone, Infante di Spagna, furono portate a Colorno. Il duca era un suo grande devoto. Nel 1814 le spoglie tornarono a Cortona, nella chiesa di s. Domenico, che era anche parrocchia. Sono ora poste nella mensa dell’altare maggiore, sotto il polittico di Lorenzo di Niccolò che proprio il beato aveva fatto giungere in chiesa. Il 16 maggio 1816 papa Pio VII confermò il culto “ab immemorabili”. Appena conclusa la Seconda Guerra mondiale, la sera del 21 ottobre nel 1945, l’urna con il corpo del beato fu portata in solenne processione per le strade della città.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:21

San Pietro Yu Tae-ch’ol Giovane martire

21 ottobre

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Ipjeong, Corea del Sud, 1826 – Seoul, Corea del Sud, 21 ottobre 1839

Martirologio Romano: A Seul in Corea, san Pietro Yu Tae-ch’ol, martire, che, a tredici anni, esortò nel carcere i compagni di prigionia a sopportare i supplizi e, dopo essere stato crudelmente fustigato, portò a termine il suo martirio per strangolamento.


Sin dai primi secoli è sempre stato assai difficile reperire notizie certe sui martiri in quanto, pur costituendo essi la più importante schiera di santi, i cristiani non hanno forse mai ritenuto più di tanto pportuno tramandare inutili dettagli circa la loro esistenza terrena, quanto piuttosto porre in dovuto risalto l’estrema testimonianza della fede cristiana sino all’effusione del loro sangue.
Questo problema sussiste però talvolta anche per martiri dell’epoca moderna soprattutto se vissuti in qualche angolo sperduto del pianete, parlando da europei, e magari uccisi in giovane età. E’ questo infatti il caso del santo oggi festeggiato, Pietro Yu Tae-ch’ol, di nazionalità coreana ed ucciso appena tredicenne.
Paolo nacque nel 1826 ad Ipjeong, nei pressi di Seoul. All’età di soli tredicianni, forse neppure compiuti visto che ignoriamo il giorno esatto della nascita, fu imprigionato a Seoul dai nemici della fede cristiana. Durante il periodo trascorso in carcere non mancò mai di esortare i compagni di prigionia a sopportare i numerosi supplizi cui erano sottoposti. Patite anch’egli numerose sofferenze, portò a compimento il martirio per strangolamento.
Pietro Yu Tae-ch’ol fu beatificato il 5 luglio 1925 ed infine canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984 con altri 102 martiri che avevano irrorato con il loro sangue la sua patria coreana. Il gruppo, noto con il nome “Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni”, è festeggiato comunemente dal calendario liturgico latino al 20 settembre.



Stellina788
00giovedì 21 ottobre 2010 11:22

Beato Ponzio de Clariana Mercedario

21 ottobre

Entrato nell'Ordine Mercedario fra i cavalieri laici, il Beato Ponzio de Clariana, si rese famoso per molte virtù della vita e imprese.Colmo di meriti terminò i suoi giorni nel convento di Sant'Antonio Abate in Tarragona (Spagna).
L'Ordine lo festeggia il 21 ottobre.



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00giovedì 21 ottobre 2010 11:23

Beati Raimondo e Guglielmo da Granada Mercedari

21 ottobre

Questi validi mercedari, Beati Raimondo e Guglielmo da Granada, redentori, si offrirono spontaneamente al pericolo esponendo le loro vite senza temere per la difesa dei cristiani. Tuttavia morirono confessori testimoniando la fede cattolica verso l'unico e vero Dio.
L'Ordine lo festeggia il 21 ottobre.



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00giovedì 21 ottobre 2010 11:24

Beato Sancio d’Aragona Arcivescovo di Toledo, martire

21 ottobre

1238 - 1275

Quarto figlio del Beato Giacomo I°, Re d’Aragona, il Beato Sancio, nacque nel 1238. Disprezzando la sede regale per cercare di seguire solamente Cristo, entrò nell’Ordine Mercedario ricevendo l’abito dalle mani di San Pietro Nolasco.
Nominato arcivescovo di Toledo fu in seguito preso dai saraceni i quali in odio alla fede in Cristo prima gli troncarono la mano destra che portava l’anello poi lo pugnalarono alla gola.
Glorioso raggiunse in cielo la lunga schiera dei martiri nell’anno 1275.
L’Ordine lo festeggia il 21 ottobre.



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00giovedì 21 ottobre 2010 11:25

San Severino di Bordeaux Vescovo

21 ottobre

Martirologio Romano: A Bordeaux in Aquitania, ora in Francia, san Severino, vescovo, che, venuto dall’Oriente, fu accolto con onore dal vescovo sant’Amando, che lo volle suo successore.


