23 novembre

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scri789
00martedì 23 novembre 2010 09:46

San Clemente I Romano Papa e martire

23 novembre - Memoria Facoltativa

Papa dal 92 al 101

(Papa dal 88 al 97).
Clemente, quarto vescovo di Roma dopo Pietro, Lino e Anacleto, è ricordato nel Canone Romano. La lettera da lui indirizzata ai Corinzi per ristabilire la concordia degli animi, appare come uno dei più antichi documenti dell'esercizio del primato. Lo scritto testimonia il Canone dei libri ispirati e dà preziose notizie sulla liturgia e sulla gerarchia ecclesiastica. Accenna anche alla gloriosa morte degli apostoli pietro e Paolo e dei protomartiri romani nella persecuzione di Nerone. (Mess. Rom.)

Etimologia: Clemente = indulgente, generoso, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: San Clemente I, papa e martire, che resse la Chiesa di Roma per terzo dopo san Pietro Apostolo e scrisse ai Corinzi una celebre Lettera per rinsaldare la pace e la concordia tra loro. In questo giorno si commemora la deposizione del suo corpo a Roma.

Ascolta da RadioRai:
  

Risuonava ancora al suo orecchio la predicazione degli Apostoli. Così nel II secolo sant’Ireneo parla di Clemente, terzo successore di Pietro dopo Lino e Anacleto, e forse in gioventù collaboratore di Paolo. Ma di lui una sola cosa è certa: la profonda conoscenza (rivelata negli scritti) della Scrittura e anche dei testi ebraici e non canonici. Si ritiene perciò che sia venuto al cristianesimo dall’ebraismo. Sappiamo che il suo pontificato dura nove anni, sotto gli imperatori Domiziano, Nerva e Traiano. Ma il suo posto è grande nella vita della Chiesa, che lo venera come uno dei “Padri apostolici”, per la lettera alla comunità di Corinto, dove i pastori sono stati destituiti da giovani cristiani turbolenti.
Clemente non interviene finché dura la persecuzione ordinata da Domiziano nell’Impero. Tornata la pace, al tempo di Nerva, eccolo inviare a Corinto una lettera scritta da lui ma presentata come voce della Chiesa di Roma, cosciente della sua autorità e responsabilità. Essa ricorda l’origine divina dell’autorità ecclesiastica e le norme per la successione apostolica; condanna l’espulsione dei presbiteri di Corinto e disegna un’immagine dell’intera comunità cristiana come modello di fraternità. Infine, sebbene Clemente scriva dopo la persecuzione, rammenta con serenità il dovere dell’obbedienza ai prìncipi nelle cose terrene.
La lettera, detta poi Prima Clementis, afferma dopo i testi degli Apostoli l’autorità dei vescovi sui fedeli e il primato della Chiesa di Roma sulle altre. Sarà infatti definita “Epifania (cioè manifestazione) del primato romano”. Un documento che si diffonde in tutta la cristianità antica, e che resta valido in ogni tempo. La voce di Clemente parla "con una gravità saggia, paterna, cosciente delle proprie responsabilità, ferma nelle esigenze e al tempo stesso indulgente nei suoi rimproveri" (G. Lebreton). Ancora 70 anni dopo, a Corinto, il documento viene letto pubblicamente nelle riunioni eucaristiche domenicali, insieme alle Scritture.
Poco si sa degli ultimi anni di Clemente. Secondo una tradizione del IV secolo, sarebbe stato affogato con un’ancora al collo in Crimea, suo luogo d’esilio, per ordine di Nerva. Ma gli Atti relativi sono giudicati leggendari. D’altra parte lo storico Eusebio di Cesarea e san Girolamo concordemente dicono che Clemente muore nel 101, e non parlano affatto di esilio e di martirio.
Nel IV secolo gli viene dedicata sul colle Celio a Roma una basilica, che sarà poi devastata da un incendio nel 1084. E sui suoi resti, dopo il 1100, sorgerà la basilica nuova a tre navate, ampiamente restaurata poi nel secolo XVIII. Sotto la sua abside gli scavi ottocenteschi hanno fatto scoprire parti della basilica originale, con dipinti murali anteriori al 1084. In ogni tempo la Chiesa continua a venerarlo, col nome di Clemente Romano.





