23 gennaio

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Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:37

Sant' Amasio Vescovo

23 gennaio

Martirologio Romano: A Teano in Campania, commemorazione di sant’Amasio, vescovo.


Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:38

Sant' Andrea Chong (Tyong) Hwa-Gyong Catechista e martire

23 gennaio

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Cheongsan, Corea del Sud, 1808 – Seoul, Corea del Sud, 23 gennaio 1840

Canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984.

Martirologio Romano: A Seul in Corea, sant’Andrea Chong (Tyong) Hwa-gyǒng, catechista e martire: mentre prestava aiuto al santo vescovo Lorenzo Imbert, fece della sua casa un rifugio per i cristiani; per questo fu crudelmente colpito e ferito, infine strangolato in carcere.


Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:39

Santi Clemente ed Agatangelo Martiri

23 gennaio

23 gennaio

I santi Clemente, vescovo, ed Agatangelo subirono il martirio presso l’attuale capitale turca, Ankara, al tempo della persecuzione dei cristiani perpetrata dall’imperatore Diocleziano.

Martirologio Romano: Ad Ankara in Galazia, nell’odierna Turchia, santi Clemente, vescovo, e Agatangelo, martiri.




Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:40

Sant' Emerenziana Vergine e martire

23 gennaio

m. 304 circa

Secondo un racconto della passione di sant'Agnese, Emerenziana era tra i fedeli che parteciparono ai funerali della giovane martire. Un'improvvisa aggressione da parte di pagani fanatici disperse i cristiani accorsi per accompagnare Agnese alla sepoltura. Emerenziana, invece di fuggire, apostrofò coraggiosamente gli assalitori, finendo però lapidata. I genitori di sant'Agnese ne seppellirono il corpo nei pressi sui limiti della loro proprietà. Purtroppo il racconto non è attendibile. Gli unici elementi del racconto relativi a Emerenziana sono il nome della santa, il suo martirio, quale che ne sia stata la forma, la sua sepoltura nei pressi del sepolcro di sant'Agnese.

Emblema: Giglio, Palma

Martirologio Romano: A Roma sulla via Nomentana nel cimitero Maggiore, santa Emerenziana, martire.

Ascolta da RadioRai:
  