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00giovedì 21 ottobre 2010 11:26

San Vendelino Eremita

21 ottobre

Martirologio Romano: Nei pressi di Treviri in Austrasia, nel territorio dell’odierna Germania, san Vendelino, eremita.




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00giovedì 21 ottobre 2010 11:27

San Viatore di Lione Monaco in Egìitto

21 ottobre

Martirologio Romano: A Lione ancora in Francia, commemorazione di san Viatore, lettore, che, discepolo e ministro di san Giusto vescovo di Lione, lo seguì nella vita eremitica in Egitto e nella morte.


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00giovedì 21 ottobre 2010 11:27

Santa Zaira Martire

21 ottobre

Spagna sec. X ?


Le notizie su santa Zaira sono veramente poche, anzi quasi nulle; non è citata nei testi ufficiali della Chiesa, forse lo era in qualche edizione precedente del ‘Martyrologium Romanum’ che dal Cinquecento, quando fu fatta la prima stesura, ha avuto vari aggiornamenti.
Comunque in un catalogo odierno degli onomastici, essa viene citata come martirizzata in Spagna, durante l’occupazione dei Mori e ricordata il 21 ottobre.
Altro sulla figura di questa santa non si sa, ma facendo qualche riflessione possiamo dedurre che deve perlomeno essere esistita.
Il nome deriva dall’arabo Zahirah e significa “la rosa” e ricorre spesso nella letteratura orientale, anche nella forma Zara. In Spagna l’occupazione dei Mori musulmani, che durò dal 711 fino al 1212 per buona parte della Spagna, cadendo completamente solo nel 1492 con la perdita di Granada; provocò una nutrita persecuzione religiosa contro i cristiani preesistenti e le loro Istituzioni, con lo scopo di imporre la religione musulmana, negli stati diventati islamici con la loro dominazione.
E in quel lungo periodo, in varie regioni spagnole, si ebbero molti martiri cristiani, i quali resistettero alle ingiunzioni, difendendo la fede cristiana, che grazie a loro non fu mai soppressa.
In quel periodo di convivenza forzata e di schiavitù dei cristiani, imbarcati e portati nei paesi arabi d’origine degli occupanti, parecchi arabi si convertirono al cristianesimo, cambiando il loro nome arabo in un nome cristiano; cito ad esempio s. Bernardo di Alzira che si chiamava Hamed, s. Maria di Alzira che si chiamava Zaida e s. Grazia di Alzira che si chiamava Zoraide, fratelli, convertiti e diventati monaci poi martiri per mano dei parenti musulmani.
Come si vede in questo esempio, c’è una Zaida e una Zoraide, nomi arabi simili a Zaira, quindi è probabile che se fino a noi è arrivato il nome di una martire Zaira, essa probabilmente deve essere conosciuta anche con altro nome cristiano, che non si riesce ad abbinare, perché probabilmente si tratta di una convertita.
Altra riflessione è che il nome Zaira è stato l’ispiratore di opere letterarie e musicali che ebbero fortuna per tutto l’Ottocento, come la tragedia “Zaire” di François-Marie Voltaire (1694-1778), scritta nel 1763 e l’opera lirica omonima di Vincenzo Bellini (1801-1835).
La tragedia “Zaira” di Voltaire, è considerata la più riuscita opera drammatica del grande autore francese, animato da una sottile polemica contro l’intolleranza religiosa. Il soggetto si rifà al periodo già citato dell’occupazione ed espansione musulmana in Europa, agli schiavi cristiani in Medio Oriente, ai tentativi di riscatto dei prigionieri da parte dei principi cristiani e di Ordini religiosi sorti per questo, come i Mercedari.
È probabile che Voltaire si sia rifatto alla martire Zaira per il suo soggetto, anche se non ambientato proprio in Spagna e con un contorno sociale di fantasia; vale la pena di raccontarne la trama.
Prossima alle nozze con il valoroso Orosmane, soldano (sultano) di Gerusalemme, la bella schiava Zaira (cristiana) scopre d’essere sorella del cavaliere francese Nerestano, giunto in Medio Oriente per riscattare i prigionieri, e figlia del vecchio Lusignano, discendente dei principi cristiani di Gerusalemme, anch’egli tenuto come ostaggio dagli arabi, al quale promette di non tradire la fede cristiana.
Rinvia perciò le nozze, tormentata dal conflitto tra amore e religione, cercando di trovare soluzione al suo dramma, in un colloquio con il fratello.
Ma Orosmane la scopre e sospettando in Nerestano un rivale, travolto dalla gelosia la pugnala; poi resosi conto dell’errore, si uccide a sua volta, dopo aver concesso la libertà a tutti i cristiani prigionieri.Il finale è tipico dei drammi e melodrammi dell’Ottocento, ma l’opera ha avuto il pregio di lanciare e sostenere il nome Zaira, a ricordo di una lontana martire cristiana ad opera dei musulmani.


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