scri789
00martedì 23 novembre 2010 09:47

San Colombano Abate

23 novembre - Memoria Facoltativa

Irlanda c. 525-530 - Bobbio, Piacenza, 23 novembre 615

Colombano è uno dei rappresentanti del mondo monastico che danno origine a quella 'peregrinatio pro Domino', che costituì uno dei fattori dell'evangelizzazione e del rinnovamento culturale dell'Europa. Dall'Irlanda passò (c. 590) in Francia, Svizzera e Italia Settentrionale, creando e organizzando comunità ecclesiastiche e fondando vari monasteri, alcuni dei quali, per esempio Luxeuil e Bobbio, celebri per gli omonimi libri liturgici. La regola monastica che codifica la sua spiritualità è improntata a grande rigore e intende associare i monaci al sacrificio di Cristo. La sua prassi monastica ha influito sulla nuova disciplina penitenziale dell'Occidente. (Mess. Rom.)

Etimologia: Colombano = dolce, delicato

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: San Colombano, abate, che di origine irlandese, fattosi pellegrino per Cristo per istruire nel Vangelo le genti della Francia, fondò insieme a molti altri monasteri quello di Luxeuil, che egli stesso governò in una stretta osservanza della regola; costretto all’esilio, attraversò le Alpi e fondò in Emilia il monastero di Bobbio, celebre per la disciplina e gli studi, dove, benemerito della Chiesa, morì in pace e il suo corpo fu deposto in questo giorno.

Ascolta da RadioMaria:
  