Un ignoto autore del sec. V aggiunse alla passio latina di s. Agnese, scritta dallo pseudo-Ambrogio, un terzo capitolo che si dilunga sui funerali della santa, sulla sua apparizione ai genitori, otto giorni dopo la morte, e sulla fondazione della basilica in suo onore da parte di Costanza, figlia di Costantino.
Tra i fedeli accorsi ai funerali di Agnese è ricordata anche "Emerentiana, quae fuerat collactanea eius, virgo sanctissima, licet cathecumena". Un'improvvisa aggressione da parte di pagani fanatici disperse i cristiani. Emerenziana, invece di fuggire, apostrofò coraggiosamente gli assalitori, finendo però lapidata. I genitori di s. Agnese ne seppellirono il corpo nei pressi: "in confinio agelli beatissimae virginis Agnetis", cioè sui limiti della loro proprietà. Non c'è dubbio, conclude l'autore, enunciando la dottrina sul Battesimo di sangue, che Emerenziana sia stata battezzata nel suo sangue, essendo morta per la difesa della giustizia, confessando il Signore. Purtroppo però tutto il terzo capitolo della passio Agnetis è giudicato assai severamente dalla critica. Ignorato da s. Massimo di Torino (423), che pur utilizza largamente la passio, e pieno di inesattezze sull'epoca di Costantino, 3i rivela manifestamente opera tardiva e cervellotica.
Gli unici elementi del racconto relativi ad Emerenziana per altra via documentabili sono il nome della santa, il suo martirio, quale che ne sia stata la forma, la sua sepoltura nei pressi del sepolcro di s. Agnese. Secondo parecchi critici un altro elemento ancora potrebbe essere accettato, sia pure con riserva, che cioè la santa fosse davvero ancora catecumena allorché fu uccisa. Esso infatti non fa parte del solito repertorio dei fabbricanti di passiones e potrebbe ben essere l'eco d'una ininterrotta tradizione. Una determinazione cronologica del martirio è impossibile. Di solito si pensa all'epoca di Diocleziano.
Indipendentemente dalla passio, e prima di essa, E. è con sicurezza attestata dal Martirologio Geronimiano che nella sua redazione più antica la ricorda in un gruppo di martiri del Coemeterium Maius sulla Via Nomentana e da un'epigrafe proveniente dallo stesso cimitero.
Il Geronimiano al 16 settembre reca: "Romae, via Nomentana ad Capream, in cimiterio maiore Victoris, Felicis, Alexandri, Papiae, Emerentianetis"; lo stesso elogio meno qualche nome si ritrova al 20 aprile, ma per una incomprensibile migrazione. L'epigrafe, trovata mutila dal De Rossi presso Ponte Rotto e solo recentemente completata del frammento mancante ritrovato negli scavi del Coemeterium Maius, fa eco alla commemorazione liturgica del martirologio.
Emerenziana non sembra avere una posizione di particolare rilievo nel gruppo che fa capo a Vittore. È solo sotto l'influsso della passio che viene ad acquistarvi una preminenza, proprio perché unita alla martire Agnese della cui straordinaria popolarità partecipa. Un segno evidente del cambiamento si ha nella istituzione di una speciale commemorazione liturgica in onore di Emerenziana al 23 gennaio, due giorni dopo la festa di s. Agnese, avvenuta nel sec. VIII, registrata nel Martirologio di Beda, nei codici tardivi del Geronimiano e nel Sacramentario Gelasiano del sec. VIII, donde poi passò nel Messale e nel Martirologio Romano.
Anche nella iconografia dello stesso Cimitero Maggiore, Emerenziana appare costantemente in gruppo con gli altri martiri nelle raffigurazioni più antiche. Così su due pitture assai guaste e su una transenna votiva scoperte nel 1855 si trovano cinque santi riuniti. Lo stesso doveva essere per l'epigrafe dipinta nell'abside di una cripta del medesimo cimitero, scoperta nel 1873 dall'Armellini e da lui considerata la sepoltura primitiva di Emerenziana, solo perché era riuscito a decifrare soltanto il suo nome tra gli altri completamente sbiaditi. Più tardi, invece, sembra sia stata raffigurata sola, se si deve identificarla nella giovane santa con due devoti ai piedi di una pittura scoperta nel 1933 in un piccolo cubiculum dello stesso cimitero. Nei musaici di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, della prima metà dei sec. VI, Emerenziana splende nella teoria delle vergini tra s. Paolina e s. Daria.
Una riprova dell'awenuto cambiamento si ha negli itinerari del sec. VII, che ricordano Emerenziana in primo luogo tra i martiri del Coemeterium Maius, testimoniando anche della ecclesia o basilica, eretta sul suo sepolcro.
L'Itinerarium Salisburgense, parlando della via Nomentana, reca: "et postea vadis ad orientem, quousque pervenies ad s. Emerenziana martyrem, quae pausat in ecclesia sursum et duo martyres in spelunca deorsum, Victor et Alexander".
E l'Epitome de locis sanctorum: "Basilica s. Agnes... propeque ibi soror eius Emerentiana, in alia tamen basilica dormit. Ibi quoque in singulari ecclesia Constantia Constantini filia requiescit sanctusque Alexander, s. Felicis, s. Papia, s. Victor et alii multi dormiunt .
E la notizia di Guglielmo di Malmesbury: "Iuxta viam s. Agnetis et ecclesia et corpus, in altera ecclesia s. Emerentiana et martyres Alexander, Felix, Papias".
Sul sepolcro della martire che doveva trovarsi all'iniz~o della zona, al livello del suolo, era stata dunque eretta una chiesa e il Liber Pontificalis ci fa sapere che essa fu restaurata da Adriano I (772-95).
Le reliquie di Emerenziana furono trasferite nel sec. IX nella basilica di S. Agnese. Paolo V nel 1615 ordinò un'artistica cassa d'argento, in cui fece racchiudere i corpi delle due sante e che fu collocata sotto l'altare maggiore. Altre chiese in Roma hanno conservato il ricordo della martire: S. Agnese a Piazza Navona, dove le fu dedicato un altare nel 1123; S. Pietro in Vincoli, dove sarebbe conservata la testa; S. Maria in Campitelli, dove si mostra un suo dito. Recentemente le è stata intitolata una nuova grande parrocchia nel quartiere Nomentano. In Spagna, in Germania, a Bruxelles, si pretende di avere sue reliquie. Secondo le Vies des Saints (cit. in bibl.), in Francia, nella regione dell'Anjou, nel sec. XII, esisteva una cappella a lei dedicata che il re Luigi XI dotò di alcune sue reliquie nel 1472. Poiché tardive leggende complicarono il martirio di Emerenziana raccontando che le era stato squarciato il ventre, ella fu invocata, specialmente in Francia, contro il mal di ventre.



Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:41

Beato Giovanni Infante Mercedario

23 gennaio

Nel secondo viaggio di Cristoforo Colombo sarebbero stati presenti tre padri mercedari, fra i quali il Beato Giovanni Infante con il Beato Giovanni Solorzano ed il Venerabile Giorgio di Siviglia. Per primo nell’America Meridionale il Beato Giovanni Infante offrì, con grande fede, l’ostia immacolata, il calice della benedizione e l’incruento sacrificio a Dio.
L’Ordine lo festeggia il 23 gennaio.



Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:41

Sant' Ildefonso (Idelfonso) da Toledo Vescovo

23 gennaio

Toledo (Spagna), 607 - Toledo, 23 gennaio 667

Molto devoto a Maria, su cui scrisse un celebre trattato, e significativo esponente della Spagna del suo tempo, Ildefonso era discendente di una potente famiglia romana. Anche sotto i Visigoti avrebbe potuto far carriera, ma si fece monaco e divenne diacono. Fu eletto abate del monastero dei Santi Cosma e Damiano, nei pressi di Toledo. Quando il vescovo morì, nel 657, l'uomo di lettere e preghiera, cinquantenne, divenne anche uomo di governo ecclesiale nella diocesi della capitale del regno visigoto. Si districò tra difficili questioni interne e tenne testa alle pretese del re Recesvinto, che si era mosso personalmente per convincerlo a lasciare il cenobio e accettare l'elezione. Ha lasciato libri di liturgia e l'opera «De viris illustribus», una sorta di continuazione dell'enciclopedia di sant'Isidoro di Siviglia (di cui secondo la tradizione sarebbe stato allievo). Il 15 agosto del 660 la vergine gli apparve nel presbiterio della cattedrale, lodandolo e consegnandogli una preziosa veste. Morì a Toledo, di cui è patrono, nel 667. (Avvenire)

Etimologia: Ildefonso = pronto alla battaglia, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Toledo in Spagna, sant’Ildefonso, vescovo, che, monaco e priore di un cenobio, fu eletto all’episcopato, scrisse numerosi libri con stile assai raffinato, compose celebri preghiere liturgiche e venerò con mirabile zelo e devozione la beata e sempre Vergine Maria Madre di Dio.