Il santo abate Colombano è l’irlandese più noto del primo Medioevo: con buona ragione egli può essere chiamato un santo «europeo», perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari Paesi dell’Europa occidentale. Insieme agli irlandesi del suo tempo, egli era consapevole dell’unità culturale dell’Europa. In una sua lettera, scritta intorno all’anno 600 e indirizzata a Papa Gregorio Magno, si trova per la prima volta l’espressione «totius Europae, di tutta l’Europa», con riferimento alla presenza della Chiesa nel Continente (cfr Epistula I,1).
Colombano era nato intorno all’anno 543 nella provincia di Leinster, nel sud-est dell’Irlanda.
Educato nella propria casa da ottimi maestri che lo avviarono allo studio delle arti liberali, si affidò poi alla guida dell’abate Sinell della comunità di Cluain-Inis, nell’Irlanda settentrionale, ove poté approfondire lo studio delle Sacre Scritture. All’età di circa vent’anni entrò nel monastero di Bangor nel nord- est dell’isola, ove era abate Comgall, un monaco ben noto per la sua virtù e il suo rigore ascetico. In piena sintonia col suo abate, Colombano praticò con zelo la severa disciplina del monastero, conducendo una vita di preghiera, di ascesi e di studio. Lì fu anche ordinato sacerdote. La vita a Bangor e l’esempio dell’abate influirono sulla concezione del monachesimo che Colombano maturò col tempo e diffuse poi nel corso della sua vita.
All’età di circa cinquant’anni, seguendo l’ideale ascetico tipicamente irlandese della «peregrinatio pro Christo», del farsi cioè pellegrino per Cristo, Colombano lasciò l’isola per intraprendere con dodici compagni un’opera missionaria sul continente europeo. Dobbiamo infatti tener presente che la migrazione di popoli dal nord e dall’est aveva fatto ricadere nel paganesimo intere Regioni già cristianizzate. Intorno all’anno 590 questo piccolo drappello di missionari approdò sulla costa bretone. Accolti con benevolenza dal re dei Franchi d’Austrasia (l’attuale Francia), chiesero solo un pezzo di terra incolta. Ottennero l’antica fortezza romana di Anne-gray, tutta diroccata ed abbandonata, ormai coperta dalla foresta. Abituati ad una vita di estrema rinuncia, i monaci riuscirono entro pochi mesi a costruire sulle rovine il primo eremo. Così, la loro rievangelizzazione iniziò a svolgersi innanzitutto mediante la testimonianza della vita. Con la nuova coltivazione della terra cominciarono anche una nuova coltivazione delle anime. La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffuse celermente attraendo pellegrini e penitenti. Soprattutto molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle anime. Ben presto si rese necessaria la fondazione di un secondo monastero. Fu edificato a pochi chilometri di distanza, sulle rovine di un’antica città termale, Luxeuil. Il monastero sarebbe poi diventato il centro dell’irradiazione monastica e missionaria di tradizione irlandese sul continente europeo. Un terzo monastero fu eretto a Fontaine, un’ora di cammino più a nord.
A Luxeuil Colombano visse per quasi vent’anni. Qui il santo scrisse per i suoi seguaci la Regula monachorum per un certo tempo più diffusa in Europa di quella di san Benedetto disegnando l’immagine ideale del monaco. È l’unica antica regola monastica irlandese che oggi possediamo. Come integrazione egli elaborò la Regula coenobialis, una sorta di codice penale per le infrazioni dei monaci, con punizioni piuttosto sorprendenti per la sensibilità moderna, spiegabili soltanto con la mentalità del tempo e dell’ambiente. Con un’altra opera famosa intitolata De poenitentiarum misura taxanda, scritta pure a Luxeuil, Colombano introdusse nel continente la confessione e la penitenza private e reiterate; fu detta penitenza «tariffata» per la proporzione stabilita tra gravità del peccato e tipo di penitenza imposta dal confessore. Queste novità destarono il sospetto dei vescovi della regione, un sospetto che si tramutò in ostilità quando Colombano ebbe il coraggio di rimproverarli apertamente per i costumi di alcuni di loro. Occasione per il manifestarsi del contrasto fu la disputa circa la data della Pasqua: l’Irlanda seguiva infatti la tradizione orientale in contrasto con la tradizione romana. Il monaco irlandese fu convocato nel 603 a Châlon-sur-Saôn per rendere conto davanti a un sinodo delle sue consuetudini relative alla penitenza e alla Pasqua. Invece di presentarsi al sinodo, egli mandò una lettera in cui minimizzava la questione invitando i Padri sinodali a discutere non solo del problema della data della Pasqua, problema piccolo secondo lui, «ma anche di tutte le necessarie normative canoniche che da molti cosa più grave sono disattese» (cfr Epistula II,1).
Contemporaneamente scrisse a Papa Bonifacio IV come qualche anno prima già si era rivolto a Papa Gregorio Magno (cfr Epistula I) per difendere la tradizione irlandese (cfr Epistula III).
Intransigente come era in ogni questione morale, Colombano entrò poi in conflitto anche con la Casa reale, perché aveva rimproverato aspramente il re Teodorico per le sue relazioni adulterine. Ne nacque una rete di intrighi e manovre a livello personale, religioso e politico che, nell’anno 610, si tradusse in un decreto di espulsione da Luxeuil di Colombano e di tutti i monaci di origine irlandese, che furono condannati ad un definitivo esilio. Furono scortati fino al mare e imbarcati a spese della corte verso l’Irlanda. Ma la nave si incagliò a poca distanza dalla spiaggia e il capitano, vedendo in ciò un segno del cielo, rinunciò all’impresa e, per paura di essere maledetto da Dio, riportò i ed entusiasmo ai coetanei. monaci sulla terra ferma. Essi, invece di tornare a Luxeuil, decisero di cominciare una nuova opera di evangelizzazione. Si imbarcarono sul Reno e risalirono il fiume. Dopo una prima tappa a Tuggen presso il lago di Zurigo, andarono nella regione di Bregenz presso il lago di Costanza per evangelizzare gli Alemanni.
Poco dopo però Colombano, a causa di vicende politiche poco favorevoli alla sua opera, decise di attraversare le Alpi con la maggior parte dei suoi discepoli. Rimase solo un monaco di nome Gallus; dal suo eremo si sarebbe poi sviluppata la famosa abbazia di Sankt Gallen, in Svizzera. Giunto in Italia, Colombano trovò un’accoglienza benevola presso la corte reale longobarda, ma dovette affrontare subito difficoltà notevoli: la vita della Chiesa era lacerata dall’eresia ariana ancora prevalente tra i longobardi e da uno scisma che aveva staccato la maggior parte delle Chiese dell’Italia settentrionale dalla comunione col Vescovo di Roma. Colombano si inserì con autorevolezza in questo contesto, scrivendo un libello contro l’arianesimo e una lettera a Bonifacio IV per convincerlo a fare alcuni passi decisi in vista di un ristabilimento dell’unità (cfr Epistula V). Quando il re dei longobardi, nel 612 o 613, gli assegnò un terreno a Bobbio, nella valle del Trebbia, Colombano fondò un nuovo monastero che sarebbe poi diventato un centro di cultura paragonabile a quello famoso di Montecassino. Qui giunse al termine dei suoi giorni: morì il 23 novembre 615 e in tale data è commemorato nel rito romano fino ad oggi.
Il messaggio di san Colombano si concentra in un fermo richiamo alla conversione e al distacco dai beni terreni in vista dell’eredità eterna. Con la sua vita ascetica e il suo comportamento senza compromessi di fronte alla corruzione dei potenti, egli evoca la figura severa di san Giovanni Battista. La sua austerità, tuttavia, non è mai fine a se stessa, ma è solo il mezzo per aprirsi liberamente all’amore di Dio e corrispondere con tutto l’essere ai doni da lui ricevuti, ricostruendo così in sé l’immagine di Dio e al tempo stesso dissodando la terra e rinnovando la società umana. Cito dalle sue Instructiones: «Se l’uomo userà rettamente di quelle facoltà che Dio ha concesso alla sua anima allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con i suoi comandamenti. Il primo di essi è quello di amare il Signore con tutto il cuore, perché egli per primo ci ha amato, fin dall’inizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo alla luce di questo mondo» (cfr Instr. XI). Queste parole, il santo irlandese le incarnò realmente nella propria vita. Uomo di grande cultura scrisse anche poesie in latino e un libro di grammatica si rivelò ricco di doni di grazia. Fu un instancabile costruttore di monasteri come anche intransigente predicatore penitenziale, spendendo ogni sua energia per alimentare le radici cristiane dell’Europa che stava nascendo. Con la sua energia spirituale, con la sua fede, con il suo amore per Dio e per il prossimo divenne realmente uno dei Padri dell’Europa: egli mostra anche oggi a noi dove stanno le radici dalle quali può rinascere questa nostra Europa.