Ascolta da RadioVaticana:
  

La sua famiglia, già potente sotto i Romani, lo rimane anche sotto i Visigoti, e gli prepara una carriera adeguata. Ma Ildefonso scappa di casa, rifugiandosi nel monastero dei santi Cosma e Damiano, vicino a Toledo. Non ha in mente la carriera. Si fa monaco, arriva al diaconato e qui si ferma. Gli va bene così. Ma i confratelli lo eleggono ugualmente abate nella loro comunità, perché ha tutto: pietà, cultura, energia, un parlare attraente. Ed è anche uno scrittore di grande efficacia.
Ma sui cinquant’anni deve lasciare il monastero: è morto Eugenio II, il vescovo di Toledo, e al suo posto si vuole lui, Ildefonso. Per convincerlo si muove il re visigoto in persona, Recesvinto. Così, nel 657, eccolo vescovo di quella che al tempo è la capitale del regno. Ora non ha più molto tempo da dedicare ai libri, impegnato com’è a scrivere tante lettere, e non proprio allegre. Abbiamo di lui pagine angosciate sugli scandali ad opera di certi cristiani influenti e falsi, sui conflitti duri con il re, che pure lo stima; e su tanti ecclesiastici che troppo s’immischiano negli affari di Stato.
Era davvero meglio il monastero: pregare con gli altri, studiare, scrivere... Ildefonso ci ha lasciato opere di dottrina e di morale, trattati sulla Madre di Gesù, inni liturgici. E anche l’opera divulgativa De viris illustribus (“Degli uomini illustri”) che è una continuazione dell'opera omonima di Isidoro di Siviglia (ca. 570-636). Ildefonso non può vivere senza insegnare, convinto anche lui (come san Braulio, vescovo di Saragozza) che il sapere "è un dono comune, non privato", e che perciò deve essere distribuito a tutti.
Colpisce i fedeli la sua devozione mariana, suscitando anche racconti di fatti prodigiosi. Come quando, al momento di una celebrazione solenne, apparve in chiesa la Madonna, porgendo a Ildefonso l’abito liturgico (la pianeta) per il rito.
Dopo la morte, il suo corpo fu sepolto a Toledo; poi, con l’invasione araba, venne trasferito a Zamora, in Castiglia. I fedeli lo hanno “gridato santo” da subito, collegando sempre il suo nome a quello della Beata Vergine Maria. E dieci secoli dopo la sua morte sarà ancora così, nei dipinti dei maestri del siglo de oro (il “secolo d’oro” dell’arte spagnola): El Greco, Velázquez, Murillo, Zurbarán (suo il particolare del dipinto riprodotto qui accanto), con molti altri in tutta Europa, continueranno a raffigurare il vescovo di Toledo accanto alla Madre di Gesù. Come anche Guido Reni nello stesso periodo, con l’affresco conservato nella basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. La grande arte rifletteva così gli stati d’animo popolari, espressi nel culto spontaneamente tributato a Ildefonso, dai fedeli e dal suo successore Giuliano, che ne scrisse la vita.



Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:42

San Maimbodo

23 gennaio

Martirologio Romano: A Dampierre nel territorio di Besançon in Burgundia, nell’odierna Francia, san Maimbodo, che, irlandese di origine, fattosi pellegrino ed eremita, si tramanda che sia stato ucciso dai briganti.


Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:43

Beata Margherita Molli Mistica

23 gennaio

Russi (Ravenna), 8 maggio 1442 – Ravenna, 23 gennaio 1505

Di famiglia benestante, era nata nel castello di Russi, nel ravennate, l'8 maggio 1442. A tre mesi, colpita da una grave malattia, perse la vista e verso i cinque anni cominciò una vita di penitenza, camminando a piedi nudi con qualunque tempo, dormendo sulla terra nuda e digiunando. A causa della cecità non poté entrare in un Ordine religioso e intraprese una vita di «monaca di casa». Nonostante la sua vita appartata, la sua fama si diffuse nella zona e tante persone ricorrevano a lei in cerca di consigli. Ebbe il dono della profezia: predisse la battaglia di Ravenna del 1512, il Concilio di Trento (1545-1564) e la vittoria di Lepanto del 1571. Nel 1485, a 43 anni, si recò a Ravenna proseguendo nella sua attività in opere di carità. Per i tanti fedeli che a lei si rivolgevano creò la Confraternita del Buon Gesù. Moorì a Ravenna il 23 gennaio 1505. (Avvenire)


Le notizie sulla beata Margherita Molli e della sua discepola e parente, beata Gentile Giusti, sono state riportate nell’edizione del 1535, di una “Vita di due Beatissime Donne, Margarita et Gentile”, compilata su notizie in parte ricevute dalla stessa Gentile Giusti, dal Canonico Regolare Lateranense (Agostiniano), padre Serafino Aceti de’ Porti da Fermo (1496-1540); quindi contemporaneo delle due beate.
Per completezza di notizie si aggiunge, che di questa edizione non esiste oggi nessun esemplare, ma solo una copia manoscritta di detta stampa, nell’Archivio arcipretale di S. Apollinare in Russi (Ravenna). Successivi studi agiografici, si rifanno a quest’iniziale edizione.
Margherita Molli, figlia dei benestanti Francesco e Giovanna Molli, nacque nel castello di Russi a circa 15 km. da Ravenna, l’8 maggio 1442; purtroppo la sofferenza si affacciò presto nella sua vita, nonostante le ricchezze della famiglia, perché a tre mesi per una grave malattia rimase cieca.
Appena poté, in base alla sua età, cominciò una vita di penitenza e di contemplazione, così inusuale in una bambina, si pensi che prese a camminare a piedi nudi con ogni tempo, già verso i cinque anni; tutti segni di una precoce inclinazione alla santità.
Crebbe nella sua adolescenza e gioventù, perseverando nella penitenza, lasciato ogni bene terreno ai poveri, visse dell’altrui elemosina, infliggendosi digiuni ed asprezze, come il dormire sulla nuda terra. Fin dall’adolescenza emise il voto di verginità; a causa della sua cecità, che peraltro non le impediva di camminare speditamente e senza guida, non poté aspirare di entrare in un Ordine Religioso, pertanto intraprese una vita, che oggi diremmo, di ‘monaca di casa’, come nell’Ottocento ne fiorirono tante.
Benché vivesse appartata, la fama della sua vita santa, si diffuse nel circondario e a lei accorrevano tante persone per ascoltare i suoi consigli per una vita veramente evangelica, consolando gli afflitti, suscitando pentimento nei peccatori.
Ebbe il dono della profezia, come pure quello di operare miracoli; predisse la battaglia di Ravenna del 1512, il Concilio di Trento (1545-1564) e la vittoria di Lepanto del 1571. Veniva da tutti chiamata “la Madre, la Santa”; radunò nella Pieve di San Pancrazio, distante tre km. dal paese, un gruppo di giovanette per istruirle ed educarle cristianamente.
Nel 1485 a 43 anni, lasciò Russi e si recò a Ravenna, dove abitò in casa di Lorenzo Orioli, un suo devoto; proseguendo nella sua attività in tante opere di carità, visitando le chiese, ricevendo e guidando tante persone, ammirate ed attirate dal suo eroico esercizio delle virtù cristiane.
Conservò una grande serenità di spirito e rassegnazione, nonostante anche le calunnie di chi non le credeva. Ebbe a cuore, in unione col papa la difesa della cristianità contro i musulmani, nel contempo faceva pregare per l’unione di tutti i cristiani.
Per i numerosi fedeli che a lei accorrevano, creò la Confraternita del Buon Gesù, che poi diventerà dopo la sua morte, per opera del discepolo Girolamo Maluselli, coadiuvato dall’altra discepola Gentile Giusti, la ‘Congregazione dei Preti del Buon Gesù’, la cui opera fu molto attiva a Ravenna e in Romagna, (fu approvata nel 1538 da papa Paolo III e soppressa nel 1651 da papa Innocenzo X).
Margherita Molli morì a Ravenna il 23 gennaio 1505; si racconta che la sua modesta tomba in S. Apollinare Nuovo, diventata meta di tanti devoti, un giorno fu profanata durante l’invasione dei francesi, per cui Lorenzo Orioli, il devoto parente che l’aveva ospitata; con il consenso dei sacerdoti, trafugò il corpo e caricatolo su un asino, lo lasciò libero di andare dove volesse. In piena notte l’asino si fermò vicino alla chiesa di S. Pancrazio di Russi, sotto un grande albero, e lì fu inumato, alla luce di uno sciame di lucciole.
Nel 1659 le sue reliquie furono unite a quelle della beata Gentile Giusti, nella Chiesa del Buon Gesù di Ravenna; dopo altre traslazioni, le reliquie delle due beate riposano nella chiesa arcipretale di S. Apollinare in Russi.
Nel 1537, per disposizione di papa Paolo III, si tenne un processo per i miracoli attribuiti alle due beate. Il culto è di origine popolare e la loro festa si celebra l’ultima domenica di gennaio.