scri789
00martedì 23 novembre 2010 09:47

Beati 11 Cavalieri laici dell’Ordine Mercedario Confessori

23 novembre

Questi 11 Beati cavalieri laici dell’Ordine Mercedario: Berengario Rosselli, Raimondo Rigald, Guglielmo de Rubeis, Guglielmo de Olesa, Guglielmo da Monteblanco, Giovanni de Exea, Perpignano de Cortsavino, Bernardo de Calderis, Mattia da Balaguer, Raimondo da Burgos e Michele de Lizama, furono insigni per la dottrina, la carità e la santità della vita.
Testimoniarono la fece cattolica contro i saraceni e prendendo la loro croce seguirono il Signore e con lo stesso Signore esultarono senza fine.
L’Ordine li festeggia il 23 novembre.




scri789
00martedì 23 novembre 2010 09:48

Sant’ Anfilochio di Iconio Vescovo

23 novembre

340/345 – 403

Etimologia: Anfilochio = proveniente da Filace, città dell'Epiro, dal greco

Emblema: Pallio

Martirologio Romano: A Konya in Licaonia, nell’odierna Turchia, sant’Anfilochio, vescovo, che, compagno di eremo dei santi Basilio e Gregorio Nazianzeno e loro collega nell’episcopato, fu insigne per santità e dottrina e sostenne molte prove per la fede cattolica.


La principale fonte a cui è possibile attingere informazioni circa Sant’Anfilochio è la sua corrispondenza con due cari amici, suo cugino San Gregorio Nazianzeno e San Basilio Magno. Anfilochio nacque in Cappadocia tra il 340 ed il 345 ed in giovane età fu insegnante di retorica a Costantinopoli. Incorso poi in difficoltà finanziarie, abbandono la capitale imperiale e si trasferì nei pressi di Nazianzo, al fine di condurre un’esistenza tranquilla e potersi prendere cura del padre anziano.
Nel 374 ricevette la nomina alla sede episcopale di Iconio, che accettò con non poca riluttanza, ben conscio di ciò che questo avrebbe comportato. Suo padre si lamentò con Gregorio Nazianzeno,poiché gli sarebbero mancate le cure amorevoli del figlio, ma il santo gli rispose che non aveva avuto alcun ruolo nella nomina di Anfilochio ed anche lui in fondo avrebbe risentito della sua mancanza. Basilio, probabile sostenitore della nomina, scrisse all’amico per incoraggiarlo ad essere guida piuttosto che succube degli altri. Anfilochio consultava spesso Basilio, che proprio per lui scrissi il trattato sullo Spirito Santo, e ne pronunciò il panegerico al funerale.
Sempre infervorato dalla questione dell’ortodossia, nel 376 Anfilochio tenne un sinodo proprio ad Iconio, onde condannare l’eresia macedone che negava la divinità dello Spirito Santo. Fu inoltre presente quando essa fu definitivamente condannata nel Primo Concilio di Costantinopoli nel 381.Esortò l’imperatose San Teodosio I a negare agli ariani la possibilità di riunirsi. Il sovrano inizialmente rifiutò, ritenendo troppo severa tale misura, ma il santo vescovo alla fine lo convinse a promulgare una legge che dichiarava illegali le assemblee pubbliche o private degli ariani. Altrettanto rigorosamente, Anfilochio si oppose alle dottrine dei messaliani, una setta carismatica e manichea che considerava la preghiera quale unica vera essenza della religione. La condanna di questa setta si ebbe durante un sinodo da lui presieduto nel 394 presso Sida, in Panfilia. Il suo amico Gregorio lo descrisse araldo della verità e vescovo irreprensibile. Suo padre testimoniò che diversi malati erano guariti per sua intersessione. Anfilochio morì nell’anno 403.