Autore: Antonio Borrelli





Gentile di nome e di fatto, viene data in sposa ad un uomo che gentile non è affatto. Figlia di un orafo veronese, si sposa giovanissima con un sarto di Ravenna, tal Giacomo soprannominato Pianella: non tanto per amore, quanto per convenienza, sulla base della quale i genitori (siamo nella seconda metà del Quattrocento) combinavano i matrimoni, spesso all’insaputa dei figli. E il sarto Giacomo era sicuramente un “buon partito”, visto il buon mestiere e la gran clientela che aveva. Grossolano, poco sensibile e per niente religioso, Giacomo si dimostra l’esatto contrario di Gentile, che per natura è sensibilissima, molto devota e assai delicata. Così il suo non lo si può certo definire un matrimonio felice: maltrattata e derisa dal suo uomo, Gentile avrebbe più di un motivo per mandare all’aria un matrimonio che, di fatto, è basato più che altro sull’interesse. Ad un certo punto c’è addirittura l’abbandono del tetto coniugale, perchè Giacomo se ne va di casa e si trasferisce a Padova, lasciandola sola con due bimbi da allevare. Dicono abbia fatto le valigie per vergogna, perché, dopo aver denunciato la moglie per stregoneria, il vescovo di Ravenna in persona ha riconosciuto l’assoluta limpidezza, correttezza e religiosità di Gentile. Giacomo torna a casa quando gli fa comodo, parecchi anni dopo, e trova una moglie che nonostante tutto gli è stata fedele, ha allevato i figli (anche se uno è morto giovanissimo), ha continuato a pregare per la sua conversione. E avviene il miracolo della ritrovata unità familiare, con il cambiamento radicale dello suo stile di vita, grazie all’esempio della moglie che non ha mai cessato di amarlo. Giacomo muore poco dopo e Gentile, specializzatasi in pazienza, sopportazione e fedeltà, continua ad offrire il suo esempio di vedova dedita agli altri. Sembra che la sua missione specifica sia davvero quella di rendere migliore gli uomini che incontra: ne sa qualcosa Girolamo Maluselli, miscredente e violento, che dopo essersi confidato con lei ed aver ascoltato i suoi consigli, cambia vita e diventa sacerdote. Anche Leone, l’unico figlio rimastole e su cui Gentile riversa il suo affetto perché non segua l’esempio del padre, cambia vita e diventa sacerdote. Gentile, da parte sua, si ispira al modello di vita che le offre una sua lontana parente, Margherita, cieca e malandata per le aspre penitenze che si infligge. Ha rinunciato a tutti i suoi beni per donarli ai poveri, vive dell’altrui elemosina, prega e insegna il catechismo alle ragazze, è consultata da tutti perché ha il dono della profezia e con il suo esempio richiama i peccatori a conversione. Le sue preghiere sono particolarmente orientate verso l’unità dei cristiani e fonda la Confraternita del Buon Gesù, che si trasformerà in seguito nella “Congregazione dei Preti del Buon Gesù”. Margherita Molli muore il 23 gennaio 1505, Gentile Giusti il 28 gennaio 1530, ma ancora oggi, il paese di Russi e la zona di Ravenna riservano l’ultima domenica di gennaio per festeggiare insieme le due cugine, che dopo aver condiviso ideali e progetti di vita cristiana, riposano insieme in un’unica urna, circondate da una vivissima devozione.


Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:44

Santa Messalina di Foligno Martire

23 gennaio

 

Il più antico documento che riferisce alcune scarse notizie su Messalina è la passio di s. Feliciano, primo vescovo di Foligno, scritta nella seconda metà del sec. VII o nell'VIII, il cui valore storico è quanto mai dubbio.
Secondo questa passio, Messalina fu educata alla pietà da Feliciano. Quando il vescovo fu messo in prigione dall'imperatore Decio, Messalina lo soccorse e lo visitò nel carcere. Per questo motivo fu arrestata e percossa dai soldati «iniurata et caesa poenaliter»: tuttavia queste parole non significano necessariamente che subisse il martirio, ma possono spiegarsi come un semplice maltrattamento che i soldati fecero subire alla giovinetta.
Messalina fu venerata a Foligno nei secc. XVI e XVII come martire, quantunque un poeta locale del 1426, mettendo in versi la leggenda di s. Feliciano, non la considerasse come martire. Anzi il poeta non fa alcun accenno ad un culto di Messalina nella sua città: testimonianza questa che dimostra come la venerazione sia sorta posteriormente. Secondo lacobilli il corpo di Messalina fu ritrovato nel 1599 e collocato nella cattedrale di Foligno nella cappella della Madonna di Loreto.
La festa è celebrata il 23 gennaio.


Stellina788
00domenica 23 gennaio 2011 11:44

Santi Severiano e Aquila Sposi, martiri

23 gennaio

Cesarea di Mauritania, III secolo

Severiano e Aquila, sposi e martiri del III secolo a Cesarea di Mauritania. Furono bruciati vivi in odio alla loro fede cristiana.

Martirologio Romano: A Cesarea di Mauritania, nell’odierna Algeria, santi martiri Severiano e Aquila, coniugi, che furono bruciati nel fuoco.


I due santi martiri di Cesarea di Mauritania (Africa Settentrionale) Severiano e Aquila, coniugi cristiani, non sono da confondere con la coppia di sposi Aquila e Priscilla di Corinto, santi collaboratori di s. Paolo Apostolo, la cui celebrazione è all’8 luglio e i cui nomi sono inseriti nelle attuali “litanie degli sposi”.
La stranezza fra le due coppie di sposi, è che il nome Aquila si riferisce nella prima alla sposa e nella seconda allo sposo; segno che all’epoca romana veniva usato indifferentemente sia per uomini che per donne.
Il Martirologio Romano, al giorno 23 gennaio, data della loro celebrazione liturgica, dice: “Cesarea in Mauretania, sanctorum martyrum Severiani et Aquilæ, coniugum, qui igne combusti sunt”.
Praticamente solo un rigo, che conferma l’esistenza dei due coniugi a Cesarea di Mauritania nel III secolo e specifica che subirono il martirio venendo bruciati vivi; non aggiunge altro, quindi non si sa la data del martirio e chi fossero in realtà.
Certamente appartengono a quella lunga schiera di martiri per la fede, che testimoniarono il cristianesimo, versando il loro sangue in ogni angolo dell’immenso impero romano, torturati e uccisi con ogni specie di supplizio, dall’essere divorati dalle bestie feroci, all’essere bruciati vivi legati a dei pali.
Altre piccole notizie, come l’identificazione di Severiano quale generoso benefattore della comunità di Cesarea di Mauritania, oppure che i coniugi avessero un figlio di nome Floro, notizie apparse in antichi Martirologi come quelli di Beda e Usuardo, non sono verificabili e quindi prive di fondamento.

I due nomi di Severiano ed Aquila, sono stati portati da altri santi martiri dei primi secoli, ben cinque per Severiano e cinque per Aquila (tutti uomini).


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