scri789
00martedì 23 novembre 2010 09:49

Beato Bartolomeo Poggio Protomartire della Patagonia

23 novembre

San Martino Stella, Savona, 21 settembre 1768 – Patagonia, 7 agosto 1810

Di origine italiana, il Beato Bartolomeo Poggio, nacque il 21 settembre 1768 a San Martino Stella (Savona), da piccolo andò con i genitori in Argentina. Entrò nell’Ordine Mercedario a Buenos Aires e fu ordinato sacerdote a Cordova il 26 maggio 1799. L’anno dopo fu destinato come cappellano in Patagonia, in questo luogo e nel vicino porto di San Giuseppe, evangelizzò per 10 anni, dando esempio di vita apostolica e povera. In quella regione gli indigeni frequentemente rapinavano tutto ciòtutto ciò che incontravano persino persone per poi scambiarle con viveri. Durante una di queste incursioni gli indigeni incendiarono la cappella dove padre Poggio stava celebrando la messa, quindici persone furono uccise, altre furono fatte schiave, il mercedario morì in ginocchio davanti all’altare con lo sguardo fisso verso la croce e la preghiera sulle labbra. Era il 7 agosto del 1810 ed è considerato il protomartire della Patagonia.
L’Ordine lo festeggia il 23 novembre.






scri789
00martedì 23 novembre 2010 09:50

Santa Cecilia Yu So-sa Vedova e martire

23 novembre

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Seoul, Corea del Sud, 1761 – Seoul, Corea del Sud, 23 novembre 1839

Martirologio Romano: A Seul in Corea, santa Cecilia Yu So-sa, martire, che, vedova, privata dei beni e arrestata a causa della sua fede, fu sottoposta per dodici volte a interrogatorio e percossa fino a spirare, quasi ottuagenaria, in carcere.


Il Concilio Vaticano II, lungi dall’aver abolito il culto dei santi, ha piuttosto sottolineato la chiamata universale alla santità, questa grande realtà di vita improntata allo stile evangelico. Negli ultimi decenni questa riscoperta dimensione di imitazione di Cristo a cui sarebbero chiamati tutti i cristiani di ogni condizione, ha portato al riconoscimento tramite numerose beatificazioni e canonizzazioni anche di numerosi fedeli laici, mentre per lunghi secoli è ben noto come gli unici santi privi di abiti religiosi fossero stati quasi esclusivamente i sovrani di varie dinastie eurepee ed alcuni martiri dei primi secoli.
La santa oggi festeggiata è appunto una laica, vissuta in Core a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo. Purtroppo, come già per i primi martiri, è assai difficile reperire numerose notizie sul suo conto, in quanto pur costituendo essi la più importante schiera di santi, i cristiani hanno forse sempre ritenuto inutile mandare molti dettagli circa la loro esistenza terrena, quanto piuttosto porre in dovuto risalto l’estrema testimonianza della fede cristiana sino all’effusione del loro sangue.
Cecilia Yu So-sa nacque a Seoul, odierna capitale della Corea del Sud, nel 1761. Donna sposata, suoi figli furono i Santi Paolo Chong Hasang e Jung Hye. Rimasta poi vedova, fu privata di tutti i suoi averi ed incarcerata a causa della sua fede cristiana. Per ben dodici volte venne portata in giudizio ed altrettante fu sottoposta alla fustigazione. Morì infine nel carcere di Bo-jeong il 23 novembre, quasi ottuagenaria.
Cecilia fu beatificata il 5 luglio 1925 ed infine canonizzata da Papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984 con altri 102 martiri che avevano irrorato con il loro sangue la sua patria coreana. Il gruppo, noto con il nome “Santi Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e compagni”, è festeggiato comunemente dal calendario liturgico latino al 20 settembre.




scri789
00martedì 23 novembre 2010 09:50

23 novembre


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